KORN
The Paradigm Shift
2013 - Prospect Park
DAVIDE PAPPALARDO
06/03/2016
Introduzione Recensione
Incomincia oggi il nostro viaggio nella discografia di una delle band più importanti (se non forse la più importante in assoluto) e rappresentanti di una delle pagine più controverse della storia del metal e del rock. Un genere che è stato amato ed odiato, esaltato prima da stampa e pubblico, e poi altrettanto velocemente ripudiato, tacciato di ogni male e presto soppiantato da altre correnti che rappresentavano novità più in voga; il tutto una volta che il precedente pargolo era stato spremuto per bene. E' abbastanza ovvio, da questo preambolo, che stiamo parlando del cosiddetto nu metal, e nel dettaglio dei californiani Korn; un nome che di sicuro chi era adolescente a fine anni novanta (ma non solo) non può non associare subito a tutto un mondo musicale e visuale che ha rappresentato gli ultimi anni dello scorso millennio. Nati a Bakersfield in California nel 1993, in realtà i Nostri derivano da varie incarnazioni di band precedenti, partendo dagli L.A.P.D nati nel 1989; quando questo gruppo si era trasferito a Los Angeles aveva vissuto varie vicissitudini, riuscendo comunque a pubblicare due album prima di sciogliersi. Dopo aver brevemente creato i Creep, i rimanenti James Shaffer, Reginald Arvizu, David Silveria (poi in altri tempi sostituito da Ray Luzier) assoldarono Brian Welch e Jonathan Davis, precedentemente cantante degli SexArt. Poco dopo adottarono il nome attuale, dove Davis disegnò la R invertita tipica del loro logo. Un gruppo di persone "diverse", freak per gli standard della società americana dell'epoca, dalle influenze musicali disparate e con storie di bullismo costante a scuola, nonché di isolamento e traumi infantili. Tutto questo segnerà indissolubilmente il suono e le tematiche dei nostri, facendo da fondamento per quelli che diventeranno i topoi del nu metal, termine all'epoca non ancora nato. In particolare, Davis è totalmente alieno alla figura del tipico singer metal: amante della new wave e del look dark (si narra che fino al consulto con un veggente era stato restio ad unirsi al gruppo), si presentò inoltre con un bagaglio di abusi subiti che influenzeranno i suoi testi, tutto l'opposto di figure imponenti e sfacciate come un Vince Neil a caso. Un sincretismo questo che tramite una serie di fattori culturali e di, potremmo dire, Zeitgeist, darà forma ad una serie di pulsioni urbane e psicologiche che aleggiavano già nell'aria in tempi non sospetti e saranno destinate, grazie all'esperienza dei Korn (ma anche a quella di gruppi come Slipknot), a divenire predominanti per tutto il decennio '90, sfociando prepotente anche nei 2000. Dai primi vagiti della creatura "Korn", di acqua sotto i ponti ne è passata, e di cose ne sono successe: dopo l'omonimo debutto il gruppo è salito alla ribalta con "Life Is Peachy", "Follow The Leader" ed "Issues", capitoli fondamentali nell'ascesa del nu metal e nell'accettazione (ed ossessione) da parte del pubblico giovanile nei confronti di tendenze alternative metal (tratte a piene mani da sperimentatori come Faith No More, Godflesh, Fear Factory, Helmet e molti altri), unite a cantato sincopato di chiara estrazione rap ed urbana. Con la fine del millennio, però, l'etichetta incominciava ad essere stretta, e c'era aria di cambiamento; i Nostri incominciano ad implementare forti influenze elettroniche nel loro suono, con album come "Untouchables", "Take A Look In The Mirror" e soprattutto "See You On The Other Side". Parte del pubblico non la prende molto bene e soprattutto i giornali, desiderosi spesso di creare e distruggere movimenti e tendenze, decretano ormai la fine della linfa vitale della band, la fine di quegli stilemi legati al nu metal, precedentemente esaltati. Nonostante questo il gruppo prosegue sulla sua strada, tentando il songwriting minimale con "Untitled" e un non riuscitissimo e non molto credibile tentativo di inversione di marcia con "Korn III: Remember Who You Are", dove ormai quarantenni cercano ancora di esprimere disagi adolescenziali fuori tempo. Eccoci quindi nei tempi più recenti: l'amore per generi come la dub step e la EDM da parte di Davis, il quale è anche Dj con il nome JDevil, porta alla pubblicazione dell'ambizioso, e anche molto criticato "The Path Of Totality", album crossover dove il cantato e le chitarre dei nostri si uniscono alle trame elettroniche spezzate e vorticanti di Skrillex, Noisia, Excision e altri nomi del mondo elettronico mainstream americano. Un ritorno quindi alla vena più "sperimentale", la quale porta anche al lavoro qui recensito, l'ultimo della loro carriera al momento, ovvero "The Paradigm Shift - Cambio Di Paradigma" pubblicato dalla "Prospect Park" e distribuito dalla "Universal"; nonostante l'implemento degli elementi prima citati, (anche se in misura minore) il disco viene ben accolto dalla critica e dal pubblico, segnando un ritorno a quell'apprezzamento unanime del quale i Korn godevano nei primi anni di attività (in coincidenza, va detto, anche con una sorta di revival d'interesse verso il nu metal da parte della generazione nata a fine anni novanta ed inizio duemila, e del ritorno dell'amato chitarrista Brian Welch, il quale aveva lasciato la band ai tempi di "Take A Look In The Mirror"). In realtà non abbiamo qui un ritorno al passato, ma gli elementi tentati in epoca recente vengono aggiustati e messi al servizio di un suono diretto, veloce, senza fronzoli e, va detto senza problemi, commerciale; l'elettronica fa da sfondo per i riff di chitarra in loop e per il cantato spesso melodrammatico di Davis, mentre il basso continua la sua opera greve, per quanto con connotati decisamente meno feroci ed ostici se pensiamo ai primi lavori del gruppo. I Nostri non sono mai stati dei virtuosi degli strumenti; ma dove riescono, è grazie a delle felici intuizioni che creano momenti catchy e di facile presa. Questa caratteristica gioca a favore del lavoro qui recensito, nel quale i Korn suonano nuovamente ispirati e liberi nel songwriting, totalmente avulsi alle aspettative nei confronti del pubblico, evitando però certi eccessi e colpi mancati del passato. Non è un caso che dietro tutto questo ci sia la mano di un produttore come Don Gilmore, grande esperto in materia di "gruppi di successo" e particolarmente attento alle tendenze più in voga; il suo nome è associabile ad alcune delle band di maggior successo degli ultimi anni, fra le quali possiamo annoverare Linkin Park e Bullet For My Valentine, giusto per citare due nomi altisonanti, senza scordarsi poi dei nostrani Lacuna Coil, anch'essi beneficiari dell'esperienza di Don. Certo non bisogna aspettarsi la violenza dei lavori giovanili o le atmosfere morbose che li caratterizzavano, sostituite da un suono inevitabilmente più patinato ed asciutto, frutto di persone che (nonostante spesso cerchino di convincere per prime sé stesse del contrario) ormai si trovano in tutt'altra posizione esistenziale e temporale. Fu lo stesso James "Munky" Shaffer a dichiarare che questo disco ha ampiamente ripreso le atmosfere presenti in album come "Issues" ed "Untouchables" ma al contempo rendendole più melodiche ed accessibili. Gli ha fatto eco anche Welch, dichiarando di notare nel prodotto sia l'aggressività dei primi album e sia tratti più melodici e nuovi. Il resto della formazione è naturalmente rimasto invariato, con gli inossidabili Fieldy Arvizu ed il frontman Jonathan Davis al microfono, ricoprendo anche il ruolo di tastierista e programmatore. Davis ha comunque dichiarato "strano" il processo lavorativo del disco, almeno dal suo punto di vista, in quanto fu impegnato a fronteggiare diversi problemi famigliari (il figlio malato di diabete) e la sua "consueta" depressione che lo stava spingendo a curarla assumendo vari tipi di farmaci. In fine, alla batteria (come già da "Korn III..") troviamo sempre il bravo Ray Luzier, famoso per aver avuto diverse esperienze in campo Metal e Rock anche a fianco di leggende come David Lee Roth. Un lavoro, "The Paradigm Shift", dunque piacevole e tra i più riusciti della seconda metà della loro carriera, il cui titolo bizzarro è così spiegato da Munky: "È un termine che comprende diverse prospettive. Puoi vedere un pezzo di un'opera d'arte da un angolo ed esso assume un'immagine particolare. Se la guardi da un altro angolo, esso è un'immagine completamente differente. Paragoniamo questo ai Korn nel 2013 e con Head tornato in formazione, tutti gli elementi che i fan hanno apprezzato sin dal primo giorno sono presenti, ma li abbiamo interpretati da una nuova prospettiva. È un album dei Korn più grande, più luminoso e più audace". Un disco dunque da ascoltare senza aspettarsi nulla di rivoluzionario o che trasformi i Korn in quello che non sono e non saranno mai, ovvero delle icone del "metal duro e puro". Una menzione non troppo d'onore va fatta per i testi, mai stati il punto forte dei Nostri, i quali mantengono una linea spesso pseudo-adolescenziale che a suo tempo ha contribuito alla fortuna del gruppo, ma oggi suona abbastanza forzata data l'età dei componenti, tra fantasie di vendetta ed attacchi al Mondo. Alla fine, comunque, un gruppo come i Korn non si ascolta certo per entrare in contatto con trattati esistenziali.. quindi, il tutto diventa funzionale alla loro musica e alla loro immagine.
Prey for Me
Si parte con "Prey for Me - Prega Per Me" e con le sue bordate ritmate di chitarra unita ai colpi potenti di batteria; s'instaura una marcia brevemente interrotta all'ottavo secondo, la quale riprende dopo un effetto elettronico ancora più feroce di prima. I colpi si ripetono in un clima contratto fino al ventottesimo secondo, dove un effetto in salire accompagna una struttura tribale sulla quale interviene il cantato nasale di Davis, giostrato su rime sottolineate da loop di chitarra e drumming; ecco che poi si libra il ritornello melodico di buona fattura, incalzante ed epico, dove effetti sintetici sorreggono la parte organica. Ci s'infrange contro una cesura ritmata, dopo la quale riprende l'andamento contratto precedente , dove voce e strumenti seguono lo stesso corso; ecco allora che si ripropone la forza del ritornello, con tanto di cori questa volta, in un effetto emotivo amplificato. Al secondo minuto e otto effetti vorticanti fanno da cesura, mentre poi una marcia tribale accompagna un farsetto di Davis,; si sale di tensione fino all'esplosione in un attacco dissonante dalle chitarre a colpi bassi, sulle quali abbiamo anche del growl. Tornano di seguito gli elementi melodici, in un fulgido esempio degli ultimi Korn, dove melodia sintetica, bordate e tendenze groove si uniscono in un tutt'uno; il finale è affidato quindi ad una cavalcata squillante, la quale prosegue fino alla conclusione. Il testo, come molti altri dell'album, tratta della lotta del cantante (coincidente come già detto con il periodo di stesura del lavoro) contro la dipendenza da antidepressivi, da lui sviluppata in maniera acuta anche per colpa di gravi vicissitudini famigliari. Ci si chiede cosa non vada, perché spesso le belle facce tremino, e facciamo quello che fanno i diavoli, impiccandoci l'uno con l'altro. Perché siamo attirati da questa sorta di oblio, di dispiacere, di annullamento dell'essere. Semplicemente si dà e poi si prende come se la depressione fosse una condizione normalissima ed anzi soddisfacente, e paradossalmente le piccole cose malvagie che facciamo vengono amate al contrario delle buone, le quali passano in secondo piano. Il narratore chiede dunque di pregare per lui, sapendo di doverci delle scuse. In qualche modo lo facciamo arrabbiare (tipico di chi è molto spesso depresso, il volersi rifiutare di credere che qualcuno lo ami) e lui è fermamente convinto d'essere, ormai, un'ombra di ciò che era, e la passione è spesso qualcosa di sbagliato per lui; "This fire has followed you, Nothing's left, you're dead on the ground. How can I covet you? Give you hell and you can't rebound. My soul infected you. Blackened thoughts. They run through your head. The little things you do. Simply, I wish you were dead. Were dead, were dead, were dead - Questo fuoco ti ha seguito, non è rimasto nulla, sei sul terreno morto. Come posso bramarti? Ti ho fatto passare l'inferno e non sai difenderti. La mia anima ti ha infettato. Pensieri oscuri scorrono nella tua testa. Semplicemente, vorrei fossi morto. Fossi morto, morto, morto." continua il testo, ripetendo poi i versi precedenti. Seguono parole di addio, il Nostro vorrebbe rimanere, ma tutto è sbagliato; un testo astratto che ben rappresenta la confusione mentale e la mescolanza di auto disprezzo, rammarico, e paranoia del cantante.
Love & Meth
"Love & Meth - Amore & Metamfetamina" ci accoglie con un fraseggio greve, il quale poi si sviluppa in una serie di contrazioni sgraziate; inevitabile l'esplosione in un riffing da motosega, accompagnato da suoni elettronici squillanti. Ecco che Davis interviene strisciate insieme a brusii artificiali, in un subdolo mantra strutturato dalla batteria e da falcate taglienti di chitarra; al cinquantacinquesimo secondo il cantato passa al growl, mentre l'energia musicale accelera con bordate precise. Di seguito troviamo un ritornello arioso dall'atmosfera epica, come da programma; esso sfocia poi in inquietudini melodiche continuando il connubio tra elettronica e chitarra, in un percorso ormai chiaro sin dalle prime battute del disco. La ritmica prevede un ritorno al movimento contratto precedente, sul quale chitarre stridenti ed interferenze trovano posto; la conclusione dovuta e il ritorno al ritornello epico, mostrando una struttura non certo complicata, fatta per essere cantata. Al secondo minuto e trenta un arpeggio sottintende suoni testi, in una cesura pronta poi ad aprirsi dopo dei rullanti in una cascata di riff e grida disperate del Nostro; attendiamo un breve fraseggio per poi tornare sulle coordinate della melodia vocale, qui unita anche a cori effettati. Un finale insomma "pop", non fosse per l'ultimo riff finale, il quale crea continuità con il resto del pezzo; veloce, semplice, fatto per essere seguito, insomma una dichiarazione d'intenti da parte del gruppo. Il testo continua sulla stessa linea di quello precedente, trattando della dipendenza da sostanze; i sentimenti sono difficili da vedere e percepire, con tutto il caos nel nostro cuore. Ci comportiamo letteralmente come diavoli e non ci rendiamo conto degli amori che possiamo ricambiare, mentre tutta la consolazione dentro di noi si distrugge; chiediamo di essere portati via, che ci diano fuoco, perché non c'è altra via. Chiediamo di darci una ragione, perché non ne abbiamo, che cosa faremo? Compiacenti d'essere, ancora una volta, soli e solitari, come ora così per sempre; "We've been deceived. It's so easy for me. 'Cause the loathing I've had from the start. Evil disease all the hatred it breathes. As I'm down on my knees torn apart - Siamo stati ingannati. E' troppo semplice per me, a causa della rabbia che ho avuto dall'inizio. La malattia maligna.. e tutto l'odio che respira. Mentre io sono in ginocchio fatto a pezzi", posegue il testo, ripetendo poi i versi precedenti. Dove possiamo scappare e nasconderci? Abbiamo bisogno di una ragione per uscirne vivi. Altre parole quindi di confusione, rabbia, solitudine e paranoia che ben esprimono come il cantante vive la situazione; un testo convulso e sincopato che ben si adatta alla musica altrettanto ritmata.
What We Do
"What We Do - Cosa Facciamo" inizia con effetti elettronici ed inquietanti, i quali poi salgono fino al colpo di batteria che segna il passaggio a riff circolari uniti ad una ritmica protratta in avanti e basso greve; ecco che suoni dalla melodia severa sottintendono le vocals precise di Davis, in un percorso contratto dove si affacciano suoni sintetici. Esse rimangono protagoniste, creando un ritornello trascinante con suoni quasi orchestrali ed altezze emotive; ecco che poi un riffing segna il ritorno al movimento precedente in un continuo che ripropone le alternanze viste poco prima. Inevitabile quindi l'unione tra chitarre più decise ed elettronica, e il ritorno al cantato arioso supportato da aiuti in studio e melodie evocative; al secondo minuto e quattro abbiamo una marcia dubstep sulla quale Davis si da ad una cantilena lasciva, mentre chitarre spettrali prendono posto contribuendo al montante generato. Un movimento meccanico prosegue, mentre la voce torna ai lirismi pieni di effetti, collimando in un sample; ecco quindi il salire ben piazzato, il quale ci riporta al motivo portante, il quale si districa tra cori e chitarre in una soluzione ancora una volta melodica, al quale lascia spazio nel finale ad una contrazione segnata da un ultimo arpeggio e suoni sintetici. Ormai è chiaro su quali elementi i Korn hanno qui deciso di giocare, con una produzione pulita e abbondantemente filtrata dall'elettronica, e largo uso di momenti "pop" dove le chitarre, anche quando aggressive, sono ben lontane dalla rozza furia degli esordi. Il testo esprime un senso di rabbia e disagio verso una vita che va in frantumi, portandosi dietro tutto con sé; a volte le cose c'intralciano e non sappiamo esprimere i nostri pensieri; giorno si odia l'amore e si getta il peso tutto sull'altro, quasi adoperandolo come capro espiatorio. Non riusciamo a farci nulla, vivendo vite pericolose e distorte nelle quali facciamo solo finta di trovare un modo o un appiglio, un qualcosa per andare avanti; è questo che facciamo, fingere di avere un senso. I problemi però non vanno via e di conseguenza noi scappiamo, mentre tutto ci insegue e siamo confinati in una vita in decadimento, e non possiamo obbedire ai nostri pensieri, non sapendo cosa fare. "I hear the calling of the helpless stranger. He's all alone and no one gets his anger. I feel this pain everytime I'm here with you, with you. All the heartache and the fucked up insults. I find you begging on your knees, I figured. This is how it's supposed to be with you, with you - Sento il richiamo dello straniero bisognoso d'aiuto. E' solo e nessuno capisce la sua rabbia. Io provo questo dolore ogni volta che sono qui con te, con te. Tutti i crepacuori e gli insulti malati. Ti vedo implorare sulle tue ginocchia, ed ho capito. E' così che è stare con te, con te", prosegue il testo dopo la ripetizione di alcuni versi, mentre attendiamo che le bugie vengano distrutte per infuriarci infernalmente con chi le dice; ormai il tema principale del lavoro è chiaro, tra rabbia e frustrazione reiterate nelle parole dei testi, con versi ripetuti dalle rime amare e semplici.
Spike In My Veins
"Spike In My Veins - Spine Nelle Vene", inizialmente una collaborazione con Noisia per JDevil, è poi diventata un pezzo dei Korn, il quale ha perfetta collocazione in questo album pesantemente debitore della presenza del gruppo olandese qui citato; ecco quindi una chitarra filtrata in apertura, unita al farsetto di Davis, un suono dub che poi si apre con il basso e la batteria ritmata. Si configura così una marcetta controllata, la quale si mantiene tale anche quando le vocals e gli strumenti prendono un percorso più arioso; ma ecco che al cinquantaseiesimo minuto un unione tra fraseggi e d elettronica fa ad cesura, dopo al quale abbiamo bordate sintetiche alternate al ritornello ispirato del cantante, con un andamento che non può non rimandare all'ondata dubstep più commerciale dei tempi recenti. Ancora una volta quindi sintetico e chitarre s'incontrano in una soluzione semplice ed orecchiabile; ed ecco quindi il ritorno dell'andamento strisciante prima incontrato, il quale si sviluppa ancora una volta in un crescendo controllato dalla batteria avvolgente e dai fraseggi mai violenti, mentre Davis quasi sospira la sua lezione. Di seguito abbiamo la struttura elettronica dalle gelide bordate digitali, al quale ripropone quanto sentito poco prima; questa volta però si chiude con una cesura sottintesa dove il Nostro si da ad una sorta di mantra etnico da indiani d'America, dove poi intervengono loop di chitarra e drumming pulsante. Ecco che suoni stridenti e growl aprono la strada per una sorta di psichedelica, presto però risolta in un ritorno al ritornello solito, il quale prosegue questa volta con punte più cavernose, in una sequenza ossessiva coronata dalla conclusione con effetti in dissolvenza; un'elettronica non complicata e vicina al gusto dei giovani statunitensi (ma non solo), la quale, forse in modo un po' sornione, ammicca, ma trova anche posto in questi Korn decisamente più melodici e "ammansiti". Il testo tratta dell'opera di lavaggio del cervello da parte dei media, i quali ignorano l'azione di controllo da parte dei sistemi di sorveglianza sempre più presenti, e la violenza della polizia. Noi siamo coloro che prendono tutto il dolore e che cadono sulla faccia, mentre agli altri non interessa. Finalmente, però, giunge qualcuno ci fa sentire vivi, e ci spinge avanti almeno questa volta. Siamo grigi ed induriti, ed è tristemente nel nostro DNA fare quello che ci dicono, chiamandoci malati, mentre sentiamo il potere e pensiamo a come prenderne possesso, paradossalmente, forse per divenire oppressori a nostra volta e mai più oppresso. Ma come dicevamo pocanzi, c'è qualcosa che viene in nostro aiuto e ci fa capire che non dobbiamo mai scappare. Dobbiamo anzi cercare la nostra strada, il percorso, senza avere mai paura e non fidando ci di quel che dicono "i potenti". Ma il dolore c'intralcia, e chiediamo di guardarci morire lentamente, pazzi e pericolosi; non devono osare mettersi in mezzo, mentre guardiamo i pensieri nelle nostre menti e pestiamo le spine nelle nostre vene. "We are the ones reaching out in vain. Trying to solve our problems. They won't go away, go away now. You're the one that makes me feel like I'm alive. You're the one that pushes me all the time. All the time, now - Siamo coloro che cercano inutilmente qualcosa. Cercando di risolvere i nostri problemi. Non andranno via, ma non ora. Tu mi fai sentire vivo. Tu mi spingi ad andare avanti sempre. Sempre ora." prosegue il testo, ripetendo poi in modo ossessivo i versi precedenti in un mantra malsano che ben rappresenta l'opera di ipnosi prima descritta; nulla di molto elaborato, va detto, ma capace di esprimere in modo consono ai Nostri il loro messaggio.
Mass Hysteria
"Mass Hysteria - Isteria Collettiva" parte con effetti estranianti, ma puliti, i quali poi imbastiscono con bordate di chitarra e piatti ritmati una marcia che avanza inesorabile; Davis si ripropone con un ritornello supportato dagli effetti precedenti, e anche da rullanti e basso greve. Esso si apre poi in un esplosione melodica che rimanda agli Orgy e ai Deadsy, meteore del nu metal più sintetico e glam; essa rimane sottintesa fino ad un crescendo epico supportato da archi quasi orchestrali. Le similitudini con i gruppi prima citati non finiscono, e la ripetizione del titolo con chitarre a sirena non può non riportarli in mente ancora una volta; intanto si ripropongono le strutture precedenti, con il montante glorioso che trova risoluzione con parti altisonanti dove è la melodia a dominare. Al secondo minuto e diciotto un fraseggio secco e greve, ad accordatura bassa, fa ad cesura, mentre Davis ripete come in un'eco il titolo ancora una volta, sottolineato da bordate distribuite e suoni squillanti; si evolve poi in una sequenza dal cantato ritmato con al voce ansale ed aliena del Nostro, mentre la batteria istituisce una marcetta ripetuta. Ecco poi chitarre squillanti ed effetti vocali da studio, prima del ritorno alle aperture epiche, le quali collimano ancora in sezioni squillanti dove Davis ripete il titolo fino alla conclusione in dissolvenza; dei Korn insomma che traggono a piene mani anche dal passato che era a loro parallelo, provando soluzioni coerenti con la strada intrapresa da qualche anno dove glia spetti più melodici dell'elettronica vengono usati per creare un'atmosfera allucinata ed aliena. Il testo prosegue su coordinate simili al precedente, trattando dell'effetto dei media sulla gente, e sull'isteria collettiva creata appositamente verso certi fenomeni; dobbiamo svegliarci, è quasi finita, qualcosa ci sta prendendo ed ogni volta ci uccide, di giorno in giorno le onde d'urto ci fanno a pezzi. Non ci crogioliamo nella sicurezza, dobbiamo alzarci e non guardarci indietro; cavalchiamo una stella morta in un oceano che brucia, siamo come una supernova con il fuoco che brucia in noi, in un'isteria collettiva. "Giving up. I won't stop fighting. Bring it on, it wont phase me. Everytime it makes me stronger. With day to day. Shockwaves shatter me - Arrendendosi.. no, non smetterò di lottare! Fatevi avanti, non mi fermo. Ogni volta mi rendete più forte. Di giorno in giorno. Onde d'urto mi spazzano via", continua il testo, ripetendo subito dopo i versi precedenti seguendo la formula base del disco; ancora una volta parole disperate dalle immagini stratte che mostrano dissidi interiori ed esteriori filtrati con grandiosità apocalittiche. Davis non sarà certo un poeta, ma trova sempre le parole adatte alla musica del gruppo e al suo pubblico, spesso giovane e alla cerca di riconoscersi nei testi ascoltati; perdura il clima tematico fatto di cinismo e rabbia verso vari aspetti della vita, con una certa disillusione.
Paranoid And Aroused
"Paranoid And Aroused - Paranoico Ed Eccitato" ci accoglie con uno strano valzer sintetico dai cori ripetuti, il quale però presto viene sostituito da un effetto in salire, il quale si apre in un riffing squillante dalle suggestioni ammalianti; ecco che Davis arriva con il suo tipico cantato ritmato, mentre le chitarre si danno a loop contratti sottolineati da suoni elettronici. Al cinquantunesimo secondo suoni dubstep e bordate fanno da cesura, dopo al quale troviamo il solito ritornello melodico, questa volta però più disturbato dalle interferenze, quasi a voler rispettare il titolo; si torna poi all'andamento precedente, con tutte le alternanze già viste, e con la stessa conclusione. Largo quindi ai cori a squarciagola, mentre la strumentazione squillante e contratta tesse le sue trame in sottofondo; la cesura questa volta prevede un riff con effetti vorticanti, sul quale la voce del Nostro torna con effetti a megafono, dandosi poi ad un growl violento unito alla batteria ritmata. La soluzione di tutto è per l'ennesima volta affidata al lato melodico del tutto, con una struttura molto semplice giocata sulle alternanze riproposte secondo schema nel pezzo; riecco quindi anche il trotto ritmato con il cantato di Davis in chiusura, dai toni esaltati e violenti, il quale s'infrange contro un feedback arioso il quale porta conclusione al tutto. La linea dell'album è ormai ben confermata, anche se qui trova forse uno sfogo più disturbante, ma sempre filtrato da una produzione impeccabile, la quale però smussa qualsiasi asperità in favore di un suono molto commerciale; i puristi del gruppo non gradiranno, le nuove leve probabilmente si, fatto sta che questi sono i Korn della seconda decade del millennio, con tutti i pro e i contro del caso. Il testo prosegue nel narrare lo stato mentale alterato di Davis durante il periodo di stesura dell'album; ci chiede aiuto perché si sta spezzando, e il suo cuore batte a malapena, mentre i demoni si aggirano intorno a lui. Sta annegando, e i polmoni incamerano aria con enorme fatica, mentre gli angeli lo posano a terra; tutti guardano, ma nessuno emette un suono, le ombre ingannano, e si sente paranoico ed eccitato. Ci chiede ancora aiuto, trema e le sue budella fanno male, mentre i demoni ridono forte. Chiede di essere risparmiato mentre sprofonda e il suo volere scompare mentre gli angeli lo posano sul terreno; "My mind is debating, these lesions are making. This mess is sedating, the power embracing. The bullshit I'm facing, my feelings of hating. Reality is failing, this shit is degrading - La mia mente dibatte, queste lesioni compaiono pian piano. Questo casino è sedante, il potere avvolgente. Le cazzate che affronto, i sentimenti di odio. La realtà cade, questa merda è degradante", prosegue il nostro, mentre tutti guardano senza fare nulla; parole ben adatte al titolo della canzone, che cementifica l'idea generale del mondo tematico dell'album, tra allucinata paranoia e sconforto con connotati al limite del delirio. I versi si ripetono per l'ennesima volta, ripetendo le immagini legate a demoni ed angeli, sprofondamenti nel silenzio, e parti del corpo doloranti e sfinite; un martirio mentale che è una tortura insopportabile protratta da un destino avverso.
Never Never
"Never Never - Mai Mai" è uno dei singoli del disco, introdotto da una sorta di carillon, sul quale Davis sospira il ritornello, insieme ad un effetto in levare; ecco quindi che esplode il fraseggio epico unito a contrazioni elettroniche e alla melodia iniziale. Al quarantaquattresimo secondo una marcia ritmata si prolunga insieme al cantato suadente, mentre non mancano disturbi sintetici in sottofondo; ecco quindi il ritornello arioso supportato da coretti e chitarre mai troppo violente, er un altro episodio dall'animo molto pop. Continua quindi il motivo precedente, sempre supportato da falcate ritmate e da contrazioni elettroniche; inevitabile il ritorno del ritornello, il quale si dilunga fino al secondo minuto e dieci. Qui effetti elettronici sfociano dopo al ripetizione del ritornello sospirato in esplosioni dubstep con le loro dissonanze artificiali; una pausa insomma da club, la quale vuole essere una dichiarazione d'intenti, sottolineata dallo sfociare nuovamente nel ritornello portante, il quale prosegue ossessivo fino al finale segnato da una dissolvenza. Un songwriting insomma cristallino, per nulla complicato, il quale offre probabilmente ben poche sfide agli ascoltatori più smaliziati, vedendo in pratica un ritornello eterno alternato da alcune sezioni di chitarra e dal momento elettronico centrale; di sicuro un pezzo dalla facile presa, ma anche uno dei meno metallici (se vogliamo ancora considerare questo aspetto) e più sui generis di tutto l'album. Il testo tratta delle relazioni che falliscono, e di quelle cose che cerchiamo di non ripetere ma che in realtà facciamo sempre, nonostante gli sforzi. Si parte subito con dichiarazioni di disaffezione, giurando di non innamorarsi mai più, nemmeno di fare finta. Non si vuole più dover provare, perché anche se si mente non funziona.. non si vuole neanche morire, ma dentro di noi la morte attende: quindi si scappa e ci si nasconde. Si ripete dunque il ritornello iniziale, come in una promessa reiterata sotto forma di scongiuro. "I don't ever wanna satisfy, 'Cause things inside are doing fine. I don't ever want to multiply, 'Cause deep inside I'm not qualified. And I never wanna clarify and justify so I run and hide. And I never wanna signify so I pacify all the hate inside - Non voglio nemmeno soddisfazione, perché dentro sto bene. Non voglio nemmeno moltiplicarmi, perché in fondo so di non meritarlo. E non voglio nemmeno chiarificare e giustificare, quindi mi nascondo dentro di me. E non voglio significare, quindi calmo l'odio dentro", continua il testo, ripetendo poi il ritornello allo sfinimento fino alla fine. Un testo abbastanza semplice e chiaro nel suo messaggio, pessimista verso le relazioni, e forse un po' adolescenziale nella sua reazione ripetuta. Insomma, nulla di filosofico o profondo, ma chi segue i Korn non si aspetta di certo nulla del genere; si continua quindi con un paesaggio lirico fatto di rammarico e sfiducia verso tutto, anche se stessi, oltre che gli altri.
Punishment Time
"Punishment Time - Tempo Di Punizione" parte con un riffing elettronico vorticante, il quale sale con una bassline terremotata; ecco che il suo andamento viene ripreso da dissonanze mathcore, dal sapore moderno e legato alle tendenze della scena groove e metalcore. Al quarantatreesimo secondo abbiamo il cantato in farsetto di Davis, accompagnato dal funk di chitarra e basso, con un andamento suadente sottolineato dalla batteria strisciate; esso viene interrotto dalle asperità precedenti, le quali collimano però subito in un ritornello arioso ed ammaliante, come da copione. Torna quindi il movimento felpato, in un'alternanza contratta che non rinuncia ancora una volta alle esplosioni altisonanti, ancora una volta subito sostituite dalla melodia ariosa; essa vede l'unione di chitarre e linee eteree, in un effetto ancora una volta pulito e molto improntato sul facile ascolto. Ecco che al secondo minuto e venti un arpeggio fa ad cesura, unito a ritmi trip hop ed un cantato angelico, con un'atmosfera molto lounge sorretta dallo strumento a corda e da un'elettronica avvolgente; riesplodono poi le dissonanze taglienti, le quali collimano in alcuni effetti disturbati, prima di dare ancora una volta spazio al ritornello melodico. Dopo alcuni rullanti di batteria pestati abbiamo un growl finale sorretto dalle squillanti dissonanze, in una chiusura che vuole essere più caotica; insomma alcune suggestioni legate al passato, ma filtrate pesantemente dalla sensibilità degli ultimi Korn e della produzione sintetica che nulla lascia a qualsiasi grezzo suono. Il testo esprime la sensazione di essere sempre sotto osservazione e giudizio, vittime dell'inevitabile punizione che ci attende; si cammina sulla lama del rasoio facendo attenzione a non superare la linea, ogni piccolo passo equivale al momento giusto per essere puniti, e ora arriviamo alla fine della lama, scivolando dall'altra parte. Combattiamo solo per sopravvivere, non c'è un domani, e nemmeno un oggi; perdiamo la nostra mente, il nostro cuore diviene pesante. Combattere o scappare, mentre perdiamo ogni scampolo di lucidità. "I'm hanging like a bat today. Crucified by design. Every little move I make. It's punishment time. Now I'm sleeping on a bed of nails. They're breaking through one at a time. Cause every little move I make. The punishment's mine - Sono appeso come un pipistrello, oggi. Crocefisso per antonomasia, ogni piccolo movimento che faccio è una punizione. Ora dormo su un letto di chiodi. M'infilzano uno ad uno. Perché ad ogni movimento che faccio, la punizione è mia.", continua il testo, riprendendo poi i versi di poco prima; non si dà e non si prende, provando fino alla morte, cercando qualcosa dentro di sé che ci faccia dimenticare. Parole di desolazione, attendendo l'inevitabile destino che sempre si ripete; vani sforzi si rivelano un'arma controproducente, in un gioco truccato dove si può solo perdere.
Lullaby For A Sadist
"Lullaby For A Sadist - Ninnananna Per Un Sadico" si apre come una ballad con un arpeggio delicato sottinteso da suoni evocativi in sottofondo; Davis parte poi supportato dalla batteria cadenzata e dal basso, in una nenia costante protratta fino al trentasettesimo secondo. Qui il riffing si fa elettrico, mentre il cantato passa ad una filastrocca ritmata in farsetto, anticipando l'inevitabile ritornello; esso usa i soliti modi, tra voce ariosa con effetti e chitarre epocali, creando una facile risposta emotiva basata sulla melodia malinconica. Segue una breve cesura in arpeggio, la quale lascia posto alla ripresa delle delicatezze iniziali, le quali seguono la stessa evoluzione già incontrata, infrangendosi contro i giri taglienti di chitarra e il cantato con cori in sottofondo; nuove aperture ariose vanno a dominare il tutto, fino ad un trittico di chitarra e batteria incalzante, il quale evolve in un montante oscuro con un Davis con modalità maniacale, il quale striscia fino al termo minuto e due. Ora troviamo una sorta di cantilena etnica, supportata da chitarre severe e dall'atmosfera epocale; il tutto si interrompe con un arpeggio, seguito da una calma ripresa del ritornello, dove vocals e chitarre delicate si uniscono fino al finale. Il lento del disco, il quale gioca ancora di più sulla melodia, usando qualche interruzione e parti centrali più "robuste" per creare contrasto; tenendo fede al titolo una ninna nanna malata nelle intenzioni, giocata su un songwriting sempre diretto e privo di complicanze tecniche di ogni sorta. Il testo tratta delle relazioni morbose e violente, dove si crea una malsana dipendenza tra vittima consenziente e carnefice; si cammina in cerchio, e già tempo fa si era chiesto aiuto, ma comunque ci si è persi ogni volta nutrendo una fame interiore che non cessa mai, mentre una voce dentro ci divora, quasi forse forse noi volessimo veramente essere trattati come delle marionette ed umiliati. Inizia quindi una filastrocca malata, coni versi "One, I love hurting you. Two, I love your pain. Three, let's get together and play the sinner's game. Four is for the torture and Five is for the shame. Cause every time you want it. I get off on this game - Uno, amo farti male. Due, amo il tuo dolore. Tre, uniamoci e giochiamo al gioco del peccatore. Quattro sta per tortura e cinque per la vergogna. Perché ogni volta che lo vuoi, mi eccito con questo gioco", i quali esprimono la natura morbosa e malata del testo. L'altra persona ha voluto giocare e ora persegue un certo ideale di freddezza nei nostri riguardi, trattandoci come un gioco. Ma non è un gioco, questo, e la nostra vita verrà divorata dall'altro o altra, non potendoci noi far davvero nulla. Egli/ella sorride davanti al nostro dolore, sapendo di aver già vinto. Esultando, pianta un seme nella nostra testa, e noi lo guardiamo crescere distruggendoci dentro, mentre la carogna sorride davanti alle lacrime. Tutta questa sadica ninna-nanna consiste in tutto ciò che abbiamo: un piacere sadico, al quale l'altro-a si attacca. Un testo a tratti un po' imbarazzante, che forse fallisce sia nell'inquietare davvero, sia nell'esprimere in modo consono la natura dell'abuso emotivo, mentale e fisico, perdendosi in esagerazioni e semplificazioni che sembrano più voler scioccare ed essere "edgy".
Victimized
"Victimized - Vittimizzato" ci accoglie con suoni EDM in levare, mettendo ancora una volta in bella mostra la componente elettronica del disco; ecco all'undicesimo secondo un riffing nervoso, unito a disturbi sintetici, il quale poi si libera in una corsa ritmata con il cantato di Davis e rullanti tribali. Troviamo come da copione un ritornello emotivo dove elettronica, cantato epico e chitarre ariose concorrono all'effetto totale; esso viene seguito da un ritorno del riffing in montanti, sempre lanciato e proteso verso davanti, mentre la parte lirica si da a punte concitate. La conclusione non può che essere un ritorno alle melodie elettroniche di tastiera e ad un Davis dall'interpretazione melodica supportata dalle chitarre controllate; ecco che al secondo minuto e quattro un fraseggio elettrico fa da cesura, raggiunto presto da arpeggi squillanti e vocals con effetti, instaurando un crescendo sottolineato da rullanti ritmati di batteria e dall'interpretazione sofferente del cantato. Si esplode quindi con un tripudio di tastiere e batteria, sul quale riprende il ritornello portante, in una sequenza trascinante; il finale è affidato in un montante roccioso che riprende il motivo iniziale, chiudendo il cerchio. Il testo ritorna sul tema del sentirsi traditi dalla vita e resi vittime senza possibilità di difendersi; le nostre vite sono false e non significano nulla, i nostri sogni sono perduti ed alla fine si rivelano essere solo fantasie. Quante volte siamo stati mal guidati? E le nostre speranze fatte a pezzi? Questa vita non significa nulla per noi. Vittimizzati, ingannati, un velo nero di follia ci schiaccia come fuoco che sconfigge ogni nostra malattia, ma che ci inganna. "Our hearts are free. Does that mean anything? Do what we're told. Self-seeking hypocrisy. How many times have you been misguided? How many times have your hopes been smited? This life means fuck to me - I nostri cuori sono liberi. Significa qualcosa? Facciamo quello che ci viene detto. Un'ipocrisia che si cerca da sola. Quante volte sei stato mal guidato? Quante volte le tue speranze sono state distrutte? Questa vita non vale un cazzo per me", continua il testo, mentre il velo nero viene per noi, una follia che arriva, mentre chiediamo di essere liberi. I versi vengono quindi ripetuti con ossessione, come in una supplica disperata che continua fino alla conclusione.
It's All Wrong
"It's All Wrong - E' Tutto Sbagliato" è il finale della versione standard del disco, introdotto da un'elettronica ambient presto sostituita da un riffing squillante dal gusto groove, il quale però viene interrotto con gusto dubstep da effetti sintetici; ecco che parte la sua ripresa da parte di chitarre a motosega controllate, mentre Davis compare con un cantato sospirante e fragile, quasi in una supplica. Al cinquantaduesimo secondo synth spettrali, chitarre in montanti rocciosi, batteria e vocals epiche instaurano il ritornello, il quale ha una punta caotica con asperità distorte; riecco quindi l'andamento strisciate e "funky", il quale avanza lento tra elettronica e chitarre. Inevitabile il ritorno al ritornello alieno, il quale questa volta si interrompe al secondo minuto e dieci con un momento dalle bassline in levare; esso fa da apertura per una sequenza di chitarre taglienti e tastiere epiche, sulle quali Davis presenta anche punte più aggressive. Si torna poi ai montanti di chitarra, i quali sfociano in una ripresa dei synth vorticanti e del cantato emotivo, mentre la batteria sorregge il tutto ritmicamente; il finale vede un'ultima sequenza di bordate ripetute fino alla chiusura. Ennesima unione dunque di elettronica di tendenza e modi groove/nu metal, senza mai ferire davvero e prediligendo il gusto per la melodia e le atmosfere sintetiche; marchio di fabbrica, è ormai chiaro, di questi Korn del nuovo millennio. Il testo non si discosta da quanto fin qui visto, trattando dell'ingiustizia nella vita, e di come le cose non vadano nel modo giusto. Ci si chiede come andrà oggi, continuando a controllare la propria anima, chiedendosi perché dobbiamo continuamente disobbedire a questa, non riuscendo mai a fare quel che lei ci suggerisce, quel che noi realmente vorremmo fare ma non possiamo, perché vinti dai nostri demoni e dalle nostre paure. Quante volte si deve morire, in un giorno? Nulla funzionerà oggi, e si uccide il tempo mentre si cerca un modo per tirare avanti. Tutto è sbagliato, perché il proprio demone personale ha di nuovo vinto. Ci si chiede se siamo stati depistati, dando al colpa a chi si prende la ragione, chiedendoci cosa pensiamo che farebbero,se non attaccare l'altare; si ripetono quindi i versi di poco prima in una cantilena accusatoria. "I'm done with faceless feelings. I'm done with anything. I'm done trying to support you and sacrificing everything - La faccio finita con i sentimenti senza volto. La faccio finita con tutto. La faccio finita con il cercare di aiutarti sacrificando tutto", continua poi il testo, riproponendo poi subito dopo le frasi di poco prima ancora una volta, in un mantra ossessivo che costituisce un testo basilare e minimalista, il quale evoca ancora scenari di depressione. Insomma nulla di nuovo per un lavoro non certo allegro, una valvola di sfogo per un punto di rottura nella vita di Davis, vittima della depressione e dei farmaci da lui presi per cercare di fuggire da essa.
Bonus Tracks
"Wish I Wasn't Born Today - Oggi Vorrei Non Essere Nato" parte con disturbi in salire, i quali collimano in un riffing devastante con batteria cadenzata; si uniscono fraseggi nervosi, basso pulsante e cantato ispirato di Davis, in una ripresa filtrata dei loro classici stilemi. Anche qui il ritornello è dietro la porta, con grandiosità quasi orchestrali e melodia anche nel cantato, per un effetto "bombastic" ampliato dalla produzione; un riffing elettrico taglia il tutto, introducendo poi il ritorno del movimento iniziale. Esso segue le modalità precedenti, riaprendosi ancora al ritornello epico, il quale si prodiga nei suoi andamenti ariosi fino al minuto e quarantotto; qui il basso ci da un effetto dissonante, sul quale poi partono piatti cadenzati e bordate meccaniche. Ci si libra quindi in un epico fraseggio, dove percepiamo anche colpi d'incudine semi-industriali, aumentando al sinfonia ottenuta; la conclusione non può che essere, dopo effetti vorticanti, il ritorno alla melodia, la quale però viene presto sostituita da una conclusione terremotata dove è la chitarra ad essere protagonista. Il testo segue la linea di quelli dell'edizione standard dell'album, aggiungendo l'autocommiserazione alla ricetta della negatività esposta. Cadiamo in un burrone di dispiacere, ma non c'interessa, cerchiamo di prendere della felicità, anche per solo quattro secondi tuttavia non riuscendoci. Ci sentiamo quindi vuoti, chiediamo di essere riempiti ma subito dopo urliamo a chi cerca di aiutarci di andarsene. Dubitiamo sull'avere un domani, quindi cerchiamo di fare del meglio oggi; chiediamo ora di essere tenuti perché stiamo cadendo, uccidendo le ondate di vergogna, e non ci sentiamo bene mentre desideriamo non essere nati. "I'm starting to break my devotion. What does that mean anyway? Running into signs interwoven. So much that it gets in my way. I'm starting to feel so hollow. Fill me up then go on your way. I doubt I'll be leasing tomorrow. So I'll just do my best anyway - Sto iniziando a distruggere la mia devozione. Comunque che significa? Correre dentro segni interconnessi. Così tanto che m'intralciano.. inizio a sentirti così prosciugato. Riempimi e poi va per la tua strada. Dubito che mi affiderò ad un domani. Quindi farò comunque del mio meglio", prosegue il testo, ripetendo poi il verso precedente per ben due volte; ancora una volta parole piene di disagio e disperazione, ripetute senza molte complicanze testuali.
Tell Me What You Want
"Tell Me What You Want - Dimmi Cosa Vuoi" si apre con una fanfara epica e vorticante di riff militanti, elettronica vorticante e batteria; essa evolve in chiave ancora più concitata grazie alla vocals di Davis e all'elemento ritmico ancora più incalzante e decisa. Si esplode di seguito con un growl di vecchia scuola per i Nostri, supportato dalle bordate contratte in un andamento nervoso; ecco poi il ritorno alla tensione trattenuta precedente, grazie ai suoni squillanti da sirena e ai movimenti incalzanti di drumming. Non con molta fantasia, subito si torna al ritornello violento ed esplicito, il quale poi lascia posto ad un'unione di elettronica stridente e suoni vorticanti, mentre Davis usa una voce aspra e strisciante intersecandosi nella musica; si evolve quindi con montanti circolari di chitarra, piatti cadenzati e grida, finendo di nuovo nel ritornello pulsante. La sezione finale vede un'orchestrazione di tastiere e chitarre, presto però interrotta da una digressione di chitarra con feedback; un episodio molto buono, che avrebbe meritato di essere usato nella versione di più larga diffusione dell'album, data la sua carica maggiore e la sua sincera vicinanza ai Korn più energici ed aggressivi. Il testo esprime avversità verso il prossimo, con parole dirette e chiare. Gli chiediamo senza troppi fronzoli che cosa mai possa volere, mandandolo a quel paese e dicendogli di non tornare più, il tutto in un contesto a dir poco perentorio e privo di fronzoli lessicali. Si prosegue poi con il verso "I'm gonna cry to dive right in. I'm gonna fight until I win now. I'm running down in a pool of sin. Letting go, giving in! - Piangerò per immergermi nelle mie stesse lacrime. Combatterò fino a vincere, ora. Sto scendendo in una pozza di peccato. Mi lascio andare, ci do dentro!", una vera e propria dichiarazione d'intenti, sparata dritta nel volto di chiunque cerchi di scoraggiare il protagonista. Si ripetono poi i versi precedenti in un mantra ossessivo che domina il pezzo fino alla sua conclusione; insomma ancora una volta un testo diretto e dai termini ripetuti, chiaro per tutti, il quale è pregno di asocialità, memore dello stato mentale del cantante.
Bonus Track
"Die Another Day - Morire Un Altro Giorno" parte con un fraseggio filtrato e vorticante, dai toni dub, il quale prosegue con tastiere mentre Davis s'introduce con un cantato nasale unito ad effetti elettronici ed arpeggi grevi; ecco rullanti in levare, i quali esplodono in un bel movimento incalzante, sul quale evolve un ritornello epico e veloce, dalle falcate taglienti e dalle asperità squillanti. Ecco quindi bassi elettronici che fanno da cesura con cori sentiti, presto però sostituita dalla ripresa dell'andamento iniziale con drumming ritmato; riecco poi i rullanti in salire, i quali sfociano ancora una volta nel possente ritornello, seguito da melodie malinconiche elettroniche e cantato altrettanto emotivo. Al secondo minuto e dieci toni da club e voce filtrata creano un andamento ripreso da loop di riff nervosi e disturbi sintetici digitali; una drum machine pestata si accompagna ad un fraseggio tribale, in una marcia protratta che ci porta verso nuovi ritmi incalzanti. Si sale quindi d'intensità, fino al ritorno del ritornello trascinante, il quale si arricchisce di falcate rocciose di chitarra proseguendo fino alla conclusione; essa vede nuove bordate squillanti, le quali continuano fino al gran finale relegato al silenzio. Il testo è l'ennesimo prodotto dell'alienazione provata dal cantante durante il periodo di stesura dell'album, legata alla sua depressione e ai fatti che accadevano intorno a lui. La follia gira intorno a noi, e la pressione prevediamo che salirà, mentre l'alienazione ci bracca creando paranoia. Scappando lentamente da un naufragio che sta avvenendo, chiediamo di non essere cercati. A volte prendiamo tutto, e niente c'intralcia, ma dobbiamo combattere e strisciare, andare avanti anche con il fisico distrutto.. per morire un altro giorno, ma non quello che stiamo vivendo. "Misery often misleads. It creates things we cannot see. Excessive thoughts are bound. Distorting reality - La miseria spesso inganna. Crea cose che non possiamo vedere. Pensieri eccessivi sono legati ad essa e distorcono la realtà." prosegue il testo, mentre scappiamo lentamente da un massacro che avviene e non vogliamo che ci cerchino; chiediamo se c'è qualcuno che ci ascolti, ma in realtà non c'interessa. Proseguono poi come da modus operandi i versi precedenti in una ripetizione ossessiva; insomma nulla di nuovo sotto il Sole rispetto all'impianto lirico dell'album nella sua parte principale.
Bonus Tracks
"Hater - Colui Che Odia" parte con un cantato delicato unito ad un fraseggio ben condotto, sui quali troviamo un suono malinconico e batteria in levare; ecco quindi che parte un suono tagliente con effetti elettronici, il quale da il via ad un movimento strisciate con bassline sottintesa e ritmica cadenzata. Davis prosegue con il suo cantato ammaliante, aprendosi insieme alla strumentazione orchestrale a ritornelli ariosi; otteniamo così una sorta di nuovo lento parallelo, con modi però leggermente diversi, a "Lullaby For A Sadist". Esso va poi infrangendosi contro montanti vorticanti e suoni elettronici, riportandosi alle coordinate precedenti tra linee spettrali e struttura contratta di ritmica e voce; intervengono anche cori, mentre torniamo al ritornello emotivo con tanto di tastiere, le quali inevitabilmente si chiudono con sessioni squillanti. Una sequenza ariosa fa da cesura, tra digressioni, cantato filtrato, batteria cadenzata ed atmosfera onirica; esso sale poi con rullanti, riaprendosi al ritornello dalle chitarre evocative e dagli arpeggi di basso, mentre istanze vocali filtrate si ripetono in un mantra sintetico. Il finale vede un ritorno dei montanti squillanti, il quali si uniscono ad alcuni effetti elettronici mentre Davis ripete ossessivo le sue parole; un episodio piacevole, che però nulla aggiunge a quanto visto nel disco, sottolineando la sua natura di traccia aggiuntiva. Il testo tratta dell'essere odiati ed invidiati, cosa che almeno una volta succede a tutti nella vita, toccando anche il tema del bullismo, da sempre un punto forte del mondo lirico dei Nostri. Gli altri non possono buttarci giù, la nostra vita è già sconvolta, cavalchiamo anche solo per altri motivi una spirale verso il basso, e non è il caso che qualcosa si aggiunga a tutto questo. Continuiamo quindi a volare e combattere, perché non ci faremo abbattere. Stiamo bene, la vita è divina, non c'è odio e vergogna, nessuno da incolpare, gli altri possono disprezzare la loro vita con menzogne, ma non giudichiamo, anche se gli altri pensano di poterlo fare. Viene di seguito ripetuto il primo verso, mentre poi si prosegue con "I can't escape from the disdain. Your heart, your pain. Your drama is lame. Why can't you find, Some peace inside? I won't chastise. Even when you think you can - Non posso fuggire dal disprezzo. Il tuo cuore, il tuo dolore.. la tua tragedia è patetica. Perché non sai trovare un po' di pace interiore? Non ti giudicherò. Anche se tu pensi di poterlo fare", continuando poi con una riproposizione duratura dei versi precedenti fino alla conclusione. Un messaggio insomma di forza di fronte agli attacchi altrui, con piena consapevolezza di sé stessi; un testo insolitamente positivo per i Korn, che evitano qui facili vittimismi ed anzi, sembrano rimproverare chi finge di star male con il preciso scopo adoperare poi un fintissimo status di "disagio" per suscitare pietà, prendendo in giro chi soffre veramente.
The Game Is Over
"The Game Is Over - Il Gioco E' Finito" ci accoglie con un colpo di batteria, seguito da rullanti sui quali si staglia un fraseggio teso, in un crescendo ritmico costante; ecco che al diciassettesimo secondo riffing sintetici e piatti dai cimbali pulsanti esplodono in un fragore esaltante. Davis interviene con un cantato altrettanto ritmato, collimando così in un ritornello contratto ed altisonante, il quale poi si da ad arie epiche con tastiere e groove ben presente; si torna quindi ai torrenti sintetici, i quali ridanno posto all'andamento pulsante iniziale. Riecco quindi i toni altisonanti, i quali introducono nuovamente il ritornello dalle tastiere orchestrali e dal cantato con effetti evocativo; d'improvviso ci si interrompe con una pausa, dove elettronica retro, basso e voce filtrata si danno a toni quasi cosmici, mentre la batteria striscia cadenzata. Un effetto in salire ridà spazio ai riff sintetici, i quali creano un ritmo ossessivo, poi contratto da un groove con archi campionati; inevitabile il ritorno del ritornello epico, il quale prosegue con toni sempre più emotivi con il cantato in farsetto di Davis, fino alla conclusione del pezzo. Molta elettronica qui, per un episodio semplice e diretto; chi apprezza il resto del disco, non avrà qui nulla di cui lamentarsi. Il testo è vagamente legato a d un tema di ribellione, tra l'esistenziale, il sociale e il semi-politico, pur non esplicitandosi mai in nessuno di tali sensi. Sentiamo il vuoto perché è come se fossimo "in missione" pur non essendo soldati o eroi. Una missione che sembra essere la vita stessa, rasentante la guerra vera e propria. Abbiamo una visione, quella di liberare e distruggere il sistema, perché il gioco è finito. Ora ci siamo dentro, divertendo il pubblico, disposti a morire pur di vedere gli altri cadere, portando a terra il potere, senza freni. "I am a threat to the opposition. I am no hero, I just have a vision. To terminate and restore this kingdom. The game is over, the game is over - Sono un pericolo per l'opposizione. Non sono un eroe, ho solo una visione.. per terminare e ricreare questo regno. Il gioco è finito, il gioco è finito." continua il testo, perché tutto ciò che vediamo quando sogniamo è colui che vogliamo distruggere, ed è inutile che si nasconda, perché saremo dietro ad ogni porta per lui. Chiediamo se è pronto a combattere, perché siamo incavolati e sorgiamo, avendo gettato la spugna tempo fa; si ripetono poi versi precedenti con la solita ossessione furiosa.
Conclusioni
In sostanza, ci troviamo dinnanzi ad lavoro che, come già detto, non rivoluziona di certo il mondo della musica o la figura dei Korn, ma li rivitalizza nei confronti di una carriera sicuramente mai morta, ma che ha avuto alcuni punti bassi in un contesto molto legato alle mode e agli interessi mutevoli del pubblico. Molto pesa anche la produzione, elemento che ha sempre fatto la differenza negli album dei Nostri, la quale vede come dicevamo nell'introduzione l'apporto di Don Gilmore, esperto in campo mainstream. Senza scordarsi poi l'apporto di Jasen Rauch e del gruppo olandese di elettronica Noisia. Insomma, elementi che danno al tutto un taglio pulito e, va detto, patinato, che si adatta a quel "rock duro" (anacronistico ormai parlare di metal con loro) levigato ed adatto ad MTV; queste parole forse faranno venire la voglia di armarsi di pietre a qualcuno, ma bisogna comprendere ciò che si ha davanti. I Korn non sono certo parte di un contro-movimento musicale agli antipodi del sistema ufficiale, bensì da anni (molti) rappresentano una faccia proprio di quest'ultimo, quella che offre una sicura e controllata parvenza di ribellione per un pubblico spesso adolescente che necessita di avere dei punti di riferimento; certo per anni probabilmente quest'ultimo ha considerato la band come dei dinosauri di un'epoca che non ha vissuto, ma il mondo dello showbiz musicale è fatto di eterni ritorni, e pare che ora la buona sorte stia sorridendo di nuovo ai nostri cinque. Come valutare dunque un lavoro su questi presupposti? Semplice, in base al grado d'intrattenimento raggiunto; esso è qui ben strutturato, tra cori dove la voce di Davis, la quale negli anni ha perso un po' di smalto, viene aiutata dalla tecnologia, e dove l'elettronica "di grido" viene usata in supporto della melodia accattivante e dei ritornelli che fanno da perno, supportati da chitarre mai troppo aggressive o taglienti, ma presenti così come la base del basso e la ritmica di batteria, la quale svolge il suo lavoro senza particolari evoluzioni. Un buon prodotto, perché di un prodotto parliamo, che si fa ascoltare, proponendo un universo lirico a cui ormai siamo abituati, non certo colto o sviluppato, e cementifica l'immagine dei Nostri; svestiti i panni dell'incertezza, ora la propria identità viene apertamente abbracciata dal gruppo, senza paure o pudore. Elettronica, riferimenti al mondo dell'adolescenza, il cantato nasale di Davis: tutti elementi che ormai costituiscono le caratteristiche dei Korn, i quali da un lato non nascondono il loro disprezzo, ormai espresso da anni, nei confronti di quell'etichetta che tanto ha fatto la loro fortuna all'inizio, ma dall'altro sanno che non potranno mai staccarsi del tutto da essa e dall'immagine che si sono creati. Concerti, video, interviste, articoli, tutto questo continuerà nella vita di mestieranti che fanno egregiamente il loro lavoro, con tutti i loro limiti; chi li disprezza continuerà a farlo, considerandoli i progenitori di un peccato originale che ha alsciato un onta sul mondo del metal, chi li adora continuerà a seguirli. Sicuramente per loro tutto questo è meglio del silenzio mediatico, orrore al quale a suo tempo hanno dovuto assistere; va dato atto in ogni caso del fatto che mai hanno gettato la spugna, e se ora alcuni colleghi sono tornati dopo pause più o meno lunghe, i Nostri non sono mai spariti, facendo nel bene e nel male quello che gli pare. Insomma, possono cambiare i paradigmi, ma chi si rivolge ai termini di riferimento, conserva di base molte abitudini e tendenze del passato; "You Know What You Are" recitavano poco fa, ma forse solo ora questa frase trova pienamente senso, in un lavoro che non cerca di ripetere un passato ormai andato, ma nemmeno di essere qualcosa di diverso da quello che ormai i Korn, over quaranta e con conti in banca importanti, sono nella nostra epoca.
2) Love & Meth
3) What We Do
4) Spike In My Veins
5) Mass Hysteria
6) Paranoid And Aroused
7) Never Never
8) Punishment Time
9) Lullaby For A Sadist
10) Victimized
11) It's All Wrong
12) Bonus Tracks
13) Tell Me What You Want
14) Bonus Track
15) Bonus Tracks
16) The Game Is Over