KORN

Take a Look In the Mirror

2003 - Epic Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
10/04/2017
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Prosegue il nostro viaggio a ritroso nella discografia dei Korn, band simbolo del movimento nu metal, attiva ormai da più di vent'anni rimanendo uno dei pochi epigoni di quel periodo, sopravvissuti alla perdita di popolarità del genere dopo i primi anni del duemila: siamo nel 2003, anno di uscita di "Take A Look In The Mirror - Dai Uno Sguardo Nello Specchio", il quale appunto va a collocarsi proprio in quel lasso temporale che vedeva la fine del dominio dei gruppi crossover e nu metal a favore della sempre più crescente ondata metalcore/groove metal. La band californiana si era già leggermente allontanata dal tipico suono crossover/nu metal che li aveva portati alla ribalta con il precedente "Untouchables", disco che presentava una maggior oscurità new wave unita a riff a tratti quasi thrash e passaggi più atmosferici, cosa che però non aveva accontentato molti fan, nonostante i pareri positivi della critica, traducendosi in vendite minori rispetto al passato (cosa che i Nostri imputeranno alla pirateria online ed al fatto che il disco era stato messo in rete prima dell'uscita ufficiale in una versione non completa); fatto sta che ora, dopo solo un anno di distanza, il gruppo si ripresenta con un lavoro a tratti più aggressivo, il quale però sembra voler essere un compendio di quanto trattato fino ad ora nella loro carriera, variando di brano in brano i propri elementi. Neanche in questo caso quindi Jonathan Davis (voce), David Silvera (batteria), Brian Welch (chitarre), James Shaffer (seconda chitarra) e Reginald Arvizu (basso) tornano propriamente sui propri passi, incamminandosi invece verso quella direzione più alternativa e "rock oriented" che d'ora in poi caratterizzerà la loro carriera, tra elementi elettronici levigati, una produzione più pulita, ed una maggiore enfasi su ritornelli accattivanti e sulle linee melodiche di Davis, mentre il songwriting complessivo si fa decisamente più basilare e scheletrico rispetto ai suoni grevi e saturi del passato. Questa volta i fan sembrano comunque apprezzare di più, mentre è la critica a non convincersi, prendendo anzi la palla al balzo per identificare il lavoro come il simbolo di un genere ormai esaurito, prima lodato proprio dai giornali, ed ora bersagliato da quest'ultimi, più favorevoli verso la crescente ondata metal-core e groove metal. Troviamo quindi il rap -metal e le claustrofobie urbane in versione addomesticata, così come gli ultimi esperimenti più evocativi, i riff più diretti e le esplosioni gutturali, anche queste ultime in chiave molto più rivista e controllata a priori, in una sorta di compendio o catalogo curato che vuole essere allo stesso tempo novità e tradizione; la cosa in fin dei conti funziona molto più di quanto si potrebbe pensare, ed i Korn riescono a sfornare alcuni pezzi che in futuro entreranno tra i loro classici, ma è chiaro che qualcosa dell'urgenza originaria e della morbosità insita in lavori come "Life Is Peachy" o anche "Issues" è andata persa, e che ora i Nostri sembrano più rock star in analisi piuttosto  che barbari inferociti e disperati. Brani brevi che si susseguono uno dopo l'altro in ondate che superano raramente i quattro minuti, spesso non raggiungendoli, rispettando quindi lo spirito più sintetico che permane ora nel songwriting del gruppo; è difficile da spiegare, ma forse la vera differenza sta nel fatto che ora a successo raggiunto, confermato, ed anche superato, il progetto è istintivamente fin troppo autocosciente, mancando quindi quel senso di novità ed impeto che ora viene sostituito da un modus operandi che segue delle regole stabilite, sapendo dove andare a pescare e cosa riprendere a seconda dell'occasione. Con il senno di poi, siamo davanti ad un punto di svolta per i Korn, a metà strada tra il loro periodo "classico" e quello che verrà dopo, ovvero un avvicinamento a mondi più "mainstream" in una sorta di conferma della propria identità come musicisti, simile sotto a certi aspetti a quella cercata a suo tempo dai Metallica, forse non a caso richiamati nella cover live di "One" posta a fine album; non il passo falso che alcuni critici all'epoca indicheranno, ma nemmeno la loro ora migliore, "Take A Look In The Mirror" ha il pregio di saper ancora sparare dei colpi ben assestati, ed il difetto di non brillare di luce propria, pur risultando nel complesso un disco diverso rispetto ai precedenti, ed in parte anche rispetto ai successivi. Un paradosso dove i californiani suonano come loro stessi, ma allo stesso tempo come qualcosa di diverso, il quale si prolungherà poi nel tempo come un'eco, producendo quei lavori che noi già ben conosciamo, base della loro identità odierna. Ultima nota, il singolo "Did My Time", legato al film "Lara Croft Tomb Raider: The Cradle Of Life", sarà comunque quello con il risultato migliore in classifica della loro carriera, ripresentando quell'ambivalenza di cui abbiamo parlato anche nel modo in cui i Nostri vengono recepiti e nel loro legame con quella cultura pop che ricercano, ed allo stesso tempo cercano di distanziare. ?

Right Now

"Right Now - Proprio Ora" apre il disco con un riff greve scolpito da alcuni loop altrettanto roboanti, i quali prendono piede in una sequenza stridente; ecco che Davis interviene con il suo cantato sincopato, in un testo dove si tratta in modo diretto e semplice dell'odiare tutto e tutti, al punto di provare istinti omicidi. Ci sentiamo cattivi oggi, non perduti o spazzati via, solo irritati ed abbastanza odiati, mentre l'autocontrollo cede e ci chiediamo perché tutto è così tediante; la nostra vita ci piace folle, mentre rimuginiamo e discutiamo su chi prenderemo a calci. In tutto questo la musica segue un trotto macinante ed ossessivo, fatto di suoni dissonanti e militanti, i quali poi si aprono in bordate sempre disturbanti nel ritornello: ora non abbiamo modo di mettere da parte l'odio che sentiamo nel vedere gli altri, e nemmeno a non fare a pezzi le cose che eccitano gli altri, mentre sentiamo prudere dentro e non riusciamo a controllare il disprezzo.  Il tutto sottolineato da pochi elementi ripetuti, i quali collimano in una cesura dissonante, seguita da una nuova sequenza serpeggiante con l'aggiunta di cori in sottofondo; "I'm feeling cold today, not hurt just Fucked away. I'm devastated and frustrated. God I feel so bound. So why'd I feel the need? I think it's time to bleed. I'm gonna cut myself and watch the blood hit the ground - Oggi mi sento freddo, non ferito, ma semplicemente strafottuto. Sono devastato e frustrato. Dio, mi sento così legato. Allora perché sento il bisogno? Credo sia il momento di sanguinare. Mi taglierò, e guarderò il sangue che scorre sul pavimento." annuncia il testo, mentre di seguito esplodono di nuovo le parti del ritornello ormai familiare, completando il ciclo. Ecco quindi che dopo esserci fatti strada tra i riff ossessivi, arriviamo da una pausa dall'elettronica liquida e dai feedback tesi, sulla quale Davis sospira con fare perverso: se l'altra persona aprirà ancora la sua bocca, giuriamo che la romperemo, non possiamo più sopportarla, intimandole più volte di chiuderla, altrimenti la conceremo per bene. Quest'ultima parte coincide con un'esplosione di grida gutturali e chitarre aggressive, la quale non può non precipitare verso un'ennesima cesura, caratterizzata da accordature basse e stacchi elettrizzanti; riecco quindi il ritornello, che si ripete ad oltranza accompagnando con l'ultima frase ripetuta la chiusura della breve traccia, il quale già mostra un songwriting asciutto e dai pochi elementi, caratteristico di tutto il lavoro. ?

Break Some Off

"Break Some Off - Rompendo Un Po'" parte con una serie di bordate a raffica, seguite da una marcia belligerante con drumming cadenzato e riff come rasoi: ecco che Davis interviene suadente accompagnato da suoni liquidi e diafani, in un testo che ci narra di come è difficile mantenersi integri e sani quando tutto va male e vorremmo semplicemente lasciarci andare. Viviamo senza l'altra persona, la quale pensa tutto vada bene, mentre noi troviamo difficile mentire, capendo che non è rimasto nulla dentro; parte ora un ritornello acido con loop ferrosi e vocals in growl, il quale ripete ad oltranza come ora stiamo per rompere un po' qualcosa, perdendo la nostra testa, pensando prima di stare bene, capendo però subito che non è così. I toni schizofrenici della musica corrispondono perfettamente a questa dicotomia tematica, riportandoci di seguito al più placido andamento precedente: le nostre bugie faranno male, e questa volta il nostro fato non attenderà, mentre facciamo giochi in spregio degli altri, sapendo che questa volta ci crederanno (My lies is going to hurt you. my fate is not going to wait this time. I play, games just to spite you. I know, you're going to believe this time). Nuove eruzioni gutturali e toni più aspri si susseguono in un ritmo sincopato ed estraniante, il quale collima in un fraseggio roccioso seguito da una marcia ad accordatura bassa e ritmi di batteria come frustate, il tutto mentre Davis continua con le sue vocals ora ruggenti: chiediamo di essere sentiti mentre ridiamo, mentre andiamo via, mangiamo, fottiamo, odiando tutta questa merda, capendo che forse non riusciamo a sopportare tutto questo. Le onde sonore vengono interrotte da alcuni silenzi che durano secondi, e dopo uno di essi riprende il ritornello psicotico, con growl e farsetti che duellano tra di loro, lasciando poi spazio ad un'ultima coda pulsante, la quale mette fine al brano. 

Counting On Me

"Counting On Me - Contando Su Di Me" ci accoglie con un fraseggio strisciante, ripreso poco dopo da un riffing robusto ed accattivante, dalle parti grevi; ecco quindi Davis con il suo cantato nasale stagliato su atmosfere liquide e dilatate, il quale sembra trattare del peso della responsabilità e del sentire che tutti pretendono qualcosa da te, specialmente nelle relazioni sentimentali. Chiede perché gli latri non si fanno indietro, perché non si levano dalla faccia, provando emozioni che lo farebbero finire in gabbia; gli altri gli urlano contro, mentre lui mantiene le loro vite prive di problemi, e non sa cos'altro vogliano da lui, e perché gli fanno questo, il tutto espresso tramite versi ritmati adagiati sull'arpeggio in sottofondo. I toni si alzano con alcuni loop graffianti, sui quali il Nostro ruggisce: scappando non può vedere, può solo far strada e farla fare. Ecco di seguito l'esplosione del ritornello accattivante, sottolineato da cori eterei e da chitarre epiche, in un'espressione di disperazione sublimata; contando su di lui, sperando sempre che sarà lì per i loro problemi, gli altri in cambio non sono mai lì per lui, succhiando la vita via, odiando quello che vedono, mentre lui non ne può più, sapendo che invece di rimanere dovrebbe andare via. Riprendono i toni rarefatti e lenti, sui quali il testo prosegue con "You see the pain in my face. While you keep putting me down. Inside the rage starts to build. You push me I won't go down. You're the one who's always screaming at me. I'm the one that keeps your lives so care free. What the fuck more do you want me to be? Why must you do this to me? - Vedete il dolore nella mia faccia, Mentre mi buttate giù di continuo. Dentro la rabbia si fomenta. Mi spingete, non andrò giù. Voi gridate sempre contro di me. Io sono quello che mantiene le vostre vite così spensierate, Cosa cazzo volete che io sia? Perché mi fate questo?", mentre poi ripartono le evoluzioni già conosciute, le quali collimano ancora una volta nel ritornello epic; troviamo ora una cesura squillante con vocals sommesse, le quali si chiedono se davvero potrebbe essere il giorno in cui i problemi andranno via, facendo male non in tempo. Seguono urla aggressive e bordate rocciose di chitarra, in un andamento scosso e robusto: ora possiamo prendere tutto quello che possiamo, e gli altri ci hanno fatto a pezzi, e non c'è niente che possa fermarci. Riecco quindi i giri familiari, i quali introducono per un'ultima volta il ritornello portante, fatto di arie maestose, ripetute ad oltranza con la loro atmosfera malinconica accentuata dai cori in sottofondo, protratta fino alla chiusura in feedback di chitarra. 

Here It Comes Again

"Here It Comes Again - Eccolo Di Nuovo" viene introdotta da un arpeggio sinuoso e dal gusto quasi orientale, presto ripreso da un riffing più tagliente ed aggressivo; Davis parte di seguito con un cantato soave il quale tratta ancora una volta del sentire che tutto sta fallendo, nonostante si cerchi di mantenersi integri e di andare avanti. Battendo, ricomincia facendo male, da dove possiamo cominciare? Gridano i pensieri, danzando nella nostra testa, e speriamo di morire. Si passa a toni ancora più ariosi, dove i sentimenti hanno presa, e non sappiamo cosa dire, abbiamo sbagliato ancora, ma dobbiamo rimediare (il tutto ora urlato e contrastato da farsetti), non possiamo arrenderci e sentiamo di poter combattere, chiedendoci se possiamo vincere, tenendolo in mente. Ritornano quindi gli andamenti quasi emotivi, con "Silent it goes away. Patient, oh really should I stay? Trying so hard to get ahead. Failure, is often where I'm lead - Silenzioso va via. Paziente, oh davvero dovrei rimanere? Provo così duramente ad andare avanti. Il fallimento è dove spesso sono diretto." mentre di seguito passiamo ancora alle crescite che ci portano verso i toni ruggenti del ritornello schizofrenico; il suo finale lascia posto ad una cesura angelica con cantato sospirato ed atmosfere quasi sacrali, mentre dobbiamo tenere duro, sapendo che non ce ne andremo, non ci fermeremo, perché non sappiamo come farlo. In contrasto sia sonoro, sia tematico, parte poi un riffing robusto con toni più aperti, dove ci chiediamo perché non riusciamo ad andare avanti, ad andare via, a fermarci e a saperlo fare. Si va quindi alla deriva con grida in growl unite a farsetti nasali e malevoli, in una furia liberata con forza gutturale, ripetuta fino al passaggio verso i dolci toni che precedono la ripresa delle urla del ritornello; ci fermiamo quindi con un effetto di chitarra improvviso, il quale mette fine al tutto in modo un po' affrettato. 

Deep Inside

"Deep Inside - Dentro in Profondità" parte con un fraseggio greve accompagnato da una melodia danzante, la quale si blocca con un trotto squillante che annuncia le vocals di Davis, impegnato in un testo che parla  del dolore e dei traumi interiori, i quali tenuti dentro condannano la vita di chi è costretto a convivere con loro;  non stiamo bene, ci sentiamo come morti, non riusciamo a pensare e dentro il corpo siamo pieni di odio e problemi, ed è per questo che abbiamo dovuto tirar fuori tutto prima che fosse troppo tardiEcco che un growl annuncia come dentro non possiamo nascondere la cosa, sentendoci perduti e traditi; qui troviamo il ritornello sincopato dalle punte ariose ed epocali: "Feeling so lost and betrayed. why does this happen to me everytime? Stuck in this place, where I can't escape. Screaming and clawing from deep inside.  - Sentendomi così perduto e tradito, perché mi accade ogni volta? Bloccato in questo luogo, dal quale non posso scappare. Gridando e scavando da dentro. Non sopporto tutto questo fottuto dolore." Così narra, per poi passare ad una cavalcata più vigorosa e pulsante, dove il cantante si chiede perché tutto questo non svanisce, mentre dobbiamo mentire esteriormente dicendo che stiamo bene, sperando che un giorno smetteremo di soffrire, pur sapendo che è una bugia che abbiamo creato. Riecco quindi i toni aggressivi che precedono il ritornello dalla danza tagliente, questa volta coronato da una cesura progressiva dal gusto lounge, delicata ed adagiata sulla voce disperata di Davis, il quale ora si chiede cosa sta facendo, non riuscendo a credere che si è nascosto, desiderando di essere meno e dando alle persone che prendevano da lui, portando dramma con loro; un sospiro malevolo chiede di guardarlo ora, mentre bordate rocciose e versi prolungati fermano la composizione, ripresa poi con i toni familiari dal trotto deciso, il quale va a collimare con grida rabbiose e riff magistrali: non sopportiamo tutto questo fottuto dolore, e chiediamo a Dio di farlo andare via, chiudendo su questa linea drammatica il brano. 

Did My Time

"Did My Time - Ho Fatto Il Mio Tempo" ci accoglie con un riffing dal gusto rock, cesellato da piatti e bordate squillanti, in un gioco sincopato coronato da un giro dalla melodia imperiosa; ecco che essa viene ripresa da un nuovo motivo, un loop appoggiato su un drumming cadenzato ripetuto a più riprese. Davis insorge con il suo famoso tono nasale su un ritmo contratto tipico per il gruppo, in un testo che tratta del sentire di averla già pagata abbastanza, anche se sembra che la cosa non basti, mentre i problemi si ripetono all'infinito nel tempo.  Abbiamo capito che non vinceremo mai, sentendoci come se avessimo fallito, chiedendoci da dove incominciare dentro, mentre la nostra mente ci deride, e chiediamo perché dobbiamo essere incolpati, mentre dovremmo essere tutti uguali, ed è per questo che non calmeremo mai quello che ci brucia dentro. Il tutto viene allineato da strappi di chitarra, ed ecco che conclusasi questa sezione, torna la melodia di poco prima, la quale ora crea il ritornello arioso del brano: siamo noi a scegliere il nostro percorso, siamo noi quelli che non sono potuti durare, e sentiamo la vita strappata da dentro di noi, mentre la rabbia ci cambia. Riprende quindi il trotto precedente, sempre sincopato e spinto in avanti con un loop ritmico incalzante; "Sometimes I can never tell, if I've got something after me. That's why I just beg and plead. For this curse to leave me. Tell me why am I to blame, aren't we suppose to be the same. That's why I will never tame this thing that's burning in me - A volte non so dire se c'è qualcosa che m'insegue. Ecco perché supplico e scongiuro. Perché questa maledizione mi lasci in pace. Dimmi perché devo essere incolpato, non eravamo uguali? Ecco perché non calmerò mai questa cosa che mi brucia dentro." prosegue il testo sulle vocals nasali del Nostro, mentre poco dopo si riaprono le arie epocali e quasi orchestrali grazie alle melodie vorticanti in sottofondo. Ora un arpeggio ad accordatura bassa fa da cesura, mentre il cantato si converte in una supplica accorata e disperata, dove dichiariamo di sentirci traditi e schiavizzati, ci abbiamo provato, ed abbiamo fatto il nostro tempo; ecco che i toni diventano più aggressivi grazie ad un riffing roccioso dalle pulsazioni decise, il quale poi conosce un growl indemoniato che annuncia una serie di bordate ossessive. Ora riprende il ritornello, il quale ripropone tutte le sue caratteristiche, reiterate fino ad una chiusura robusta adagiata su chitarre in loop, le quali dopo pochi giri mettono fine alla traccia.

Everything I've Known

"Everything I've Known - Tutto Ciò Che Sapevo" si apre con un arpeggio notturno dalla melodia affascinante,  la quale si muove tra cimbali cadenzati e giri grevi accennati; ecco ora un trotto roccioso che alza i toni, fermandosi però in concomitanza con le vocals di Davis - sottolineate da tetre partiture in sottofondo e da fraseggi calmi e ritmati - le quali parlano, come spesso è successo nei testi dei Korn, di una relazione ambivalente dove odio e bisogno dell'altra persona convivono creando dolore e confusione;  da lontano vediamo tutto andare giù, sperando che il tempo possa seppellire tutto questo dolore, risvegliando qualcosa dentro. Parte un ritornello emotivo caratterizzato da un cantato con effetti, il quale collima in un growl rabbioso, seguito da una bella melodia vocale incalzante, supportata da riff gracchianti e batteria pulsante: abbiamo spinto i nostri pulsanti fin troppo infondo, ed abbiamo strappato via i nostri cuori, arrivando al punto di litigare, ed ora sentiamo di aver perso tutto, sapendo che non possiamo sopravvivere da soli. Ritornano i toni plumbei, dove ricordiamo come le nostre vite erano buone sotto ogni aspetto, ma ora è troppo tardi, volta dopo volta l'amore è diventato odio, anche se siamo rimasti al fianco dell'altra persona. Riecco i toni con effetti, seguiti ancora una volta dal ritornello accattivante, sempre con riff grevi e ritmica decisa. Esso si ferma con il motivo iniziale dall'arpeggio notturno, sul quale Davis sembra sospirare una ninnananna, passando poi a toni più alti, contornati da chitarre roboanti: "I keep holding on, I feel I'm where I belong. Everytime we fight, it feels so wrong. I feel so enslaved by my pride. Then we meet again - Continuo a tenere duro, mi sento dove ho casa. Ogni volta che litighiamo, è sbagliato. Mi sento imprigionato dal mio orgoglio. Allora ci incontriamo di nuovo." recita qui il testo, mentre di seguito ritroviamo la ormai familiare sequenza che ci riporta al ritornello, il quale conclude con le sue note il brano. 

Play Me

"Play Me - Raggirami" è una collaborazione con il rapper Nas, la quale riprende quindi il lato più hip hop dei Nostri, riallacciandosi a lavori come "Follow The Leader", caratterizzata da un testo che tratta del perdere fiducia verso tutto e tutti, non accettando più di essere usati dal prossimo; una serie di bordate vorticanti viene seguita da un riffing roccioso, tempestato occasionalmente da colpi ben presenti, Nas interviene con la sua ritmica vocale, parlandoci di come tutti sono nemici, che mentono uccidendolo dentro, chiedendosi perché vogliono tutti disfarsi di lui, ed anche se molti cercano di nascondere il diavolo in loro cercando di entrare nella nostra testa, siamo pronti a dir loro che non ce ne frega nulla, mentre respirare è diventato così duro, come il nostro cazzo mentre guardiamo donne nude fare cose perverse nella nostra collezione di porno guardati alla nostra televisione. Ecco che parte un ritornello con chitarre incalzanti e motivi ariosi di Davis in sottofondo, mentre l'ospite prosegue con il suo messaggio: non bisogna fidarsi di nessuno, non sappiamo chi è amico, tutti fanno finta di esserlo, e quindi mandiamo tutti a quel paese, perché tutti sono nemici. Riprende quindi il trotto aggressivo iniziale, mentre il testo dichiara "Watching my own back. strapped in chrome, to my homies, where the tombstones at, where the hoes at? Cuz to many didn't act like dikes, hermaphrodites. with benzene, amen. Look at the trash they biting. The life in times is kinda weaker, like the time and life of the sandman on Apollo theater. Imagine that another black with a hook, who pulls the wack talent off the stage. I'm enraged - Guardandomi dietro le spalle, avvolto nel cromo, per i miei compagni, dove sono le lapidi, dove sono le zappe? Poiché con molti non si sono comportati come lesbiche, ermafroditi, con la benzina, amen. Guarda la spazzatura che mordono. La vita a volte è abbastanza debole, come la vita ed il tempo dell'uomo della sabbia nel teatro di Apollo. Immagina un altro nero con un gancio che trascina via un talento dal palco. Sono arrabbiato.", riportandoci però presto al ritornello ritmato pieno di disprezzo e diffidenza. Adesso un suono di chitarra fa da cesura, seguita da ritmi cadenzati, e dalle vocals soavi di Davis, il quale ci parla, tra suoni languidi ed effetti liquidi, di come gli altri ci riempiono di bugie, pensando di aver vinto e di poterci controllare con le cose che hanno fatto; gli ultimi versi vengono ripresi su un fraseggio che sale in crescendo, mentre ora il Nostro diventa più incalzante e risoluto nella sua voce. I toni crescono in tensione, collimando inevitabilmente in un growl indemoniato sottolineato da riff rocciosi; riecco quindi Nas con il suo ritornello, il quale viene concluso da una serie di bordate squillanti, ultimo atto della traccia. 

Alive

"Alive - Vivo" parte con una chitarra sferragliante, sulla quale si organizzano rumori altrettanto gracchianti, prima dell'introduzione di un motivo epico e perentorio, il quale si protrae con enfasi; ecco che ora Davis s'infiltra nel brano con un cantato trascinato, dove egli sembra trattare del voler combattere nonostante non si riesca a fuggire dai propri pensieri oscuri e negativi, del voler essere vivi. Non riusciamo a trovare un modo per gettare via questi pensieri oscuri, abbiamo bisogno di un luogo in cui nasconderci, mentre tutto ci viene sbattuto in faccia ogni giorno, ed è questo il prezzo che dobbiamo pagare per ciò che abbiamo in mente; troviamo di seguito delle bordate di chitarra accompagnate da un growl che ripete il titolo del brano, preparandoci per il ritornello dalle arie soavi, sottolineato da chitarre dilatate: siamo vivi, e non scapperemo mai, il nostro cuore grida dentro di noi con orgoglio, ed ora tiriamo via le lacrime che una volta abbiamo pianto, e mentre prima eravamo morti, ora siamo vivi. Riecco i growl sincopati, in un ritmo tribale ripetuto ossessivamente, interrotto dalla ripresa delle chitarre grevi e del cantato del Nostro; "Little things tempt me everyday. Lots of pain is how I like to play. Better not cross that line. Voices in my head have to be saved. Its something I cant throw away. Whats inside my mind. I am alive. I will never run away. Places inside. My heart screams inside with pride. Once I cried. Now I wipe away the tears. Once I died. Now I'm alive -  Piccole cose mi tentano ogni giorno. Il molto dolore è come io gioco ogni giorno. Meli non attraversare quella linea.  Le voci nella mia testa devono essere salvate. E' qualcosa che non posso gettare via. Quello che è nella mia testa. Sono vivo. Non mi rovinerò mai. Luoghi dentro di me. Il mio cuore grida dentro con orgoglio. Una volta ho pianto. Ora tolgo via le lacrime, Una volta sono morto. Ora sono vivo." prosegue il testo, passando in corso d'opera al ritornello epico ed emozionale, il quale ora si chiude con una sessione più strisciante, fatta di riff felpati e piatti cadenzati. Prendiamo il nostro tempo, intrecciati, cadendo in un luogo che credevamo di aver lasciato indietro, sentendoci vivi; ora il cantato si fa sdoppiato, tra toni ansali e cori sentiti in sottofondo. Ecco quindi la ripresa dei torrenti di chitarra uniti a growl pulsanti, i quali collimano per l'ennesima volta nei ritornelli dalia facile presa, gettandoci poi verso una conclusione improvvisa.

Let's Do This Now

"Let's Do This Now - Facciamolo Ora" inizia con una marcetta fatta di cornamuse e rullanti, seguita poi dall'esplosione di un riffing roccioso ripetuto varie volte; Davis poi parte con un cantato melodico e sincopato, delineato da alcuni versi in growl in sottofondo e da scosse circolari. Esso tratta dell'affrontare ciò da cui prima si fuggiva, stanchi ed ormai al culmine: scappiamo verso il nulla, come dei cagasotto voltafaccia, dobbiamo andare lì, dove è il terrore che non possiamo provare. Ora l'andamento si fa più rallentato, in un songwriting che ricorda i primi lavori del gruppo, anche se in versione più edulcorata; gli altri pensano di averci presi, ma ridiamo, mentre ruzzoleranno giù, dopo esser venuti per noi ed essere stati mandati a quel paese, sbattuti giù. Ecco che esplode un ritornello fatto di cornamuse e vocals aggressive e piene di effetti: facciamo a pezzi gli altri non potendo permetterci di avere pietà, il nostro pugno passerà tramite il volto altrui e guarderemo mentre il sangue sgorga, ed è il momento di fare tutto questo ora. Ripassiamo quindi ai movimenti più striscianti, mentre il testo prosegue con "You're gonna feel how (alright). I really am with you (you're right). You're going no where (must stop). Don't really know what to do (you're right). It's going to go on (fuck off). Until you run away (alright). You can't control me. You best do it my way (you won) - Sentirai come (ok). Sono davvero con te (ora). Stai andando da nessuna parte (devi fermarti). Non so davvero cosa fare (hai ragione). Andrà avanti (che si fotta). Fino a che scappi (ok). Non puoi controllarmi. Meglio che fai come dico (hai vinto)." Riecco quindi il ritorno del ritornello feroce ed altisonante, il quale ora va ad infrangersi contro un motivo delicato e dal gusto progressivo, con arpeggi armonici e cantato arioso; chiediamo se gli altri non sanno che possono prenderci a pugni, e che possono sbatterci giù, la nostra vita sarebbe così facile, se non avessero oltrepassato quella linea. Si prosegue con un ponte acido, dal gusto alternativo ed oscuro, il quale poi lascia posto ad una cesura fatta di piatti cadenzati e giri grevi: non ci sorprende il ritorno dell'ormai scontato ritornello, il quale esplode ancora una volta in tutta la sua ferocia sincopata. Si aggiungono ad esso vortici di chitarra dal gusto orientale, i quali trascinano i tutto verso la sua conclusione senza molti fronzoli.

I'm Done

"I'm Done - L'ho Fatta Finita" viene introdotta da un trotto ritmico adagiato su melodie diafane, le quali vanno a scontrarsi verso un riffing graffiante, nuovo elemento che prende piede dominando la scena; Davis parte sui toni iniziali con un cantato corale che  parla del finirla di esserci per tutti, incominciando invece a pensare a se stessi ed ai propri piani. "We are the pain. We are the shame. We've gone insane. Inside where no ones around. I am to blame, for everything. I like this game, that you all. Make me play - Siamo il dolore. Siamo la vergogna. Diventeremo pazzi. Dentro non c'è nessuno. Io devo essere incolpato per tutto. Mi piace questo gioco che mi fate fare tutti." delinea il testo, mentre in corso d'opera i toni si fanno ora ancora più ariosi e dilatati; abbiamo smesso di esserci per gli altri, declama in modo accorato il cantante, essi hanno i loro piani, ed anche noi, non abbiamo bisogno di riprovare tutto ancora, noi cerchiamo di andare avanti, e loro ci sbattono giù. Ecco quindi che riprendiamo con i toni notturni e striscianti, dove siamo estraniati e danneggiati, e non riusciamo a spiegare, come gli altri ci facciano a pezzi; riprendono quindi le parole ed i suoni di poco prima, i quali ci portano nuovamente verso il ritornello appassionato, concludendosi con una serie di riff graffianti. Questa volta incontriamo una cesura dal gusto new wave con suoni evocativi e versi delicati in farsetto, dove il Nostro descrive come noi aspettiamo con odio, cercando di toglierci da questa situazione, mentre il nostro dolore viene frainteso e lasciato allo sbando, ci guardiamo intorno e cadiamo giù, chiedendoci perché debba finire così. Esplode ora una sezione grandiosa con cantato sgolato e muri di chitarra dissonante, con un gusto che ricorda molto la tecnica cara a Trent Reznor ed ai suoi Nine Inch Nails: sentendoci così a lungo storditi, ogni cosa ci colpisce, ed ora preghiamo perché tutto e tutti vadano via. Riecco di seguito i versi più controllati del ritornello, il quale va verso la conclusione della traccia, lasciata ad una serie di riff ripetuti.

Y'All Want a Single

"Y'All Want A Single - Voi Tutti Volete Un Singolo" parte subito con il cantato sornione e ritmato di Davis, il quale parla della realtà discografica e del suo mercato, su come la band vengano tenute al guinzaglio per produrre singoli fatti per guadagnare soldi, e più nel concreto di come la Sony avesse chiesto ai Nostri appunto di creare un pezzo orecchiabile per trascinare il disco e le sue vendite; parti squillanti di chitarra ne delineano il passo, mentre scopriamo come tutto quello che gli altri vogliono è avere un singolo, e quindi il Nostro chiede di dirlo chiaramente a più riprese.  Dopo un verso onomatopeico di esplosioni parte quindi un riffing graffiante, il quale viene cesellato da alcune bordate squillanti seguite da un fraseggio severo, dopo il quale abbiamo un trotto con vocals nasali: ci chiediamo cosa sta succedendo, dobbiamo liberarci, abbiamo un problema, il quale ci sta portando giù con sé. "They think we're all the same. And always we're to blame. For shit I think is lame. It's time to stop the game. I think it's time to pay for everything you made me say - Pensano che siamo tutti uguali. Siamo sempre da incolpare. Per merda che credo faccia schifo. E' tempo di fermare il gioco. E' l'ora di fartela pagare per tutto quello che mi hai fatto dire." prosegue il testo, mentre ora esplode il ritornello aggressivo, il quale riprende I versi iniziali con veemenza, ripetendoli più volte, e concludendosi con una nuova cesura dal giro circolare greve; si riprende quindi tutta la parte gestita dalle vocals sempre nasali di Davis, chiedendoci ora perché le cose debbano essere così, non stiamo andando da nessuna parte, ed ancora bussiamo la porta del bisogno di inginocchiarci. Si ricreano quindi i motivi che ci portano ancora una volta al ritornello altisonante e feroce. Ecco dunque che esplodono cantati ariosi e chitarre quasi orchestrali, in una sezione dove si dice che noi siamo quelli che fanno a pezzi gli altri, la speranza di annegare i suoni altrui, e gli altri pensano che siamo da trovare intorno al mondo,  mentre si stanno portando verso il fondo; inevitabile il ritorno al ritornello compulsivo, anticipato però da una dilatazione di chitarra e piatti, ed ora presentato in modalità più strisciate e controllata, delineata da versi più aggressivi in contrasto al cantato rauco di Davis. Ed è così, su una serie di montanti rocciosi e dissonanze, che raggiungiamo un falso finale; dopo pochi secondi un grido riprende la traccia, presentando la vera coda conclusiva, fatta di loop reiterati fino all'oblio.

When Will This End

"When Will This End - Quando Finirà Tutto Questo" viene presentata da un riffing circolare abrasivo, il quale si ripete in loop con i suoni toni squillanti delimitati da piatti cadenzati; segue un fraseggio greve accompagnato da ritmica minimale, tra raffiche improvvise e suoni onirici, sui quali Davis striscia malevolo mentre tratta del sentirsi in una situazione infinita in cui si è usati e si soffre, chiedendosi quando essa finirà. Girando dentro di noi e marcendo, qualcosa è stato toto da dentro di noi, sentendo che il nostro cuore viene spezzato inutilmente, sappiamo che non migliorerà, e possiamo solo chiederci quando finirà. Un grido in growl ci fa passare ad un ritornello dal cantato appassionato, unito a suoni altisonanti e trascinanti, ricco di armonie vocali ed atmosfera solenne: sembra che non possiamo toglierci da questa situazione, e sentiamo di essere qui per far divertire gli altri, che giocano con la nostra testa, non c'è nulla che possiamo dire, e sentiamo sempre di essere quelli da incolpare, e possiamo solo chiederci quando tutto questo finirà. Riecco quindi i toni dal trotto strisciate e dalla voce suadente, dove siamo senza speranza dentro di noi, soli mentre attendiamo, e mentre dentro di noi l'odio altrui fermenta; si ripropone quindi il crescendo già incontrato, il quale collima nuovamente nel ritornello arioso e corale, il quale si protrae con i suoi loop circolari, fino ad una cesura dal fraseggio ritmato. "The stress is rising and I can't seem to get away from you. You're always trying and the lying always shines right through. My God I hate this. Always take shit. Can I let this go on? Why can't I break this. I just take this, as this goes on and on -  Lo stress sale e sembra che io non possa allontanarmi da te. Tu ci provi sempre e la menzogna traspare sempre. Dio come odio questo, sempre a ricevere merda. Posso lasciare che vada avanti? Perché non posso spezzare tutto questo. Semplicemente lo accetto mentre va avanti sempre." racconta il testo su synth diafani e drumming cadenzato, portandoci verso un'esplosione con growl e bordate rocciose e magistrali; segue un loop altrettanto gracchiante, destinato a collimare nelle arie del ritornello, i quale si conclude con una dilatazione in feedback, chiusura del pezzo.

One

"One - Uno" è la cover in versione live del celebre brano dei Metallica, tratto dal disco "...And Justice For All" del 1988, un pezzo che parla di un soldato menomato dalla guerra, lasciato cieco e senza arti. Egli esce dal coma, trovandosi in ospedale, e durante la degenza riflette sul suo passato e sulla sua vita, vittima purtroppo di spasmi continui, nei quali egli evoca la morte come fuga da questa condizione. Ecco le esultanze del pubblico, accompagnate da suoni di guerra, tra raffiche di mitra, esplosioni, ed elicotteri; presto parte un suono di chitarra che chiunque conosca anche solo minimamente il pezzo originale, riconosce subito, costituito da una serie di arpeggi sinuosi ed ammalianti. Davis attacca con il cantato, qui naturalmente posato ed emotivo: non possiamo ricordare nulla, e non sappiamo dire se questo è un sogno o la realtà, dentro ci sentiamo gridare, ma un terribile silenzio ci ferma. Nel frattempo i toni delicati di chitarra ed il drumming leggero continuano, in un movimento dal gusto posato; ora che la guerra ha fatto i conti con noi, ci svegliamo, ma non possiamo vedere come sia rimasto ben poco di noi, mentre solo il dolore è vero per noi.  Ecco quindi che si apre il famoso ritornello, fatto di riff più rocciosi e dal cantato appassionato, sottolineato poi da un breve trotto epico: tratteniamo il respiro mentre desideriamo la morte, chiedendo a Dio di svegliarci. Torniamo di seguito al movimento portante, sempre languido e sognante, in contrasto alla disperazione della situazione descritta: "Back in the womb it's much too real, in pumps life that I must feel, but can't look forward to reveal, look to the time when I'll live - Tornato nell'utero, è fin troppo reale, la vita che dovrei sentire è in pulsazioni, ma non posso attendere di rivelarla, di guardare il tempo in cui vivrò." ci narra il testo,  mentre poi viene descritto come veniamo nutriti tramite le flebo, come una curiosità bellica, attaccati a macchine che ci fanno essere, mentre vorremmo essere disconnessi dalla vita. Riecco quindi il ritornello, il quale collima in un bell'arpeggio sognante, arricchito da scale articolate; il mondo ci ha lasciati, e siamo solo noi, chiedendo a Dio di aiutarci a trattenere il respiro mentre desideriamo la morte. È il momento di altre chitarre maestose e dalla narrativa sonora appassionante, arricchita man mano da giri più marcati, i quali preparano il campo per la storica marcia dai riff decisi, sulla quale esplode anche la rabbia del narratore: l'oscurità ci imprigiona, tutto ciò che possiamo vedere è l'orrore assoluto, non possiamo né vivere, né morire, intrappolati in noi stessi, con un corpo che è una cella. Una mina ha preso la sua vista, la sua parola, l'udito, le braccia, le gambe, l'anima, lasciando solo una vita all'inferno; il finale vede una serie di giochi ritmici tra rullanti e loop di chitarra ripetuti, mentre poi troviamo le esultanze finali degli spettatori, protratte in dissolvenza.

Conclusioni

Un lavoro come detto dai vari aspetti, ma dominato da un impianto complessivo che rielabora la storia dei Korn in una direzione più atmosferica ed addolcita, in una sorta di ferocia stemperata, ma presente, la quale vuole mantenere un piede in due scarpe, ovvero mantenere la natura metal della band, ma allo stesso tempo ampliare suono e, di conseguenza, pubblico aprendosi a direzioni più melodiche e meno brutali; ecco quindi la natura eterogenea ed a volte contraddittoria del disco, ben rappresentata dalle bordate di "Right Now" e "Break Some Off" e dai ritornelli disperati di "Counting On Me", così come dai richiami rap di "Play Me" e le ariosità di "I'm Done". La voce di Davis usa molto di più il farsetto pulito, caratteristica che prenderà sempre più piede nel futuro del gruppo, ed il songwriting si basa molto meno sulle chitarre ad accordatura bassa e sui suoni acidi, anche se questi elementi non vengono del tutto banditi; soluzioni elettroniche all'epoca associate ai Nine Inch Nails e Manson trovano uno spazio allora inedito, anch'esse in futuro elementi sempre più presenti nel mondo sonoro della band. Passato e futuro si trovano quindi a metà strada, dandoci dei Korn in procinto di cambiare il loro suono ed immagine più volte nel tempo, pur conservando quelle caratteristiche che li rendono loro stessi, diversi tanto dai colleghi del mondo nu metal, quanto dal metal propriamente detto e dal rock più classico; quest'ultimi sono le paranoie di Davis, i suoni languidi che riprendono tutta una serie di elementi legati alla new wave ed all'alternative rock/metal, ed i loop ossessivi uniti a parti aggressive di cantato. Una sorta di "adolescenza che vuole farsi adulta, ma rimanere se stessa", per una band che incomincia ad uscire appunto dalla sua gioventù, e che ormai conosce molto bene una vita di successo. Possiamo dire di essere nel post "E vissero felici e contenti", come naturalmente succede sempre nella realtà: la vita va avanti, e così la carriera dei Korn dopo l'apice di un genere che hanno creato ed allontanato, in un amore-odio che sarà la loro salvezza. Se infatti molti nomi del nu metal, anche grossi, scompaiono o finiscono in sordina dopo i primi anni del duemila, i Nostri rimangono sempre sulla bocca di tutti, anche se la stampa si farà sempre meno tenera nei loro confronti, assurti a capri espiatori di un periodo prima celebrato, ed ora invece sempre più rinnegato come una pagina da nascondere; insomma, pure nella celebrità, ironicamente, i californiani rimangono in parte dei pariah, anche se lo showbiz e la band continueranno a flirtare in una, ennesima, relazione disfunzionale. Tutto questo naturalmente comporterà degli assestamenti nel lungo termine, dovuti anche alla natura turbolenta e tormentata dei membri della band; Welch lascerà il gruppo dopo il loro Greatest Hits del 2004, cercando nella religione una via per uscire dal suo abuso di droga e formando i Love And Death dopo una dipartita burrascosa con i Nostri, la quale lascerà per anni un astio delineato da frecciatine e dichiarazioni, anche se poi ci sarà il ritorno all'ovile, mentre si cercherà a fasi alterne l'apporto in produzione di nomi legati al pop,  e poi di altri legati al passato del gruppo. Defezioni, cambi, ripensamenti, aggiustamenti continui, colpi di testa, esperimenti; questo ed altro saranno i pilastri della nuova strada della band, la quale sopravvivrà fino ad oggi dando prova di una resistenza oggettiva e di una capacità di adattarsi agli anni che passano, che sono incontestabili.  Per quanto ci riguarda, non ci rimane invece che scavare ancora nel passato, andando a trovare il tassello precedente: quel "Untouchables" che sarà allo stesso tempo l'epitaffio del loro periodo nu metal propriamente detto, e l'introduzione di certe venature che usciranno sempre più nel suono futuro dei californiani.

1) Right Now
2) Break Some Off
3) Counting On Me
4) Here It Comes Again
5) Deep Inside
6) Did My Time
7) Everything I've Known
8) Play Me
9) Alive
10) Let's Do This Now
11) I'm Done
12) Y'All Want a Single
13) When Will This End
14) One
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