KORN
The Nothing
2019 - Roadrunner
DAVIDE PAPPALARDO
27/09/2019
Introduzione Recensione
Rieccoci insieme per affrontare un nuovo viaggio nella discografia dei californiani Korn, la band capitanata da Jonathan Davis che ha fatto letteralmente esplodere il fenomeno nu-metal negli anni '90, e che oggi rimane attiva con più di vent'anni di carriera. Siamo giunti alla loro tredicesima fatica, ovvero l'album "The Nothing - Il Nulla", pubbblicato dalla fida Roadrunner Records; un lavoro che arriva dopo anni molto difficili per il frontman, durante i quali ha perso sia la moglie che la madre, che lo hanno portato ad una forte crisi esistenziale e fatto riemergere la sua sempre latente depressione. I compagni di band James "Munky" Shaffer e Brian "Head" Welch (chitarra), Reginald "Fieldy" Arvizu (basso) e Ray Luzier (batteria) si uniscono quindi al cantante per creare un'opera che mette in musica quello che è anche il suo titolo, ispirato all'antagonista della "Storia Infinita", ovvero il vuoto esistenziale e la consapevolezza della realtà dell'esistenza umana destinata a confrontarsi sempre con la sua caducità. Il risultato sembra essere stato graziato da una verve artistica e da una sincerità nella performance e nei testi che hanno conquistato la critica, raggiungendo un livello di consenso da tempo sconosciuto alla band, per quanto il precedente "The Serenity Of Suffering" avesse avuto un buon riscontro grazie alla sua ripresa di suoni e modi del passato dei Nostri. Se è vero che "The Nothing" non è un'inversione totale, è anche corretto però dire che il gruppo non si è adagiato sugli allori semplicemente ripetendo la formula del lavoro che lo ha preceduto. Conviene prima di tutto fare il punto della situazione: nati a Bakersfield nel 1993 da varie incarnazioni di band precedenti, tra le quali gli L.A.P.D e i Creep, la band vede inizialmente James Shaffer, Reginald Arvizu, David Silveria unirisi a Brian Welch e Jonathan Davis, precedentemente cantante degli SexArt. La loro forza era quella di essere un gruppo di persone "diverse", freak per gli standard della società americana dell'epoca, dalle influenze musicali disparate e con storie di bullismo costante a scuola, nonché di isolamento e traumi infantili, elementi che segneranno indissolubilmente il suono e le tematiche dei Korn facendo da fondamento per quelli che diventeranno i topoi del futuro movimento nu metal. In particolare, Davis era totalmente alieno alla figura del tipico singer metal, un amante della new wave e del look dark (si narra che fino al consulto con un veggente fosse stato restio ad unirsi al gruppo), con un bagaglio di abusi subiti che influenzeranno sempre suoi testi. Un sincretismo questo che tramite una serie di fattori culturali e di, potremmo dire, Zeitgeist, darà forma ad una serie di pulsioni urbane e psicologiche che aleggiavano già nell'aria in tempi non sospetti e saranno destinate, grazie all'esperienza dei Korn (ma anche a quella di gruppi come Slipknot), a divenire predominanti per tutto il decennio '90, sfociando prepotente anche nei 2000. Dopo l'omonimo debutto il gruppo è salito alla ribalta con "Life Is Peachy", "Follow The Leader" ed "Issues", capitoli fondamentali nell'ascesa del nu metal e nell'accettazione (ed ossessione) da parte del pubblico giovanile nei confronti di tendenze alternative metal (tratte a piene mani da sperimentatori come Faith No More, Godflesh, Fear Factory, Helmet e molti altri), unite a cantato sincopato di chiara estrazione rap ed urbana. Con la fine del millennio, però, l'etichetta incominciava ad essere stretta, e c'era aria di cambiamento; i Nostri incominciano ad implementare forti influenze elettroniche nel loro suono, con album come "Untouchables", "Take A Look In The Mirror" e soprattutto "See You On The Other Side". Seguiranno il minimale "Untitled", non molto amato da critica e pubblico, e un non riuscitissimo tentativo di inversione di marcia con "Korn III: Remember Who You Are", mentre "The Path Of Totality"poterà addirittura in campo suoni dubstep. Per molti ormai la band è finita, ma ecco che "The Paradigm Shift" del 2013 sembra aggiustare il tiro anche grazie al rientro in squadra del chitarrista Welch, il quale aveva lasciato la abnd nei primi anni 2000; suoni crossosver del passato della band si uniscono a quelli della seconda parte della loro carriera, arrivando al già citato "The Serenity Of Suffering", e al disco qui ora recensito. Possiamo considerare quindi "The Nothing" il culmine dell'ultimo percorso della band, potenziato da una rabbia e disperazione vere, nonché da un songwriting più maturo ed aperto alla sperimentazione, senza però finire in lidi non consoni al suono dei Korn.
The End Begins
"The End Begins - La Fine Inizia" è l'introduzione all'album, un pezzo breve caratterizzato da un testo legato al tema della perdita di qualcuno (facile pensare alla madre e alla moglie del cantante decedute) e all'essere ancora una volta soli, in balia dei propri demoni. Ecco quindi le familiari cornamuse che hanno a lungo caratterizzato la carriera della band, presto accompagnate da una ritmica lenta e da marcia militare, sulla quale si stendono le vocals sospirate di Davis. Egli si chiede perché sia stato lasciato solo, ripetendo con ossessione questa domanda destinata a rimanere senza risposta, reiterata a lungo. Ora i suoi demoni sono ancora una volta liberi, e stanno venendo a prenderlo. Un basso greve e pesante si unisce intanto al resto della strumentazione, dando ancora più presa agli accenni più aggressivi del cantato, sottolineato da crisi di pianto improvvise che sanno molto di reale, le quali si concludono con un'imprecazione del Nostro. Ecco una caratteristica del disco che ci riporta ai precisissimi lavori dei Korn, ovvero l'inclusione nella musica degli sfoghi disperati di Davis, prono al dolore e alla disperazione più nere. Non quindi un brano vero e proprio con una lunga struttura, bensì una sorta di anticamera sonora che anticipa i motivi e i modi del disco.
Cold
"Cold - Freddo" è il primo pezzo vero e proprio dell'album, un'analisi molto dettagliata della depressione che prende il sopravvento su Davis, trascinandolo in un mondo a lui familiari, visitato molte volte durante la sua vita, foriero di una nuova lotta contro quella parte di lui che vuole trascinarlo giù con sé. Una serie di riff spezzati e pulsanti creano delle bordate sincopate e claustrofobiche, protratte fino ad una serie di rullanti che portano con loro l'esplosione fatta di cantato folle e ritmato, un vortice cacofonico che ci proietta nel mondo del cantante: essi arrivano per lui, gli portano sconforto, lo fanno sentire ad un passo dal farla finita, incapace di sopportare ancora una volta la sofferenza. La musica esprime tutto il malessere emotivo grazie ai suoni serrati e taglienti; ecco che si arriva a fraseggi altrettanto secchi, questa volta però coadiuvati da un cantato pulito e melodico: egli prepara l'esca e attende, in uno stato di concentrazione, deciso a sconfiggere la parte di lui che vuole distruggerlo, ma i suoi pensieri stanno prendendo il controllo, facendogli dubitare di avere la forza di farcela. Il passo contratto offre quasi dei tratti alternative rock, che ci rimanda al periodo "centrale" della carriera dei Korn, ma ecco che nuove abrasioni sonore regalano un growl brutale, espressione delle parole dentro di lui che insultano, infamano, e lo spingono, il freddo che ha dentro di lui. Nuovi giri si aggiungono in una cavalcata di rasoio: dentro di lui in profondità si cela il padre dell'odio, un incubo senza fine dal quale non ha intenzione di scappare, un inferno dove i dannati in fiamme chiamano il suo nome danzando nei suoi sogni, mentre grida dal dolore. All'improvviso suoni più eterei annunciano vocals melodiche, in un ritornello malinconico ed ispirato; egli è sulla sua via per distruggere tutto, deve levarsi tutto da davanti a lui, è arrivato per lui il momenti di radere al suolo tutto. I suoni quasi onirici si aprono a riff circolari e bordate che ne delineano il passo insieme ad un cantato ritmato, che ci riporta all'inizio del pezzo. Egli è sveglio e solo con una fame dentro, controllando i suoi passi e calcolando come fare per sconfiggere quello che lui definisce "il bastardo". Non sa cosa pensa, sa solo che sta sprofondando nel terreno che sarà la sua tomba. Ritorna di seguito il growl con i suoi versi che esprimono il freddo dentro, il quale ci conduce anche questa volta verso il ritornello arioso e malinconico, in una montagna russa emotiva tipica dei Nostri. Una cesura con chitarre vibranti e batteria galoppante viene sconvolta dalle bordate taglienti e dal growl, riprendendo poi con il bel ritornello soave, con tanto di cori in sottofondo. Il finale riprende il mantra di inizio pezzo, ricollegando il tutto in un ciclo senza fine.
You'll Never Find Me
"You'll Never Find Me - Non Mi Troverai Mai" è una traccia che tratta sempre il tema della crisi e della distruzione, una notte dentro che porta rabbia, decadenza, il crollo del proprio sistema interno , il sentirsi perduti e senza speranza. Una serie di riff rocciosi si accompagnano a striature evocative, creando una bella sequenza che ci riporta al mondo acido dei primi Korn. Il cantato umano di Davis s'incastra tra le chitarre ad accordatura bassa e l'effetto in loop che si ripete come un allarme. La sua vita si degrada e silenziosamente lo fa girare nella sua testa, dove l'oscurità lo attira verso la sua propria morte. Un fraseggio delicato e una voce sospirata fermano il corso quasi industriale, con un fare sibilino , dicendoci che non può più sopportare e che potrebbe spezzare il corso e vedere tutto crollare. Ecco di seguito il ritornello maestoso con chitarre possenti e vocals altisonanti, in pieno stile degli ultimi Korn; il Nostro chiede la verità che ci viene nascosta, sentendo i dolore dentro ed alimentandolo. Tornano le striature industriali precedente, così come il cantato strisciante di Davis, pronto a riprendere con la sua narrazione. In modo umiliante cede ai desideri di quello che ha dentro, che si nutre del dubbio nel suo cuore, mentre lui sprofonda e scompare cercando di salvare i suoi sentimenti per riparare quello che distrugge. Il fraseggio si ripresenta con le sue parole, preparandoci al ritorno del ritornello arioso. Quest'ultimo va ora a scontrarsi contro un suono nervoso in levare, accompagnato da vocals piene di rabbia che acquistano sempre più energia: il Nostro è perduto, e non potrà mai essere ritrovato, perso dentro l'oscurità che ha dentro. Inevitabile l'esplosione sonora e vocale, con muri di chitarra e versi disperati ed urlati, che proseguono fino all'intervento di un fraseggio liquido; si ripresenta ora il ritornello arioso, che collima in un ultimo attacco vorticante, dove i versi di Davis si liberano con disperazione, lasciando posto nel finale ad un attacco del cantante, pieno di disperazione . Un altro pezzo che da forma sonora e tematica alla disperazione palpabile dell'artista, che si ritrova nuovamente a confrontarsi con i suoi demoni interiori.
The Darkness Is Revealing
"The Darkness Is Revealing - L'Oscurità E' Rivelatrice" ci porta in un mondo fatto di oscurità, dolore, rimorso: il mondo interiore di Davis, i suoi dubbi, disperazione, mancanza di una guida in un momento di abbandono totale. Un effetto elettronico in levare ci introduce ad un riffing sincopato e rumoroso, creando un'atmosfera esaltante ed evocativa. Esso va ad infrangersi contro un fraseggio marziale unito a suoni dissonanti e al cantato arioso del cantante; egli ci narra di come dietro al sipario si nasconda una tenebra che si nutre di lui, intrappolato dentro mentre grida dalla fame. Ora tutto ciò che era nascosto, è diventato manifesto, e la sua anima sanguina. Ritornano i giri circolari e rocciosi, coadiuvati da vocals ispirate ed altisonanti: ora il Nostro vede le cose come sono, e stenta a crederci, mentre il sole cala, portandosi via il suo cuore. Le ultime parole vengono espresse su una cesura delicata, pronta ed esplodere in un ritornello sentito e dalle malinconiche melodie; sci si chiede cosa si sente, se è un nuovo inizio, un'espiazione dei rimorsi del passato, affrontando il male che si è fatto. Come si inizia a guarire? La tenebra si rivela con una realtà agrodolce , ovvero il fatto che questo è il tipo di aiuto di cui si ha bisogno. Tornano le marce squillanti e rocciose, base della voce nasale del cantante, impegnato a chiedersi perché deve scendere a compromessi mentre la sua essenza scompare, mentre trova solo sentimenti fasciati nella sua mente, che nascondono pungiglioni sotto le bende, e che possono essere sistemati solo tramite il dolore. Torniamo di nuovo alle evoluzioni precedenti, tra parti elevate, cesure pacate, ed esplosioni emotive piene di melodia triste e dal forte impatto; siamo pronti per una sessione sperimentale dove elettronica e bordate di chitarra annunciano un rap isterico e schizzato, dove Davis chiede di darsi una guardata intorno mentre la stella del mattino sta venendo a prenderlo, no sapendo dove cazzo andare. Nuovi paesaggi sonori offrono momenti ben strutturati grazie a tastiere dal sapore moderno e grida piene di effetti: ora il Nostro vuole essere sentito, guarito, non riuscendo ad accettare quello che ha dentro, fallendo tutto ciò che si sta creando in lui. Il pezzo termina con un'ultima esplosione di rabbia fatta di riff taglienti e assalti vocali che ci invitano a toglierci dal cazzo.
Idiosyncrasy
"Idiosyncrasy - Idiosincrasia" prosegue i temi d'introspezione del disco, tra rimorsi, accuse, analisi del proprio stato interiore, ma anche di una resistenza contro la voglia di cedere e farla finita. Un riffing ronzante ci porta con sé verso bordate decise e suoni graffianti, creando muri claustrofobici dal grande effetto, protratti fino all'introduzione di un fraseggio evocativo. Su questa base trovano posto le vocals leggiadre di Davis, quasi angeliche, intente a descrivere come l'oscurità sia la luce che illumina la sua via, in un percorso pieno d'inganni dove la fine è molto lontana, e dove c'è il rischio di essere sconfitti; ma egli prenderà il suo tempo per fare in modo di non essere portato via, sapendo che non ha mai portato via ciò che c'è di meglio in lui. La linea si mantiene melodica, con suoni squillanti e leggeri , ma è pronta anche ad aprirsi a nuove bordate ritmate unite ad un growl incalzante: la voce implora di non farlo, di non arrendersi, confidando che prima o poi lo capirà. Il ritornello si libera ora con il suo passo trascinante, quasi alternative rock, dove il cantato pulito trova massima espressione. Si è scelto di camminare su una linea sottile, dove è stato sostituito il dolore senza curare quello dell'altro, mentre si tiene disgusto nel proprio cuore mentre si prende in giro quello dell'altro, con idiosincrasia. Tornano i movimenti leggeri e melodici, così come un Davis che esamina ancora il suo mondo interiore; nel suo cuore c'è una rabbia oscura, che a volte prende il sopravvento, e ora si chiede perché è scappato, consapevole che dovrà affrontare i fatti di una realtà perversa, che non avrà mai controllo su di lui. Tornano di seguito le bordate con ruggiti in growl, in un nuovo effetto ritmato pronto ad aprirsi al ritornello dal motivo facile ed appagante. Un fraseggio greve ed effettui notturni ci consegnano una cesura destinata ad essere violata da chitarre dissonanti e cantato strisciante e pieno di rancore: strisciando lungo i cammino il Nostro è senza speranza, cercando di raggiungere la luce che vede, ma ecco che ogni volta che si avvicina, essa va oltre superandolo, e anche quando si alza e corre sente delle dita intorno al suo collo. Sentiamo che Dio si sta prendendo gioco di noi, lo sentiamo ridere da sopra, in una visione fatalista che convoglia perfettamente lo stato emotivo del cantante., ripreso dai suoni nervosi che diventano sempre più pressanti. Inevitabile il ritorno improvviso del ritornello melodico, in un gran finale esaltante che ci conduce ad una serie di bordate conclusive.
The Seduction Of Indulgence
"The Seduction Of Indulgence - La Seduzione Dell' Indulgenza" è una sorta di breve intermezzo che ci narra di come il cantante si senta torturato interiormente mentre prende una strada rischiosa, convinto che non ne uscirà vincitore e a testa alta. Una serie di fraseggi ad accordatura bassa, molto gravi e rocciosi, ci introducono ai movimenti enti e rituali sfondo del cantato suadente di Davis, intento ad illustrarci come stia prendendo un grosso rischio nel superare la linea, convinto di non poter vincere questa volta, privo di protezione e dolorosamente confinato, pronto ad essere ancora una volta sconvolto. Il movimento continua con il suo passo da parata, mentre la voce si sdoppia in modo malevolo, rappresentando una tensione sottintesa e un'ambiguità d'intenti che ben si lega alla canzone. Non abbiamo esplosioni o attacchi violenti, ma l'incalzare della marcia che avanza, e gli effetti in sottofondo danno uno strato sonoro che vuole raccogliere una certa oscurità contenuta tanto nelle parole, quando nelle struttura del pezzo. Nulla di complicato, siamo davanti ad una sorta di pastiche di un minuto e quaranta secondi, che ci dimostra però come l'album vada ben oltre alla raccolta di tracce, confermando un concept che unisce il tutto e prevede anche momenti 2funzionali" come questo.
Finally Free
"Finally Free - Finalmente Libera" tratta dell'accettazione della scomparsa di chi è caro al cantante, prendendo atto che si è fatto il possibile, che ora la persona è libera; ma questo non elimina la disperazione interna e il crollo che sente trascinarlo giù con sé. Un suono soave si estende creando motivi quasi cosmici, aprendosi improvvisamente a passaggi ritmati e graffianti, dove le vocals distese di Davis creano un bel motivo sottolineato da cori quasi soul, mostrando il lato più "pop" del Nostro sviluppato nel suo recente album solista "Black Labyrinth". E' difficile capire cosa troveremo quando iniziamo a sprofondare nell'agonia, abbiamo provato troppo duramente e siamo stati fin tropo gentili, e ora vediamo al faccia di chi ci ha lasciati in ogni cosa. Odiamo la sensazione che abbiamo, e che sta vendo a prenderci, deridendoci, ed è tempo di realizzare cosa sta veramente succedendo, ma esitiamo mentre il mostro dentro ci osserva e ci trascina. Non riusciamo a crederci, sta portando tutto giù con sé: ecco che ora i passi felpati, quasi jazz, si scontrano contro riff elettrici sui quali il cantato si concede vocalizzi altisonanti e medici, regalandoci ulteriori melodie controllate, epr uno degli episodi più composti di tutto il disco. Ci si chiede dove sia ora la persona che ci ha lasciati, e rimpiangiamo come non siamo riusciti a salvarla, incolpandoci del fallimento . Possiamo solo consolarci con la consapevolezza che ora è finalmente libera dalla sofferenza. Torniamo quindi all'andamento predente dai fraseggi ritmati e dai cimbali striscianti, dove malie melodiche si stagliano in sottofondo; quello che vediamo è ciò che abbiamo, non abbiamo avuto tempo di somatizzare e pensiamo che se ci voltiamo dall'altra parte, quest'incubo ci seguirà. Torniamo ora alle evoluzioni precedenti, con il pre-ritornello ben strutturato nel suo gioco di botta e risposta, e con il suo ritornello vero e proprio fatto di loop di chitarre distorte e cantato potente ed arioso, espressione di una soave tranquillità che nasconde però una profonda tristezza. Movimenti sommersi in un'atmosfera nebbiosa, supportati da arpeggi ad accordatura bassa accompagnano i suoni nasali della voce del cantante, conducendoci poi verso urla aggressive in growl espressione di uno sfogo raggiunto. Qualcuno grida cercandoci, ma non riusciamo a vedere, persi nell'oscurità dentro di noi; ripetiamo il concetto con veemenza, raggiungendo una serie di bordate vecchia scuola. Ma ecco che dopo un silenzio improvviso, riparte il ritornello ormai familiare, concluso da una coda conclusiva dove riff vibranti e movimenti veloci si scatenano nella loro concludine con growl feroci ed attacchi scattanti.
Can You Hear Me
"Can You Hear Me - Puoi Sentirmi" è un brano incentrato sul tema del cambiamento dovuto all'esperienza che Davis si trova a dover affrontare, il percorrere un percorso dove è accompagnato dalla sua parte autodistruttiva, pronta a succhiare le sue energie e a nutrirsi del suo passato. Una malinconica melodia elettronica ci accoglie insieme a distorsioni accennate, creando una base pronta ad aprirsi a bei riff dal movimento meccanico e squillante; ecco che il cantante sopraggiunge con uno stile suadente e sofferto, sottolineato da effetti sintetici dalla natura spezzata e tagliente. Egli ci parla di come quella parte di lui cammini al suo fianco, prendendosi il suo tempo e affondando i suoi denti in lui uno alla volta, amando nutrirsi del suo passato mentre rimane vicino, ma allo stesso tempo troppo lontana per essere raggiunta. Parte un ritornello melodico, dove il motivo elettronico iniziale si unisce a chitarre epocali e rumorose, e alle vocals altisonanti di un Davis ispirato e dal pathos struggente: egli chiede se possiamo sentirlo, si sente perduto, e potrebbe non tornare mai indietro, e anche se il suo cuore regge, lui sa che non sarà mai più lo stesso. Nuovi suoni squillanti ci portano verso la seconda parte della canzone, rispettando le evoluzioni sonore già incontrate, e mettendo in mostra quello che probabilmente l'episodio più elettronico di tutto il disco, influenzato dagli esperimenti di qualche anno fa, seppure in maniera controllata e dedicata alla melodia. Ora sente che gli parla e lo tiene per mano, ricoprendolo d'immagini di cose che non comprende, senza ragione, ma conoscendo i suoi tempi, mentre osserva in modo tale da non essere lasciata indietro. L'andamento strisciante usato dal cantante e dalla musica ricrea perfettamente il tema, dandoci idea di un'ombra che inesorabile ci segue in sottofondo, senza lasciarci scampo. Ritorna il ritornello arioso, dove si ripete più volte se riusciamo a sentire la voce del perduto protagonista, destinato a non essere più lo stesso; queste ultime parole diventano poi la base per un riff che si protrae fino ad un breve ronzio; non ci sorprende l'ultima reiterazione del ritornello, ancora più arioso ed evocativo nelle sue manifestazioni finali.
The Ringmaster
"The Ringmaster - Il Domatore" affronta il duello con se stessi, ovvero un dialogo tra Davis e la parte di lui che lo distrugge da svariati anni ogni volta che cade in una situazione difficile, i rimorsi, le aspettative, i giudizi che prendono vita e puntano il dito contro di lui. Un riffing dalle bordate devastanti si protrae insieme a cimbali che ne alienando il passo, dandosi poi a suoni circolari sui quali il cantato in farsetto del Nostro inizia il suo suadente discorso; si chiede che cosa sta facendo qui, e perché sembra così triste, invitando l'altra parte di sé a parlarne insieme e sfogare tutto, senza aver nulla di cui aver paura, e assicurandola che lui è quello che renderà tutto migliore. Il ritorno improvviso dei suoni più diretti ci traghetta verso l'esplosione di un ritornello dalle orchestrazioni malinconiche, palco per un'esibizione emotiva e piena di pathos da parte del cantante: egli sente sempre la presenza dell'altro, come se fosse davanti alla sua faccia, la tenebra che lo perseguita con il suo abbraccio, e vorrebbe riuscire a lasciare tutto questo, e ad andare in un periodo diverso, perché ora la trama s'infittisce, ma non c'è un significato da trovare. Riprendono i versi felpati dal fraseggio strisciante e nervoso, tappeto per le nuove elucubrazioni di Davis; si chiede ora che cosa abbiamo qui, sembrando così arrabbiato, ma rendendo chiaro che non vuole che le cose cambino davvero, desideroso di fare del male e sentendosi a casa sua solo nell'oscurità, consapevole che nulla di quello che sente migliorerà le cose. Inevitabilmente ritroviamo il ponte fatto di bordate rocciose, che ci porta di nuovo verso le arie eteree e notturne del ritornello, che ripropone le sue parole espressioni di una disperazione che viene qui rappresentata non dalla furia, bensì dalla malinconia leggera di un brano che pesca anche questa volta dalle derive "pop" più recenti dei Korn e della carriera solista del cantante californiano. Andiamo a collimare contro suoni sincopati e versi da rapper, intervallati da versi ringhiati: ci si chiede se si sente mai una voce nella testa, che ci punta, prende in giro, sconvolge, ci grida contro, quella parte che non perdona nulla e vuole solo la nostra fine. I versi si fanno urlati, in un'improvvisa esplosione catartica che sembra voler rilasciare la rabbia che prima non si riusciva ad esprimere. Le chitarre pressanti danno un andamento spezzato, rottura interiore fatta suono; ma ecco che come da modus operandi della band, riprende il ritornello per un'ultima manifestazione, lasciando poi posto nel finale a delle bordate rocciose conclusive dalla natura robusta.
Gravity Of Discomfort
"Gravity Of Discomfort - Gravità Della Scomodità" ci parla dello sprofondare nella rabbia e nell'odio, che finiscono per dominare ogni nostra emozione e pensiero, fino a desiderare di scomparire lasciando il proprio corpo. Una serie di colpi ritmati introduce la marcia, di seguito sottolineata da suoni dissonanti di chitarra, in un corridoio claustrofobico delineato da effetti elettronici secchi; ed è su questo andamento che Davis parte con il suo cantato felpato e leggero, consegnandoci una narrazione mesta e piena di dolore. Egli ha percorso questo mondo in una prigione di sua creazione, con un portatore di vergogna rotto al suo fianco. Ora i toni si fanno più alti, in un crescendo emotivo dall'intensità rafforzata dai movimenti grevi di chitarra; ecco quindi che esplode il ritornello arioso e dalle melodie epiche, un climax tipico per lo stile della band. Ci ritroviamo al disopra di qualsiasi altezza, e alo stesso tempo nell'oscurità più scura, e sentiamo che stiamo lasciando il nostro corpo con una dolce sensazione. L'odio domina ogni cosa che abbiamo, e sentiamo il peso del nostro dolore che schiaccia il nostro cuore che si sta spezzando, e sappiamo che vuole farci male incastrandoci. Dopo una cesura fatta di ammanetti ritmati riprende il movimento serpeggiante, tra versi quasi sussurrati e crescendo pieni di energia; abbiamo messo da parte i nostri sentimenti lasciandoci andare alla negazione, siamo persi in uno spazio, spinti ad essere sempre più vili. Riecco quindi il pre-ritornello dalle belle melodie vocali, pronto ad aprirsi a nuove esplosioni emotive dove immagini di odio e sofferenza interiore vengono accompagnate da orchestrazioni di discreta fattura. Andiamo ad infrangerci contro un fraseggio ronzante, violato da mura di chitarre distorte e da versi gridati, in un ponte verso la parte finale del brano: il dolore non va via, questa volta rimarrà, e non saremo mai più gli stessi, ogni nuovo giorno è solo una nuova ragione per spazzare via quello che abbiamo sempre amato. Si manifesta per l'ultima volta il ritornello squillante e dalle melodie di tastiera evocative, ripetuto fino a lasciare spazio ad una corazzata di chitarre e batteria che chiude anche questo viaggio sonoro nella psiche travagliata del Nostro.
H@rd3r
"H@rd3r - Più Duro" tratta del sentire di lottare contro qualcosa di più grande di noi, una vita dove qualsiasi scelta è sbagliata, dove tutto diventa sempre più duro e i fantasmi dentro la nostra testa ci trascinano con loro in un inferno fatto di vuoto. Un ronzio in levare si unisce a tastiere retro, creando un effetto evocativo che avanza fino ad essere sostituito da un riffing circolare meccanico e dissonante; anche quest'ultimo è destinato a lasciare spazio ad altro, ovvero un fraseggio lento sul quale Davis si abbandona ad un cantato melodico e dal gusto funk. Scegliamo il nostro percorso, e con esso una verità da seguire, e ogni cosa che facciamo non ci lascia mai, quando incidiamo un centimetro, otteniamo dispiacere, quando tentiamo qualcosa, viene cancellato dagli altri, e più combattiamo, più gli altri sono compiacenti, niente di quello che facciamo può far sparire il dolore. Chitarre sospese organizzano di seguito un pre-ritornello fatto di toni nasali e tensioni orchestrali: le voci sono nella nostra testa, esposte, e distruggono la nostra gioia, la loro ombra si estende, e dentro di noi incominciamo ad attaccare. La tensione sale fino all'introduzione del ritornello spezzato, fatto di chitarre sincopate e cantato pressante, ma melodico. Ora il Nostro chiede che gli si dica chi è, ha fatto tutto quello che poteva, la sua vita continua a diventare sempre più dura, ci chiede cosa deve provare, perché tutto questo non può essere vero. Riprende il movimento iniziale, con le sue chitarre striscianti e le sue rime ben strutturate, illustrando come lanciamo i dadi, ma il nostro numero fortunato non esce mai, paghiamo il prezzo, ma la nostra vita continua ad essere fottuta, e ancora una volta è il male ad ottenere tutto. Corriamo via, ma è li che ci attende quando arriviamo, e ride perché ci ha condotti di proposito li dove siamo, e ancora una volta non possiamo farlo andare via. Rincontriamo le evoluzioni precedenti, tra pause malevoli, ritmi incalzanti, ed esplosioni energiche nel ritornello, delimitato d aversi rabbiosi, i quali poi diventano i protagonisti di un ponte ritmato, condotto fino al raggiungimento di bordate orchestrali con versi in growl. Stanno venendo per noi, concetto reiterato ad oltranza, con un'ossessività che sa di disperazione, e che riprende i suoni altrettanto martellanti; non riusciamo a fare compromessi, non ci sembra nulla reale, e ora vengono per noi , e non possiamo scappare. L'improvviso un interludio dal gusto quasi teatrale offre suono trip hop sotterranei e atmosfere lisergiche, sulle quali Davis si da ad un cantato particolare e sopra le righe: il monologo ricorda il dialogo di uno sbronzo, dalle parole incoerenti che si riferiscono a gabbie da dividere e avversari che non possono fingere, ma che riusciranno a fuggire perché li manchiamo sempre con i nostri colpi. Non sorprende l'ennesima ripetizione delle evoluzioni che ci portano al ritornello dai riff robusti e dai versi veloci, consumato nel finale da parti sospirate, e da attacchi crossover sincopati e nervosi che chiudono il pezzo.
This Loss
"This Loss - Questa Perdita" affronta in maniera diretta il tema della perdita, naturalmente collegato ai due lutti affrontati dal cantante. Una melodia soave e malinconica, dal gusto quasi western, sie spande fino a raggiungere una serie di mitragliate di chitarra marziali; ecco quindi l'esplosione di muri di chitarra corrosivi e taglienti, sottolineati da piatti cadenzati e delimitati da rullanti. Torna di seguito l'atmosfera rilassata, tappeto sonoro per il cantato nasale di Davis, intendo a descrivere il suo stato interiore: ironicamente declama una sorta di filastrocca su come si vede andare a pezzi, soddisfatto mentre piange nel vedere il vomito che arriva per terra. E' solo l'ombra dell'uomo che era, consapevole che ogni cosa che ama gli viene sempre tolta. Le arie terse ed emotive si aprono dopo una breve pausa in un ritornello melodico ed epico, sul quale il cantato incontra dei vocalizzi ispirati che mostrano il lavoro fatto da Davis sulla sua voce in tempi recenti, suonando bene nelle parti pulite come non avveniva da tempo. Il senso di perdita continua ad infiltrarsi, divorando ogni gioia che lui possa trovare, e strappandogli il cuore, derubandolo di qualcosa che ha dovuto ottenere, e che ora odia, mentre non si ferma mai il dolore. Si riprende con riff roboanti e parti aggressive dove con ossessione si esprime la volontà di riprendere ciò che si è perso, con una buona comunione tra musica e tema rappresentato; riecco quindi i suoni di archi e il cantato strisciate del Nostro, intento ad offrirci nuove visioni del suo mondo interiore. Nulla è come il suono di un grido che si ripete in loop nella mente, mentre orride immagini del passato invadono il nostro cervello, e ancora una volta viene constatato come Davis sia un'ombra dell'uomo che era, costretto a vedere tutto quello che amava essere portato via. Riecco quindi il ritornello arioso ed epico, dalle chitarre notturne e dalle vocals piene di pathos e dispiacere; raggiungiamo così una cesura dall'inedito sapore anni '60, fatta di melodie delicate e nostalgiche, sulle quali il cantante si da a cori angelici. L'effetto sorpresa continua tra bordate di chitarra ben distribuite e cantato che rimanda alla canzone d'autore di tempi ormai andati: è facile vedere che sta rimanendo attaccato a questa tragedia per troppo tempo, è tempo di essere liberi e di capire che cosa ci riserva questo percorso, sul quale ci troviamo ancora una volta. La felicità è un club del quale non farà mai parte, non ci entrerà mai, concetto questo ripetuto e sottolineato da riff robusti di chitarra sempre più corrosivi. Ecco ora una serie di bordate metal sulle quali si estendono versi in growl, manifestando al rabbia prima trattenuta; segue l'ultima ripetizione del ritornello con tutti i suoi elementi delicati e dalla fattura piacevole. Il finale è lasciato ad un attacco fatto riff circolari e rumorosi, sui quali un growl ritmato ci riporta allo stile classico dei Nostri, reiterato fino alla conclusione.
Surrender To Failure
"Surrender To Failure - Arrenditi Al Fallimento" ci accoglie con suoni rituali dalle atmosfere oscure e dalle ritmiche di tamburo serpeggianti, uno stile inedito per i Korn che ancora una volta mette in luce la voglia di sperimentare in maniera mirata e dosata che caratterizza l'album di cui il brano fa parte; Davis interviene con un cantato melodico, parlandoci per l'ultima volta del suo stato interiore, e sopra tutto del senso di fallimento che lo corrode dentro. Un outro di poco più di due minuti che come in una trama ci svela il fulcro della rabbia e del dolore del narratore, ovvero il non poter tornare indietro per salvare ciò che ormai è perso per sempre. Il Nostro è solo nel buio, cercando domande che già sa che non troverà mai, e accusando Dio di avere già in mente di portare via la persona da lui amata. Le arie orchestrali creano insieme alla ritmica sommessa e alle improvvise parti con rullanti cadenzati un paesaggio sonoro da film, dando pieno spazio allo stile più intimo al quale il cantante si dedica con piena partecipazione. I demoni sono stati liberati e possono reclamare il loro premio, ovvero lui, ed è impossibile scappare dall'immagine dell'amata perduta, per quanto abbia tentato in ogni modio di nascondersi da lei; c'è un prezzo da pagare per ogni buona azione, e questo prezzo l'ha lasciato pieno di orrore, consapevole di aver provato e fallito. L'atmosfera si arricchisce con suoni di pianoforte e vocals più altisonanti e dal pathos commovente, espressione pura del sentimento e pensiero di Davis, messo a nudo come non mai in questo disco. Ora lui è quello che non ha ami scelto tutto questo, quello che ah oltrepassato una linea stretta, pronto a fare qualsiasi cosa per poter riportare indietro ciò che ha perso, se solo Dio gli permettesse di riportare il tempo a prima che tutto ciò accadesse. Nessuna esplosione questa volta, bensì nel finale rimane solo una presa di coscienza detta tra i sospiri e le lacrime: Davis ha fallito, e non può esserci altra realtà per lui. Una chiusura perfetta per il pezzo, ma anche per il disco, coronamento di un dolore che non può essere guarito con discorsi o indagini interiori, figlio di una relata dove siamo tutti in balia di eventi sui quali non abbiamo nessun controllo, e lasciati a raccogliere i frammenti di noi stessi dopo che sono avvenuti.
Conclusioni
Un disco che parte da dove era terminato il precedente "The Serenity Of Suffering" senza però ripeterne passo per passo i suoni e le strutture. I Korn invece decidono qui di filtrare sia i momenti di furia, sia quelli più introspettivi, tramite una certa maturità compositiva che evita di presentare momenti perché "dovuti", rispettando invece il tema dei brani e dando una forte rilevanza alle vocals di Davis. Quest'ultimo risulta coinvolto e convincente come non risultava da molto tempo, sconvolto da un dolore palpabile che rende ogni confessione, ogni momentio di cedimento emotivo, decisamente veritieri. In un certo senso i Nostri riescono a ripetere quanto fatto ad inizio carriera, ma non nel senso di ripresa e scimmiottamento di quel suono; è la sincerità e il sentirsi nei propri panni, l'elemento comune che permette la ripresa degli stilemi nu-metal ed alterative, così come di un'elettronica presente ma contenuta, riuscendo ad adattarli all'epoca corrente e all'età anagrafica dei musicisti. Non più un'eterna manifestazione di conflitti adolescenziali, "The Nothing" offre il viaggio nella disperazione e nella mancanza di senso e speranza di un uomo ormai adulto, ma che per l'ennesima volta si è visto strappare dalla vita sicurezze e punti fermi. Il dover ripartire nuovamente da zero, il sentirsi in un abisso senza luce, i rimorsi, sono tutti elementi ricorrenti di un cantato che dosa aggressività e apertura melodica in modo convincente e narrativo. Sicuramente l'album fa parte fermamente del periodo più recente dei Korn iniziato con "The Paradigm Shift" e caratterizzato da una ripresa del vecchio spirito della band, ma unito alle evoluzioni successive legate ad incursioni elettroniche e parti più melodiche; probabilmente si tratta dell'espressione più coerente e riuscita di questo tipo di stile, collocato tra il riconoscimento della propria identità, e il rifiuto di etichettarsi in una scena che si è contribuito creare, ma nella quale non ci si vuole fermare. Se il nu-metal è stato in passato espressione di alienazione e disagio giovanile, qui esso viene trasfigurato oltre questa funzione, diventando chiave per un'introspezione interiore che si fa universale. Se certamente Davis non vincerà nessun premio letterario nemmeno in questa occasione, è anche vero che vengono evitati qui i momenti più imbarazzanti presenti invece nella discografia precedente, per quanto i testi siano all'onore del vero un po' ripetitivi nelle immagini usate. Pubblico e critica sembrano aver gradito questi elementi, in un successo che conferma il periodo di ripresa dei Nostri dopo molti anni in cui sono stati considerati una progetto legato all'effimera stagione nu-metal ed incapace di trovare una vera collocazione nel panorama musicale degli anni duemila. In realtà, le radici di quanto qui presente sono contenute nella storia dei Nostri, semplicemente qui in uno stato di grazia, e in un'epoca che sembra aver deciso di rivalutare ancora una volta i progetti derivanti da quel suono (si veda il recente successo degli Slipknot). Probabilmente il recente lavoro solista del cantante "Black Labyrinth" gli ha permesso di affinare da una parte le sue intenzioni, dall'altra di sfogare le sue velleità più melodiche, dando spazio a nuove incursioni nell'oscurità del suo animo. Comunque sia, siamo difronte ad una delle uscite migliori degli ultimi vent'anni della band, che se non sconvolge lo status dei Korn, offre comunque materiale d'interesse sia per i fan di vecchia data, sia anche per nuovi ascoltatori, a patto di accettare le coordinate stilistiche che comunque faranno sempre parte del loro background. La storia della band californiana si conferma come la storia di una formazione che è riuscita a sopravvivere al proprio successo e all'implosione del genere a cui hanno legato il loro nome, cosa questa assolutamente non scontata, così come alle sperimentazioni , passi falsi, cambi di rotta e ritorni all'ovile che hanno caratterizzato la loro carriera. Si può non mare Davis e soci, ma non si può non riconoscere loro una tenacia, un seguire sempre la propria strada che oggi si conferma in una serie di lavori che sembrano aver ristabilito una connessione tra i Nostri e il panorama musicale a loro contemporaneo. Una strada che pare essere ancora in scrittura, e che potrebbe in futuro regalarci ulteriori sorprese.
2) Cold
3) You'll Never Find Me
4) The Darkness Is Revealing
5) Idiosyncrasy
6) The Seduction Of Indulgence
7) Finally Free
8) Can You Hear Me
9) The Ringmaster
10) Gravity Of Discomfort
11) H@rd3r
12) This Loss
13) Surrender To Failure