KREATOR
Endless Pain
1985 - Noise Records
FRANCESCO NAPPI
24/08/2020
Introduzione Recensione
Sfarzosi, luccicanti, sognanti ed anche un po' tamarri, gli anni 80 hanno rappresentato senza dubbio un'epoca importante per la musica. I mitici eighties sono stati il palcoscenico di moltissimi gruppi e artisti che sono nati e morti nell'arco del decennio, ma che, a livello commerciale, hanno realizzato dischi che hanno venduto milioni su milioni di copie. Basti pensare al pop da classifica di formazioni come Duran Duran, all'elettronica di complessi quali Depeche Mode e Orchestral Manoeuvres in the Dark, a Michael Jackson con la sua black music e infine al rock da stadio di band come Bon Jovi e Europe. E come si adattarono ai cambiamenti gli artisti del decennio precedente? Volendo restringere il nostro campo di discussione alla sola musica rock, si può dire che molte delle formazioni che negli anni 70 avevano segnato la storia di generi come il rock progressivo o l'hard rock, decisero di scendere a compromessi, modificando sensibilmente il proprio stile. Molte prog band ad esempio, abbandonarono le sonorità raffinate e complesse degli storici dischi per virare verso lidi musicali totalmente diversi. E furono proprio questi ultimi a garantire a tali gruppi un enorme successo commerciale, incontrando però, la delusione, sacrosanta, dei fan della prima ora. Negli anni 80 predominavano i sintetizzatori, l'imperativo delle grandi case discografiche era quello di produrre musica che piacesse alla massa. Quindi, tanti gruppi come ad esempio Genesis, The Moody Blues, Jethro Tull, Queen o David Bowie, abbracciarono sonorità orecchiabili e non di rado danzerecce. Altri gruppi, specie quelli del versante hard rock, negli anni 80, si sciolsero o comunque calarono sensibilmente di popolarità. Si pensi ad esempio ai Led Zeppelin, che proprio nel 1980 si separarono, o anche a Rainbow, Uriah Heep e Black Sabbath che man mano, caddero sempre più nel dimenticatoio, pur continuando la loro attività. Però, al contempo, e in un certo senso anche un po' paradossalmente, c'era l'ancora giovane heavy metal, che negli eighties era definitivamente esploso, a dare linfa alla scena del rock duro. La bandiera era tenuta in alto da artisti quali Iron Maiden, Judas Priest, Ozzy Osbourne, il quale aveva intrapreso la fortunata carriera solista che tutti conosciamo, e altre band che col tempo divennero quantomeno iconiche. Tutto ciò fece si che l'heavy metal alla fine, seppur seguito da un numero ristretto di persone, ma sempre considerevole, visse il proprio periodo di maggior fertilità proprio negli anni 80. Ogni giorno nascevano nuove band, pronte a buttarsi nella mischia e sfornare il proprio album veloce e ruggente. Tanta era la voglia e tanti erano i luoghi dove i gruppi operavano: Europa, America, Australia, tutti terreni dove giovani musicisti arrabbiati e ribelli si cimentarono con le loro chitarre a sfornare riff laceranti e velenosi. Nella vastissima scena che dunque, all'epoca, era andata a formarsi, ci fu un sottogenere del metal, uno dei più floridi, che segnò una rottura con tutto quello che era stato prodotto prima: il thrash. Essenzialmente, questo nuovo tipo di sonorità, consisteva in una fusione tra l'heavy britannico di Judas Priest e Iron Maiden e l'hardcore punk americano. Da ciò, quindi, ne nasce una musica decisamente più aggressiva, sia nell'aspetto sonoro che in quello lirico. I nonni del thrash sono stati senza dubbio gli inglesi Motorhead, che con il loro hard & heavy veloce e assordante, hanno dato man forte alla nascita di tantissime band. Ed è sempre in Inghilterra che, a detta di chi scrive, il thrash vede la luce, o meglio, le tenebre, in quanto viene pubblicato, alla fine del 1981, il rude e selvaggio "Welcome to Hell" dei Venom. Musica mai sentita prima, cattivissima, veloce e rozza. Un anno dopo, gli stessi Venom pubblicano il loro secondo capitolo discografico, "Black Metal", disco che oltre al thrash, seminerà il campo per generi estremi futuri quali il death e il black metal. Nel frattempo, negli USA la rivoluzione è in atto. Spinti dalle opere di Motorhead e Venom, decine di band decidono di voler suonare veloce e ad alto volume, senza alcun compromesso. Non sono artisti interessati al guadagno, almeno non è tra le loro necessità primarie. No, il loro obiettivo è quello di diffondere il verbo dell'heavy metal tramite un modo più diretto e conciso. E così, ecco uscire a ruota libera "Kill 'Em All" dei Metallica, che per molti rappresenta il primo vero disco thrash della storia, "Show No Mercy" degli Slayer, "Fistful of Metal" degli Anthrax e così via. Di lì in poi, per tutta la prima parte degli anni 80, l'America fu la patria assoluta del thrash, con dischi che uscivano ogni mese e che puntualmente entravano nel duro cuore dei metallari. E l'Europa? Stava a guardare? No, affatto. Nel vecchio continente, una nuova legione di metallers stava prendendo in mano chitarre, bassi e batterie per mettere a ferro e fuoco tutto quanto. Ci fu una nazione in particolare che si rivelò terreno florido per il prosperare del thrash metal: la Germania. Il thrash tedesco si differenziò subito da quello americano per un'attitudine decisamente più violenta, sguaiata, estrema. Non a caso, molti dischi provenienti dalla terra teutonica, saranno fonte di ispirazione per molti gruppi death e black metal venuti negli anni seguenti. Tra i tanti complessi che fiorirono nell'allora ancora divisa Germania, ce ne furono quattro che si elevarono: Tankard, Destruction, Sodom e Kreator. Tutte band che nacquero al di fuori di Berlino e zone limitrofe, dove la vita, dopo le vicende politiche succedutesi nei decenni precedenti, sembrava essere tornata alla normalità, malgrado la presenza di un muro a dividere in due fazioni lo stato teutonico. Dei gruppi sopracitati, quelli più importanti furono e sono tutt'oggi, Sodom e Kreator, band che videro la luce in ambienti industriali, in particolare nella regione della Ruhr, dove le attività principali erano l'estrazione del carbone e del ferro. Quindi, si parla di un luogo che, all'epoca, era permeato da un'aria pesante e dove la vita non era certo una passeggiata. Di conseguenza, la voglia dei giovani di vomitare tutto il loro odio e la loro rabbia nei confronti di una realtà caratterizzata da inquinamento e scarso benessere, era tanta. La nostra analisi ora, va a fossilizzarsi sul gruppo di punta del thrash teutonico, ossia i Kreator, i quali si formarono nella scura città di Essen, nel 1984 (era già attivi da almeno due anni ma sotto un altro nome). Un gruppo che in 35 anni di carriera ha scritto alcune delle pagine più importanti di tutto il thrash metal ed in generale del metal estremo. Inizialmente, la formazione dei tedeschi, come quella di molti altri gruppi del thrash teutonico, era a tre elementi e comprendeva: Miland "Mille" Petrozza alla voce e alla chitarra, Rob Fioretti al basso e Jurgen Reil, detto "Ventor", alla batteria e alla voce. Ebbene si, nei primi due album il ruolo di cantante se lo sono alternato "Mille" e "Ventor", poi dal terzo disco in poi, tale veste è stata ricoperta esclusivamente dal primo. La band ha esordito sul mercato nel 1985 con il grezzissimo e scarno Endless Pain, in italiano Dolore senza fine, disco che si rivelò seminale nell'evoluzione del black metal. L'esordio in studio della formazione tedesca non spiccava certo per tecnica e virtuosismo, anzi. Tutte le canzoni sono guidate da riff di chitarra affilati come rasoi, la voce si alterna tra quella cavernosa di "Ventor" e quella in scream di Petrozza, gli arrangiamenti sono piuttosto elementari, l'inesperienza è tanta e la produzione è ovviamente deficitaria sotto tutti gli aspetti. Nulla a che vedere dunque col thrash americano, il quale malgrado si presentasse durissimo e veloce, presentava comunque non poche aperture melodiche e una tecnica di primo livello. Però, quello che si avverte ascoltando "Endless Pain", è il disprezzo più totale di questi ragazzi nei confronti di una società avida e guidata dai potenti, pronti a calpestare chiunque si metta sul loro cammino. Non a caso, alcuni testi, presentano già quel marchio di fabbrica lirico che sarebbe poi diventato il flusso centrale della penna di Mille Petrozza, ossia il veleno e l'odio nei confronti dei politici e dei poteri forti, accusati di guidare e manovrare il mondo a proprio piacimento. Non mancano ovviamente i tipici testi giovanili pseudo-satanici, anche se, a differenza di una band come i Destruction ad esempio, i Kreator non hanno mai fatto di tale tematica un argomento centrale dei loro testi, anzi, tutt'altro. Ereditariamente, "Endless Pain" è un album che prende ovviamente spunto dai Venom, dai Motorhead e dagli Slayer, ma aggiunge quella vena rozza che lo rende ben inquadrabile nel vasto calderone thrash ottantiano. Alla sua uscita, il disco ribaltò tutto l'ambiente underground per la sua innovata violenza. Fatto questo largo ma necessario preambolo, andiamo ora a guardare nel dettaglio le dieci, incendiarie tracce, di questo "Endless Pain". Buona lettura!
Endless Pain
La prima rasoiata è dunque la title-track, Endless Pain, la quale mette subito le carte in regola facendo capire all'ascoltatore di che pasta è fatto l'album. Un riff di chitarra che più thrash non si può inaugura il pezzo, poi uno sguaiato urlo di "Ventor", al quale tocca per primo dare la propria voce a questa traccia, da il via ad un devastante up-tempo. Ci si accorge immediatamente che i nostri non sono degli assi ai loro strumenti e che la produzione lascia parecchio a desiderare ma poco importa, la canzone si snoda subito su ritmiche veloci e un cantato molto aggressivo, tipicamente giovanile. La chitarra di Mille Petrozza fa l'essenziale e da al pezzo un'impronta sanguinolenta, rendendo bene l'idea del titolo. Giunge il pre-chorus: Mille modifica, in maniera quasi impercettibile, il riff portante della sua chitarra, dando la possibilità a "Ventor" di cambiare, quel tanto che basta, le proprie linee vocali, le quali si fanno leggermente più quadrate. A proposito della voce del cantante/batterista, questa si presta bene alla musica proposta dal gruppo, è tagliente e decisa, malgrado si senta che il buon "Ventor" non fosse un esperto, per lo meno all'epoca, della pronuncia inglese. Arriva il ritornello che si mantiene bene o male sulle stesse coordinate, quindi sezione ritmica muscolosa e serrata e voce impostata sempre su linee fulminee e repentine. Giunge un passaggio strumentale, dove il gruppo ci fa assaporare tutta la sua aggressività tramite il lacerante e secco riff di chitarra di Petrozza e la sezione ritmica infernale. Interessante in tale frangente un breve momento dove la chitarra e la batteria, supportata dal basso, si cimentano in un elementare gioco di note stoppate, donando in tal modo un minimo di versatilità al pezzo. Poi, tramite delle picchiettate sui ride, "Ventor" fa ripartire la canzone a mille allora, ed ecco dunque la seconda strofa, uguale alla prima se non fosse per il batterista che si cimenta in un maggior uso dei piatti, pur andando ad alte velocità. Seguono i consueti pre-chorus e ritornello, i quali ci costringono all'headbanging più furioso e spezzacollo. Sarà pure che questi ragazzi non saranno dotatissimi tecnicamente e che la struttura dei brani e gli arrangiamenti sono abbastanza lineari, ma questa prima traccia, presa nella sua sostanza, ha un tiro davvero micidiale. A seguire, deflagra, in maniera vera e propria, l'assolo, oserei dire contundente, di Petrozza: nessuna traccia di melodia, si sente tantissimo l'influenza di chitarristi quali Jeff Hanneman e Kerry King, di conseguenza si ha un solo stridente, quasi caotico. Il brano a tal punto si avvia verso i binari della conclusione e, lo fa prima attraverso una nuova cavalcata poggiata sempre sullo stesso riff di chitarra, poi, improvvisamente, il tutto rallenta per dar vita ad un ultimo passaggio eseguito nuovamente su note e patterns stoppati, con Petrozza che ora tira fuori un riff malvagio e minaccioso. Sul finire, una diabolica risata di "Ventor" chiude questo primo terremotante pezzo. Insomma, i Kreator ci sbattono in faccia il loro thrash metal iperviolento e lo fanno senza fronzoli, gettando fuori tutta l'aggressività possibile. Le liriche sono piuttosto infantili e parrebbero trattare di un individuo affetto da pulsioni omicide che non riesce a trattenere. Ogni giorno questo soggetto è colto da un'irrefrenabile aggressività, vorrebbe uccidere i suoi nemici, nel suo cuore abita solo l'odio. Quando tale personaggio aggredisce le sue vittime, lo fa di notte, cogliendole da sole, terrorizzandole talmente tanto da far si che le loro ossa si congelino. I versi del pre-chorus sono molto più inquietanti, in quanto ci fanno capire che questo individuo sente le voci infernali dentro di se, come se fosse posseduto da un demone. Di conseguenza, egli da la morte, fa esplodere le teste delle sue vittime e in seguito spargerà il calore infernale. A questo punto arriva il dolore senza fine, quello delle vittime del carnefice, intrappolate in una catena di metallo, probabilmente prossime alla morte. La seconda strofa, presenta un verso abbastanza significativo, ossia: - Il potere della morte distruggerà l'umanità -. Questo fa presupporre, a detta di chi scrive, che la mente del soggetto sia probabilmente controllata da un'entità sovrannaturale malvagia, solo essa può pronunciare una frase del genere. Per il resto, il nostro amico quasi invita a morire velocemente, in modo che le sue vittime non sentano molto dolore. Seguono un altro pre-chorus e un altro ritornello, dopodiché il testo termina. Truce, oscuro e tipicamente giovanile. Nulla di nuovo, ma senz'altro divertente.
Total Death
La seconda traccia è una delle più famose di questo disco, Total Death, in italiano Morte Totale, proposta spesso anche in sede live. Un riff scarno e tagliente apre il brano, poi un raggelante urlo di Mille Petrozza da il via ad una corsa infernale di tre minuti e mezzo. La prima strofa giunge subito e ci accorgiamo che, con Mille in veste di singer, il pezzo ha un sound decisamente più pieno e corposo, associato anche ad un innalzamento sensibile della violenza sonora. La voce del cantante è uno scream a tutti gli effetti, furioso e selvaggio; la sezione ritmica è terremotante, seppur sempre imprecisa, e il riff di chitarra è esplosivo e richiamante tantissimo lo stile dei Venom. Arriva il ritornello, caratterizzato da linee vocali leggermente più orecchiabili, poi, successivamente, Petrozza canta con foga il titolo della canzone, sempre sulla stessa, fulminea base strumentale. Le liriche affrontano il tema della guerra nucleare, che negli anni 80 ancora aleggiava. Petrozza ci dice che la pace, riferendosi a quella che negli eighties caratterizzava, apparentemente, l'Europa, non può reggere e che i governatori della terra possono agire come e quando vogliono, non preoccupandosi di niente e di nessuno. Basta premere un interruttore e la morte sarà inviata a tutta l'umanità, la quale sarà polverizzata dalla potenza delle bombe nucleari. Mille descrive i politici come "warpigs", "maiali della guerra", e ci dice, una volta che questi avranno preso la decisione di porre fine a tutto, che nessuno potrà scappare, tutti bruceranno, si avrà una morte totale. Parte la seconda strofa, introdotta dal riff udito ad inizio brano, poi i Kreator ritornano a martellare con tutta la violenza possibile. Si può notare come i musicisti tedeschi non spicchino certo per doti tecniche, ma va detto che questo è un brano davvero devastante, figlio di quell'irruenza giovanile tipicamente ottantiana. Le liriche continuano senza pietà, dicendo che nessuno sfuggirà alle fiamme, che la pelle si deteriorerà e che ben cinque megatoni giaceranno su ogni anima sulla quale essi cadranno. Il tutto, ci viene presentato come una sorta di "soluzione finale" da parte dei potenti della terra. Abbiamo poi un nuovo ritornello, il quale apre ad una sezione strumentale, più cauta nell'andamento ma sempre possente, guidata dalla chitarra di Petrozza, abrasiva come al solito. Poi, si ode nuovamente il riff di inizio canzone, il quale sfocia nell'assolo dello stesso Mille, acidissimo, quasi atonale ma piuttosto lungo, quindi concepito su un minimo di struttura. Il tutto eseguito su una base strumentale che è tornata a galoppare. Inizia la terza strofa e con essa ci avviciniamo al finale di questa scheggia di metallo furibondo. Mille, nel testo, consiglia di distruggere le armi nucleari, è l'unica soluzione per sfuggire ad uno sterminio di massa. Se ciò non sarà fatto, la morte arriverà e non ci sarà nessuno dio a salvare l'umanità. Gli ultimi secondi procedono a tutta birra con Petrozza che ripete il titolo del brano, poi cala il sipario. Un grande pezzo, riuscito nella sua imperfezione.
Storm of the Beast
Tocca ora ad uno dei pezzi forse meno ricordati del disco, ma ugualmente valido. Stiamo parlando di Storm of the Beast, che in italiano significa Assalto della bestia. Dietro il microfono torna "Ventor" e liricamente, torniamo a tematiche più banali e giovanili. E partiamo proprio dal testo. Questo parla di una demoniaca bestia, probabilmente Satana stesso, che lascia la sua casa insanguinata, ossia l'inferno, per andare in giro sulla terra a uccidere la gente. La bestia percepisce l'odore del sangue nell'aria e sarà questione di pochi attimi prima che sferri il suo attacco mortale. La pietà non è contemplata nel comportamento dell'essere, l'unico obiettivo è quello di annientare quante più vite umane possibili. I Kreator consigliano, a coloro che si ritrovano nei paraggi dove la bestia agisce, di chiudere per bene le porte delle loro case e non uscire, perché la bestia rende la morte un gioco, fa scoppiare le teste, distrugge tutto e si sente sempre invincibile. Insomma, testo sicuramente non molto ricercato e legato ai tipici standard dell'epoca. Nulla di nuovo quindi. Dal punto di vista musicale invece, ci troviamo di fronte al brano più lungo del disco, cinque i minuti di durata. La canzone è introdotta dalla batteria che, da sola, si cimenta in un ritmo non troppo veloce. Da notare l'utilizzo molto marcato del doppio pedale, fatto risaltare qui in fase di registrazione. Poi, entra in scena Petrozza che, supportato da Fioretti al basso, esegue una serie di plettrate sulla sua chitarra, creando un'aria cupa e minacciosa. Poi, il riff di chitarra si fa più insistente e pieno, diventando parte centrale dell'esecuzione. Dopo che la canzone pare abbia assunto una sua forma su questo andamento non troppo rapido e apparentemente più ragionato, ecco il cambio di carte in tavola: un riff di chitarra, scarnissimo e malvagio, irrompe, dando il via ad un'altra cavalcata a mille allora, con la sezione ritmica che dunque torna a galoppare in maniera inarrestabile. Ha inizio la prima strofa, basata sulle linee vocali fulminee di "Ventor". A dire il vero, sono proprio le vocals il punto debole del pezzo, in quanto eccessivamente grezze ed oltretutto, è facilmente osservabile chd la pronuncia inglese del giovane batterista sia deficitaria, difatti alcune parole si capiscono a malapena. Ma d'altronde tutto questo, al tempo, faceva parte del gioco. Poi, giungono due versi cantati solo sul riff di Petrozza, successivamente tutto l'insieme riparte nuovamente su un andamento più lento, guidato da una chitarra più quadrata. Arriva quindi il ritornello, il quale vede "Ventor" cantare unicamente il titolo del brano con fare minaccioso. Segue un interessante passaggio strumentale, suonato sempre in maniera non troppo veloce, dove Mille, anche per dare colore al tutto, si cimenta in un riff dotato di una certa sinuosità. Poi però, sempre in modo repentino, il brano torna a farsi estremamente aggressivo: "Ventor" riparte a manetta con la doppia cassa mentre Mille prima tira fuori un nuovo riff che è thrash al 100% e poi in un assolo, un pelo più tecnico di quelli degli altri brani, ma comunque sempre votato sull'atonalità. Dopo tutta questa parte strumentale onesta per quanto elementare, il brano riprende il tema centrale, presentandoci la seconda strofa, seguita dal più "tranquillo" ritornello. La canzone a questo punto si incanala verso la conclusione e, gli ultimi momenti, sono caratterizzati dagli stessi riff di chitarra e batteria uditi in partenza. Un'ultima plettrata di Petrozza chiude il cerchio. I Kreator qui, visto che si sono trovati alle prese con un brano un po' più lungo, hanno cercato di rendere questo più versatile. L'esperimento, nei suoi limiti, può considerarsi riuscito, alcune soluzioni infatti sono funzionali. Rivedibile invece la parte del cantato.
Tormentor
Il brano numero quattro è un altro appuntamento col demonio e risponde al pluriabusato titolo di Tormentor, ossia Tormentatore. Un riff luciferino di Petrozza, che qui ritroviamo anche in veste di cantante, apre la canzone, supportato da alcuni colpi secchi di "Ventor" sulle pelli. Dopo pochi secondi, il brano diventa un classico up-tempo thrash/black, con lo scream terrificante di Mille ad accoglierci. La prima strofa procede impetuosa, guidata da un drumming stavolta più pulito e dalla voce del cantante che stavolta vomita blasfemie e inneggi al diavolo. Difatti, le liriche parlano, appunto, di questo tormentatore, probabilmente un demone o una creatura infernale che arriva cavalcando attraverso l'oscurità, tormentando il cielo e spargendo, nel nome di Satana, paura, caos e morte. L'essere lancia un incantesimo che elimina gli angeli del paradiso e proclama la caduta di Dio. Arriva il ritornello dove l'unica modifica sul piano musicale, la si ha nel riff di chitarra, il quale si fa più quadrato. Per il resto tutto resta uguale e Petrozza non fa altro che ripetere il titolo della canzone con fare malefico e invocativo. Parte la seconda strofa, incentrata nuovamente sul riff di chitarra portante sfoderato da Mille. Le liriche si fanno ancora più estreme, difatti ora viene tirato in ballo anche Bafometto, il quale, attraverso la sua vocazione, fa si che la morte diventi reale. Cani infernali e demoni sono in attesa di uccidere mentre aleggiano pentagrammi splendenti (le stelle a cinque punte) e i sorrisi di Lucifero. A tal punto, in questa orgia di male più totale, si ha il sacrificio di una vergine, alla quale viene ordinato di strapparle gli occhi e berne il sangue. Ora lei è morta e la sua carne marcita. Dopo un altro ritornello, la canzone prende un attimo di respiro, lasciando il solo Mille a condurre il tutto con il solito riff. "Ventor", nel frattempo, si limita a dare solo dei colpi secchi sui tamburi. Questione davvero di pochi attimi che si riparte a tutto gas, ed ecco che Petrozza ci regala un assolo dei suoi. Totalmente atonale, breve e votato esclusivamente alla velocità. Il brano si avvia sui binari della conclusione e lo fa ancora una volta procedendo veloce e spedito. C'è tempo per un ultimo ritornello, poi, dopo una brevissima serie di accelerazioni e decelerazioni tra chitarra e sezione ritmica, la canzone termina. Ad oggi, "Tormentor", è ancora proposta in sede live dai Kreator, malgrado la sua rozzezza. Ma è proprio quest'ultima a renderla una vera canzone da concerto, dove nessuno ha il diritto di essere risparmiato. Tre minuti di assoluta devastazione metallica
Son of Evil
La quinta traccia del platter vede di nuovo "Ventor" dietro al microfono e tratta ancora tematiche pseudo-sataniche. D'altronde, un titolo come Son of Evil, in italiano Figlio del male, dice tutto. Un riff di chitarra violento e ruvido apre il brano, poi, parte il consueto up-tempo dettato dalla doppia cassa di "Ventor". La canzone si snoda subito sulle coordinate tipiche dei brani precedenti, ossia un thrash metal estremamente feroce e travolgente. Questa canzone poi, dispone di un riffing chitarristico veramente esplosivo. La prima strofa vede il batterista "Ventor" cantare su linee vocali piuttosto dozzinali ma sicuramente di impatto. Le vocals del cantante ci arrivano sparate in faccia come un treno in corsa, mentre la chitarra di Petrozza è più tagliente e veloce che mai. Arrivati a questo punto, il brano subisce un'evoluzione interessante: la sezione ritmica si interrompe mentre Petrozza cambia registro, suonando, ora, un riff molto più lento e velato da una sottile melodia. Tornano a farsi sentire Fioretti e "Ventor", con quest'ultimo che esegue dei fraseggi al suo strumento, accompagnando in tal modo Petrozza che nel frattempo si diletta in dei miniassoli distortissimi alla sua chitarra. Segue un buon breakdown, caratterizzato da una chitarra minacciosa e dalla voce cavernosa di "Ventor" dietro il microfono. Un bella trovata che da versatilità all'insieme. I Kreator ripartono poi con la seconda strofa, velocissima e aggressiva, anche se stavolta il riff è leggermente diverso, più pieno, e le linee vocali sono ancora più serrate. Arriva subito la terza strofa, la quale fa tornare la canzone sui suoi binari originari, poi, dopo un breve passaggio strumentale dominato dal riff di chitarra centrale, ecco giungere l'assolo di Petrozza. Stavolta, bisogna dire che, malgrado il chitarrista/cantante si diletti in un ennesimo solo votato all'atonalità, si percepisce un minimo di armonia in più. Si tratta anche di un assolo piuttosto lungo, che si snoda su una base solida. La canzone si avvia verso la fine, ed ecco che la quarta ed ultima strofa ci accoglie. Nulla di nuovo da segnalare, se non che, come si può notare, il brano in questione non dispone di un ritornello vero e proprio, a differenza dei pezzi precedenti, e il titolo della canzone viene urlato da "Ventor" solo in due occasioni. Una di queste è proprio alla fine di quest'ultima strofa. I secondi finali sono affidati ad un'ultima galoppata di tutti gli strumenti, poi uno stop and go di pochi secondi chiude definitivamente i giochi. Una delle canzoni più interessanti del disco, specialmente per via della sua maggior varietà del songwriting. Le liriche, come detto, sono ancora incentrate su tematiche riguardanti il satanismo, trattato sempre in maniera molto dozzinale. Viene narrato, appunto, di questa figura malvagia che, mascherata, cavalca tutta la notte; è in corso una guerra lampo, probabilmente tra le forze del bene e quelle del male, con queste ultime in vantaggio, torturanti con lame splendenti. La figura protagonista ha sogni di dolore nei suoi occhi e la sua pelle sanguinante sarà strumento di morte. Ora, viene proclamato il mantra di questo essere così diabolico, ossia rifiutare il padre e la madre, bruciare la sorella e avvelenare il fratello, l'unico suo obiettivo è quello di prendere la vita altrui con strumenti di morte. L'individuo è nato nella stanza dell'odio, la tortura è nei suoi occhi, la sua anima corrisponde a quella di una bestia, persone e sacerdoti periscono sotto i suoi colpi, egli altri non è che il figlio del male, il figlio del diavolo. Questi è sovrano del buio e tutto il suo regno è costituito da commando di demoni e mostri Kreator. Qui la band autocita il proprio monicker, in quanto il Kreator, nella mitologia tedesca, è appunto un demone. L'ultimo verso recita che il sangue delle vittime, alla fine, apparterrà tutto al figlio del diavolo, il quale trionferà su ogni cosa. Testo se non altro divertente e da prendere abbastanza alla leggera, in quanto come sappiamo, nei lavori successivi, Petrozza e soci si concentreranno su liriche molto più impegnate. Ma già il testo del brano seguente è su quella falsariga. Andiamo a vedere.
Flag of Hate
-"It's time to raise the flag of hate!" -
Con tale frase Mille Petrozza, ai concerti dei Kreator, anticipa ogni volta l'inizio di Flag of Hate, in italiano Bandiera dell'odio. Il brano in questione è uno dei più famosi dei Kreator e di tutto il thrash metal. Il pezzo è introdotto da delle rullate di "Ventor", poi un riff di chitarra selvaggio e tagliente come un rasoio dà il via alle danze. La canzone parte subito velocissima, restando dunque sulla falsariga di tutto il disco, però si può percepire, sin dai primi secondi, un arrangiamento più pulito e quadrato. La prima strofa si snoda dunque su un riffing fulmineo e debordante da parte di Petrozza e su un drumming tutto doppia cassa di "Ventor". Dietro il microfono riaccogliamo con piacere Mille, il quale si vede che ha più carattere, rispetto al batterista, sul piano del cantato. Le linee vocali sono veloci e concise, Petrozza adotta il tipico scream dell'occasione e ci vomita in faccia tutta la sua rabbia - giovanile, si, ma reale. Successivamente, il riff di chitarra cambia lievemente, facendosi più pieno e mantenendo intatta l'aggressività. La sezione ritmica invece rimane sulle medesime coordinate ed ecco che entriamo nel pre-chorus, ben scritto in fase di songwriting. Poi, come da copione arriva il ritornello, il quale è quasi black metal grazie al riff di chitarra "zanzaroso", la voce di Petrozza più acida che mai e la sezione ritmica galoppante. Successivamente troviamo un nuovo riff di chitarra indovinatissimo, velenoso e affilato, il quale apre ad un breve passaggio strumentale dove i nostri si divertono ancora a correre. In seguito torna protagonista il riff centrale e ha inizio la seconda strofa, travolgente e primordiale nel suo incidere terremotante. Seguono i modici pre-chorus e ritornello, poi, una volta riudito lo stesso acuminato riff di prima, inizia un tratto strumentale caratterizzato dapprima dall'incidere tipicamente thrash del gruppo, con la chitarra di Petrozza sempre in primo piano, seguita da un urlaccio dello stesso singer che porta ad un passaggio solista di "Ventor". Poco dopo ecco che arriva l'assolo di chitarra di Mille, totalmente atonale, oserei dire quasi caotico. Forse tra gli assoli più acidi di tutto l'album. Ad ogni modo, il brano inizia ad avviarsi verso la fine, ed ecco quindi che i Kreator ci propinano, in serie, pre-chorus e ritornello. A questo punto, prima una risata malvagia di Petrozza, poi una serie di suoni dissonanti prodotti dalla chitarra, accompagnati dalle ultime rullate di "Ventor", pongono fine a questo inno thrash. Brano sicuramente più curato rispetto agli episodi precedenti e che non a caso è uno dei pezzi migliori di "Endless Pain". Le liriche, benché mettano da parte l'esoterismo dei brani scorsi, sono comunque truci e violente. Fondamentalmente, il testo di "Flag of Hate" parla della violenza umana, identificata in primis come ombre scure che aleggiano su una città; protagonisti sono degli urli di dolore, provenienti da qualcuno che quella sera stessa morirà per mano delle legioni del caos, pronte a rubare quante più anime possibili. Questi individui mangeranno l'intestino delle loro vittime, le metteranno in ginocchio per far incontrar loro il destino che le attende. Sarà inutile provare a scappare, schiere di individui malvagi sono arrivate per uccidere. Le liriche continuano dicendo che è ora di innalzare la bandiera dell'odio e di distruggere il mondo. Abbattere l'umanità è l'unico modo per eliminarla interamente. La seconda strofa recita che queste masse di violenti hanno come unico scopo crocifiggere il dio altrui, e che chi si spaccia per qualcun altro merita di morire sotto tortura. Insomma, un testo molto sadico che riflette, sempre in modo abbastanza superficiale, la follia e la violenza umana.
Cry War
La settima traccia dell'album è forse la meno riuscita del lotto e vede di nuovo "Ventor" in vesti di cantante. Il pezzo si intitola Cry War, ovvero Piangi la guerra ed è il brano più cadenzato del disco. Dei colpi sulle pelli, seguiti da un minaccioso riff di chitarra, introducono la canzone, la quale inizialmente si snoda in un mid-tempo piuttosto classico, dominato però da un cantato cavernoso e deciso di "Ventor". Il batterista/cantante, difatti, riesce a dare alla canzone quel tocco finale di malvagità che serviva, attraverso linee vocali semplici ma assolutamente funzionali. Poi però, quasi improvvisamente, ecco che un riff scarno e veloce irrompe, dando il via ad una sezione discretamente lunga, comprendente pre-chorus e ritornello: il primo è eseguito, appunto, ad alta velocità, con doppia cassa e chitarra a fare i soliti sfaceli, mentre "Ventor" canta sguaiatamente i versi del testo. Il secondo consiste semplicemente nella ripetizione del titolo della canzone su una serie di note stoppate, intercalate da accelerazioni letali, sia della chitarra che della sezione ritmica. Si riprende poi con la seconda strofa e con essa, il brano si riallaccia all'andamento, oserei dire quasi rockeggiante, dell'inizio. Nuovamente "Ventor" ci accoglie col suo cantato tetro e primordiale, poi, il pezzo torna nuovamente su coordinate speed/thrash con la stessa sezione udita prima, con a capolino pre-chorus e ritornello. A seguire, c'è l'assolo di Mille Petrozza, breve e molto "slayeriano". La canzone si avvia verso il finale, il quale è quasi interamente strumentale: prima troviamo un breve frammento dove i nostri si impegnano nella più classica cavalcata thrash teutonica, con Petrozza che sfodera un riff semplice ma tremendamente efficace, data la circostanza. Poi, gli ultimi secondi, sono affidati di nuovo al tema centrale, il quale prosegue fino al suo sfociare, con un ultima ripetizione del titolo da parte di "Ventor", proprio sul finire. Successivamente cala il sipario. Sebbene non sia tra le migliori canzoni di "Endless Pain", questa "Cry War" dispone tuttavia di un riff di chitarra caratteristico che si stampa subito in testa e di buone accelerazioni tipicamente thrash. Il testo, in maniera estremamente dozzinale, affronta il tema della guerra, vista in un ottica decisamente sadica e splatter. La prima strofa recita che la notte possiamo sentire tutto il sangue che scorre a causa delle mitragliatrici; piangiamo su un campo che non ha avuto pietà di chi ci ha combattuto e che noi, che siamo sopravvissuti alla battaglia o che comunque non ne abbiamo preso parte, la morte, nei nostri occhi, non l'abbiamo mai vista veramente. Nel pre-chorus viene dato l'ordine di tormentare tutti i sacerdoti, di squartare tutti i nemici e di inchiodare i loro cadaveri sulla croce. Da tali versi, si potrebbe quasi dedurre che la guerra che i Kreator trattano in queste liriche sia quella tra le forze del male e le forze del bene, con prevalenza delle ultime, ma d'altronde si sa all'epoca, molte band metal usavano il tema della guerra per parlare di argomenti legati alla religione e all'occulto. Ad ogni modo, chi scrive preferisce restare su terreni più reali e trattare le liriche sotto un'ottica più "umana". La seconda ed ultima strofa narra di una torcia che sta lampeggiando sul nostro volto, forse la luce di un qualcuno caduto in battaglia o, volendo cercare un significato più profondo, una sorta di timer che sta scandendo gli ultimi minuti della nostra vita. La tortura del nemico irrompe, lacerante e spietata. Morire tutti i giorni oramai è lo stesso, è una routine che si ripete sempre, quasi non ci si fa più caso, equivale a ridere dei cadaveri derivati dal "gioco della guerra".
Bonebreaker
L'ottava canzone è intitolata Bonebreaker, in italiano Distruttore di ossa. Oltre ad essere una vera rasoiata, questo è tra i brani più coinvolgenti del disco. Partiamo con l'analizzare il brevissimo testo, il quale vede protagonista, appunto, questo "distruttore di ossa", che altri non è che un demone giunto dall'inferno per uccidere quanta più gente possibile. Questa bestia sovrannaturale lacera le teste delle persone fino a che queste non muoiono, e lo fa ogni volta che suonano le campane. Il "distruttore di ossa" prenderà la vita, mangerà il cuore e rappresenterà la fine per ognuno che capiterà sulla sua strada, questo recita il sanguinario ritornello. Durante la notte, il demone ucciderà tutti, riducendo le sue prede a brandelli. L'ultimo verso chiude dicendo che, quando noi umani siamo per strada e abbiamo un cattivo presentimento, signicherà che il "distruttore di ossa" ci prenderà e che lacererà la nostra testa con la sua lama d'acciaio. Dal punto di vista musicale, il brano si presenta con un riff di chitarra preso in prestito dai Motorhead, quindi molto grezzo e stradaiolo. Subito dopo, una serie di decisi colpi sulle pelli da parte di "Ventor" dà il via all'ennesimo up-tempo del disco, anche se stavolta in salsa meno truce. La prima strofa vede Petrozza cantare i versi del testo sempre col suo solito scream. Al contempo, il tedesco alterna il riffing di chitarra: quando Mille canta, il riff è più corposo e violento, mentre quando le vocals si interrompono torna in auge il riff iniziale. Successivamente, in virtù del ritornello, la sezione ritmica interrompe la sua corsa e si cimenta in una serie di note stoppate, mentre la chitarra cambia completamente registro rendendosi decisamente più acida, tagliente e velenosa. Il brano riprende poi la sua corsa inarrestabile ed esplode nel devastante ritornello, uno dei "più black metal" di tutto il disco. Segue un assolo di Petrozza, supportato sempre da una sezione ritmica iper-veloce. Mille qui si diletta in un solo un po' meno rozzo e leggermente più strutturato. La seconda strofa è aperta da un breve passaggio strumentale, dominato ancora dalla doppia cassa di "Ventor" e dal riff della chitarra di Petrozza. Quest'ultimo, mentre il brano si avvia verso la sua conclusione, va a chiudere con una serie di versi inediti, e un terrificante ritornello spinge infine l'ascoltatore agli ultimi secondi di sfrenato headbanging. Finalmente, il brano rallenta rapidamente e cala il sipario. Questa canzone trova la carta vincente nel riffing di chitarra, versatile per quanto possa esserlo, e nel ritornello che è davvero fantastico. Tra le tracce più brillanti.
Living in Fear
La penultima traccia di questo incendiario full-lenght risponde al poco rassicurante titolo di Living in Fear, in italiano Vivendo nella paura. Un luciferino riff di Petrozza apre il brano, andando subito a creare un'atmosfera fredda e carica di tensione, poi, una serie di colpi sulle pelli da parte di "Ventor" scandiscono il tempo. Successivamente, Petrozza esegue una serie di fraseggi stridenti e acidi con la sua chitarra mentre "Ventor", quasi duettando, scandisce ulteriori beats sulla sua batteria. Poi, un guerresco urlo del batterista stesso da il via alle danze: un nuovo riff di Petrozza, thrash al 100%, apre ad un bel up-tempo, più compatto e solido dei precedenti. La prima strofa inizia con "Ventor" che ritorna dietro al microfono e che stavolta canta con una voce un po' più graffiata rispetto a quella cavernosa dei brani scorsi. La canzone è un vero treno in corsa e il batterista/cantante interpreta i versi con maggior dimestichezza e capacità, riuscendo a dare un'impronta più quadrata all'insieme. Il ritornello giunge impetuoso, caratterizzato da un riff di chitarra ancora più cattivo che funge da tappeto perfetto per le vocals di "Ventor", il quale interpreta ottimamente le malvagie linee vocali del chorus. Le liriche ritornano a concentrarsi su demoni e morte e come al solito i Kreator non si risparmiano nel descrivere particolari alquanto macabri. Viene descritta una distruzione senza fine, dove il sangue cade come pioggia e la gente muore. Tutto ciò è portato dalla guerra che i demoni stanno perpetrando, una guerra che porta dolore mentre le croci sono già invertite. Viene proclamata la resurrezione del mietitore, quindi la morte, mentre l'apocalisse più distruttiva che si possa immaginare impera. Le persone verranno condotte nella tomba, la loro carne verrà ridotta a brandelli e il loro viso sarà sfigurato. Nessuno udirà le urla di sofferenza, l'ora di morire è arrivata, si vive nella paura. Queste le parole contenute nel sadico ritornello, a descrivere una scena davvero cruenta. Il brano riprende subito con la seconda strofa, la quale nel testo indica che i mortali sono sconfitti e divorati dalle orde del male, ogni loro anima è venduta al principe delle tenebre; l'unico imperativo dei demoni è quello di obbedire ai comandi della nera maestà, ossia Satana, e di negare la libertà a chiunque. Il brano a tal punto, rallenta leggermente, con la chitarra di Petrozza che esegue delle note stoppate, dando la possibilità a "Ventor" di ritagliarsi un passaggio simil-solista con la sua batteria. Notiamo qui che anche il giovane batterista ha rallentato, di poco, l'andatura della canzone. Ma è solo questione di poco, infatti il brano riprende a correre e arriva anche l'assolo di Petrozza, orientato come sempre sull'atonalità. Il pezzo vive i suoi ultimi secondi, i quali sono definiti prima da ulteriori note stoppate della chitarra di Petrozza, supportata dall'incessante drumming di "Ventor", poi, il tutto sfocia in un urlo finale dello stesso "Ventor" che di fatto chiude il pezzo. Brano più controllato, violento e thrash nel classico stile dell'album, però i Kreator qui hanno dimostrato di saper organizzarsi anche con qualche ulteriore soluzione.
Dying Victims
Siamo giunti alla traccia finale di questo "Endless Pain". Dopo nove canzoni grezze ma tremendamente violente e affilate, è ora di gustarci l'ultima cannonata prima di concedersi un meritato riposo. Dying Victims, tradotto in italiano Vittime morenti, ci accoglie però nella maniera più inaspettata: la canzone è infatti introdotta da un arpeggio di chitarra melodico e tranquillo, supportato da un incidere lento della sezione ritmica. Possibile che per quest'ultima traccia i Kreator abbiano deciso di spiazzare tutti incidendo un pezzo pacato? Tale quesito viene ben presto smentito in quanto dopo pochi secondi di calma apparente, un tagliente riff di chitarra irrompe, accompagnato dai colpi decisi sulle pelli da parte di "Ventor", il quale inizia a dettare il tempo. Poi, Petrozza cambia nuovamente il riff della sua chitarra, rendendolo ancora più nervoso e tetro. Inutile dire che qui, il buon Mille, tira fuori note che, per quanto primitive, sono da antologia del thrash. La sezione ritmica sale poi in cattedra ed il pezzo si scatena in un furioso up-tempo che si rivelerà tra i migliori del disco. Veniamo selvaggiamente assaliti dalla prima strofa, la quale è caratterizzata da un sound generale più corposo e da delle convincenti linee vocali, cantate con rinnovata malvagità da Petrozza, che ci delizia i padiglioni auricolari col suo scream. Arriva il ritornello, il quale si mantiene bene o male sulle stesse coordinate della strofa, se non per le già citate linee vocali che diventano un minimo più lineari. Il testo fa riferimento ad un ipotetico distruttore, il quale, a detta di chi scrive, può essere interpretato sotto due punti di vista: tale figura può essere identificata come la guerra o come un demone assassino. La prima strofa evidenzia un qualcosa che striscia nell'ombra mentre la guerra della morte sta iniziando. Nessuno ha mai visto prima un tale livello di distruzione, la quale è portata, appunto, da questo distruttore, fautore di paura e dolore. E quando i corpi della gente saranno senza vita, lui li farà urlare di nuovo. Il chorus recita che sarà inutile gridare, nessuno sentirà, neanche Dio, il quale è morto. Strisciando attraverso la terra, l'unica cosa che si vede sono vittime morenti. Da quest'ultimo punto, si potrebbe evincere che i Kreator si riferiscono più che alla guerra che a qualche figura infernale, ma si resta col beneficio del dubbio. Il brano rallenta per qualche istante, al fine di fare spazio ad una frenetica serie di note stoppate di tutti gli strumenti, poi, riassume le sembianze originarie e parte con la seconda strofa, alla quale segue regolarmente il ritornello. La nuova strofa non risparmia, a livello lirico, dettagli cruenti, come nello stile di tutto l'album, difatti viene detto che l'alito freddo del distruttore incombe sulla schiena della vittime e che lui è pronto ad attaccare con la sua ascia. Se la teoria che il testo sia incentrato sulla guerra regge, l'ascia sarebbe nient'altro che l'arsenale di armi che un'azione bellica di solito comporta. La mano omicida dell'invasore si abbatte sugli oppressi e la loro testa viene spaccata in due. A tal punto, subito dopo il chorus, riprende di nuovo quell'andamento caratterizzato da note stoppate udito prima, ma stavolta, in più, c'è anche la voce di Petrozza che, seguendo il tema musicale, esprime con infinita rabbia gli ultimi versi del testo: suoni di battaglie, di morte, di dolore infernale e di metallo scandiscono la caduta dell'umanità. La più tragica delle conclusioni per i Kreator del 1985, per loro l'umanità è destinata a morire tutta quanta. A seguire, c'è un assolo di Petrozza, eseguito sempre sulla stessa base musicale. Un po' meno tagliente degli altri e più ancorato al metal classico, sebbene sia sempre molto rozzo nel suo essere. Ritorna il riff centrale, il quale apre al secondo assolo di Petrozza, stavolta suonato nel pieno stile del disco. Però, va detto che si tratta di un assolo parecchio lungo e più studiato rispetto ai precedenti, il che da ulteriore colore ad un brano già brillante. Il pezzo a questo punto procede verso la fine: i Kreator ripartono con la consueta cavalcata thrash, poi, l'insieme rallenta sensibilmente fino a divenire una sorta di marcia, scandita dai secchi e lenti colpi sulle pelli di "Ventor" e dal riffing abrasivo e minaccioso di Petrozza. Ed ecco che ora la canzone volge al termine e con essa il disco.
Conclusioni
Tirando le somme, si può dire che "Endless Pain" non è certo un disco che fa sfoggio di tecnica e virtuosismo, anzi. Benché sia un album thrash, non ha nulla a che vedere con lavori anni '80 di band americane come Megadeth o Metallica, le quali poggiavano una buona parte del loro sound su una maggior ricerca tecnica e armonica. Qui, l'unico obiettivo dei Kreator è quello di suonare il più veloce possibile attraverso riff di chitarra fulminei, doppia cassa cruda e potente e un reparto vocals a dir poco bestiale. Poi, come si è detto all'inizio di questa recensione, nella musica della band si percepisce molto quell'atmosfera grigia, quell'essenza polverosa e industriale tipica di una città come Essen, situata nella zona della Ruhr, caratterizzata negli anni '80 dalla vasta presenza di miniere di carbone. Di conseguenza, lì, non si respirava quell'atmosfera di rinnovamento che altre città tedesche, come la capitale Berlino, stavano vivendo all'epoca. Il trio dei Kreator risente dunque di questo clima affatto piacevole e scatenano tutta la loro frustrazione giovanile sulla musica, traendo ispirazioni dai grandi trii inglesi, quali Motorhead e Venom. Diciamo che, ragionando in un'ottica prettamente critica, "Endless Pain" ha forse più difetti che pregi: una registrazione davvero di bassa qualità in cui gli strumenti appaiono spesso mal equalizzati, il basso che praticamente non si sente mai e anche le voci dei due cantanti che, a volte, non sono mixate a dovere. Anche la preparazione tecnica dei musicisti è tutt'altro che matura, anzi, i ragazzi sono ancora molto acerbi con i loro strumenti, "Ventor" in primis ancora non sa ben governare il tempo alla batteria. Infine, talmente tanta è la foga di suonare veloce e violento, che a volte le canzoni, in alcune parti, tendono un po' ad assomigliarsi tra loro. Si, quest'album non è molto eclettico a dire il vero, mentre ad esempio, un "Black Metal" dei Venom, nella sua primitività, lo era di più, molto di più. D'altro canto, questi difetti, a quel tempo, facevano anche parte del gioco e i Kreator non erano certo gli unici incisero un disco d'esordio impreciso. In merito a ciò, va sottolineata la genuinità del gruppo, il quale si sente che, seppur non molto preparato tecnicamente, suona con passione e spontaneità, tirando fuori alcune canzoni che non possono non piacere al metallaro più intransigente e affamato di thrash metal. Il coinvolgimento è assicurato, le canzoni procedono tutte ad altissima velocità e conquistano con la loro irruenza. L'elemento vincente a detta mia, o per lo meno quello che fa la differenza, è il riffing di Petrozza: il giovane tedesco non è che tira fuori chissà che riff articolati, al contrario, lui opta per soluzioni scarne, elementari a tratti, ma dannatamente convincenti. La chitarra di Mille è affilata, abrasiva, arrabbiata, carica d'odio. Alcuni riff poi, assumono anche un'aria piuttosto minacciosa che impreziosisce ancora di più l'ascolto dei singoli pezzi. Brani come "Flag of Hate", "Total Death" o "Tormentor" sono diventanti degli anthems del thrash e soprattutto ricordiamo ancora che, tutto il disco, è stata una grande fonte di ispirazione per tanti gruppi thrash, black e death venuti dopo. Lo scream di Mille Petrozza è praticamente un'anticipazione vera e propria di ciò che sarà la caratteristica voce dei gruppi black metal norvegesi degli anni 90. Ed insieme alla voce dello svedese Quorthon e dell'americano Jeff Becerra, il timbro di Petrozza, fino al 1985, è stato senza dubbio, in ambito metal, il più distorto del tempo. Invece, riguardo la voce di "Ventor", non raggiunge i livelli di cattiveria di Petrozza, però è comunque molto intensa, diversa rispetto a quella del suo compagno di gruppo, in quanto più cavernosa. Diciamo che tutti e dieci i brani sono stati adattati molto bene in virtù delle voci dei due cantanti. Per quanto riguarda le liriche, non ci si poteva certo aspettare un album d'esordio di thrash teutonico con tematiche importanti. I Kreator, come gran parte delle band thrash dell'epoca, si concentrarono su tematiche pseudo-sataniche, accostate però, ad altre legate più società e alla guerra, temi che saranno rafforzati nei lavori seguenti. Alla fine, i testi risultano divertenti e vanno presi per quel che sono, un po' come un certo tipo di cinematografia di basso livello che imperava negli eighties, per fare un paragone. "Endless Pain", uscì in un periodo dove le band facevano quasi gara, senza volerlo, a chi suonava più veloce e brutale. E riguardo quest'ultimo punto, va detto che i Kreator con questo debutto, nel 1985, salirono alla ribalta, con quello che per l'epoca fu uno dei dischi metal più feroci mai pubblicati. E non era cosa scontata, perché il 1985 fu un anno difficile nel quale venir fuori in ambito thrash: come ben sappiamo, il genere aveva la massima attenzione in America e a marzo dello stesso anno era uscito "Hell Awaits" degli Slayer che conquistò gran parte della scena estrema. Poi, citiamo anche le uscite dei Celtic Frost, dei Bathory e dei conterranei Destruction, che garantirono un'ardita concorrenza in ambito di thrash estremo anche in Europa. Tuttavia, era chiaro che il potenziale di Petrozza e compagni era alto e che il loro esordio potesse scuotere l'underground in maniera significativa. Sotto tutta quella foga giovanile si celava un gruppo che, nei suoi successivi dischi, avrebbe scritto parte della storia del thrash metal. "Endless Pain" ha aperto la strada alla leggenda chiamata Kreator, una manciata di canzoni nevrotiche, velocissime e soprattutto genuine, suonate senza pensarci troppo, suonate con quella rabbia che solo dei ragazzi metallari dell'epoca, appena maggiorenni, potevano avere.
2) Total Death
3) Storm of the Beast
4) Tormentor
5) Son of Evil
6) Flag of Hate
7) Cry War
8) Bonebreaker
9) Living in Fear
10) Dying Victims