KORN
MTV Unplugged: Korn
2007 - EMI, Virgin
DAVIDE PAPPALARDO
26/09/2017
Introduzione Recensione
Prosegue la nostra disamina sui Korn, la band simbolo del nu metal, ancora in formissima ed ormai con all'attivo diversi album che, in realtà, spaziano dal genere che hanno contribuito largamente a creare, fino ad arrivare ai meandri del rock alternativo tout court con incursioni anche in territori elettronici. Una lunga carriera che nel 2007 vedeva l'uscita del controverso "Untitled", disco minimale e sperimentale prodotto da Atticus Ross, collaboratore di Trent Reznor e dei suoi Nine Inch Nails, il quale non aveva raccolto il favore di gran parte del pubblico e della critica, a causa di un songwriting scarno e lontano dalle soluzioni care ai fans della band. A dire il vero, comunque, era già da tempo che i Nostri avevano cercato di allontanarsi da una nomea che sentivano stargli troppo stretta, cercando però allo stesso tempo di mantenere una propria identità; un percorso durato anni, e che ha quindi prodotto diversi singoli e pezzi entrati nell'immaginario musicale del rock e del metal "alternativi" durante il terzo millennio. Quale migliore celebrazione quindi di questa carriera, se non un disco live? Come sempre, infatti, questo tipo di lavori segnano sia una celebrazione di un progetto musicale, sia un punto di cesura prima di una nuova fase (che nel caso dei Korn vedrà prima un tentativo di ritorno al passato, poi la sperimentazione più spinta in campo elettronico), e danno spazio e tempo per soppesare vari aspetti e fare riflessioni. Ma con i californiani, spesso, le cose non sono affatto "tradizionali", ed ecco che invece di presentare un ennesimo disco live ripreso da un loro normale concerto (cosa già fatta appena un anno prima con "Live & Rare", uscito per la Immortal/Epic), ora si presentano con un concerto unplugged tenutosi presso gli studi della famosissima emittente televisiva MTV, situati a Times Square, New York, il nove dicembre del 2006; si tratta di "MTV Unplugged: Korn", lavoro facente appunto parte della serie di concerti unplugged (ovvero solo con strumentazione acustica) tenutesi presso gli studi prima citati, performance immortalate anche su video e trasmesse direttamente sullo schermo televisivo. Qui, dunque, i Nostri vestono dei panni inediti, rinunciando ad aggressività e chitarre elettriche a favore di suoni acustici introspettivi, capaci di trasformare radicalmente molti dei loro pezzi storici e quelli più recenti; ospiti d'eccezione sono Amy Lee degli Evanescence (allora ancora sulla cresta dell'onda, forti del successo del disco "The Open Door"), e Robert Smith con Simon Gallup, entrambi membri dei The Cure, gruppo storico del post punk e dalla darkwave che non richiede molte presentazioni. Jonathan Davis (voce), Munky (chitarra) e Fieldy (basso) si accompagnano a Rob Patterson (seconda chitarra), Zac Baird (tastiera), Michael Jochum (percussioni), Bill Hayes (armonica e bicchieri), Erik Friedlander, Evie Koh, Jeremy Turner, Julie Green (violoncelli), Bill Ellison, Jeff Carney (contrabbassi), Jeff Nelson, Mike Davis (tromboni), Andy Bove, Morris Kainuma (cimbassi), in una mini orchestra che rivisita il tutto in chiave intima ed essenziale, regalandoci quindi dei Korn inediti, supervisionati dal compositore Richard Gibbs e dal produttore Alex Coletti. Il risultato è uno dei lavori più interessanti e meglio riusciti della carriera dei Nostri, arricchito da reinterpretazioni che riprendono i classici e i pezzi più recenti della band dando loro nuova vita, specialmente laddove vengono messe in luce parti originariamente di fattura ben diversa, o magari passate in secondo piano nella versione in studio; inoltre, la voce di Davis risplende nei suoi aspetti più melodici, mentre è interessante notare come parti prima elettroniche, ora vengano sostituite dall'uso del pianoforte o di strumenti etnici, acquisendo una natura ancora più atmosferica e solenne, a tratti onirica.
Blind
"Blind - Cieco" è il modo migliore di aprire il disco, essendo la prima canzone presente nel debutto omonimo della band datato 1994; ecco che il pubblico applaude, mentre Davis presenta il brano, presto sovrastato dai tamburelli colpiti dalle mani del percussionista e dagli arpeggi ripetuti della chitarra. Il suono si protrae fino all'aggiunta di toccate dal gusto quasi folk, sulle quali la voce nasale del nostro assume toni ariosi parlandoci della dipendenza da anfetamine, un fenomeno che ha accompagnato i cantante per anni: questo luogo nella nostra mente è "dove ci piace nasconderci", ma "non sappiamo cosa accadrebbe se dovessimo morire", è un luogo nel nostro cervello che implica un altro tipo di dolore, ma non sappiamo quali siano le probabilità, "siamo così ciechi". Il movimento ricorda quasi una melodia ispanica, insolitamente caldo e solare, presentando la natura particolare del lavoro sottolineata da parti di pianoforte. Le ultime parole vengono ripetute in un ritornello arioso giocato tutto sulla voce di Davis, qui in perfetta forma; si riprende quindi con il pezzo, ed ora il vocalist ci spiega come sia un altro luogo che trova per fuggire dal dolore, ed ancora una volta non sappiamo se potremmo morire. Si ripropongono le evoluzioni precedenti, ed è così che ritroviamo il ritornello vocale leggero ed adagiato; esso viene seguito da una cesura soppiantata da una sessione più serrata, ma sempre naturalmente acustica, con vocals serrate e segnate da rime veloci. "Deeper and deeper and deeper as I dream to, live a life that seems to be a lost reality that can never find a way to reach my inner? self-esteem is low. How deep can I go, in the ground that I lay? If I don't find a way to see through the gray that clouds my mind. This time I look to see what's between the lines!" - "Sempre più in profondità, mentre sogno di vivere una vita che sembra una realtà perduta che pare non raggiungere mai il mio io interiore? La mia autostima è bassa. Quanto in fondo posso andare, nel terreno su cui mi sdraio? Se non trovo un modo per vedere oltre al grigio che mi annebbia la mente. Questa volta guardo per vedere cosa c'è tra le righe", enuncia il testo, aumentando le immagini di chiusura in se stessi e senso di perdita del contatto con la realtà, rischiando di finire molto male. Giochi di chitarra e ritmi si ripetono, ora, destinati ad esplodere in un bellissimo ritornello giocato su chitarre ed improvvise cesure ritmiche dal gusto etnico: vediamo che stiamo diventando ciechi, così canta con energia disperata il Nostro, fino all'improvviso finale, segnato così come l'inizio dalle esultanze e dagli applausi del pubblico presente durante l'esibizione. Ma sorpresa-sorpresa, il pezzo non è finito come credevamo: una nuova sequenza dagli arpeggi di flamenco ci trascina con sé verso la vera conclusione, coronata da giri appassionanti. Ora, il pubblico risponde al finale con veri e sinceri applausi.
Hollow Life
"Hollow Life- Vita Vuota" si apre con tamburi ritmici e melodie malinconiche, sulle quali il cantato leggero di Davis prende piede, parlando della vana speranza di essere aiutati da un dio durante il momento del bisogno: cadendo, egli non può fare altro che sperare di arrivare fino a giù questa volta, dentro questa buca da lui fatta non può fuggire, cadendo per tutto questo tempo. Siamo arrivati in questo luogo cadendo nel tempo, vivendo una vita vuota, attendendo dei segni. Le chitarre si configurano ora su arpeggi più sostenuti, ed anche il cantante assume toni più presenti, anche se il tutto mantiene la natura acustica ed intima tipica del lavoro qui recensito: vengono ripetute le ultime parole, potenziate da quanto già detto, e dal pianoforte in sottofondo. Torniamo di seguito ad archi dal gusto orchestrale e suoni spettrali che ricordano un fischio, mentre il cantante prosegue con la sua voce piena di passione: "Fearing to fall and still the ground below me calls. Falling down this time, Ripping apart all. These things I have tried to stop. Falling all this time - Ho paura di cadere, eppure il terreno sotto di me, mi chiama. Cado questa volta. Facendo tutto a pezzi. Queste cose che ho cercato di fermare. Cadendo per tutto questo tempo." prosegue ora, parlandoci del sentirsi in balia degli eventi, come in una caduta senza fine e controllo. Ritorna il ritornello, in un tripudio di pianoforte da pano bar, ritmiche tribali e chitarre dal tocco di classe; all'improvviso il pathos esplode grazie ad arie da colonna sonora, con un Davis da oscar raggiunto da suoni onirici e maestosi: riflette, ponderando se c'è da chiedersi perché guardiamo il cielo cercando in vano, chiedendoci perché, tutti soli, dove è Dio, se guarda giù, non lo sappiamo. Cadiamo nello spazio, non guardando giù, la morte può arrivare, la pace che abbiamo trovato, cosa possiamo dire? Siamo vivi, stiamo dormendo, o siamo morti? Il tutto con un falsetto stagliato su un pianoforte minimale cadenzato da armoniche. Riecco ora il ritornello ormai familiare, con tutto l'armamentario fatto di chitarre sognanti ed acustiche, e ritmiche leggiadre; torna anche l'elevamento melodico capitanato da un Davis sempre più emotivo, coronamento perfetto per il finale, così come la ripresa della parte in falsetto per concludere il pezzo, mentre il pubblico applaude come di consueto.
Freak on a Leash
"Freak On a Leash - Lo Strano Al Guinzaglio" ci accoglie con la presentazione da parte di Davis della cantante ospite, ovvero Amy Lee degli Evanescence, la quale presta la sua bellissima voce in un duetto capace di rendere il brano una vera e propria sfida emotiva per l'ascoltatore; un pianoforte delicato si fa strada tra gli applausi, mentre Davis si enuncia con i suoi toni sognanti, addolorati: egli tratta della realtà dell'industria musicale e del sentirsi al guinzaglio, controllati da essa, e sfruttati mentre vengono fatti soldi sulle proprie spalle. Amy Lee fa da contraltare alla sua voce, recitando in sua vece alcune parti del testo: qualcosa ha preso una parte di noi, qualcosa di perduto e mai visto, ogni volta che incominciamo a credere, qualcosa viene strappato e preso da noi. La strumentazione si mantiene tersa e minimale, mentre tocca alla cantante rispecchiare i picchi emozionali della canzone, dando all'insieme un tocco da ballata appassionante; Life's got to always be messing with me. You wanna see the light. Can't they chill and let me be free? So do I. Can't I take away all this pain? You wanna see the light. I try to every night all in vain, in vain. - La vita deve sempre fregarmi. "Vorresti vedere la luce. Non possono calmarsi e lasciarmi essere libero? Come faccio io. Non possono portare via tutto questo dolore? Vorresti vedere la luce. Ci provo ogni notte, inutilmente, inutilmente." continua il testo, alternando il cantato maschile con le parti femminili melodiche, esprimendo uno stato di disperazione e disagio palpabile, l'idea di non sentirsi libero e di non essere in pace. Un suono di tamburi introduce il ritornello, maestoso nei suoi toni basati su giri di chitarre ed archi in sottofondo. Segue un arpeggio delicato, il quale collima nella ripresa del movimento segnato da violoncelli e crescendo composti: si ripropongono qui i versi ormai familiari, sempre basati sulla dicotomia tra le due voci. Il ritornello esaltante si ripropone con tutta al sua energia, seguito ora un gioco ritmico fatto di arpeggi serrati, tasti di pianoforte, ed una Amy Lee dagli acuti evocativi: si crea così una coda destinata a decrescere, dandoci una nuova riproposizione più tranquilla del ritornello. La canzone va quindi a concludersi con una serie di piatti maestosi, mentre il duetto prosegue fino agli applausi del pubblico, subito seguiti dal brano successivo.
Falling Away From Me
"Falling Away From Me - Sfuggendo Lontano Da Me" si annuncia con una melodia diafana e squillante, con un certo mood tra il malinconico ed il sognante, il quale dominerà il resto dell'episodio; Davis s'introduce con dei toni sospirati su suoni di chitarra uniti alla melodia iniziale, spesso tradotti in arpeggi sognanti: si tratta qui del tema, caro ai Nostri e soprattutto al loro cantante, degli abusi domestici e della possibilità di uscirne. Il narratore si sente stanco, il suo tempo oggi è trascorso, e se flirta con l'idea del suicidio, la cosa a volte è giusta. Fa quello che gli altri gli dicono, e rimane vuoto, sfuggendo e cadendo lontano da se stesso. Il giorno fugge via, ed è la notte il momento in cui vengono i pensieri suicidi, a volte l'unico modo per uccidere il dolore; al massimo potrà sempre dirsi che domani andrà meglio, mentre però continua cadere lontano, sempre più lontano da se. L'effetto degli abusi è evidente, il dolore rimane costante e non va via, ed il risultato è una lucida disperazione dove solo l'idea della morte da una minima consolazione, per quanto illusoria. All'improvviso abbiamo il ritornello pieno di amara tristezza, qui presentato da una bella sequenza con archi, giri di chitarra dal tocco leggero, ma deciso, e vocals armoniose; veniamo pestati fino a sbatterci dentro al terreno, gridando ed emettendo qualche suono. Ritornano quindi i suoni più controllati, mentre il cantante adotta un registro con punte in falsetto, mentre descrive il modo in cui gira su se stesso mentre cade, perdendo qualcosa che non può ritrovare, fino ad arrivare al punto di rallentare: gli effetti della violenza si sentono ancora, la testa gira e qualcosa non va. Torna il ritornello pieno di pathos, quasi a voler rendere ancora di più chiaro il punto, e questa volta esso termina con una digressione vocale, seguita poi da un nuovo arpeggio: "Twisting me, they won't go away. So I pray, go away. Life's falling away from me. It's falling away from me. Life's falling away from me. Fuck! - Contorcendomi, non vanno via. Quindi prego, che vadano via. La vita sta sfuggendo da me. Sta sfuggendo da me. La vita sta sfuggendo da me. Cazzo!" recita, esprimendo il senso di perdita di controllo su sé stessi e sulla vita, con una disperazione totale. Il tutto si adagia con cori angelici sul movimento musicale, seguito poi da una coda che vede toni vocali più rauchi e striscianti da parte di Davis. L'esplosione caotica della versione originale viene qui sublimata in chitarre ad accordatura bassa che introducono arie ben più sinistre, in una tensione sottile che invece di implodere, semplicemente lascia posto aad un'ultima riproposizione del ritornello, terminato con un arco e con un verso vocale del cantante, seguito dagli applausi del pubblico.
Creep
"Creep - Sgradevole" è una cover del noto pezzo dei Radiohead contenuto nel loro primo disco, "Pablo Honey", del 1992; essa viene presentata da Davis come una dedica a tutti ragazzini vittima di bullismo, un tema da sempre toccato dai Nostri e dai testi del cantante. La melodia familiare del brano viene ricreata da arpeggi uniti ad un basso adagiato sui primi, mentre il cantante ci parla del non sentirsi adeguati nei confronti di una persona che amiamo, e che riteniamo migliore di noi. Quando lei era qui prima, non abbiamo potuto guardarla negli occhi, lei è come un angelo, la sua pelle ci fa piangere, lei vola come una piuma e, in un mondo bellissimo, vorremmo essere speciali come lo è lei. Ora troviamo, dopo colpi decisi di tamburo, il ritornello, qui leggiadro e basato su voce, pianoforte e linee melodiche; siamo sgradevoli, degli strani, e ci chiediamo cosa diavolo facciamo qui, non potendo sentirci a nostro agio. Riprende il movimento sognante e come sempre delicato: "I don't care if it hurts, I want to have control, I want a perfect body, I want a perfect soul, I want you to notice, when I'm not around. You're so fucking special, I wish I was special - Non mi interessa se fa male, voglio avere il controllo, voglio un corpo perfetto, un'anima perfetta, voglio che tu ti accorga, quando non sono intorno. Sei così fottutamente speciale, vorrei essere speciale", annuncia ora il cantante, parlando ancora di come vorrebbe essere qualcosa di perfetto e diverso da ciò che è. Si ripetono le sequenze di poco prima, ridandoci sia il ritornello giocato sulla melodia intima, sia la parte successiva, poco prima da noi tradotta ed analizzata. Per la terza volta ripetiamo il senso di inadeguatezza del protagonista, mentre poi le vocals di Davis conducono un falsetto emotivo: lei fugge da noi ancora una volta - ripete il cantato - con una naturalezza e tranquillità disarmanti per il contrasto con quanto espresso, mentre il pianoforte ed i tocchi di chitarra si ripetono. Qualsiasi cosa la faccia felice e lei voglia, noi vorremmo poter dare, vorremmo essere speciali, ma siamo solo "spregevoli, strani"? su queste parole prosegue l'ormai familiare ritornello per un'ultima volta, concludendo su arpeggi ed applausi del pubblico il brano qui egregiamente reinterpretato dalla band.
Love Song
"Love Song - Canzone D'Amore" parte con un bel fraseggio contornato dai soliti tamburi, sul quale presto Davis delinea le sue vocals ispirate ed ariose. Il brano tratta in modo sofferto della vita personale del cantante, ricordando le vicissitudini che hanno segnato la sua infanzia, rivolgendosi alla madre, le cui scelte hanno comportato tutta una serie di circostanze; egli la invoca, ma lei "tiene il nostro cuore gridando", ingiuriando il bastardo che lo ha lasciato rotto dentro e sanguinante, l'uomo che lei amava e per il quale ha lasciato tutto, colui che ha cercato di portare Davis verso la "porta della morte". Si riproducono gli arpeggi di chitarra mentre le vocals acquistano toni soavi e leggiadri: ogni cosa è "eliminata e dedicata", ma ci chiediamo se le nostre convinzioni possano distruggere il dolore, non capendo mai cosa sia sopravvalutato. Ecco quindi il ritornello estremamente calmo e pieno di sobria malinconia, supportato dal pianoforte e dalla voce melodica del Nostro; una canzone d'amore per i cari defunti, una lapide per i cuori spezzati, braccia per uccidere o fiori da rubare, un viaggio mentale per il mortale legato alla terra, un sorso del sangue trovato mentre, sdraiati, moriamo. I tasti del pianoforte conoscono ora andamenti più grevi, mentre di seguito riprende il movimento precedente, caratterizzato dalle stesse evoluzioni: mentre "piovono necrologi ed è tutto ok, mentre stiamo nudi a faccia in giù". Ci chiediamo se (lei) "non fosse decapitata", se non possono vederci affascinati, poiché essa è l'unica cosa da noi danneggiata, quello che si ottiene nel gestire male le cose. Riprende il ritornello sempre calmo e controllato, summa del gusto acustico che pervade il disco; arpeggi delicati ed arie soavi ci accompagnano verso una cesura fatta di fraseggi più spezzati e suoni di piatti, collimando in una jam session contratta. "Don't bring me daffodils, Bring a Bouquet of Pills. See some geranium, Cracked to the crainum. Protect me when you can, Respect me when I am Dying - Non portarmi narcisi, portami un bouquet di pillole. Qualche geranio messo nel cranio. Proteggimi se puoi, rispettami mentre muoio." continua qui il testo, esprimendo un fatale senso di morte ed abbandono, legati ad un sottile sarcasmo. Un pianoforte ormai familiare reintroduce il ritornello, ancora più lieve e sognante, un'intima coda finale che ci porta verso un'ultima riproposizione contornata da cori pieni di anima. Si chiude così il pezzo, sempre coronato dagli applausi del pubblico.
Got the Life
"Got the Life - Prendi La Vita" incomincia con una presentazione di Davis, che lo annuncia come il pezzo più popolare della loro carriera. Quello che nell'originale è un riffing circolare in loop, qui diventa un arpeggio delicato protratto insieme a ritmi cadenzati, con un gusto regale che poi sfocia in tamburi tribali e fraseggi grevi, contornati da tasti di pianoforte. Davis s'introduce con i suoi toni nasali, mentre tratta del peso della fama e del chiedersi se ne vale la pena, nonostante i vantaggi pratici ed economici che essa porta. L'odio, a volte, in qualche modo, prende a calci la porta, il nostro è "qualcosa dentro, non lo seguiremo nemmeno". Chiediamo qualcosa di vero, non seguiremo nemmeno la cosa, ma ci prepariamo. Le chitarre ad accordatura stridente fanno da intermezzo, sostituendo i toni hip hop usati nella versione in studio; con l'odio ci sentiamo fregati ancora, ed è dovuto alla merda che abbiamo dentro, ed ora tutti seguiranno. "Ci viene dato nulla, se non il sentire". Ora passiamo al ritornello, qui giocato su maestosi arpeggi, suoni incalzanti e parti di pianoforte appassionanti, sfondo per un Davis decisamente ispirato: Dio pensa che non vedremo mai la luce, noi ci chiediamo chi vorrà vedere, ma lui e ci dice che abbiamo già la vita. Torniamo così agli arpeggi più controllati, sui quali si delinea una coda caratterizzata da un forte pathos; "Each day I can feel it swallow, inside something they took from me. I don't feel your deathly ways. Each day i feel so hollow, inside I was beating me, You will never see, so come dance with me. Dance with me - Ogni giorno posso sentire che ingoia, dentro c'è qualcosa che mi è stato preso. Non sento i tuoi modi mortali. Ogni giorno mi sento così vuoto, dentro mi distrugge. Non lo capirai mai, quindi vieni a danzare con me. A danzare con me." declama ora il testo, dipingendo visioni disperate di vuoto interiore e mancanza di speranza. Il tutto, poi, sviluppa una bella sequenza dal gusto ritmato, quasi una toccata di flamenco, destinata a collimare nuovamente nel ritornello sempre basato sul pianoforte e sulla voce - ora ancora più altisonante - del Nostro, in un verio e proprio climax tanto musicale quanto emotivo. Il movimento si protrae fino al raggiungimento di ripetizioni vocali stagliate su una ritmica ossessiva, ed ecco che il gran finale prevede ritmi sincopati e melodie di piano ripetute in un loop ossessivo portato avanti fino ad un fraseggio finale contornato da piatti cadenzati. Si decelera quindi fino alla conclusione segnata dall'applauso del pubblico presente.
Twisted Transistor
"Twisted Transistor - Radio Malfunzionante" viene introdotta da suoni maestosi dal gusto mediorientale, sotto i quali si strutturano fraseggi grevi e tamburi ritmati; Davis parte con il suo cantato arioso e nasale, mentre ci parla del ruolo della musica nell'aiutare le persone durante i momenti difficili della vita, una sorta di celebrazione del ruolo di "voce generazionale" che i Korn si sono da sempre imputati. Fra le righe, "la sorellina del diavolo" ascolta la sua radio malfunzionante, tenendola tra le gambe ed alzando il volume non avendone mai abbastanza. In una vita solitaria dove nessuno la capisce, la musica lo fa, e per questo non deve arrendersi. La musica la raggiunge dentro, proclamando in eterno i suoi fanculo verso tutto, mentre le grida sono sospiri; ecco qui il ritornello giocato su vocals appassionate e sottolineate da archi orchestrali e ritmiche tribali, non dimenticando contrabbassi in sottofondo. "Hey you, hey you, finally you get it, The world ain't fair, eat you if you let it. And as your tears fall on, Your breast, your dress, Vibrations coming through. You're in a mess - Ehi tu, ehi tu, finalmente lo capisci, il mondo non è giusto, ti divorerà se lo lasci fare. E mentre le tue lacrime cadono sul tuo petto, sul tuo vestito, le vibrazioni arrivano. Sei in un casino." prosegue il testo con la ripresa del movimento precedente, dicendoci poi che tutto questo non farà neanche un po' di male, ma chiedendosi anche chi è che lo afferma, delirando sull'essere "anestetizzati e lasciati in pace". Riecco ancora il ritornello con i suoi movimenti pomposi e regali, in una sessione destinata a collimare in una sequenza fatta di contrasti tra parti vocali, con arpeggi e colpi di contrabbasso da banda d'orchestra. Troviamo di seguito una cesura di pianoforte, sviluppata in un bel proseguimento in cui la voce di Davis s'incastra perfettamente tra i tasti dello strumento, passando ad un'atmosfera "da piano-bar". Arriviamo così al ritorno del ritornello arricchito dagli archi squillanti, il quale però ora dura poco, bloccato all'improvviso dal sussurro del titolo del brano. Ed è così che si chiude la canzone, naturalmente non senza gli applausi del pubblico.
Coming Undone
"Coming Undone - Sciogliendosi" parte con un fraseggio secco e greve, sul quale presto si stagliano tamburi e vocals in duetto tra toni nasali e parti più profonde; qui Il testo sembra riferirsi ad un momento di crollo nervoso, o crisi esistenziale in generale, durante il quale si sente perdere consistenza; continuiamo ad andare avanti anche quando il cervello suona come una bomba, sentendo che i pensieri oscuri sono tornati per prenderci con parole dolci ed amare, diversi da quanto già sentito da altri, sfidando il cuculo a farci il verso, poiché "non ci fa effetto". Ora, arpeggi circolari e ritornelli vocali si prodigano nel portare avanti il pezzo, con un andamento appassionante ma tranquillo; è una "liberazione del nostro cuore", declama il singer, chiedendo per favore di colpire affinché tale sentenza sia deliberata. Dopo una cesura di alcuni secondi basata su suoni di pianoforte incalzanti, abbiamo il ritornello dal trotto deciso, qui convertito però in un andamento leggero consono al disco. Stiamo andando in disfacimento, irati, ed è troppo tardi, mentre sembriamo così forti ma siamo delicati, e iniziamo a soffocare, presagendo che stiamo andando in disfacimento. I movimenti vengono ripetuti svariate volte, e s'intravede anche un contrabbasso che fa da fondo sonoro al tutto; ritorniamo all'andamento precedente più controllato, ed il testo declama "Choke choke again, I thought my demons were my friends, Getting me in the end. They're out to get me, Since I was young, I've tasted sorrow on my tongue, And this sweet sugar gun, Does not protect me - Strozzati, strozzati ancora, credevo che i miei demoni mi fossero amici, mentre alla fine mi prenderanno. Mi stanno cercando, da quando ero giovane ho provato il dispiacere sulla mia lingua, e questa pistola di dolce zucchero non mi protegge." e capiamo che abbiamo un grilletto tra gli occhi, e chiediamo di farla finita velocemente. In tutto ciò si intromettono archi e suoni orchestrali, portandoci verso la riproposizione del ritornello con contrabbassi ed arpeggi cadenzati; ecco ora parti più maestose ed incalzatati, le quali ci accompagnano verso giochi contratti di pianoforte e strumenti a fiato. Cerchiamo di "tenere tutto assieme, ma al testa è più leggera di una piuma, e sembra che non stiamo migliorando"; si ripete quindi il coro, senza soluzione a questo malessere che ci distrugge. Il finale vede ancora il solito ritornello, proposto fino alla conclusione lasciata ai contrabbassi dal suono drammatico: il pubblico applaude soddisfatto, coronando l'esibizione.
Make Me Bad/In Between Days
"Make Me Bad/In Between Days - Rendimi Cattivo/Tra I Giorni" inizia con un Davis, visibilmente emozionato, che descrive l'importanza nella sua vita degli ospiti di questo middley, ovvero i The Cure, capitanati dal qui presente Robert Smith, coadiuvato dal compagno di avventure Simon Gallup; una fusione artistica dove il pezzo estrapolato da "Issues" si fonde con il celebre brano dei Cure, tratto da "The Head On The Door", disco del 1985 divenuto oramai un classico imprescindibile dell'alternative rock, noto per la celebre "Close to Me". Ecco ora un arpeggio sognante, come sempre coadiuvato da fraseggi e ritmiche acustiche; Davis parte con i suoi modi languidi, parlandoci della dipendenza dal sesso, vissuto come una droga e fuga dal dolore, la quale porta però a scelte e gesti che feriscono gli altri, producendo nuovo dolore, e portando a farsi domande su sé stessi. Qui ci pensa Smith a fare da eco alle sue parole, creando un gioco di corrispondenze ben calibrato: egli guarda l'ascesa e la caduta della sua salvezza, e "c'è così tanta merda intorno a lui, una mancanza di compassione", egli credeva che "sarebbe stato tutto divertente", solamente un gioco, invece è tutto uguale, e vorrebbe qualcosa da fare, qualcosa che gli faccia "sentire la malattia nell'altra persona". Un suono di piatti introduce il ritornello, qui calmo e basato sulla bella voce del Nostro, accompagnata dal pianoforte e come sempre dai cori di Smith, nonché da ritmiche dilatate; percepiamo poi un passaggio di consegne, mentre le chitarre si traducono in quelle del pezzo dei The Cure, il quale parla del rivolere indietro la persona amata, creando un contrasto tematico che ben rappresenta la spesso presente schizofrenia dei Korn. Il cantante del gruppo inglese supplica all'amata di tornare da lui, e di non andare via, mentre ora è Davis a fare da coro alle sue parole, seguendo la strumentazione ben posata, fino all'improvviso finale segnato dagli applausi del pubblico; una versione quindi ben più breve dell'originale, una sorta di pastiche atto a dare l'occasione a Davis di cantare insieme ad una delle leggende della sua adolescenza.
Throw Me Away
"Throw Me Away - Gettami Via" viene presentata al pubblico da Davis, il quale spiega come per questa versione acustica abbia deciso di usare un tamburo giapponese, strumento caratterizzato da un suono profondo e solenne; ecco quindi che proprio esso introduce il brano, generando un'atmosfera sacrale con i suoi colpi sempre più veloci, introducendo dei rullanti cadenzati e ripetuti con forza. Il gioco ritmico si ripete, mentre il pubblico applaude: all'improvviso, un arpeggio delicato e sognante sostituisce la parte precedente, mentre un Davis altrettanto sognante ci parla del tema delle ferite interiori e del bisogno di avere qualcosa, o qualcuno, a cui rimanere ancorati; una ferita nella carne che scomparirà con le medicazioni, lasciandoci con interrogativi vecchi quanto l'uomo, a chiederci "se dobbiamo credere che qualcuno ci ascolti, mentre preghiamo". Il cantante racconta di "un amore pieno di odio", chiedendosi se l'altra persona non ami come "distruggiamo tutto". In sottofondo troviamo un suono leggero e sempre di matrice acustica, capace di dare corpo alle parole; "Don't let them throw me away. Keep me and I'll be okay. Skipping a beat but it plays, Don't let them throw me away, Don't let them throw me away. Screwed up, used up. Crumpled, lying on the floor. Fucked up, shut up, All you did back then was score. I'm feeling weak, Missing parts, incomplete - Non lasciare che mi gettino via. Tienimi e starò bene. Salto un battito, ma (il cuore) continua a funzionare. Non lasciare che mi gettino via, malconcio, usato, calpestato sul pavimento. Fottuto e ridotto al silenzio. "Tutto ciò che hai fatto allora era un punto in più", prosegue il singer, "mi sento debole, con parti mancanti, incompleto", dichiara disperato nel testo, chiedendo poi di essere tenuto stretto nella luce, di aggiustare le crepe in modo giusto, tenendo i pezzi nel cassetto per sempre, perché potrebbero tornare utili, un giorno, riciclandoli in qualche modo. Tutto quello che si ha da chiedere è di non essere gettati via, ripetendo poi i versi precedenti con convinzione disperata; un ennesimo sfogo emotivo trasformato in musica dai Nostri, seguendo il loro modus operandi storico.
Dirty (traccia bonus)
"Dirty - Sporco" è la bonus track presente solo nella versione giapponese del disco, un brano intrdotto da tamburi e suoni di chitarra acustica adagiati sulle vocals sospirate di Davis, il quale ci racconta del soffrire dentro e non farcela più, volendo che gli altri capiscano cosa proviamo, allo stesso tempo però odiandoli profondamente. Continuano a bussare, ma nessuno è qui, "scende giù tutto, a malapena percepito". E qui fuori, tutto solo, pronto a farsi saltare la testa in aria: la carica del pezzo monta grazie ad un crescendo di pianoforte, e anche ad un cantato ora più arioso ed altisonante, unito ad archi e ritmi tribali. Soffre dentro moltissimo, e vorrebbe che gli altri potessero vedere il mondo tramite i suoi occhi, ogni giorno è uguale, e lui vuole solo poter ridere ancora. Andamenti orchestrali e chitarre leggere creano ora una cesura dall'atmosfera intima, poi tradotta in una ripresa del movimento iniziale, ora cantato in doppia voce; il narratore continua a sperare, ma nulla si risparmia, e la sua vita è fuori posto. Riecco le evoluzioni destinate a riportarci verso il ritornello, ancora una volta caratterizzato da un cantato arioso e da suoni classici, uniti ora a movimenti acustici; segue una cesura d'ampio respiro in cui abbiamo come contraltare dei corni possenti. Davis ora declama, con il suo falsetto, come prenderà tutto dentro di noi, dandoci implicitamente delle "sporche piccole troie", ma evitando - per ovvi motivi - di usare apertamente tale termine in questa particolare versione: dopotutto, siamo pur sempre su Mtv. Ora, tromboni e cori appassionati in duetto con la voce principale, ci portano insieme alle arie orchestrali verso il gran finale del pezzo, segnato da una coda malinconica di violoncelli che sostituisce quella noise della versione originale.
Conclusioni
Un lavoro particolare ed intimo che ci mostra un lato inedito dei Korn, permettendo alla voce di Davis di risaltare nel suo lato più melodico e sognante; pezzi storici ed altri più nuovi vengono qui rivisti in chiave acustica e minimale, mantenendo la loro identità (melodie principali e strutture portanti rimangono le stesse) e, allo stesso tempo, resuscitando a nuova vita con esperimenti capaci di mostrare nuove varianti rispetto alle versioni in studio. La voce nasale e spesso emotiva di Davis trova qui pieno spazio, rinunciando al growl in nome di un'immediatezza melodica che conferisce un'anima umana anche ai pezzi in origine più oscuri e pesanti; il largo uso di elementi orchestratali e ritmiche tribali dona un'atmosfera epica e serpeggiante, ed in alcuni casi, addirittura, abbiamo delle riproposizioni che superano l'intensità dell'originale. Abbiamo così non solo un semplice divertissement estemporaneo, bensì uno dei lavori migliori della carriera dei Korn, arricchito dalla partecipazione di ospiti d'eccezione e da una direzione ben congegnata, capace di evitare scelte che potessero scadere nel pacchiano, giocando su toni intimi e controllati, piuttosto che su forzature pompose sul lato orchestrale, oppure andamenti troppo minimali per quanto riguarda quello acustico; forse è proprio qui, che i Nostri mostrano quella maturità compositiva che avrebbero voluto mostrare nel contemporaneo e sperimentale "Untitled", lavoro non certo disprezzabile, ma non completamente riuscito. In ogni caso, diventa qui chiara la differenza tra i californiani e molti progetti nu metal poi scomparsi nel giro di poco tempo: la capacità di cimentarsi in diversi aspetti dello spettro musicale, nonchè un genuino interesse verso la musica tutta e le sue diramazioni, offrono alla band una marcia in più, una superiorità che si palesa nelle reinterpretazioni qui presenti, ricche di pathos e rivisitazioni a tratti geniali. La natura più acustica del suono non spaventa per nulla la formazione, che anzi coglie a piene mani l'opportunità, dando valore alle proprie vocals, ma anche a strumenti quali pianoforte, violoncello, armonica, cimbasso e trombone, normalmente estranei alla loro produzione musicale. Un ottimo modo per offrire ai fans un live che abbia un senso, oltre quello strettamente pubblicitario, e che si renda unico rispetto alle versioni da studio dei brani qui proposti; un efficente stratagemma per fare non solo il punto della situazione, ma anche per pensare al proprio futuro. Purtroppo, in realtà, a seguire verrà un tentativo di ritorno al passato, disastroso sotto molti punti di vista, ovvero "Korn III: Remember Who You Are", disco fuori tempo massimo che vedrà dei quasi quarantenni cercare di esprimere, senza convinzione e convincimento, quanto fatto quando erano ventenni; vedremo poi una fase votata alla commistione con l'elettronica EDM e con la dubstep più commerciale, la quale farà storcere il naso a non pochi, ma darà degli spunti interessanti al suono della band, bisognoso di nuovi stimoli per andare avanti in modo credibile. Come detto, in ogni caso, "MTV Unplugged: Korn" rimane uno dei lavori migliori della band, e potrebbe essere apprezzato anche da chi normalmente non ama il suono dei Nostri, a patto però di gradire almeno le vocals di Davis. Qui si va oltre i generi mostrando come, nell'essenza, i Korn siano degli amanti della musica, cosa che ha permesso loro di sopravvivere per anni, anche oltre il genere da loro stessi creato.
2) Hollow Life
3) Freak on a Leash
4) Falling Away From Me
5) Creep
6) Love Song
7) Got the Life
8) Twisted Transistor
9) Coming Undone
10) Make Me Bad/In Between Days
11) Throw Me Away
12) Dirty (traccia bonus)