KREATOR

Extreme Aggression

1989 - Noise Records/Epic Records

A CURA DI
FRANCESCO NAPPI
29/04/2022
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Ascolto quest'album e penso: strano, vero? Siamo nel 1989 e nessuno, all'epoca, aveva il sentore che il thrash metal, vivente un periodo floridissimo, nel giro di un paio d'anni sarebbe stato completamente annientato dall'avvento del grunge e dell'alternative metal. Cito tali correnti in quanto, nell'ambito del rock duro, furono quelle che fecero più fortuna (commerciale si intende) negli anni 90. Quindi è quantomeno curioso che in così poco tempo ci sia stato un cambiamento talmente radicale da mettere quasi una lapide su un genere che, negli anni 80, ha messo a ferro e fuoco il mondo intero. Fatto questo doveroso preambolo, rimaniamo dunque nell'89. In Europa e in America i thrashers si dimenano e fanno headbanging ascoltando Metallica, Slayer, Testament, Sodom, Megadeth e chi più ne ha più ne metta. Per il momento, le nuove tipologie di musica rock e metal che prenderanno piede successivamente, rimangono stagliate all'orizzonte, pur assumendo la forma di minacciosi nuvoloni neri. Ad ogni modo, "il bel tempo" persiste e decine di thrash bands pare non abbiano ancora esaurito la benzina, anche dopo aver sfornato capolavori irripetibili negli anni precedenti ed essersi solidamente affermate nella scena heavy. Se in America i gruppi producevano oramai dischi di pregevolissimo thrash tecnico, e basta citare album come "And Justice for All" dei Metallica, "Alice in Hell" degli Annihilator o "Forbidden Evil" dei Forbidden ecc, in Europa le cose erano diverse. Il vecchio continente, nel 1989, fu segnato essenzialmente da due soli album: "Agent Orange" dei Sodom e Extreme Aggression dei Kreator. Due full-lenghts usciti entrambi a giugno di quell'anno, ma abbastanza diversi nella composizione e nell'attitudine. "Agent Orange" è un disco che, seppur si presenta molto più maturo delle uscite precedenti della band guidata da Tom Angelripper, è impostato sull'immediatezza e su una certa rozzezza. "Extreme Aggression" invece rappresenta un notevole passo avanti per i Kreator, sotto ogni aspetto: compositivo, tecnico e anche lirico. Dopo gli eccessi sonori del debutto "Endless Pain" e soprattutto di "Pleasure to Kill", nel 1987 i Kreator incanalarono meglio la loro rabbia e realizzarono "Terrible Certainty", prodigioso album di furioso thrash che lasciava intravedere importanti potenzialità oltre il devasto sonoro che aveva dato notorietà alla band fino ad allora. "Extreme Aggression" è l'evoluzione del disco precedente, e possiamo dire che è il primo album dove i Kreator tirano fuori una raffinatezza inaspettata ed anche un certo gusto per la melodia. Mettiamo in chiaro che la band non si è "americanizzata", questo LP è thrash tedesco al 100%. I quattro ragazzi di Essen, giustamente, hanno deciso di proseguire il discorso intrapreso con l'album precedente, affinando ancora di più la loro vena compositiva, pur non perdendo un briciolo della violenza e della tigna che fino a quel momento avevano fatto la differenza. Questo disco permise ai Kreator di avere, finalmente, una rilevanza internazionale maggiore ed affermarsi tra le migliori formazioni thrash del momento. Ancora oggi infatti, la critica specializzata o anche solo i fan di vecchia data, indicano questo disco come quello della svolta. Ed in effetti, come evidenziato, è stato così.
La line-up è la stessa di "Terrible Certainty", e la troviamo più affiatata che mai. Ogni passaggio, ogni riff, ogni melodia, ogni fraseggio, ogni bridge, è studiato nei minimi dettagli, si sente come la band volesse trovare a tutti i costi un equilibrio tra cattiveria e qualità sonora. E ciò va a buon fine solo se la formazione è ben oliata. Le canzoni sono taglienti come rasoi, caratterizzate tutte da riff velenosi, nevrotici, ma anche più elaborati rispetto al passato. Anche il tipo di rabbia è diverso. Se nei primissimi album, la furia della band era dettata più che altro dalla foga giovanile (ma non solo), qui invece si percepisce proprio l'odio verso la società, espresso soprattutto dalla voce stridente del singer Mille Petrozza, anche lui maturato parecchio, sia con la chitarra che vocalmente. Andiamo adesso ad aprire questo scrigno di rinomate quanto taglienti perle thrash metal, nella speranza che non vi facciate troppo male. Buona lettura

Extreme Aggression

Ad aprire le danze ci pensa la title-track, che negli anni è diventata un cavallo di battaglia dei Kreator ed anche uno dei brani più rappresentativi del thrash teutonico. La canzone parte scandita da un riff di chitarra acidissimo, supportato dal mid-tempo di "Ventor". Pochi secondi, ed ecco Mille Petrozza lanciare un raggelante urlo, il quale di fatto dà il via ad una violentissima quanto incredibile apocalisse thrash metal. "Ventor" adesso picchia come un dannato sulle pelli, ma si possono facilmente notare i grandi miglioramenti rispetto ai lavori precedenti. Il batterista ora il tempo sa definitivamente tenerlo, e lo fa bene. Fioretti fa il suo lavoro al basso mentre le chitarre di Petrozza e Tritze sfoderano un riff tagliente come una lama. Una lieve variazione del riffing permette a Petrozza di fare la sua entrata anche dietro il microfono per cimentarsi nella prima strofa. La voce dei Mille è rabbiosa, carica d'odio e risentimento - va detto comunque che anche vocalmente il singer è migliorato parecchio, le sue vocals risultano molto più centrate rispetto a qualche anno prima - ideale per descrivere le strofe, scritte da lui stesso. Le liriche non si discostano molto da quelle della celeberrima "Pleasure to Kill", difatti anche qui troviamo una figura assetata di sangue, ma a differenza di quanto scritto nel brano del 1986, qui al posto di un essere mostruoso c'è semplicemente un uomo spinto da pulsioni omicide, fomentate dall'uso di cocaina e anche da un altro fattore che però vedremo dopo. Difatti nel testo è chiara la frase "Pushed  up by white lines" - Spinto verso l'alto da linee bianche -. Petrozza descrive di come la brama di violenza di questo individuo cresce sempre di più, tanto che neanche lui si stesso si sarebbe immaginato di arrivare ad un punto tale da ridurlo in questo stato. Questi impulsi, questi raptus che si palesano nella mente del protagonista delle liriche, sono perfettamente percepibili grazie al cantato. Petrozza riesce a farci sentire, a farci piombare dentro la mente di uno squilibrato grazie alla sua voce indiavolata. Le chitarre ovviamente, in ciò, offrono notevole supporto, in quanto, col loro incidere saettante, fendono quanto le lame che l'uomo usa per uccidere le sue vittime. Difatti il ritornello, anticipato da un brevissimo rallentamento della sezione ritmica, ci dice quanto a questa persona piaccia veder soffrire la gente e di quanto le sue aggressioni, estreme per l'appunto, siano talmente brutali da essere fuori controllo. Musicalmente, il chorus si mantiene sempre su velocità elevatissime; giusto il riffing è un po' più lineare, ma sempre azzeccato. La seconda strofa irrompe senza pietà, i Kreator sembrano veramente inarrestabili tanta è la foga (ma anche la precisione) che immettono nella musica. Andando avanti con le liriche, ci addentriamo sempre più nella psiche del nostro terrificante protagonista. Questa è scossa da allucinazioni, le quali rendono, per l'appunto, pazzo l'uomo che, intanto, non riesce a credere a questa sua deriva mentale. Da quel che leggiamo, potremmo quasi pensare che a questo individuo non faccia affatto piacere essere un carnefice, però i suoi raptus sono talmente incontrollati che alla fine uccidere lo appaga. Infatti nel verso seguente, lui freddamente uccide compiaciuto a sua supplicante vittima. Segue il chorus, il quale sfocia poi in una sezione più rallentata che ci mostra limpidamente le modifiche che i ragazzi di Essen hanno apportato al loro sound. Mentre Ventor tiene il suo drumming impostato su un chirurgico mid-tempo, Petrozza e Tritze eseguono una serie di assoli dal sapore decisamente melodico. Va lodata soprattutto l'abilità in fase di scrittura di questo passaggio, in primis perché dona fluidità ed elasticità all'insieme, poi perché permette di spezzare un po' il ritmo mozzafiato che fino ad ora aveva fatto da padrone al brano. Successivamente ritorna in auge la violenza con Petrozza che, in un certo senso, rivela "il colpo di scena" del testo: è stato il sistema a ridurre così questo individuo, che probabilmente prima diventare un violento maniaco era ai margini di una società che l'ha sempre scartato e mai preso in considerazione. Promette che, prima di morire, si vendicherà. Dunque, anche qui possiamo notare come Petrozza a livello lirico sia notevolmente migliorato (e pensare comunque che all'epoca della pubblicazione di quest'album aveva solo 21 anni): le tematiche rimangono sempre molto aggressive, ma rispetto a prima, c'è una motivazione dietro a cotanta brutalità. Ed in più, va notato che, benché ad agire sia una persona sola, è la società intera ad essere incolpata di aver provocato tutta questa furia, quindi le accuse sono rivolte, esplicitamente, ad essa.
Le battute finali riservano un ultimo ritornello più furioso che mai, che però presenta una variazione nel testo: infatti leggiamo come le emozioni del killer sono distorte dalle bugie della società che l'ha tradito e che lui sa di aver prenotato un biglietto di sola andata per l'inferno. La canzone termina con una forte dissonanza delle chitarre, calando di fatto il sipario su questo formidabile pezzo.

No Reason to Exist

L'assalto dei tedeschi è appena iniziato eppure l'ascoltatore è già nel bel mezzo di una vera e propria aggressione (estrema per l'appunto) sonora. A gettare benzina sul fuoco ci pensa "No Reason to Exist", tradotto Nessuna ragione di esistere. Il brano, se vogliamo, è un po' più controllato del precedente, ma ugualmente letale. Delle chitarre tese ci introducono a questa seconda traccia del platter, scandita subito da un bel mid-tempo di "Ventor" e un riffing più velenoso che mai di Petrozza e "Tritze". La prima strofa si presenta dapprima piuttosto tecnica, con dei bei patterns batteristici, poi il tutto sfocia in un andamento più classico, non troppo veloce, ma comunque sostenuto. Petrozza, dietro il microfono, lo ritroviamo nuovamente arrabbiato, ed è così che ci piace. Con la sua voce acidissima, il giovane cantante tedesco ci narra di una tematica a lui molto cara: il controllo dei poteri forti sulla gente comune. Nei primi versi infatti Petrozza canta che, una volta nati, dobbiamo crescere come un qualsiasi altro bambino, non chiedendo niente di più rispetto a quello che già abbiamo e/o che otterremo in futuro. Già è stato così per milioni e milioni di bambini, ed ora noi non facciamo la differenza, dobbiamo attenerci alle regole di chi comanda. Il nostro futuro è deciso già in tenera età.

Si fa largo il pre-chorus: "Ventor" picchia ora con più veemenza le pelli mentre le chitarre si caricano di tensione attraverso riff e note stoppate. Liricamente, Petrozza continua a dirci che siamo manipolati sin da che siamo in grembo; non abbiamo alcuna possibilità di pensare con la nostra testa in quanto, contro la nostra volontà, coloro che governano tutto ci hanno condotto in trance. Costoro vogliono esattamente che noi facciamo ciò che loro, anche indirettamente o inconsciamente, ci dicono di fare. Il ritornello esplode nel suo pessimismo: la vita è controllata, non c'è alcun ragione di esistere ne modo di resistere. Eppure Petrozza, attraverso la sua voce ringhiante, dice che questa ragione deve esserci per forza. Musicalmente, il chorus vede un utilizzo più marcato della doppia cassa, con "Ventor" che si destreggia molto bene dietro le pelli; le chitarre lasciano che tutta la suspense accumulatasi pochi secondi prima sfoci in un riff fluido e tagliente. Passiamo alla seconda strofa, la quale dice che non tutto è perduto se siamo noi a fare il primo passo: passano i giorni, passano gli anni e noi sentiamo il bisogno di fuggire da questa finta realtà, dobbiamo appropriarci di quella vita che vogliamo noi e non quella decisa da altri. Ma dobbiamo trovare il coraggio di farlo, altrimenti perderemo gli anni della nostra giovinezza. Scorrono nuovamente pre-chorus e ritornello, poi la canzone subisce un bel cambio di rotta ben orchestrato dalle chitarre. I Kreator si lanciano in una sezione strumentale con protagonista una serie di assoli di chitarra, snodati su una base ritmica mai doma. Da menzionare l'ultimo assolo, una piccola perla di pura nevrosi musicale, dove fa capolino una melodia acidissima. Proseguendo, i nostri cambiano ancora le carte in tavola, sfoderando adesso un nuovo mid-tempo, molto cadenzato, sul quale si sviluppa un'altra strofa. Petrozza ci canta, su delle concise linee vocali, che l'unico modo per combattere il sistema è pensare con la propria mente. Quando si è giovani, è più facile vedere la luce e capire cosa si vuole realmente, ma bisogna essere veloci e soprattutto coraggiosi di fare a modo proprio. Questa strofa viene poi ripetuta una seconda volta, anche se al secondo round gli strumenti tornano pian pian a fare la voce grossa, specie la batteria di "Ventor" caratterizzata da un potente quanto tecnico uso di doppia cassa. Il brano si avvia verso la fine ma c'è ancora un'altra, breve, strofa: essa si compone su un andamento nuovamente variato, fatto di stop & go. Petrozza, nelle liriche, paragona il corpo umano ad uno zombie, semplicemente per il fatto che esso, in quanto tale, obbedisce a tutti gli ordini imposti. Dobbiamo evitare di essere governati, evitare che ci portino via la vita, non dobbiamo diventare degli schiavi. Il ritornello pensa a chiudere in bellezza un pezzo formidabile in fase di songwriting, il che testimonia quanto i Kreator siano migliorati sia in fase di scrittura dei brani che tecnicamente. Lode anche al testo, dal significato molto potente seppur un po' abusato da svariate band ed artisti.

Love Us or Hate Us

La terza traccia è un'altra staffilata thrash in piena regola. "Love Us or Hate Us", in italiano Amaci o odiaci, è una canzone più veloce della precedente ma non meno tecnica. Una rullata di "Ventor" apre le danze, poi le chitarre arrivano subito a stridere con un indovinatissimo riff, pronto ad esplodere da un momento all'altro. In questi primi secondi la canzone si presenta quasi "sospesa", con "Ventor" che piazza sonore rullate mentre le chitarre accompagnano la voce di Petrozza cantare quella che potremmo chiamare una "pre-strofa". Poggiandosi anche qui su linee vocali secche, il cantante vomita odio e rancore contro l'industria musicale e tutti coloro che professano cosa sia giusto o meno per la sua band. Con ferma posizione, Petrozza dice che gli ideali che lui e quelli come lui hanno, non saranno mai traditi. Successivamente, il brano si snoda in una tesissima sgroppata thrash, non velocissima, ma comunque di forte impeto. Le chitarre suonano gravi, sfoderando un riff convincente mentre "Ventor", supportato dal buono lavoro di Fioretti al basso, da ancora prova nei suoi notevoli miglioramenti dietro le pelli. Petrozza stavolta, nelle linee vocali, segue molto il mood delle chitarre, difatti ne esce un cantato, oserei dire, schematico. La prima strofa vera e propria inquadra, con sorprendente lucidità, l'immagine dell'industria musicale degli anni 80 secondo Petrozza. Industria che egli detestava. Il music business dell'epoca era, secondo l'ottica del cantante tedesco, distrutto: i produttori producevano artisti che pur di vendere tradivano i loro ideali originali, attirati solo al denaro e dalla fama. Chi invece aveva davvero qualità, era destinato a non veder mai, o quasi mai, realizzate le proprie creazioni.

Un bel bridge fa irruzione, ed ecco che la canzone muta in un preciso mid-tempo, dominato dalla ringhiante voce di Petrozza. E attraverso la sua stessa voce, l'agguerrito Mille ci dice quanto la musica "commerciale" sia senza sentimento, prodotta solo da cervelli affamati di soldi. Non è musica che proviene dall'anima ma solo da chi cerca fama, fortuna e gloria. Delle vere e proprie ossessioni. Volendo esaminare quest'ultimo punto, potremmo dire che, ad una letta superficiale di queste strofe, sembrerebbe che Petrozza sia semplicemente invidioso di tutti quegli artisti musicali che attraverso una sola manciata di canzoni ottennero un successo incredibile in tutto il mondo. Ma non è così, perché come il ragazzo stesso dice, quella è musica che non proviene dall'anima come invece lo è il metal. Petrozza sa che i Kreator non potranno mai raggiungere, dato il tipo di musica che suonano, un successo che garantirà quantità industriali di denaro e quant'altro. Ma, difatti, lui non vuole questo, vuole semplicemente suonare musica vera, che arrivi dritta alle orecchie di chi sa comprendere queste sonorità così aspre.
A seguire, un breve tratto strumentale nuovamente più tirato, dove le chitarre tornano in cattedra con un altro bel riff tagliente. Ciò funge da apripista al pre-chorus e al ritornello: il primo è strutturato su una doppia cassa fluida e minacciose note stoppate delle chitarre (da notare qui la cupa atmosfera che si crea). Liricamente, Petrozza scrive che i suoni di queste produzioni sono sterili, senza creatività, monotoni. Non c'è alcuna onesta in queste produzioni musicali. Il ritornello che è più estremizzato a livello sonoro, con le chitarre che macinano note, vede Petrozza ripetere il titolo del brano - intercalato dalla frase "No more", ossia non più -. Segue un altro pre-chorus, diverso però nelle liriche: qui si capisce meglio che l'attacco dell'autore è specialmente rivolto contro tutta la musica pop/elettronica da classifica che negli anni 80 trionfava ovunque. Suoni, plastici, meccanizzati, computerizzati, adatti solo ai "cervelli spenti". E' musica che per Petrozza non ha nulla di umano, anzi, disumanizza proprio perché prodotta attraverso strumenti digitali. Segue un nuovo ritornello, poi improvvisamente, il brano sembra riavvolgersi al proprio inizio. In realtà ci stiamo avvicinando alla conclusione e i Kreator decidono di porre fine alla canzone così come la avevano iniziata. Torna quella sorta di strofa interlocutoria, la quale dice che nessuno deve permettersi di provare a rubare i sogni che la band ha. Petrozza e tutti quelli come lui non saranno mai come l'industria musicale li vuole, poi sta a loro e alla gente decidere se amarli o odiarli, ai Kreator non interessa. Loro vanno avanti per la loro strada, non vogliono essere parte di una società malata. Successivamente parte l'ultima strofa, musicalmente uguale alla prima udita ad inizio brano: l'autore scrive che coloro che hanno una passione non la perderanno mai e che nessuno cambierà il loro modo di vivere. Petrozza è cosciente che lui la pensa diversamente dagli altri ma è convinto di aver ragione; tutti gli altri sono schiavi di questo music business e di questa società. Loro vogliono formare un mondo di monotonia, ma devono farlo senza i Kreator, in quanto questi si sentono liberi di agire con la propria testa. Successivamente cala il sipario su un altro brano decisamente riuscito sotto ogni aspetto.

Stream of Consciousness

Passiamo ad uno dei brani a detta mia più belli di questo disco, ossia "Stream of Consciousness", in italiano Flusso di coscienza. Qui si torna a pestare duro, difatti questa è senza dubbio una delle canzoni più violente dell'album. Ad aprire i giochi ci pensa un'intro in mid-tempo, condotta da chitarre per il momento controllate, quasi interlocutorie. Poi però, un repentino cambio di riff da il via ad una terrificante sfuriata thrash che rimanda ai dischi precedenti (pur mantenendosi sugli standard che abbiamo evidenziato fino ad ora). Drumming di "Ventor" velocissimo ed in doppia cassa terremotante, basso ficcante e chitarre laceranti, fanno da tappeto musicale perfetto ad una performance assolutamente folle di Petrozza dietro il microfono. Se nei brani precedenti il singer aveva dato prova di saper cantare su linee vocali più "pacate", qui è una furia inarrestabile.

Dal punto di vista lirico, Petrozza stavolta parrebbe scagliarsi contro la religione e tutti coloro che seguono ciecamente il proprio culto. La prima strofa evidenzia subito che la nostra vita è null'altro che un cerchio il quale, in maniera prevedibile, si apre e si chiude. Gli uomini si confortano in questo, perché sanno poi cosa li aspetta dopo. E' quello a cui loro ambiscono, la ricompensa della vita eterna in paradiso. A voler schernire queste credenze, Petrozza, sarcasticamente, scrive i versi "creatures comforts in this earthly plane, have become more hallowed, than wisdom today" - le creature si confortano in questo piano terrestre, sono divenute più santificate, che saggezza oggi -. Una presa in giro dunque, una provocazione verso tutti quelli che sul serio sono convinti che se nella loro vita si comporteranno bene, avranno la grazia eterna. Di colpo fa capolino il ritornello, il quale dal punto di vista musicale varia leggermente nei toni delle chitarre, che si fanno più velenose, e della voce, meno frenetica. Il testo qui dice che, nel pieno del flusso della coscienza non possiamo intravedere la verità perché troppo impegnati a recitare un ruolo in maniera impeccabile. L'autore qui, vuole chiaramente dire che la mente dei credenti è talmente offuscata dal proprio credo, che la loro vita è vissuta come una predisposizione al servilismo, in tal caso di stampo religioso. Il pezzo riprende subito la sua folle corsa, travolgendoci sotto scariche impressionanti di vera e propria cattiveria musicale. Ascoltandola, si può quasi dire che questa canzone tiene davvero in apnea l'ascoltatore per quanto è tirata, gonfia di aggressività. Le nostre menti, scrive Petrozza, sono confuse dal terrore emotivo, presumibilmente quello che induce le persone a comportarsi in un determinato modo per evitare di subire punizioni divine. La morte è vista come la fine della linea, del ciclo vitale e perciò, la "ricompensa" spetta di diritto a chi in vita ha seguito alla lettera i dogmi imposti dalla sua religione. Giunge un altro ritornello, il quale apre poi ad un cambio di tempo dove i toni per qualche attimo si rilassano un po'. Va detto che la violenza di questo brano rispecchia fedelmente l'astio che Petrozza nutriva, all'epoca per lo meno, nei confronti della religione. Ogni nota, ogni vocalizzo, paiono una coltellata verso una materia che da sempre governa la mente dell'uomo. Ad ogni modo, come detto, la canzone ora lasciato posto ad un groove molto più cadenzato e tecnico mentre le chitarre sono meno potenti, pur rimanendo molto acide. Nelle liriche Petrozza paragona la nostra epoca ad un'era glaciale, dove le emozioni delle gente sono insensibili per via dell'offuscamento della mente. Tutti gli sciocchi infatti obbediscono alle regole imposte dai dogmi, manifestando così un patetico servilismo nonché perdita dei valori. Dopo, arriva il momento dell'assolo, sempre impostato sulla stessa base ritmica. Stavolta il solo è più scarno, sempre velato di un'aspra melodia, ma più che altro riflette l'amarezza dei versi appena descritti. Ci avviamo verso la fine ed ecco che la canzone ritorna ai binari riproponendo la prima, devastante strofa. Ne segue un'ultima inedita, che liricamente assomiglia molto al ritornello: non c'è differenza tra vita e morte, è solo un cerchio che si chiude, la fine di una linea. A calare il sipario ci pensano delle energiche note stoppate delle chitarre, seguite a ruota da secchi colpi sui tamburi di "Ventor". Un vero gioiello questo pezzo, posto a conclusione del lato A.

Some Pain Will Last

Il lato B si apre nuovamente con un brano più lento, nonché il più lungo dell'intero full-lenght. "Some Pain Will Last", in italiano Un po' di dolore durerà, sono cinque minuti e mezzo di cupezza, difatti qui i Kreator compongono un pezzo dove a regnare è un'atmosfera lugubre, accresciuta da un groove volutamente blando ma allo stesso tempo di grandissimo impatto. Uno splendido quanto cupissimo riff di chitarra introduce il brano e subito un'atmosfera sinistra ci abbraccia. Inizialmente, le chitarre insistono proprio su questa melodia così tetra, mentre dei bei patterns batteristici di "Ventor" fungono da tappeto. Petrozza, stavolta, attacca a cantare in maniera meno irruenta, facendo si che anche la sua voce contribuisca a determinare l'oscura aura della canzone. I primi versi del testo rispecchiano perfettamente il clima che respiriamo durante queste battute iniziali: si parla di devastazione della natura, del mondo che viene venduto a buon mercato, di promesse fatte per la salvaguardia di quest'ultimo e poi mai mantenute e del caos che prende piede a cause delle nuove creazioni dell'uomo. Tutto questo - scrive Petrozza - sarà uno di quei dolori che dura per sempre. Successivamente le chitarre cambiano tono, divenendo più taglienti mentre la batteria rimane in mid-tempo. Da qui in poi, il brano assume le sue coordinate standard; si fa largo la seconda strofa, con un Petrozza stavolta più deciso dietro il microfono. Il cantante scrive che la vita che viviamo è solo una bugia: sin da piccoli siamo abituati a farci aggiustare le cose dalla mamma, ma quando cresciamo ci rendiamo conto che viviamo in un modo corrotto, dove regnano odio e inganno. Anche a noi spetterà il dolore, che per l'appunto, durerà per sempre. Segue il ritornello, dove il cantante, sempre sulla stessa base strumentale, ripete il titolo del pezzo. I versi delle liriche, drammatici quanto veritieri nel loro essere, sono perfettamente scanditi dagli strumenti. E' un dettaglio questo che nel pezzo in questione risalta più che nei precedenti. Difatti, le chitarre mantengono un riffing angoscioso quanto le liriche mentre il drummung di "Ventor" scandisce ogni parola che canta Petrozza, al fine che si inculchi meglio in testa. La strofa successiva identifica gli essere umani come degli eterni schiavi, indifesi e ciechi contro chi ci controlla. Non c'è nessuna resistenza, nessuna possibilità di successo. E non importa se viviamo o moriamo, coloro che ci governano, che dovrebbero provvedere al nostro bene, non si assumono mai colpe. A seguire un altro ritornello, poi il pezzo cambia nuovamente passo con "Ventor" che aumenta notevolmente i giri del suo drummuing. Le chitarre divengono più potenti e veloci e insieme ad esse arrivano nuove, pessimistiche strofe: il tempo passa molto velocemente e da che siamo bambini, ci ritroviamo improvvisamente uomini coi sogni distrutti. Dobbiamo prepararci al dolore sconosciuto, pianificato per tantissimo tempo e volto ad essere inflitto su un'intera generazione. Petrozza ci canta questi versi con maggior cattiveria, facendo percepire all'ascoltatore tutto il suo risentimento nei confronti della società. A ruota c'è l'assolo di chitarra, stavolta meno elaborato e più stridente, ma ugualmente bello.
Siamo giunti quasi alla fine e la canzone si riavvolge, proponendo un'ultima strofa uguale a quella iniziale. Dunque, torna prepotentemente quell'atmosfera cupa e drammatica, le chitarre ci abbracciano in uno scenario di desolazione e morte; Petrozza narra di oceani impoveriti, foreste distrutte, mari saccheggiati. Le nostre anime e le nostre menti sono state torturate, e questo dolore ci rimarrà per sempre. Dopo di che cala il sipario. Ennesimo brano riuscito in tutto e per tutto. Particolare per le sonorità proposte, le quali si rivelano azzeccate.

Betrayer

E' arrivato il momento di un classico della discografia dei Kreator e di tutto il thrash teutonico. "Betrayer", che in italiano significa Traditore, è un autentico cavallo di battaglia di Petrozza e soci, specie nei live. Brano duro e cattivo a differenza del precedente, dove però si possono ugualmente notare i progressi tecnici della band. Un riff al fulmicotone apre le ostilità, indirizzando la canzone, sin da subito, su sonorità decisamente violente. "Ventor" attacca con un drumming veloce mentre le chitarre già macinano note su note. La prima strofa ci presenta un Petrozza arrabbiatissimo, si percepisce chiaramente questo pezzo è dedicato a qualcuno, anche se la certezza non ce l'abbiamo. Però, talmente tanta è la foga con la quale il buon Mille canta che, è plausibile il suo risentimento nei confronti di una specifica persone che gli ha fatto un torto. Già dalle prime parole si avvertono, limpidamente, la rabbia e il rancore che il singer prova: "This is a song in which i use to describe what i feel about people like you" - Questa è una canzone in cui uso per descrivere quello che provo a proposito di persone come te -. Si evince chiaramente quindi che tali versi sono rivolti ad una persona in particolare. Gente, quella descritta da Petrozza, che non serve all'umanità. Il "traditore" - scrive Petrozza - ha usato la fiducia del cantante per soddisfare la sua lussuria. E adesso per il singer, la parola di questa persona vale meno del vomito nella polvere. Il ritornello si abbatte che furia cieca, condotto da chitarre ruggenti e dal singer che urla il titolo del brano con tutto l'odio che ha in corpo. Parte subito la seconda strofa, con l'autore che continua la sua crociata contro quest'individuo. Quest'ultimo ha contorto le cose a suo favore, per l'autore egli è il capostipite della sua categoria e non può negarlo. Improvvisamente, la strofa è inframmezzata da un nuovo ritornello, poi riprende la sua marcia. Un escamotage riuscito a questo punto del brano, in quanto dona un pizzico di flessibilità in più all'insieme e dimostra anche l'abilità di "Ventor" di variare abilmente i propri patterns batteristici. La strofa riprende poi il suo corso, con Petrozza che si chiede come lui abbia potuto essere così ingenuo a credere a tutte le frottole a lui raccontategli. Eppure, la persona imputata sembrava essere stata molto convincente con le sue parole. L'autore però adesso scrive di aver imparato la lezione, ora vede il vero volto di questo individuo.
Un break introduce una nuova sezione del pezzo: "Ventor" passa ad un mid-tempo che, supportato bene dal basso, fa da tappeto per le chitarre le quali, dapprima eseguono un bel riff, quasi d'attesa, poi si lanciano in uno degli assoli più sorprendenti dell'album. Si, perché in una canzone feroce come questa, Petrozza e soci riescono ad inserirci un solo dal sapore decisamente melodico, seppur sempre velato di un'aura minacciosa. Tecnicamente è eseguito benissimo e ben si plasma al mood generale del brano. La parte finale di questo frangente strumentale vede gli strumenti irrobustirsi di nuovo e, di fatto, anche l'assolo termina in maniera più aggressiva e stridente.
La canzone si avvia verso la fine e i Kreator ci regalano un'ultima, velenosa strofa. La velocità adesso è piuttosto contenuta ma tanto basta a Petrozza per esprimere i suoi ultimi versi di totale disprezzo. L'autore dice che questa persona, la cui mente è contorta ed ignorante, ha fatto finta di essere suo amico ma che in realtà, se potesse, venderebbe anche sua madre per meno di un centesimo. Le ultimissime frasi del testo sono accentuate da un rapidissimo aumento della velocità di tutti gli strumenti, i quali enfatizzano davvero tanto queste battute finali. L'autore scrive che la gente come il tizio descritto qui non la sopporta: persona che hanno il cervello malato secondo lui, e con le quali sembra esserci il bisogno di dover parlare un'altra lingua. Un ultimo ritornello viene eseguito in tutta la sua furia, con Petrozza che urla più forte che mai "betrayer" per l'ultima volta, poi cala il sipario. Brano formidabile, spietato dal punto di vista musicale quanto amaro da quello lirico.

Don't Trust

Arriviamo adesso alla traccia numero sette, ovvero "Don't Trust", che tradotto significa Non fidarti. Si tratta di una canzone meno tirata rispetto a "Betrayer", confermando quindi l'alternanza nell'album tra pezzi più violenti e altri più controllati. Il brano è introdotto da un bel riff di chitarra, vagamente più melodico rispetto a quanto sentito finora; a supporto il solito drumming, preciso, di "Ventor", ancora una volta in mid-tempo. Successivamente, la canzone si snoda lungo un groove molto ritmato ma non velocissimo e caratterizzato da un riffing solido ma meno aggressivo. Anche Petrozza lo troviamo, si fa per dire, col dente meno avvelenato, intento a cantarci un altro testo incentrato sul non potersi fidare di nessuno se non di se stessi. La prima strofa si sviluppa dunque su un riff acido ma contenuto, con Petrozza che ci canta di come l'unica verità che egli conosca sia la sua. Ogni giorno egli sente bugie, menzogne e lo conferma grazie all'esperienza che lui stesso ha maturato negli anni, causa confronti con persone che si sono rivelate false e ipocrite. L'inganno è sempre dietro l'angolo - scrive l'autore -, quindi bisogna far estrema attenzione in ciò a chi si sceglie di credere. Arriva il ritornello e musicalmente non ci discostiamo troppo dal tema principale. Successivamente, degli stop & go fanno da tappeto al singer, il quale canta che non si può credere a nulla e quanto sia pazzesco potersi fidare di qualcosa. Di conseguenza, lui non si fida di nessuno se non di se stesso. A ruota segue la seconda strofa. Possiamo dedurre quindi come ci troviamo dinanzi ad un pezzo molto più lineare ma ugualmente incisivo grazie ad un riffing di buona fattura e una prova sempre convincente di Petrozza dietro il microfono. I versi adesso sono rivolti più in prima persona: Petrozza, dapprima, parrebbe riferirsi a qualcuno, chiedendogli che fine abbia fatto la sua onestà, scavalcata probabilmente dall'avidità. Poi, l'autore descrive un contesto più generale dove l'uomo vive in una bugia; e se noi ci chiediamo perché egli dobbiamo vivere un futuro di insicurezze, beh, nessuno può darci risposta. A seguire un altro ritornello e poi il modico cambio di tempo che apre ad una nuova sezione del brano. Prima abbiamo un breve passaggio strumentale, condotto da un riffing stavolta più cattivo ed incisivo e sostenuto da "Ventor" che si diletta in patterns più tecnici. Subentra poi una nuova strofa, piuttosto particolare: la sezione ritmica procede in un mid-tempo molto lento mentre le chitarre tessono un riff anch'egli blando ma minaccioso. Nel mentre, la voce di Petrozza è quasi sussurrata; il singer canta che noi umani siamo come creature sintetiche, ordinate e numerate, e siamo vittime della morte di intelligenza ed emozioni, sin dal giorno che nasciamo. Questo sta quindi a significare che, nell'ottica pessimista di Petrozza, siamo controllati sempre, che la nostra vita in realtà è una grande bugia. Segue subito un'altra, breve strofa, più rabbiosa stavolta; si è persa fiducia nel futuro, si è persa la fede nelle profezie, si è persa la speranza nell'onestà e la verità, quella a cui ambiamo tutti noi, è perduta nelle false promesse del governo. Arriva l'assolo, stavolta meno incentrato sulla melodia e più sulla dissonanza. Tuttavia, anche qui troviamo un bello stacco melodico che di fatto conduce il brano alle battute finali. Irrompe un ultimo ritornello, al quale poi si riallaccia il riff principale che pone fine al pezzo. Forse siamo di fronte al brano meno entusiasmante del lotto, ma questa "Don't Trust" è comunque una canzone che sa il fatto suo.

Bringer of Torture

E' il momento di una vera rasoiata, ovvero "Bringer of Torture", in italiano Portatore di tortura. Siamo di fronte al pezzo più corto del disco, solo due minuti e quindici secondi, ma tanto basta alla band tedesca per disintegrare ogni cosa. Si torna ad un brano musicalmente più feroce e  riscopriamo liriche a sfondo religioso ma anche violento, dopo tanti testi di stampo politico e sociale. Un bel riff deciso e tagliente apre il pezzo, secche rullate di "Ventor" scaldano subito l'atmosfera ed ecco che ci ritroviamo travolti da un up tempo aggressivo ma compatto. Petrozza attacca subito dietro il microfono, stavolta con molto più foga e attraverso linee vocali più secche. Prendendo come una protagonista una dolce ragazza, il singer inizia a cantare come la sua vita, prima innocente, sia diventata adesso brutale, caratterizzata da emozioni represse. Lei urla, probabilmente al cielo, ma non ottiene alcuna risposta. La giovane in questione ha ricevuto quello che Petrozza sarcasticamente descrive "the cruelest kind of love", ovvero il più crudele tipo di amore. Segue una seconda strofa, la quale aumenta ancora di più in quanto a furia, mostrandoci un "Ventor" sugli scudi nell'uso della doppia cassa. Petrozza, ancora più arrabbiato, canta che colui che ha donato la vita alla giovane, ora gliel'ha portata via, rubandone innocenza. Lei vorrebbe essere libera, ma è incatenata dalla vergogna e non pare avere alcuna speranza per il futuro. Il ritornello ritorna sui binari leggermente più controllati della prima strofa e vede il singer urlare furiosamente il titolo del pezzo. Adesso, stando a quanto appreso fino ad ora dalle liriche, è possibile che Petrozza ci parli di una ragazza che probabilmente ha subito uno stupro e che non ha trovato alcuna difesa in Dio, il quale invece avrebbe dovuto proteggerla secondo la credenza cattolica. Quindi, se vogliamo vedere queste liriche sotto una chiave di lettura particolarmente tragica, il portatore di tortura altri non è che Dio stesso, perché non ha dato alcun segnale alla ragazza nel momento del bisogno. Ed ora lei vive un incubo. Tengo a precisare che questa è solo la mia personale interpretazione, dal momento che rispetto a quelli precedenti, qui siamo dinanzi ad un testo più criptico. Il brano cambia poi passo, regalandoci una nuova sezione in mid-tempo, ma sempre con chitarre laceranti e voce cattivissima. La nuova strofa dice che nulla potrebbe essere peggio di una vita così, tormentata dal dolore, il quale torna ogni notte. Poi però, si ritorna subito sui binari dell'alta velocità con un'ultima strofa dove sono descritte che follia e terrore regnano e questa situazione non avrà mai fine. Il portatore di tortura tornerà sempre. A concludere, una breve sgroppata e un Petrozza che urla ancora il titolo del brano. Cala il sipario.
Poco più di due minuti infuocati dove i Kreator condensano tutta la loro furia, incidendo un pezzo di pregiatissimo quanto efferato thrash metal.

Fatal Energy

Siamo giunti ormai alla fine di questo viaggio. Abbiamo avuto la possibilità di constatare quanto i Kreator siano migliorati in fase di scrittura e di tecnica. Come ultima traccia di questo "Extreme Aggression", la band piazza una vera e propria perla. "Fatal Energy", in italiano Energia fatale, è la ciliegina sulla torta, una delle canzoni migliori del disco. In quasi cinque minuti, i ragazzi di Essen riescono a riassumere tutti i miglioramenti fatti in questa release discografica. Un riff vagamente melodico ci introduce all'ascolto, supportato come sempre dal drumming in mid-tempo di "Ventor". Su questo tappeto musicale, si staglia poi un brevissimo assolo, molto dissonante e stridente. Successivamente i ragazzi ingranano la quarta e procedono attraverso un groove spedito ma al tempo stesso contenuto, una caratteristica che più volte abbiamo riscontrato lungo l'ascolto dell'album. Petrozza offre una prova vocale decisa e furente, cantandoci della paura e dell'incertezza dell'uomo nei confronti del proprio futuro sulla faccia del pianeta. Tutti ci parlano di un mondo migliore, di un mondo in sviluppo, ma per l'autore queste sono solo bugie. L'unica cosa in costante sviluppo è l'odio della gente mentre l'incertezza sul destino di tutti noi regna sovrana. Improvvisamente, i nostri aumentano i giri del motore proponendoci uno splendido pre-chorus al fulmicotone: doppia cassa martellante e riff velocissimi ci travolgono, dando la possibilità al singer di inacidire ancor di più le proprie vocals. I versi recitano grida di terrore per il futuro della terra, che noi umani crediamo nostra. Insomma, l'uomo ha paura. A seguire il ritornello, che musicalmente è impostato sulla medesima formula del pre-chorus. Petrozza scrive che, mentre l'umanità trema di fronte al futuro incombente, gli dei ci guardano da luoghi ignoti a noi comuni mortali. L'autore si chiede se essi possono gestire le forze violente dell'energia fatale. Quest'ultimo verso, piuttosto criptico, potrebbe voler significare se, secondo Petrozza, gli dei, in quanto dotati di poteri straordinari, possano contrastare la violenza che l'uomo perpetra, intesa appunto come energia fatale. Segue rapidamente la seconda strofa e con essa il brano torna su lidi meno violenti. L'autore scrive che la nostra mente è pervasa dalla furia omicida e dall'avidità. Petrozza prega, metaforicamente parlando, affinché la terra dei figli non nati, i cui pianti e richiami si possono udire in lontananza, sia distrutta. E' nuovamente il turno del pre-chorus è la furia dei quattro tedeschi ci investe senza troppi complimenti. Stavolta però il testo è leggermente modificato, in quanto è protagoniste sono ora le urla per la disperazione, la fame, il dolore e la miseria. Non solo, la gente urla anche per cercare qualcuno da incolpare. Una volta passato anche il ritornello, ecco che irrompe un bel bridge, caratterizzato da chitarre che sfoderano un riff granitico, accompagnato dai potentissimi quanto secchi colpi di "Ventor" sulle pelli. Un assolo piuttosto dissonante fa la sua comparsa mentre la sezione ritmica ha ricominciato a pestare veloce, ma è solo il preludio al momento migliore del canzone: il drumming di "Ventor" passa di nuovo in mid-tempo, fungendo da base ideale ad una splendida armonizzazione delle due chitarre. Tritze e Petrozza tirano fuori una melodia dal sapore epico, tant'è che ricorda quasi qualcosa degli Iron Maiden. Uno dei momenti più alti di tutto l'album. Successivamente, un nuovo bridge, che si riallaccia al tema iniziale, ci conduce verso la conclusione del brano e del disco. Ma c'è ancora un'ultima strofa ad attenderci. Questa recita che il nostro destino è semplice da controllare. Nell'ottica dell'autore, il destino è la stessa bomba che farà esplodere il mondo. Persino i bambini non sfuggiranno. Quest'ultima frase può essere vista anche come una metafora, ossia che anche i bimbi saranno vittime del controllo mentale da parte dei poteri forti. Il pre-chorus stavolta è fatto di lacrime... lacrime di confusione e di disperazione per la morte di giovani vite. Il ritornello finale disintegra ogni cosa rimasta, dicendo che la razza umana è stata distrutta dall'energia fatale. Fine dei giochi, fine dell'album. Canzone eccezionale, perfetta per concludere un disco così potente e che rispecchia al meglio il concetto di thrash metal in generale.

Conclusioni

A conti fatti, "Extreme Aggression" è un disco che inquadra in maniera pulita e definita il concetto di thrash europeo, pur riconoscendone gli influssi di quello americano. Diciamo che, con questo lavoro, i Kreator sono riusciti a trovare l'ago della bilancia: non trascurano l'ultra-violenza che aveva caratterizzato la loro musica fino ad allora, ma la incanalano attraverso soluzioni più ricercate. L'influenza della scena thrash americana è palese, ma rielaborata secondo il loro stile. Questo disco suona teutonico a tutti gli effetti, sin dalla produzione: chitarre sempre acide e taglienti, batteria secca, melodie messe in risalto quando serve ma sempre pungenti e voce molto naturale. Va detto poi che qui troviamo un Petrozza veramente in stato di grazia a livello compositivo. Nell'89, ricordiamo, il leader dei Kreator aveva solo 21 anni (classe '67, ma nato a dicembre), eppure è strano pensare che appena 2-3 anni prima aveva una capacità di songwriting molto meno fine. La tracklist vede un alternarsi pressoché perfetto tra brani tirati e pezzi più "moderati", al fine di dare la possibilità all'ascoltatore di comprendere al massimo i progressi fatti dalla band. E ancora, spesso sono le canzoni stesse a presentare parti dove si alternano momenti più cattivi ad altri più ragionati. Ciò è riuscito, anche grazie anche ad un'alchimia tra i membri davvero notevole. Durante l'ascolto, si sente benissimo che i ragazzi di Essen sono convinti di ciò che stanno facendo. I passaggi più contenuti, i testi maturi, le melodie, tutti elementi che la band non ha per niente paura di immettere nella propria proposta musicale. E infatti il caso ha voluto dar loro ragione. Ovviamente i Kreator non sono certo la prima thrash metal band degli anni 80 che dopo una manciata di dischi ferocissimi decide di perfezionare la propria musica. Però ecco, la posizione geografica in questo caso conta di più. Si perché il thrash tedesco, come risaputo, è molto più irruento, primitivo e cupo rispetto a quello statunitense e dischi come "Persecution Mania" dei Sodom, "Eternal Devastation" dei Destruction o "Pleasure to Kill" degli stessi Kreator sono esempi lampanti. E se le prime due band citate, anche nei lavori successivi (parlo sempre del periodo ottantiano) sono rimaste più o meno sulle stesse coordinate, pur perfezionando anch'esse qualcosa, i Kreator compiono una svolta molto più significativa. La presenza consistente di questi soli melodici, di certi riff tutto sommato non così efferati e quant'altro, fu una vera novità nel panorama thrash europeo di allora. Nessuno aveva osato così tanto. Poi, l'altra trovata commerciale vincente fu il video di "Betrayer". A dire il vero, già per "Toxic Trace", contenuta nel precedente "Terrible Certainty" fu realizzato un videoclip. Ma quello di "Betrayer" è nettamente migliore, curato meglio e soprattutto ebbe molta più diffusione. Infatti si può dire che ciò contribuì fortemente a dare un rilievo internazionale veramente importante ai tedeschi. La band ebbe la possibilità di uscire, almeno parzialmente, da quell'underground che li aveva visti diventare re assoluti. Si possono notare analogie con quanto successe ai Metallica col video di "One"; non a caso quel videoclip fu fondamentale per Hetfield e soci al fine di avere una rilevanza a livello mondiale. Ovviamente le cose per i Kreator erano diverse, ma non si può negare che il video di "Betrayer" fu davvero essenziale. A livello lirico, Petrozza fa miglioramenti spaventosi. Leggendo i testi, scritti unicamente da Mille, si può facilmente percepire come questo ragazzo, al tempo, ce l'avesse davvero col mondo intero. Liriche cariche di odio e di pessimismo per il futuro dell'umanità. Per Petrozza essere un ribelle significava veramente qualcosa, lui andava contro tutti gli ordini imposti dalla società, voleva pensare con la sua di testa. Ed esprimere queste idee attraverso la musica più genuina del mondo, gli fa sicuramente onore. Non vige più quella violenza tipica giovanile ispirata all'horror, all'occulto e al cinema, no, ora lo spazio è dedicato a delle tematiche sociali molto sentite.
Sulla prova dei singoli, possiamo sicuramente dire che lo stesso Petrozza è migliorato tantissimo anche come chitarrista. Il giovane tira fuori dei riff veramente indovinati e ficcanti. Anche vocalmente offre una prova convincente sotto tutti gli aspetti. La sua voce acidissima e rabbiosa è difficile da dimenticare. Tritze è un'ottima seconda chitarra ed assoluto protagonista negli assoli. La riuscita di melodie così azzeccate è anche merito suo. Roberto Fioretti fa il suo onesto lavoro. Si, il basso non è messo molto in risalto, ma contiene bene l'irruenza delle chitarre. "Ventor" è l'altro fattore stra-positivo. Ora è un batterista più completo, abile nel passare da up-tempo a mid-tempo in pochi istanti. Quando c'è da correre, picchia come un fabbro, ma ora possiede un bagaglio tecnico molto più ampio che gli permette di mettere in atto soluzioni davvero interessanti.
Per concludere, "Extreme Aggression" è un classico sia della discografia dei Kreator che di tutto il thrash di fine anni 80. Per molti fan è il miglior disco in assoluto della band di Essen (per me no) e, difatti, non a caso, merita una posizione di rilievo nel vastissimo panorama metal universale, viste soprattutto le novità che ha apportato.

1) Extreme Aggression
2) No Reason to Exist
3) Love Us or Hate Us
4) Stream of Consciousness
5) Some Pain Will Last
6) Betrayer
7) Don't Trust
8) Bringer of Torture
9) Fatal Energy
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