KORN

The Serenity Of Suffering

2016 - Roadrunner Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
18/11/2016
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Eccoci oggi a parlare dell'ultimo parto di casa Korn, ovvero l'album "The Serenity Of Suffering - La Serenità Della Sofferenza", il quale aveva già creato clamore ben prima della sua uscita grazie al singolo d'anteprima "Rotting In Vain", pubblicato a luglio; questo perché il pezzo in questione mostrava un deciso ritorno verso sonorità più orientate verso il passato nu metal del gruppo (genere che, guarda caso, sta tornando ora negli interessi del pubblico dopo anni di semi oblio), con riff ad accordatura bassa più duri e rimandi anche nel cantato alle asperità di inizio carriera. Dopo tutta una serie di lavori, più o meno riusciti, ben lontani da questi elementi (salvo il non riuscitissimo "Korn III: Remember Who You Are", disco che in un certo senso aveva già provato a realizzare quanto avviene in questa sede, ma in un altro contesto della vita del gruppo ed in altro modo), "The Serenity.." ha dunque infiammato soprattutto molti fan di vecchia data, i quali attendevano da tempo di sentire i Korn orientati di nuovo verso tali lidi. La parentesi caratterizzata da un suono crossover unito con la dubstep più commerciale e con la EDM, consumata nell'esperimento collaborativo "The Path Of Totality" (il quale li aveva visti collaborare con nomi quali Skrillex Noisia) e nel penultimo "The Paradigm Shift" pare quindi superata in nome di una decisa ripresa di modi e suoni che hanno caratterizzato i primi passi della band, naturalmente trasportati nel presente con tutte le differenze, anche anagrafiche, del caso. I più smaliziati si chiederanno subito: si tratta quindi di una furbata atta a cavalcare l'onda? La risposta più immediata è un sì; (in parte) di sicuro Jonathan Davis (voce), James "Munky" Shaffer (chitarre), Brian "Head" Welch (chitarre) Reginald "Fieldy" Arvizu (basso) e Ray Luzier (batteria) non possono non essersi accorti del ritorno sulle scene dei Coal Chamber e soprattutto degli Slipknot (si noti la presenza di Corey Taylor come ospite), avendo quest'ultimi in particolare raccolto buoni consensi di pubblico e critica, dimostrando come accennato un certo interesse  - da parte di tutti  -verso un revival del nu metal, genere che aveva spopolato tra fine anni novanta ed inizio duemila per poi venir dalla stampa in favore della corrente metalcore/groove. Questo, però, non deve quindi far condannare in toto il lavoro, spingendoci a bollarlo come un risciacquo privo di anima e senza interesse; quale che sia il motivo il quale abbia davvero portato i Nostri ad adottare questo stile, l'operazione suona questa volta molto più riuscita rispetto al prima citato tentativo di qualche anno fa ("Korn III.."), anche grazie alla produzione di Nick Raskulinecz, già collaboratore dei DeftonesTriviumApocalyptica e molti altri nomi del panorama metal e rock moderno; produzione la quale mette in risalto i punti forti del disco coniugando la ripresa di vecchi stilemi con l'ormai consolidato amore per le melodie trascinanti che caratterizza in modo innegabile il repertorio dei Korn da moltissimi anni. tetri suoni quasi spettrali e gotici, accordature basse nei fraseggi, riff in loop, growl e schizofrenie da rap psicotico si sposano con ritornelli ariosi e strutture piacevoli, trovando un buon punto d'incontro tra gli incubi urbani ed i tratti funky del passato, più le tastiere malinconiche ed i farsetti di Davis dall'aria quasi new wave. Il confine tra epico e stucchevole viene tenuto in maniera più salda rispetto agli ultimi episodi, anche grazie alla maggiore robustezza a livello di riffing e ritmica, mentre i testi rimangono quelli che la band propone da anni, ovvero trattati di alienazione e lotta contro il mondo. Anche se, ad onor del vero, vengono qui evitati certi eccessi patetici ed egocentrici, soffermandosi spesso su relazioni disfunzionali e dipendenze. Insomma, gli amanti di dischi come "Life Is Peachy" (1996) ed "Issues" (1999) avranno qui pane per i loro denti. Anche se, è bene dirlo, la spontaneità e la furia di quei dischi rimarrà sempre nel passato: per quanto ben fatto, l'esercizio di stile è spesso evidente, come in un film recitato molto bene, ma dove appunto siamo consapevoli di assistere ad uno spettacolo; i drammi esistenziali da adolescenti (evocati anche nell'artwork di Ron English, artista americano esperto di linguaggio pubblicitario e fumettistico) qui presentati in musica e parole difficilmente appartengono ai ricchi ed attempati componenti della band. Il disco è stato pubblicato dalla "Roadrunner" in versione standard e deluxe, come ormai da abitudine; quest'ultima vede l'aggiunta di due brani nella versione occidentale, e tre in quella immancabile giapponese, offrendo quindi tre tracce inedite per ingolosire i collezionisti, le quali non rivoluzionano certo nulla, ma vanno ad arricchire l'esperienza già di per se godibile.

Insane

Si parte con "Insane - Folle" e con il suo bel fraseggio melodico sottinteso da cimbali cadenzati, il quale però presto esplode in un montante roccioso dove Davis alterna ruggiti in growl e parti in pulito, accompagnate da arpeggi dalle atmosfere spettrali, riprese pari pari dal passato della band; il cantante ci narra della sua delusione davanti allo svolgersi degli eventi, sui quali sente di non avere controllo alcuno, e con sarcasmo tipico dei testi del Nostro, trova divertente il fatto che tutto questo non sia altro che un'altra tacca nei pensieri generali della decadenza globale. Né il primo né l'ultimo, insomma, a trovarsi in certe situazioni. La musica rispecchia questo stato d'animo grazie ai suoi giochi di tensione ora trattenuta, ora rilasciata: il ritornello sfoga tutta la sua energia melodica non risparmiando arpeggi orchestrali e linee vocali nasali subito riconoscibili, mentre di seguito nuovi giri distorti ci riportano ai macigni musicali al gusto nu-metal ricreati dalle chitarre ad accordatura bassa. Abbattuti, qualcosa cresce nella nostra testa: un suono che segna una soffice morte dell'anima, un cancro che ci divora e ci lascia pieni di orrore e senza pace. Queste sono le parole appena incontrate, piene di una disperazione che contrasta con i dolci movimenti del ritornello, slavo poi incontrare la sopramenzionata tensione tellurica che ne esprime il significato più tetro; un testo che esprime dissidio interno e sofferenza mentale, tipico nello stile dei Nostri. Dopo una serie di scratches hip hop riprende l'andamento robusto dalla marcia elettrica, dove il drumming tribale viene violato da riff taglienti; nel frattempo si ripetono le parole precedenti, esplodendo ancora una volta nel malinconico ritornello delineato da bordate aggressive e suoni da turntable urbano. "Satisfaction is delayed (come and get off). Its motivation is displayed.. Funny how I die and go away (come and get off) - La soddisfazione viene ancora rimandata (vieni e sfogati). La sua motivazione è mostrata.. Divertente come muoio e vado via (vieni e sfogati)", prosegue il testo mentre l'andamento marziale va avanti, quasi incurante della sofferenza e del disprezzante sarcasmo ancora una volta espresso, in una dissociazione esistenziale totale; largo quindi ancora ai toni orchestrali ed alle aperture vocali ariose sottintese da un riffing deciso e roboante, ridandoci l'ossessione delle parole del Nostro. Una cesura melodica arricchita da strappi di chitarra fa da colonna sonora alle confessioni con voce piena di filtri e delay di Davis, il quale confessa al sua solitudine, implodendo poi in tripudio di chitarre e scratches; inevitabile l'ennesimo ritorno al ritornello disperato, completato da ruggiti rabbiosi e montanti combattivi, mentre le parole ci riportano a quell'idea di sofferenza e sentirsi divorati dentro che caratterizza tutto il brano. Un biglietto da visita, quindi, che ci porta subito nei meandri del mondo del disco: sia nella musica, dove movimenti decisamente più robusti si legano a melodie mutuate dai Korn più maturi, sia nelle parole che ci riportano ai temi cari da sempre alla band, ovvero quelli di alienazione e dissociazione, tra critica verso l'esterno ed autoanalisi ossessiva. 

Rotting In Vain

"Rotting In Vain - Marcendo Invano" ci accoglie con un bel fraseggio ad orologeria dall'andamento risoluto, sul quale si stagliano movimenti spettrali di chitarra e ritmi controllati e striscianti, che evocano ancora una volta una tensione pronta ad esplodere; non ci sorprende quindi l'imminente riffing pieno di giri circolari distorti, il quale lascia poi posto ad una base ritmata di basso, completata dai fraseggi nebbiosi e dalla voce melodrammatica di Davis. Egli ci racconta di come la sua rabbia verrebbe sedata, se semplicemente la persona che l'ha provocata piangesse dandogli soddisfazione, mentre la sofferenza viene sostituita dal disgusto; di conseguenza, dopo un montante robusto parte un ritornello arioso giostrato su arpeggi melliflui e parti vocali nasali tipiche del Nostro. "Digging deep inside of me. Getting past this agony. I can't seem to get away. Another day rotting in. Digging deep inside of me. Getting past this agony. I can't seem to get away. Another day rotting in vain - Scavando in profondità, dentro di me. Superando questa agonia. Non sembra che io possa scappare. Un altro giorno marcendo dentro. Scavando in profondità dentro di me. Non sembra che io possa scappare. Un altro giorno marcendo dentro", declama il testo, donandoci un nuovo viaggio nella psiche del cantante, tormentato dalla vita e propenso ad ossessionarsi scavando dentro di se e rimanendo intrappolato in una rete d'angoscia e dolore; le chitarre sottolineano questo stato d'animo con una chiusura legata a bordate massacranti ed urla in riverbero come ruggiti. Se le cose rimanessero le stesse questa rabbia non ci sarebbe, se il tormento che alimenta il nostro dolore non venisse combattuto, la rabbia non ci sarebbe: rabbia espressa dopo la seconda ripetizione del ritornello con una cavalcata dalle chitarre martellanti e dal drumming possente, completata da un rap schizofrenico e da caos sonori. Essa viene suggellata da un fraseggio tagliente dal gusto urbano, alfiere delle belle melodie ariose di tastiera e delle melodie vocali di Davis, le quali continuano supportate pure da cori in sottofondo e da rullanti, collimando in un ultimo attacco; le parole ci riportano al dolore ed alle difficoltà delle relazioni problematiche, dove l'abuso emotivo e non solo è sempre dietro la porta, e dove il confine tra colpe personali, reali o presunte, ed astio verso il prossimo, non è così marcato. Un tema espresso da una musica che alterna ariose malinconie ed attacchi crossover più decisi, mentre l'elemento elettronico viene dosato con parsimonia. 

Black is the Soul

"Black Is The Soul - Oscura E' L'Anima" è introdotta da un ronzio sordo, un feedback stridente che poi si organizza in un fraseggio squillante; esso esplode in un riffing circolare in loop dai toni macilenti e meccanici, riportando in gioco il gusto urbano dei nostri, arricchito però di seguito anche da tastiere orchestrali ed esaltanti chitarre melodiche. Davis parte con un soffuso motivo vocale, il quale poi si apre a toni ben più disperati e tremanti di rabbia: egli affronta il tema del dover essere adulti anche quando non si è pronti ad esserlo, e dell'affrontare le proprie paure; perché si hanno delle responsabilità verso le altre persone, e crescere vuol dire soprattutto rendersene conto. Pianti senza volto sconvolgono i suoi sogni, e quasi ogni notte il Nostro percepisce un demone dentro di lui, intento a cantare, in un crescendo emotivo supportato da linee orchestrali e chitarre rocciose; l'arioso ritornello invece ci regala una bella melodia. Ci chiediamo perché seguiamo una certa direzione, intraprendendo azioni vane. Nulla ci ricostruirà, una volta distrutti, seguendo un percorso dove l'anima smarrita è nera, guidandoci in luoghi sperduti. "And when you scream you push me so much further end. And when I leave, I always would walk back again. And when you cry the tears are cleansing bitterness. I'm out of time, I'm slowly dying give me back my LIFE! - E quando gridi mi spingi all'estremo. E quando me ne vado, vorrei sempre tornare indietro. E quando piangi, le lacrime lavano via l'amarezza. Sono fuori tempo, sto morendo lentamente, dammi indietro la mia VITA!" continua poi il testo, discorrendo sui dissidi e le incongruenze del proprio comportamento, e sul sentirsi vecchi fuori, ma ancora immaturi dentro. Sul piano musicale il discorso si sposta su un giro tribale con chitarre dissonanti e vocals ritmate, le quali degenerano in growl rabbiosi supportati da un drumming risonante. Ecco che poi all'improvviso una tastiera cosmica sottintende un Davis dalla voce pulita in un'atmosfera sognante, mentre ancora una volta ripete le domande senza risposta del ritornello, il quale riprende con i suoi giri circolari e le sue linee orchestrali, regalandoci poi una conclusione segnata da cori nasali e loop di chitarra trascinati fino alla conclusione; un brano dove onde emotive ben si legano al tumulto del suo tema esistenziale, il quale ci regala l'ennesimo viaggio nella psiche del cantante californiano. 

The Hating

"The Hating - L'Odio" parte con un verso disperato supportato da vocals in mono ed un fraseggio distante e dal gusto retro, dove le parole illustrano il tema dell'odio, il quale viene descritto come qualcosa di versato dentro nel Nostro, testando la sua sanità e distruggendo il bambino innocente che è in lui, creando illusioni di serenità, mentre in realtà esso è pronto ad esplodere; ed ecco che infatti le chitarre si danno ad un riffing violento e diretto, supportato nelle sue raffiche da una batteria marziale e da toni vocali carichi di malevolenza. Inganniamo il tempo che abbiamo lasciato indietro, sprecandolo, dando indietro tutto quello che possiamo mentre cerchiamo di controllare la nostra mente, ormai diventata una malattia; tratteniamo l'odio per poi rilasciarlo, colpendo la mano che ci nutre. Strappi di chitarra intervengono, mentre gli ultimi versi si commutano in un growl lastricato su sirene sinistre ed attacchi rocciosi di chitarra; segue il ritornello epico, ricco di motivi melodici e di vocals eteree da parte di un Davis sognante. Le parole, però, in realtà sono tutto tranne che idilliache, delineando un senso di peso totale, mentre tutto ci crolla addosso e ci sentiamo soli ed a pezzi, avendo sprecato tempo, ridotti ad una bocca arrabbiata e con il cuore spezzato; nuovi giri rumorosi ed attacchi ritmici introducono una nuova marcia supportata dal basso e da interruzioni stridenti di chitarra, dove il testo prosegue con le parole: "Searching for something that is safe. Hurting my pride that is detest. Turning my anger towards your flesh. Rotting, we hoping ain't that bad. Spilling the blood that's on the bed. Scolding the hand that keeps me fed. Fed. That keeps me fed - Cercando qualcosa di sicuro. Facendo male al mio orgoglio.. quanto lo detesto. Rivolgendo la mia rabbia verso la tua carne. Marcendo.. sperando che non sia così male. Gocciolando il sangue, che è sul letto, colpendo la mano che mi alimenta. Mi alimenta. Mi alimenta". Versi i quali esprimono rammarico per le proprie azioni, ed allo stesso tempo dolore per il proprio soffocare dentro. Troviamo successivamentr familiari growl e toni drammatici, i quali ripetono il ritornello trascinante, questa volta concluso con una cesura dal fraseggio nervoso. Su di esso tornano i toni iniziali come in una nenia, dandoci una ballad malinconica e triste piena di pathos, la quale richiama in parte certe atmosfere alla Nine Inch Nails non certo aliene ai Korn più sperimentali; l'intensità sale con toni melodrammatici ed un drumming dal ritmo marciante, mentre urla distorte si organizzano in sottofondo insieme a tastiere accennate. La furia ora si libera con versi quasi death, mentre una negazione disperata ci mostra tutta la disperazione davanti ad un destino che non si vuole accettare come il proprio, e le chitarre si danno a bordate dissonanti le quali ci riportano alle emanazioni più violente del passato del gruppo; esse chiudono quindi su note rabbiose un brano che narra le conseguenze della vita, sulla mente del Nostro; ed il rammarico per quell'odio che sente dentro di sé, allo stesso tempo alieno, ma anche parte della sua anima. 

A Different World

"A Different World - Un Altro Mondo" è uno dei singoli dell'album, il quale vede la partecipazione di Corey Taylor degli Slipknot come seconda voce, elemento che cementifica i richiami al mondo nu metal che i Nostri hanno contribuito a creare, e che qui viene a più riprese onorato e chiamato in causa. Il pezzo prende il via con un effetto vorticante completato da un riffing roccioso intervallato da parti stridenti, il quale s'interrompe con un bel motivo di tastiera. Su di esso Davis parte con un cantato filtrato dai toni soavi, accentuati da cori ariosi in sottofondo, narrandoci di come egli sogna il passato per scappare in qualche modo dalle mura che ha eretto dentro di sé. Mura tra le quali i suoi pensieri combattono e si scontrano, un mondo dove nessuno lo può trovare; il tema è chiaro, è quello del desiderio di fuga da una realtà opprimente cercando di rifugiarsi nel ricordo di tempi felici, creandosi un mondo dove sentirsi protetti dal dolore e dalle orribili situazioni che si vivono quotidianamente. I toni quindi prendono man mano energia grazie a rullanti robusti e chitarre taglienti, librandosi in un ritornello risoluto dove non mancano riff disturbanti e punte in growl: il cantante chiede in contrasto di essere sentito ed ucciso, mentre ha le spalle al muro e l'incantesimo del "passato felice" si è spezzato. Tutto questo è quello che dobbiamo affrontare, e non è certo finita qui. Tornano quindi i toni iniziali con le loro arie evocative, mentre il testo descrive il mondo sicuro creato dentro la psiche del narratore ("Why can't I relax and let it be true? This world that I try to hide. It's kind of a mess, Too reckless for you. This place makes me feel alive - Perché non riesco a rilassarmi e lasciare che il mio mondo divenga vero? Questo mondo che cerco di nascondere. E' abbastanza incasinato. Troppo pericoloso per te. Questo luogo mi fa sentire vivo."); inevitabile il ritorno a toni ben più decisi, mentre vengono ripetuti i concetti contrastanti di poco prima, supportati da riff taglienti e vocals rabbiose arricchite da urla in growl offerte dall'ospite. Ora si passa alla parte cantata in pulito da Taylor, il quale esprime il sentimento di alienazione rispetto agli altri, la ricerca costante di uno scopo che non c'è, ed il terribile presentimento che non solo tutto sia oscuro, ma che esattamente NOI vogliamo che le cose siano così, sempre più difficili; i toni si fanno duri negli ultimi versi, mentre bordate squillanti si ripetono, aprendosi poi ad una ripresa del ritornello dove le due voci si uniscono, mentre le chitarre tirano dritte con i loro buzz ed il drumming si mantiene robusto. La conclusione vede un fraseggio delicato, il quale lascia una certa malinconia con la sua chiusura improvvisa; un duetto ben orchestrato che dà forza ad entrambi gli interpreti, ben presentando il messaggio ancora una volta legato al tema della sofferenza e della fuga da essa. 

Take Me

"Take Me - Prendimi" ci accoglie con loop di chitarra squillanti che sembrano presi pari pari dal secondo disco dei Nostri, ovvero "Life Is Peachy" del 1996, salvo poi lasciare spazio a bordate dalle mitragliate decise e a giri di chitarra combattivi sui quali il falsetto lascivo di Davis ci parla di come sia difficile resistere al richiamo dell'alcool, dipendenza da lui sconfitta da quasi vent'anni, ma ancora ben presente nella sua mente; un tema molto personale, anche perché inizialmente il pezzo consisteva in un demo nato per del materiale solista del cantante, ora rielaborato come una traccia dei Korn. La sostanza s'insinua in lui, lo porta oltre il soffitto, come una malattia ed allo stesso tempo un placebo che intorpidisce ogni suo sentimento; la cerca, ed è l'unica cosa che lo mantiene sicuro. Anche se in realtà lo riduce sulle ginocchia, non certo come farebbe un salvatore. Il registro cambia, ed ecco che tastiere evocative e toni vocali ariosi prendono piede insieme a giri circolari di chitarra e piatti cadenzati, in un'implorazione ad essere presi e portati via, perché è l'unica soluzione per resistere al richiamo sentito. "You came after me. I'm not worth anything if I'm not inside you. Only you can truly see. All the hell you put me through when the fish is feeding. Can't really be free. 'Cause every time I run away, you hunt me down. I can't ever be me. 'Cause every time I turn around it's you, you, it's you, you - Sei venuta a cercarmi. Non valgo nulla se non sono dentro di te. Solo tu puoi vedere veramente. L'inferno in cui mi mandi quando vomito.. non posso essere libero. Perché ogni volta che corro via, tu mi dai la caccia. Non posso nemmeno essere me stesso. Perché ogni volta che mi giro, sei tu, te, sei tu, tu", prosegue il testo, il quale si staglia su riff taglienti e toni ritmati, che collimano con una nuova ripresa del semplice, ma effettivo, ritornello; a conclusione di esso questa volta troviamo toni magistrali e dall'atmosfera gotica, dove un Davis decadente sente il richiamo della sostanza, la quale porta via tutto ciò che ama, sente che lo spezza e lo ferisce, rendendolo cieco davanti alla realtà. Non gli resta che intimargli di andare via, mentre linee elettroniche creano andamenti cosmici, poi sostituiti dalle sirene delle chitarre, e da riff rocciosi dove le ultime parole diventano uno spettrale farsetto; riecco allora il ritornello con le sue tastiere, il quale reitera fino al finale la supplica disperata, il desiderio di essere portati via, lasciando nella conclusione solo alcuni synth ben posizionati e che non rimangono troppo nell'etere. 

Everything Falls Apart

"Everything Falls Apart - Tutto Crolla" ha inizio con roboanti chitarre drammatiche, accompagnate da giri ad accordatura bassa e piatti pestati, inaugurando un'atmosfera altisonante; essa però muore presto, lasciando atmosfere anni ottanta dai synth ariosi, sulle quali Davis organizza la sua voce piena di effetti, ma in pulito, la quale ci parla della fine di una relazione basata sulle bugie e su promesse mai mantenute. Chiudiamo gli occhi e ci addormentiamo, pensando a quei patti che mai furono onorati. Pensieri i quali vanno alla deriva nella notte, ricordandoci di quando si rideva e si sognava insieme, ignari che la cosa non sarebbe durata in eterno; non è una canzone d'amore, ed il Nostro ha troppa rabbia per poterne dedicare una al soggetto in questione. Ecco che i toni si fanno ancora più elettronici, ma questa volta con una malevole voce robotica sottolineata da riff nervosi, la quale declama la fine dei segreti e delle bugie, così come dei sentimenti e delle sorprese, delle frasi sospirate e delle ninne nanne. Si apre quindi il ritornello evocativo, dove la voce in falsetto di Davis si unisce con i montanti di chitarra, semplicemente descrivendo come tutto crolla e fa male, andando alla deriva insieme alla coppia ormai distrutta; segue la ripresa dei toni iniziali dalle arie sognanti, ma il testo è tutto tranne che leggiadro: "I've given up, it's all I could take! My hands are shaking, my body could break! I will be lonely now! Come on and take me out! I used to care, I used to try! But what's the use it always ends with goodbye! This ain't a love song! I'd never give you one! - Mi sono arreso, sono arrivato al limite! Le mie mani tremano, il mio corpo potrebbe spezzarsi! Vieni e portami via! Una volta m'importava, una volta ci provavo! Ma a che scopo, finisce sempre con un addio! Non è una canzone d'amore questa! Non te ne dedicherei mai una!" declama la voce tremante, la quale poi si converte nei toni artificiali pieni di freddo disprezzo, alfieri della ripresa del ritornello trascinante, il quale prosegue fino ad un improvviso passaggio a squillanti loop urbani. Parte dunque una parte ritmata dove si esprime come nella testa del Nostro rimanga solo una voce ossessiva, un vuoto rabbioso ben rappresentato dalla voce che si eleva diventando poi un growl accompagnato da bordate massacranti e rullanti feroci. Riecco ora il ritornello ormai familiare, il quale si ripete ad oltranza fino alla conclusione del pezzo, la quale è segnata da una sessione cacofonica fatta da colpi di chitarra impazziti. 

Die Yet Another Night

"Die Yet Another Night - Muori Ancora Un'Altra Notte" parte con un fraseggio circolare ripetuto, il quale si accompagna presto a piatti cadenzati e ai versi sospirati di Davis, il quale alterna alcune parti più grevi, che ricordano un po' lo stile vocale del Manson più lascivo; egli ci narra di come ormai è stanco di provare a farsi capire, nonostante le bugie, poiché per tutti è il cattivo della situazione, un condannato a morte che cammina andando via dai suoi sogni più oscuri, i quali infestano la sua mente. Ha tempo da buttare, ed ormai ha avuto la sua razione: ora la musica diventa più concitata, e riff rocciosi e parti ritmate invitano a fare ciò che si dice e quello che si vuole, facendo da introduzione all'arioso ritornello che porta avanti la composizione. Mentre ci viene detto che, nonostante il dolore, andiamo avanti a vivere; quando guardiamo le varie facce incontrate lungo la via, però, il terrore ci assale e ci stringe, e non ci rimane che sperare di rimanere ancora vivi e di morire un altro giorno. Il tema quindi si lega ancora una volta alle abitudini autodistruttive e alle dipendenze del Nostro, il quale le ha usate come modo per fuggire dalla realtà, peggiorando però la sua situazione mentale ed esistenziale; le bordate di chitarre si legano a movimenti orchestrali, mentre un bellissimo loop circolare, poi ripreso dal fraseggio principale, conclude la sezione. Tornano le alternanze iniziali, le quali ancora una volta collimano nella ripetizione dai colpi rocciosi, e nel ritornello epico e malinconico, chiuso da una ripresa del riffing possente: ora i toni tornano in un'atmosfera evocativa e languida, in cui i versi del testo ("Throw a wrench into my world. Throw me in the fire. Nobody cares you're just a bad man. Nobody wants you're a dead man. Death come over to me one time. Nobody cares you're just a bad man. Nobody wants you're a dead man - Lancia una chiave nel mio mondo, lanciami nel fuoco. A nessuno importa, sei solo il cattivo. Nessuno ti vuole, sei un uomo morto. La morte viene da me d'un tratto. A nessuno importa, sei solo il cattivo. Nessuno ti vuole sei un uomo morto") ci danno l'immagine di qualcuno che vorrebbe trovare la pace, ma che allo stesso tempo ha perso ogni speranza di averla. Temendo, ma allo stesso tempo richiamando la morte. Il climax raggiunto consuma tutta l'energia emotiva espressa, lasciando nella conclusione un arpeggio sul quale il cantante, come in una ninna nanna, sospira comunicando tutta la sua sofferenza: non resta che ripeter il ritornello, il quale viene firmato da un'ultima comparsa del riff circolare caratterizzante del brano.

When You're Not There

"When You're Not There - Quando Non Ci Sei" viene annunciata da loop taglienti ed esercizi ritmici, aprendosi poi a montanti possenti e suoni stridenti; ecco che un bel fraseggio melodico accompagna la voce piena di effetti di Davis, il quale ci parla di sentimenti contrastanti in una relazione malata, fatta di abuso, ma anche di mancanza dell'altra persona quando questa non c'è, ripresentando uno dei temi dell'album, sempre legato al concetto di sofferenza ed instabilità mentale. E' come se la follia fosse appesa ad un filo, la carne è fredda sotto le unghie, e veniamo presi di mira da uno sguardo che non fallisce mai nel colpirci; ora la musica si apre ad arie ben giostrate ed a linee di chitarra appassionanti, mentre il cantante dichiara tutto il suo amore problematico, esaltando come viene ferito, e come questo non importa all'altra persona, il suo amore è oscuro e deviato, ed egli grida quando l'altra non è con lui. Bordate roboanti accompagnano effetti vocali spezzati, dandoci una marcia urbana ed acida, la quale si chiude con una ripresa del fraseggio iniziale; "It's been beneath my eyes it's been never the same. I love it when you're happy and crack a smile. The best is when you make it last a while. Last it a while -  E' stato sotto i miei occhi, non è mai stato lo stesso. Adoro quando sei felice e sforzi un sorriso. Il meglio viene quando lo fai durare per un po'. Durare per un po'", continua a narrare il nostro, dandoci nuovi pezzi del puzzle, accontentandosi di tentativi di normalità in un contesto che nasconde un dolore dove il confine tra dipendenza e supplizio è labile. Riecco quindi il ritornello dalle arie magistrali e dalle vocals disperate, le quali ancora una volta si danno a dediche ad un amore distruttivo; collimiamo con fraseggi metallici e taglienti, i quali donano accordature basse, squartati poi da furiosi giri circolari ed effetti squillanti. All'improvviso un nuovo motivo melodico confessa con disperata sincerità il sentirsi posseduti da uno spettro che non riusciamo a trovare, un amore ideale che non c'è nella realtà e che ci perseguita, e per il quale non riusciamo a darci pace; passiamo quindi ad una versione ancora più malinconica del ritornello principale, al quale si chiude con i consueti effetti roboanti, ricreando in musica il contrasto tematico dei sentimenti qui espressi. 

Next In Line

"Next In Line - Il Prossimo Sulla Lista" ci sorprende con effetti vorticanti, unendoli poi ad un riffing nervoso ed ad una batteria massacrante; veniamo quindi portati verso una marcia fatta di elettronica nebbiosa dalle tastiere plumbee e drumming marziale, sulla quale Davis ci parla di una notte insonne, piena di pensieri, dove ha fatica a respirare, mentre sente il peso del mondo su di lui. Il tema delle ansie, delle responsabilità, e dei rimorsi torna a farsi vivo, e mentre la città dorme, lui rimugina dando vita a pensieri su pensieri. Dei quali meno si sa, meglio è. Riesplodono come strappi i giri contratti uniti a scratches impazziti, mentre all'improvviso un sognante ritornello si arricchisce di belle melodie e cori molto anni '80, rendendo impossibile non pensare al loro album "Untouchables" ed ai suoi elementi new wave: il narratore rimembra come ogni volta si faccia ingannare nel rivedere un luogo dentro di sé, che gli dà una parvenza di pace. Mentre scava sempre più a fondo si ritrova sempre più giù, si chiede se sta sprecando tempo, oppure se egli sia il prossimo sulla lista (a passare a miglior vita, ovviamente). Riprende quindi la marcia portante, dove Davis declama: "I pace the threads, my blood it burns. The reason we know but still we never learn. The clocks are still, my legs grow weak. It says it's done, I beg it not to speak - Organizzo i fili, brucia il mio sangue. Sappiamo la ragione, ma non impariamo mai, comunque. Gli orologi sono fermi, le mie gambe s'indeboliscono. Dice che è fatta, lo prego di non parlare", reiterando l'immagine di oppressione ed inevitabilità, riconoscendo la propria incapacità d'imparare dagli errori, continuando la notte insonne costellata di pensieri. Ritornano i movimenti già incontrati, tra cui l'arioso ritornello, un'oasi di pace in un mare mosso fatto di un mondo emotivo tormentato; dopo una cesura dai riff nervosi, abbiamo un rap vecchio stile sottolineato da chitarre ruggenti, il quale senza molta pietà intima di ricordare che siamo solo dei frammenti, che non saremo mai altro, e che la nostra sorte è segnata. Si ripetono gli scratches con bordate maniacali ed urla, collimando in una cesura dal fraseggio idilliaco, sul quale poi torna il ritornello in una chiave ancora più dolce e compassionevole, il quale però ripete le parole dove si esprime tutta l'inquietudine nel riconoscere che la pace momentanea è solo un'illusione; su questa nota si chiude quindi il pezzo, uno dei più languidi di tutto il disco. 

Please Come For Me

"Please Come For Me - Ti Prego, Vieni Per Me" prende piede con un immediato riffing che ci riporta al passato dei Korn, strutturato su montanti rocciosi e cimbali ritmati, sul quale stridenti linee di chitarra ne alternano il passo; ecco poi suoni acidi e dalle atmosfere oniriche, sulle quali il farsetto di Davis (quest'ultimo, pare, abbia avuto grossi problemi nel partecipare al pezzo, in quanto lo ha odiato sin dall'inizio, convinto a più riprese dai compagni a portarne avanti la registrazione, ndr) parla della depressione e dei suoi cambi d'umore, durante i quali si sente solo e le sue lacrime creano un mare. Incapace di dormire, mentre sente come un diavolo che lo tormenta. I montanti circolari tornano in pista; ed ora, se potessimo vedere il Nostro mentre viene attaccato dalle sue paure, potremmo trattenerci cercando di savarlo.. ma per qualche strano motivo non riusciamo a raggiungerlo, né lo raggiungeremo mai: esplode il ritornello melodico con chitarre evocative e brevi linee vocali ben giostrate, nelle quali il Nostro si lascia andare nel chiedere aiuto, mentre una piccola faccia lo osserva non dandogli pace ( "Take a look around. Help me. I see this losing little face. Staring at me. Looking for that special sound. That's coming for me. It's never gonna take me down. Please come for me, please come for me - Guardati intorno. Aiutami. Vedo questa piccola faccia che si perde. Mentre mi guarda. Cercando quel suono speciale. Viene per me. Non mi spingerà mai giù. Ti prego vieni per me, vieni per me."). I toni da sogno delirante tornano con i loro andamenti urbani, sui quali Davis ci dice che la malattia viene strappata in un qualche modo, e la depressione diventa come un'estasi. Ora sente che il Diavolo sta arrivando per lui; si ripetono quindi le alternanze predenti, reiterando con l'arioso ritornello i sentimenti di supplica del cantante, i quali poi salgono d'intensità con un riffing in levare completato da bordate stridenti e versi in growl uniti a cori languidi, nei quali qualcosa sta effettivamente venendo a prendere il Nostro. Il finale vede per l'ultima volta il ritornello melodico, il quale si chiude con una ripresa dei toni vorticanti di chitarra coronati dalle urla rauche. Un tema meno delineato, ma legato alla sofferenza ed ai sentimenti contrastanti di uno stato mentale travagliato.


Baby

?Deluxe Edition:
Esistono delle bonus track esclusive alle versioni deluxe del disco, di cui una, ovvero "Out Of You", contenuta solo nella versione giapponese (rispettando la vecchissima tradizione dei pezzi riservati al fiorente mercato nipponico; dove le vendite, praticamente per chiunque, sono sempre assicurate). La prima è "Baby - Piccola", la quale parte con suoni elettronici ed arpeggi notturni, sorretti da cimbali cadenzati in un andamento strisciante; essa si libera poi in un riffing secco e dai montanti imperanti, fermandosi con un fraseggio squillante dalla buona presa. Ecco quindi un Davis suadente, il quale si rivolge ad una donna chiamandola "piccola", dicendole di guardarsi intorno e di capire che non può fregarlo. Dentro di lui egli si odia, e chiede di essere salvato: il tema del conflitto interiore e dell'ambivalenza nei rapporti, desiderati costantemente come una droga, ma dalle conseguenze dolorose, sembra dominare già il brano, mentre sul piano strumentale i loop di chitarra proseguono ipnotici, collimando in un ritornello evocativo. Mani sulla testa, ci sentiamo tesi: lei vuole guardarsi intorno ma comunque ci scuote, vuole passare il tempo e farci perdere il controllo, peggio ancora cerca di spezzarci. Fraseggi melodici si prodigano nei loro andamenti, così come riff nervosi sottolineati da tastiere perentorie: torniamo ai temi precedenti, con una sorta di suadente ninna nanna che nasconde una dichiarazione di diffidenza nei confronti della donna che vuole tentarci, la quale vuole calmare i nostri pensieri per tenerci accanto a sé, ma che sappiamo infondo nutra risentimento verso di noi. Riparte il ritornello, il quale ancora ci mostra una sorta di guerra fredda nella quale si gioca a carte scoperte, supportato da montanti e parti vocali dalla melodia trascinante; fraseggi emotivi completano il tutto, mentre collimiamo in un loop stridente sul quale abbiamo un drumming marziale ed un Davis in falsetto, il quale ripete con fare ipnotico la frase "Taking my time, taking my chances. Take me away, sick of these dancers. - Prendendo il mio tempo, prendendo le mie occasioni. Portami via, sono stanco di queste ballerine", facendoci capire che probabilmente si trova in un night con delle spogliarelliste, pur non vivendo molto bene l'esperienza. Tormentato da pensieri e dalla consapevolezza della sua volontà di ottenere divertimento facile, ma di sapere già quali saranno le conseguenze della cosa. Passiamo a grida feroci in growl arricchite da riff rocciosi e bordate spezzate, mentre un rullante di batteria ci riporta al ritornello familiare, con vocals che invitano ad oltranza al confronto, consapevoli delle intenzioni altrui; un growl malevole ripete con un'aria non molto confortante la volontà di salvare, ma allo stesso tempo dare la colpa, incarnando i sentimenti conflittuali che dominano il Nostro, ripetuti fino alla chiusura improvvisa. 

Calling Me Too Soon

"Calling Me Too Soon - Chiamandomi Troppo Presto" è il secondo bonus, una traccia dal riffing macilente, presto doppiato da giri esplosivi dai montanti circolari e da un drumming deciso e quadrato; ecco che un fraseggio squillante sottintende la voce di Davis, il quale incomincia a parlarci ancora una volta della natura problematica delle sue relazioni, divise tra desiderio e disgusto, in un'attrazione delineata dalla repulsione, qualcosa non certo di salutare per la sua mente. Si sente chiamare da una persona che è facile, ma non può rimanere, cosa non facile dato che gli da piacere, anche se non darà colpa alla vita per questo; è come avere a che fare con il Diavolo, ma la cosa non lo aggrada. Ora i ritmi urbani si aprono dopo una cesura ad una bella melodia dal gusto pop, giocata su una tastiera accompagnata da chitarre ariose e vocals sognanti: egli credeva di sbagliarsi, e qualcosa gridava attraverso la stanza, qualcosa di potente che lo chiama, il desiderio a cui non sa resistere. "One more timing. Hearing whining. Die disgust away from me. Playful sinner. Want be inner. Please just stay away from me. It's good headache. Little fumbling. Like a message late for me. Let me tinder. One last binder. Going down so great for me - Un altro cronometraggio, mentre sento lamentele. Disgusto, muore lontano da me. Un peccatore giocoso. Vuole essere interno. Per favore rimani via da me. E' un bel mal di testa, un po' di brancolare, come un messaggio che mi arriva tardi. Lasciami pescare, un ultimo legame. Sta andando in modo perfetto per me", prosegue, delineando ancora il contrasto tra l'ottenere quello che vuole, ed il sentire che in qualche modo la cosa avrà conseguenze non piacevoli per lui; la strumentazione torna all'andamento sincopato, in un'atmosfera aliena e lisergica, la quale ancora una volta viene violata dal ritornello delicato e trascinante, il quale collima con alcuni riffing rocciosi, prima di essere fermato da un fraseggio nervoso: esplode una ritmica tribale seguita da bordate violente sulle quali si staglia un rap in growl , il quale libera tutta la violenza trattenuta, dichiarando che il Nostro non ha bisogno dell'altra, chiedendosi cosa ci fa con lui, ma poi in modo contraddittorio la implora di rimanere, annoiato, insicuro su cosa è giusto o sbagliato. Montanti evocativi ci riportano alle arie serene del ritornello, le quali proseguono nella loro dichiarazione di consapevolezza del richiamo atavico, fino alla chiusura segnata da un ultimo riffing selvaggio sul quale si reitera il non bisogno dell'altra. 

Out of You

"Out Of You - Fuori Da Te" è la traccia esclusiva all'edizione giapponese del disco, un pezzo che riprende i temi di disillusione davanti ai rapporti e alle bugie ed agli abusi psicologici che essi celano: chitarre squillanti e rullanti dalla ritmica diretta accompagnano giri circolari in loop, fino alla partenza di un fraseggio dal gusto funky sul quale il cantante insinua le sue vocals suadenti seguendo il suo tipico stile. "Ora guardati, sei come un disastro ferroviario a rallentatore" esordisce, lasciando già presagire parole tutto tranne che dolci per il soggetto della canzone. Se fosse in lei, scambierebbe la nozione di colpa, ma si chiede se lei mentirebbe e tenterebbe di ricordargli qualcosa di nuovo, il tutto mentre lui fatica a provare emozioni. Tastiere spettrali sottintendono il tutto, mentre poi parte un ritornello orchestrale dalle chitarre taglienti e dal drumming cadenzato: è questo l'amore? Non ha mai affrontato la verità, ed ora è perso fuori da lei. "I should've known. You're so cold and how could I be so clueless. I bet your ground. And only grim will see and get off this illness. I buck away. But the prize is high and I guess I manage. I took the script too. And if you lay down would I still feel sadness - Avrei dovuto sapere. Sei così fredda, e come ho potuto essere così sprovveduto? E solo oscurità verrà da questa malattia. Mi ritraggo. Ma il premio è cospicuo e credo di avercela fatta. E se sarai morta, mi chiedo se sentirò lo stesso la tristezza." prosegue l'andamento iniziale, ora ripreso, lamentando di essere stato vittima sprovveduta della storia, una vittima che ora si chiede se sentirebbe qualcosa se l'altra fosse morta. La domanda del ritornello torna ad accompagnarsi alle aperture sognanti ed alla voce melodica del Nostro, mentre poi prende piede una ritmica urbana sulla quale toni acidi stagliano una filastrocca malevola, nella quale si esprime la sensazione di prigionia sentita, la stanchezza per i giochi mentali affrontati; essa passa ad un bel motivo dalle bordate rocciose, il quale spinge in avanti la composizione con blast pestati e suoni stridenti, aprendosi poi a fraseggi taglienti e loop circolari. Riecco i cori sognanti, accompagnati al drumming possente ed alle chitarre decise, mentre le tastiere arricchiscono il tutto: la domanda portante viene ripetuta ad oltranza, riflettendo sulla natura del rapporto malato intrapreso dal narratore, ponendosi domande di cui si ha già la risposta. Il finale vede una marcia con suoni convergenti, la quale esplode in una serie di riff a motosega e di vocals perentorie, ancora una volta dichiarando l'impossibilità di scappare da una situazione soffocante, sensazione perfettamente resa dalla cacofonia sonora raggiunta, la quale collima in esercizi ritmici e growl rabbiosi.

Conclusioni

Ancora una volta un colpo a segno, per un gruppo sicuramente attento alla sua immagine e a dosare novità e ritorni al passato;  elementi, questi ultimi, decisamente ben calcolati e posti alla base di un lavoro attento, preciso e convincente. Il quale crea una serie di brani trascinanti e dal songwriting ben più elaborato rispetto allo stile lineare e basato "solo" sui ritornelli adottato da qualche tempo. L'atmosfera più brutale, i rimandi alla follia ed all'alienazione, i falsetti e gli attacchi devastanti, l'uso di effetti evocativi ed una dosatissima elettronica "oscura" vanno a colmare letteralmente ogni solco di "The Serenity of Suffering", dandoci delle canzoni compiute e ben composte, dove lo stile vocale inconfondibile di Davis, tra nasale e malevolo si riappropria di alcuni elementi che non sentivamo così da tempo, e dove Welsh ha modo di riportare in gioco alcuni riff e costruzioni in loop taglienti e rocciose. Drammi dissonanti e squillanti, marce corrosive ed arie a volte sognanti trovano posto all'interno degli episodi, regalandoci così delle narrazioni sonore con dei crescendo ed alternanze emotive; certo è che chi non ha mai apprezzato il suono dei Nostri, non incomincerà di certo ad amarli con quella che è comunque una versione "minore" del loro passato glorioso (per i fan), ma chi invece li segue e li apprezza troverà qui una serie di riscontri positivi, i quali raccolgono sia dal passato più "ortodosso", sia da album oggi rivalutati, ma all'epoca della loro uscita "di rottura", come "Untouchables" o "Take A Look In The Mirror". Se tra tutti i gruppi dell'ondata nu metal (oggi sopravvissuti o resuscitati), proprio uno doveva regalarci la prova più convincente sulla ripresa di questo suono, è solo giusto che esso sia quello che ha sviluppato un certo suono e lo ha portato alla ribalta: ecco quindi nel 2016 non un capolavoro, ma uno degli album più riusciti a livello di suono, coerenza, produzione della loro carriera post muovo millennio. L'inizio di un nuovo corso? Una capatina estemporanea nel passato prima di nuovi esperimenti? Impossibile dirlo ora. Di sicuro seguiranno concerti e tour dal successo preannunciato, mentre già i posti nella classifiche sono buoni, ed in alcuni casi alti, confermando una band che volenti o nolenti è da tempo protagonista del mondo rock/metal moderno e rappresenta un nome con una storia abbastanza ampia da farci scorgere in essa diverse fasi e stili, e da permettere dibattiti e ritorni al passato. Quello che conta è il fatto di poter ascoltare i KoRn in un disco convincente che vede i suoi episodi migliori non tanto nei singoli, forse anzi le parti più forzate dell'album, quanto più nelle restanti tracce, dove il gruppo segue il suo corso senza la pressione di dover dimostrare qualcosa; tutta una serie di caratteristiche che fanno traspirare una certezza d'intenti tradotta in una sequenza dove il sintetismo viene sostituito con un'ossatura robusta di riff e batteria, sulla quale vengono stagliati cambi di tempo sincopati e vocals mutanti, unendo poi il tutto con l'uso controllato di un'elettronica mai invasiva, ma comunque mutuata dagli esperimenti degli ultimi anni. Messe da parte le manie da rockstar e le crisi d'identità, il ritorno di Welsh ha evidentemente reso la formazione più compatta, e l'aiuto di direzione avuto in studio grazie al produttore ha potenziato il tutto fino all'estrema conseguenza, calibrando le parti in base alla loro funzione ed aggiustando il songwriting ad hoc per ottenere dei pezzi che parlano all'ascoltatore senza suonare come ruffiani, ma allo stesso tempo ben consapevoli delle loro intenzioni. I diversi ascolti confermano questa impressione: se infatti gli ultimi lavori andavano perdendo mordente dopo la sorpresa iniziale, questo mantiene il tiro e anzi mostra nuovi aspetti ad ogni ascolto, qualcosa non così scontato con i Korn, e non associato in genere alla loro musica. Promosso quindi con alti voti in forza di risultati che superano le riserve iniziali che si possono avere di fronte a dei quarantenni che cercano di ripetere il loro passato; questa volta sembrano aver trovato la strada e la motivazione giusta, riuscendo a ricreare l'energia dei primi tempi, ma affinata e legata alle esigenze del presente, con un Davis che offre sul piano lirico alcuni tra i testi più sinceri della sua carriera, i quali pur non rinunciando ai temi di sofferenza e tumulto, riescono a non cadere nel patetico e nemmeno in sermoni saccenti, cosa che invece nel passato recente è effettivamente avvenuta. Speriamo che ora i Nostri mantengano tale ritrovata ispirazione, tanto da inaugurare una terza fase della loro carriera, capace di donarci nuove glorie: chi vivrà vedrà, per ora accontentiamoci dei risultati del presente.

1) Insane
2) Rotting In Vain
3) Black is the Soul
4) The Hating
5) A Different World
6) Take Me
7) Everything Falls Apart
8) Die Yet Another Night
9) When You're Not There
10) Next In Line
11) Please Come For Me
12) Baby
13) Calling Me Too Soon
14) Out of You
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