KORN

Life is Peachy

1996 - Immortal / Epic

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
23/10/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Prosegue il nostro viaggio a ritroso nella discografia dei californiani Korn, numi tutelari del nu metal, ormai in dirittura d'arrivo. Siamo partiti dall'ultimo lavoro, "The Serenity Of Suffering", ripresa in chiave moderna del loro suono classico più aggressivo, rivivendo poi le loro varie evoluzioni e cambiamenti, fino ad arrivare alle loro radici, costituite da un sound greve, urbano, alienante, ma anche funky, dove metal alternativo, crossover e hip hop s'incontrano per dare vita a qualcosa di allora unico. I quattro album "Korn", "Life Is Peachy - La Vita È Rosea", "Follow The Leader" e "Issues", costituiscono il nucleo di queste radici, ed è proprio il secondo disco sopracitato quello che andiamo ora a recensire, analizzando come di consueto ogni traccia con testi e musica; il nome dell'opera deriva da un gioco di parole ideato dal bassista Reginald "Fieldy" Arvizu, il quale aveva scherzosamente aggiunto la parte "Life Is..." davanti alla sua cartelletta Pee Chee (marchio molto diffuso in America). Qui il prima menzionato bassista, il cantante Jonathan Davis, i chitarristi Brian "Head" WelchJames "Munky" Shaffer, il batterista David Silveria, coadiuvati dal produttore Ross Robinson - "prezzemolino" del mondo metal e crossover, da non pochi considerato la mente dietro le quinte dello sviluppo del nu metal - portano avanti quanto mostrato nel primo lavoro, da un lato indurendo ulteriormente alcuni aspetti del loro suono, dall'altro invece inserendo una matrice più melodica per quanto concerne ritornelli e strutture, anticipando poi molte della parti più funky e hip hop del successivo "Follow The Leaders", ovvero il disco che li ha fatti sfondare nel circuito "mainstream"; per molti versi un banco di prova con cose riuscite ed altre un po' meno, appesantito nella sua struttura da un numero forse eccessivo di cover e da intermezzi un po' fini a se stessi, ma in ogni caso fondamentale per quanto sarebbe venuto dopo. Una band quindi non sconosciuta, ma ancora non le rockstar che verranno dopo, principalmente dei ragazzi alla ricerca del loro ruolo nel mondo musicale, non contrari al puro divertimento in studio, ma genuini anche nelle loro confessioni (o meglio in quelle di Davis) che seguendo il vissuto personale, passato e quotidiano, non rispettano minimamente le convenzioni, cadendo anche nel grottesco e nel patetico senza remore. Largo quindi a bozzetti quali "Twist" o "Porno Creep", così come a brani cupi e dalla struttura soffocante, per esempio "Chi" e "K@#Ø%!", e anche a momenti più ritmati e "funky" come "A.D.I.D.A.S.", il tutto intramezzato da suggestioni industriali, momenti tribali, strutture dub e parti disorientanti, facendo largo uso di distorsioni e dissonanze. Un'atmosfera malsana e delirante, dove il confine tra faceto ed inquietante  spesso si fa meno chiaro, portandoci in un mondo ben delineato dall'immagine di copertina, una fotografia di Martin Riedl usata dietro indicazione di Scott Leberacht: un bambino, vestito come un adulto, si trova davanti ad uno specchio, con dietro di sé un'ombra minacciosa, non altro che la sua stessa immagine in versione oscura e gigante. La perdita dell'innocenza, l'inevitabile violazione dei nostri sogni e speranze con l'ingresso nel mondo adulto, fatto di problemi, crisi continue, dolore, panacee ancora più dannose, bisogni sessuali; questo il substrato dei Korn, qui a nudo ed esposto sia nei testi, sia nella musica volutamente angosciante e spesso nata dall'improvvisazione libera dei Nostri, con input aggiunti man mano dai diversi membri del gruppo. Un suono dove Mr. Bungle, Rage Against The Machine, Ice Cube, Outkast, Godflesh, Tool, Nine Inch Nails convergono in un mondo urbano ed adolescenziale, decisamente meno ridefinito e più urgente,  un parco musicale dove sconosciuti poco raccomandabili offrono piaceri proibiti che nascondono inquietanti risvolti, tra esperienze metal e ritmi sincopati hip hop. Non troviamo qui interessi sociali o politici, o grandi spaccati filosofici; Davis ha una visione improntata su sé stesso e sulla sua esperienza, per quanto avvezzo a metafore che a volte funzionano, a volte lasciano il tempo che trovano; ma l'ingenuità di certi passaggi rende il tutto ancora più vero e diretto, presentandoci probabilmente per l'ultima volta dei Korn liberi da logiche di mercato ed ingerenze dall'alto. 

Twist

Twist - Gira non è altro che l'introduzione al disco, un divertissement basato sulla tecnica dello scatting (cantato senza senso ed improvvisato, nato nel mondo del jazz) , dove i versi senza senso di Davis si stagliano su chitarre ad accordatura bassa, assolutamente dissonanti, e suoni di basso grevi ed estranianti; le vocals quindi diventano una sorta di strumento esse stesse, e ci danno un significato compiuto solo nella ripetizione del titolo della traccia. Un'atmosfera alienante ed alienata, dal sapore lisergico, un biglietto da visita che secondo qualcuno rappresenta lo stato di confusione mentale legato all'uso delle sostanze stupefacenti: un mondo distorto e delirante, dove ogni regola del buon senso e della logica viene sovvertita in versi isterici. Da un punto di vista musicale abbiamo una sorta di riassunto della puntata: un insieme di ritmica lenta dal sapore alternative e di suoni che filtrano in chiave crossover le asperità dello sludge e del doom, il tutto rivisitato in chiave urbana grazie alle parole spezzate del Nostro. Viene da sé che non stiamo parlando di una canzone vera e propria, bensì semplicemente di una intro inferiore al minuto, una sorta di ponte che ci porta al primo brano vero e proprio dell'album.

Chi

Chi è una traccia dedicata nel titolo a Chi Cheng, bassista dei Deftones ad oggi purtroppo scomparso, nel 2013, a causa di un arresto cardiaco, mentre era in coma da anni dopo un incidente stradale avvenuto nel 2008. La dedica è nata dal fatto che il pezzo suonava alle sue orecchie come un brano reggae, genere molto amato dal defunto; ecco quindi che si parte con un feedback stridente, presto fermato da un verso di Davis, seguito dall'esplosione di chitarre contratte e disturbanti, marchio di fabbrica di tutto il lavoro. Le declamazioni del singer riguardano l'abuso di alcol e droga e i suoi effetti a lungo termine, nonché del dolore dal quale si vuole sfuggire tramite esso. "È sepolto in profondità", ci viene detto, mentre siamo invitati ad "entrare nella sua vita fatta di nulla", ove stanchi della stessa cosa scaviamo un buco dove nascondiamo il dolore, siamo sempre fatti e seppelliamo la nostra vita lentamente; intanto la strumentazione si muove contratta, basata su rullanti secchi, basso greve, e suoni come disturbi elettronici, scossi da ruggenti attacchi improvvisi che sanno di nervosismo lisergico. Le alternanze sono molto schematiche, e l'atmosfera è sempre tesa, dalla matrice che potremmo definire industriale grazie all'uso meccanico delle chitarre ad accordatura bassa, dissonanti e stridenti nel loro andamento dai fraseggi "arrugginiti". Al minuto e venti abbiamo una cesura felpata e dal sapore marciante, seguita dalla ripresa del movimento strisciante e disturbante che domina l'episodio; apre la nostra mente verso i sentimenti, non riusciamo ad affrontare il fondo senza l'aiuto di qualcosa. Di seguito riprende l'evoluzione familiare, con toni sempre più selvaggi, destinati ora a collimare con una pausa dub ricca di arpeggi di basso, ritmi tribali, effetti da radio che non funziona, e vocals fievoli da parte di Davis, il quale declama "We enter in my head. Feeling like I'm God. With the world around me. Can't you feel this pain!Reaming through my heart! Screaming through my veins! Nothing I can kill! Screaming a lie! I! Am! Can't you feel my eyes out. Can't you take my heart. . . away. To heart. Good-bye - Entriamo nella mia testa. Mi sento come se fossi Dio. Con il mondo intorno a me. Non riesci a sentire questo dolore! Che penetra il mio cuore! Che grida nelle mie vene! Niente che io possa uccidere! Grida una menzogna! Io! Sono! Non senti i miei occhi che vanno fuori. Non puoi portare il mio cuore...via. Al cuore. Addio." esprimendo un chiaro stato di dolore delirante ed improvviso, difficile da sostenere, assumendo vocals sempre più feroci, degenerando in grida filtrate che crescono d'intensità insieme ai giri di chitarra, salvo poi affievolirsi in un falso finale. Abbiamo ora una coda urbana che fa da finale concitato del brano, un attacco ritmico fatto di batteria marciante e chitarre distorte, trascinata fino alla conclusione del pezzo, un racconto fatto musica di alienazione e dolore allucinogeno, buon esempio del clima tematico e musicale del disco.

Lost

Lost - Perduto ci parla di un episodio di vita accaduto a Jonathan e Head; molto semplicemente il secondo aveva rubato la ragazza (o comunque un interesse sentimentale) al primo, cosa che naturalmente all'inizio aveva rovinato la loro amicizia, fino a che Davis se n'è fatto una ragione andando avanti con la sua vita. Dopo alcuni effetti quasi ambient, un loop di chitarre distorte e versi urbani prende piede fino al ventottesimo secondo; qui parte il cantato sospirato, adagiato su una struttura ora serpeggiante e posata nella sua batteria cadenzata e nei riff distribuiti. Ci chiediamo perché non riusciamo a deciderci, perché nascondiamo i nostri sentimenti, sempre fregando la nostra mente come una spina dentro, e sicuramente è bello sprecare tutto il nostro tempo dentro la nostra mente, sempre una spina nella colonna vertebrale. Esplode ora la prevedibile cavalcata rumorosa ed asfissiante, dove toni tellurici e ritorni a quelli più pacati si alternano in modo improvviso; attendiamo di vedere le cose davanti ai nostri occhi, chiedendoci perché scappiamo via. Ritorniamo quindi sul percorso iniziale, sempre con passo strisciante e in qualche modo malevolo: "Looking all the time at your face so blind. Feeling uptight, always the same fight. Hey man now decide, go ahead take your time. Kissing all the time, that thorn in my spine - Guardando tutte le volte il tuo viso così cieco. Sentendomi teso, sempre la stessa battaglia. Ora uomo devi decidere, prenditi il tuo tempo. Baciando tutto il tempo, quella spina nella mia colona vertebrale" declama ora esprimendo il dissidio verso l'amico, sentendo la tensione inevitabile che si è creata. Riecco ora il ritornello distorto e caotico, perfetta rappresentazione dello stato mentale e anche esistenziale del  Nostro: ci chiediamo perché l'altro vede solo le cose dal suo lato, perché gioca così, quando eravamo sempre insieme una volta, chiedendoci se davvero era nostro amico. Una nuova cesura contratta si accompagna  rullanti potenti, aprendosi poi ad una coda delirante dal cantato a scatti che esprime il dolore che non potevamo sentire; all'improvviso la bordata altisonante termina, riportandoci al clima apparentemente più tranquillo, ma in realtà tutt'altro che sereno. Ora ci guardiamo dentro e capiamo che dobbiamo andare avanti con la nostra vita, anche se rimaniamo una spina conficcata dentro, e sarcasticamente diciamo che va tutto molto bene. Il pezzo prosegue riproponendo le sue evoluzioni violente, collimando ora in grida ancora più disperate e strumentazione distorta, in un loop interrotto da un suono squillante, il quale porta il tutto nell'oblio.

Swallow

Swallow - Ingoiare è un brano che tratta semplicemente dello stato di paranoia indotto dalla droga, uno dei suoi effetti più devastanti, continuando la linea "lisergica" che spesso domina il mondo dei Korn; un fraseggio sghembo ci introduce quindi al pezzo, degenerando poi dopo un verso di Davis in un groove tagliente fatto di giri circolari ripetuti e scolpiti da rullanti secchi di batteria. Seguono poi arpeggi contratti stagliati su suoni dal gusto alienante e dilatato, contribuendo all'atmosfera malata della traccia: siamo sempre chiusi nella nostra testa, conosciamo il dolore, ma non sappiamo cosa abbiamo avuto, per ora siamo sicuri, per ora apparteniamo a qualcuno. Ecco che all'improvviso l'energia fino ad ora tenuta repressa viene rilasciata, dandoci un ritornello aggressivo e lanciato; ingoiamo il nostro dispiacere, e chiediamo di seguirci, constatando però l'errore commesso. Così come tutto è cominciato, finisce, e rieccoci quindi sulla linea dilatata e strisciante, sempre esternazione di uno stato interiore alquanto deleterio e dominato dalla paranoia: "It came unknown to me. Paranoid is controlling all of me. Somehow, a terror so pure. Right now, shit I'm yours - E' arrivato in modo a me ignoto. Il paranoico mi controlla in tutto. In qualche modo, un terrore così puro. Proprio ora, cazzo sono tuo" declama il Nostro, in un flusso di pensiero decisamente allucinato. Senza molta sorpresa, riprende il ritornello terremotato, altisonante nei suoi loop distorti nel drumming ossessivo, dove Davis lancia le sue linee vocali divise tra versi disperati e parti suadenti; arriviamo così ad una cesura giocata su bordate e voce filtrata, scolpita da colpi serrati. Essa non rimarrà però a lungo, e subito riviviamo per l'ennesima volta il motivo portante iniziale, sempre dilatato e quasi onirico: questa cosa che seguiamo, questo luogo in cui siamo troppo spaventati per andare,  ci fa capire che siamo dei derelitti di sicuro, dei derelitti che appartengono a qualcuno. Nuova esplosione, vecchio suono familiare, fatto di ondate telluriche ripetute in ondate che poi si fanno ancora più taglienti, in una coda metal destinata a passare in un gioco di basso e suoni squillanti e molto dub, i quali di seguito vanno a scemare in dissolvenza mettendo fine all'episodio qui incontrato.  

Porno Creep

Porno Creep - Pervertito Del Porno è una sorta di ponte semi-strumentale dove compare solo la parola "Pleasant things I feel... - Cose Piacevoli Che Sento..." ripetute ad oltranza, lasciando sottintendere naturalmente il riferimento alla pornografia e alla masturbazione, ennesima droga per il nostro; un suono siderale seguito da effetti come strappi ci introduce al pezzo, seguiti da piatti cadenzati e subito dopo da un basso elegante nel suo fraseggio delicato, quasi lounge. I clismi falsamente rilassati proseguono, mentre Davis s'introduce in modo fievole, curiosamente ricordandoci i Radiohead prima maniera, mentre suoni alternative si delineano in sottofondo con uno spirito molto sperimentale. Si prosegue su questa linea languida, senza molte variazioni. La natura di "capsula sonora" è ben chiara, una sorta di intermezzo e o spartiacque, forse destinato a portarci verso una seconda parte del disco. La conclusione della breve traccia di due minuti è lasciata ad alcuni ultimi colpi di batteria,  mai comunque violenti e sempre in linea con la natura della musica diafana e rallentata; volendo possiamo anche individuare un chiaro gusto crossover  che lega tendenze rock anni settanta/ottanta con il clima sempre lisergico proprio dei Korn

Good God

Good God - Buon Dio è una traccia che sembra trattare di una persona che interferisce con la vita del narratore, portandola a fare scelte sbagliate dalle gravi conseguenze. Dopo alcuni colpi di batteria, prende piede un fraseggio sghembo e ad accordatura bassa, sormontato da riff grevi e pesanti; si crea così una marcia ritmata, che poco dopo si libra in suoni diafani ripetuti in loop ossessivo. Davis interviene con il suo cantato a volte suadente, a volte disperato, ed ecco che nel testo narriamo come la persona sia entrata nella nostra vita senza nulla, e di come gli abbiamo lasciato spazio, fino a rimanere senza nulla anche noi, di come abbiamo sopportato i suoi sorrisi e i suoi giochi, sperando che sia contenta ora che l'abbiamo lasciata vincere. Ecco che ora otteniamo un ritornello isterico ripetuto ad oltranza, in cui invitiamo la persona a levarsi dalla nostra vista subito; l'atmosfera si fa all'improvviso onirica, grazie a linee di chitarra solenni e vocals sospirate. Nel mare della vita è solo un'esca che vive in modo insicuro la sua vita, sentiamo il dolore dei suoi aghi, mentre ci cagano nel cervello. Torniamo quindi ai suoni plumbei e felpati iniziali, mentre le chitarre tempestano il songwriting con i loro loop cavernosi ed accordatura bassa, mentre il cantante riprende con le sue declamazioni: "I scream without a sound. How could you take away everything that I was? Leave me a fuckin slave. Your face that I despise. Your heart inside that's gray. I came today to say, you're fucked in every way - Grido senza un suono. Come hai potuto portare via tutto quello che ero? Lasciandomi come un fottuto schiavo. La tua faccia che disprezzo. Il tuo cuore che è grigio dentro. Oggi vengo per dire, che sei fottuto in ogni modo." dichiara, esprimendo tutta la sua disperazione e incredulità mentre ricorda gli eventi. Riesplodono quindi le alternanze deliranti, e ritroviamo ancora il ritornello arioso pieno di pathos evocativo; ora esso ci conduce in una coda con voci filtrate dal forte impatto, la quale prosegue fino ad una cesura. Versi ansimanti e fraseggi serrati costituiscono ora l'ossatura della traccia, e subito dopo Davis ripete in modo nervoso i suoi versi, giungendo ad un grido che da il via ad una sessione quasi death, ruggente e feroce nelle sue chitarre segaossa; bordate caotiche distruggono l'etere, riportandoci però poi ai toni più armoniosi e rilassati, sia vocalmente, sia strumentalmente. La chiusura è affidata ad un'ultima proposizione delle linee vocali leggiadre, ripetute fino all'arrivo di versi ansimanti e risate in sottofondo.

Mr. Rogers

Mr. Rogers ci parla dello show per bambini di Fred Rogers, un conduttore americano morto nel 2003 di cancro allo stomaco, dove s'insegnavano i valori della gentilezza e dell'educazione; qui Davis è sotto l'effetto delle anfetamine, ed ecco che attacca lo spettacolo incolpandolo delle violenze subite in giovane età, reso secondo lui troppo ingenuo da esso. Subito una serie di versi ritmati, uniti a cimbali sospesi, ci investono con il loro passo strisciante senza darci modo di capire cosa stia succedendo: all'improvviso on fraseggio rombante si aggiunge all'addizione, creando un crescendo che collima con vocals eteree e suadenti, scolpite da improvvise bordate grevi e dilatate. Davis inizia con la sua narrazione, ed è giunto il momento di capire cos'è davvero, cosa ha fatto dentro, il tempo è giunto, e c'è qualcosa di cui parlare, e lo faremo. La tensione rimane sospesa, in un clima sacrale ed onirico, che intuiamo essere pronto ad esplodere; ecco quindi che al quarantesimo secondo prende il via un fraseggio stridente e arrugginito, lento e monolitico, scolpito da un drumming altrettanto pesante. Suoni squillanti e disturbi saturano l'etere, fermandosi poi in un silenzio di qualche secondo, interrotto da uno schiocco di dita: ora arpeggi notturni e vocals suadenti dominano la scena. Guardandoci indietro, era stupido, un vecchio che veniva amato dal Davis bambino, che era terrorizzato, senza conoscere le sue bugie, e dora l'innocenza di quel bambino che terrorizzava è scomparsa La tensione sale con chitarre ruggenti, mentre il cantato passa a versi taglienti dalla natura aggressiva: la cosa che sappiamo fottutamente ci è venuta da lui, il fottuto odio che sentiamo a causa sua, la nostra infanzia è scomparsa perché lo amavamo. Troviamo anche cori evocativi e crescendo melodici, come completamento della coda; si passa quindi nuovamente a parti rallentate dall'atmosfera poco rassicurante. Rullanti cadenzati e chitarre nervose ci conducono verso una nuova esplosione, dominata sempre da bordate ossessive e suoni dissonanti, completata sempre da motivi ariosi e lisergici. Si passa quindi ad una cesura fatta di rullanti ritmati e deliri sonori, interrotta dal silenzio: ritroviamo lo schiocco di dita, a cui segue la ripresa del movimento strisciante. "First you told me everybody was my neighbor. They took advantage of me and then they took their turns hating me. I wish I wouldn't have watched you, I really mean it. My childhood, a failure. What a fucking neighbor. I hate you, I will too - Prima mi hai detto che tutti erano il mio vicino. Si sono approfittatati di me e mi hanno odiato a turno. Vorrei non averti guardato, intendo davvero. La mia infanzia è stata un fallimento. Che vicino del cazzo. Ti odio, e ti odierò per sempre." declama con ancora il Nostro, pieno di risentimento, sentendosi tradito dal programma che seguiva fedelmente da bambino. Riesplodono gli attacchi furiosi, riportandoci nel terreno del delirio, collimato nuovamente da arie oniriche e versi disperati ripetuti ad oltranza. Ed è così che giungiamo alla conclusione, segnata da fraseggi filtrati e cantilene sospirate, mentre effetti da studio si posizionano in sottofondo, portandoci in dissolvenza verso l'oblio.

K@#Ø%!

K@#Ø%! è un brano che deride la censura in radio attraverso una serie di insulti e parole che vengono normalmente eliminate durante il passaggio dei pezzi; esso parte con un fraseggio sghembo e dissonante, presto raggiunto da un riffing in modalità panzer, annunciato da due rullanti e scandito da una batteria secca e diretta. Ecco ora la voce suadente di Davis, sorretta da chitarre squillanti in un'atmosfera diafana e allucinata: " fottiti troia succhia tette con due palle e il clitoride verde e grosso. La mia grande troia  Oh cazzo, succhia figa fotti culo e lecca piscia, queste palle sulle tue labbra sono clitoridi come Kung-Pao fritte in Kentucky." declama, facendo nient'altro che una lista di parole proibite, senza seguire un senso logico vero e proprio. Volendo possiamo razionalizzare il tutto come un attacco contro una donna odiata, magari una ex, ma il vero senso sta in quanto già detto all'inizio della nostra analisi; segue una discesa di chitarre taglienti, dalle bordate ripetute, destinata a collimare in un ritornello ritmato, accattivante. Il Nostro non sa cosa dire, ma non importa, bisogna fottersene, prendendo la palla al balzo per esprimere ulteriori insulti in modo semi-giocoso. La sequenza ha un gusto tribale, presto però interrotta dal ritorno dei suoni disorientanti e striscianti: "Saggy tits swinging between your fat crusty armpits. Big ass hairy mole between your pussy lips.Fuck shit cock dick cunt tit barf piss. Balls ass pecker quief oh shit fuck bitch, damn fucking diarrhea slut with HIV... -  Tette cascanti penzolano tra le tue ascelle grasse ed incrostate. Una talpa grande e pelosa si trova tra le labbra della tua figa. Fotti merda cazzo pisello figa tette rutto piscia. Palle culo cazzetto scurreggia vaginale oh merda fottuta troia, maledetta fottuta troia diarrea con l'HIV" descrive ora, dando visioni grottesche tra il sessuale e la semplice immaturità pre-adolescenziale. La musica si apre ancora una volta alle bordateel ritornello, condite da versi profondi in growl, e poi dalle vocals più melodiche del cantante; arriviamo così ad una cesura con arie più distese, dove rullanti a marcetta  s'incontrano con chitarre estranianti, prima di esplodere in una serie di bordate dal gusto metal. Riecco ancora i toni cadenzati e dal sapore urbano/hip-hop, ripetuti fino alla coda finale, completata da suoni in loop nella sua conclusione: Abbiamo combattuto per trovare qualcosa da dire, e ora l'abbiamo trovata, ovvero che la troia fottuta deve fottersi. Un episodio semplice e diretto, non uno dei più memorabili o più elaborati del disco, ma trascinante nella sua struttura.

No Place to Hide

No Place to Hide - Nessun Luogo In Cui Nascondersi tratta del sentire che il passato ci proseguita, lasciandoci senza un luogo in cui nasconderci da esso e dai traumi subiti, argomento caro a Davis, vittima di abusi in giovane età, cosa che non mancherà spesso di ricordare nei suoi testi. Ecco quindi un fraseggio squillante, apertura dell'episodio, presto accompagnato da suoni come sirene drammatiche: un riffing potente e circolare si aggiunge alla composizione, donandoci un loop taglia ossa destinato però a fermarsi all'improvviso. Il cantante ora delinea le sue parole su un basso pacato e lento, foriero di un'atmosfera plumbea e allucinata: egli vede le nostre facce e non capisce perché ogni volta sogna che siamo li di fianco a lui, si chiede perché facciamo in modo che lo faccia, che perda il suo orgoglio, e nei suoi occhi lo stupriamo dentro. I toni tornano a farsi più drammatici, con chitarre altisonanti e versi ora quasi gridati, pregni di disperazione malcelata; non abbiamo un luogo in cui correre e nasconderci, non c'è un posto dove farlo che ci piaccia. I suoni si mantengono sulla linea metallurgica, potremmo dire industriale, fino alla fine del verso. Si torna così ai passi lenti e striscianti, sempre coadiuvati dalle vocals suadenti del cantante californiano. "Some look at the time, I looked back into my life. You want to touch me to see what's in my eyes. Why do you make me remember all the hate all its shame. Don't you hate me, sometimes? - Alcuni guardano al tempo, io ho riguardato la mia vita. Vuoi toccarmi per vedere cosa c'è nei miei occhi. Perché mi fai ricordare tutto l'odio e la sua vergogna. Non mi odi, a volte?" enuncia ora, mostrandoci una mente confusa, divisa tra il bisogno di contatto e comprensione, e il disprezzo verso se stessi. Si aggiungono dilatati i suoni sghembi, mentre esplode di nuovo la sequenza dall'atmosfera nervosa: non abbiamo un posto in cui nasconderci, quindi chiediamo di non essere seguiti, non sappiamo dove correre, quindi chiediamo di non essere derisi. Segue un montante distorto, condito da versi isterici del Nostro, in un clima urbano delirante. Esso però si scontra con una nuova sessione, questa volta ariosa e sognante, la quale fa ad contrasto ideale al crescendo di poco prima; un basso da guerra sottintende il tutto insieme ai piatti cadenzati, e non ci sorprende l'esplosione improvvisa, fatta di chitarre ruggenti e suoni stridenti, destinata a portarci verso l'ultima proposizione del ritornello aggressivo. Essa si ripete nei suoi toni accattivanti, trascinandoci con sé, fino al loop di chiusura, firma sonora del brano. 

Wicked

Wicked - Troppo Forte è una cover di un brano di Ice Cube, proposto in una versione in cui partecipa il cantante dei Deftones, ovvero Chino Moreno, la quale propone una serie di "machismi" più o meno seriosi e riferimenti al mondo della vita in strada, della droga, del sesso, e del basket, insomma un quadro di riferimento per il lato più hip-hop e "gangsta" della sostanza musicale e concettuale dei Korn, divisi tra questi impeti e quelli di natura più metal e distorta. Ecco quindi un dialogo iniziale, presto raggiunto da un arpeggio unito a giochi ritmici e risate; un verso gridato da il via a una musica estraniante e lisergica, sulla quale parte il cantato in rima: contiamo fino a tre ed arriviamo con il nostro stile troppo forte, e tutti sanno che siamo della banda dei forti, e agiscono di conseguenza, tutti saltano sulla musica. Un basso felpato sottintende il tutto, mentre arriviamo ad ulteriori strati testuali, sempre adagiati sul movimento lento, ma costante: "Mettila giù e ti ammazzo, bang, bang, buon compleanno coglione. Pronto ad incassare! Incassare! Incassare! Ma è un dovere lo schivare! Schivare! Schivare! Prima che ti freghi! Cercando quello che l'ha fatto. Vuoi il mio voto, no, non lo avrai mai. Perché sono quello con le capacità follemente incredibili. E non soffocherò come i Buffalo Bills, stando in panchina a fare nulla. Larry Parker si è appena fatto due milioni. Oh, che fottuta sensazione. Quel negro mi ha fatto a pezzi, e io faccio lo slam dunk come Shaquille. Cattiva, distruttiva, piccola. Scuoterò quel bambino in provetta..." viene ora declamato, mostrandoci una serie di riferimenti culturali di chiaro stampo americano e da ghetto, tra slang, riferimenti a momenti e personaggi del basket, e alla vita tra il cemento della periferia statunitense. Arriviamo così al ritornello improvviso, isterico e dai riff taglienti, condito dalle vocals rabbiose di Davis, che dichiara di essere forte, e di aver avvertito di non tenere il fuoco acceso, ma ora sta a viso a viso con loro, e quindi sono costretti a farlo. Torniamo subito dopo ai momenti precedenti, tra distorsioni dissonanti e rullanti dilatati, mentre riprende anche il lato più urbano del cantato: dobbiamo solo ascoltare, non parlare, abbiamo un piano per far evadere Tyson di prigione (ulteriori riferimenti a fatti dell'epoca, ovvero al detenzione di quattro anni del famoso pugile Mike Tyson, terminata nel 1995), stiamo seguendo la nostra strada e gli altri avranno il ben servito, colpiremo in testa il nostro obbiettivo, e faremo tremare perché siamo in azione, quindi meglio che gli altri si guardino attorno, vedono solo stivali neri, che usiamo come un'arma, da qui a New York otteniamo fighe, e siamo funky come Wilson Pickett (musicista R&B morto nel 2006). Riecco ora l'attacco furioso dalla natura più metal, ancora una volta dalla brevissima durata, e sostituito dai toni istrionici di stampo urbano: la gente vuole sapere come abbiamo fatto ad avere una pistola, siamo alla finestra come Malcom X, pronti a portare il rumore come dei dominatori del ghetto. Ora anche questo movimento ottiene vocals più altisonanti e nervose, sottintendendo un inasprimento dei toni; il 29 dicembre il potere era in mano alle persone, potrebbe esserci un seguito alla cosa, la polizia è uguale, alla fin fine un cavallo non è altro che un porco che non tira dritto, pensiamo di comportarci come Daryl Gates (protagonista del videogioco "Daryl F. Gates' Police Quest: SWAT"), ma in realtà siamo come Willie Williams (condannato per omicidio e detenuto ai tempi della canzone, ucciso nel 2005 con la pena di morte), l'effetto della pillola ora è finito, seguiamo il maiale, e il lavoro per oggi è finito. Ritroviamo i loop feroci coadiuvati da un Davis altrettanto assatanato, questa volta interrotti da chitarre stridenti, prima di riprendere ancora più selvaggi, in montanti che collimano in digressioni finali, tra squillanti corde abbassate, giri di basso, e versi scherzosi in studio.

A.D.I.D.A.S.

A.D.I.D.A.S. è probabilmente il singolo più famoso del disco, uno dei brani cardine dei Korn, caratterizzato da un songwriting più vicino a quello più strutturato e melodico del disco che seguirà questo; esso tratta molto semplicemente del sesso, ossessione del cantante, riferendosi nel titolo alla marca di scarpe allora preferita dalla band tramite un acronimo scherzoso. Ecco chitarre dissonanti che ricordano cornamuse, elemento portante del pezzo, facilmente riconoscibile; la voce suadente di Davis s'introduce su di essa, unite ad un fraseggio costante e cadenzato. Onestamente, sembra che sogniamo sempre di qualcosa che non possiamo essere, non ci importa, perché saremo sempre quel pappone che vediamo nelle nostre fantasie; ora i giri si fanno più ruggenti, mentre il cantato assume toni altisonanti e melodici, declamando come pur non sapendo il nome dell'altra, la vogliamo comunque scopare. Alcuni secondi di silenzio fanno da cesura, mentre riprende ancora poco dopo l'andamento serpeggiante, con tutti gli elementi del caso: "Screwin' may be the only way that I can truly be free. From my fucked up reality. so I dream and stroke it harder, 'cause its so fun to see my face staring back at me - Fottere potrebbe essere l'unico modo in cui io possa essere libero. Dalla mia fottuta realtà. Quindi sogno e lo stringo più forte, perché è così divertente vedere la mia faccia che mi guarda."  confessa ora il cantante, dichiarando come il sesso sia per lui l'ennesima droga per fuggire da una realtà che vive con ostilità ed alienazione. Incontriamo la sequenza già vissuta, tra toni che si fanno più decisi e riff costanti, ma questa volta collimiamo in un ritornello arioso, altra parte topica della canzone; tutti i giorni pensiamo al sesso, tutti i giorni pensiamo allo scopare, e lo dichiariamo apertamente in modo ossessivo. Il contrasto tra le parole e l'atmosfera quasi spirituale funziona perfettamente, unita alla ritmica secca e accattivante del drumming: arriviamo così ad una nuova cesura, fatta di arpeggi sotterranei e vocals filtrate, la quale sottintende una tensione pronta ad esplodere. Non ci sorprende quindi l'arrivo di bordate circolari furiose e distorte, destinate a reiterare con il cantato il concetto, come se non fosse già chiaro. Si ripropongono i momenti ariosi ed epici, in un ritornello semplice e ripetuto, sorretto da una batteria basilare e da un basso in loop; la conclusione viene lasciata a rullanti in solitario e pulsioni hip hop, firmate da un'ultima distorsione di chitarra. 

Lowrider

Lowrider funge da intermezzo di nemmeno un minuto, cover della canzone dei War (band funk anni settanta che ebbe un gran successo) del 1975 che tratta della vettura con sospensioni modificate, cantata da Head che in questa occasione assume il ruolo di singer, un episodio che ha il gusto del divertimento in studio portato nell'album, più che di un brano compiuto vero e proprio. Il testo non ha un gran significato, e si limita alle parole "This is Caco! Shhhhiiiiitt All my friends drive a lowrider, and the lowrider is a little lower take a little trip, take a little trip, take a little trip with me. Shit. . .aww shit, aww shhhiitt, awww... yup... - Questo è Caco! Meeeerrrrrdaa tutti i miei amici guidano una lowrider, e la lowrider è un po' più bassa, fatti un piccolo viaggio, fatti un piccolo viaggio con me. Merda. . .ahh merda, ahh meeerrdaa..già..." rappresentando appunto l'esperienza della guida di questo tipo di auto, ma alcuni riferimenti riportano anche all'uso degli stupefacenti, e mentre nell'originale il senso era più di esaltazione (con l'uso di high), qui semmai si rappresenta la fase di depressione che segue l'iniziale euforia; abbiamo quindi due elementi che ci riportano al mondo distorto dei  Korn, crocevia non solo musicale di esperienze diverse. La droga, ma anche le macchine con le sospensioni modificate, tipiche della cultura gangasta di stampo hip-hop, comparse in diversi film e videomusicali, si uniscono in questa breve traccia, senza grosse pretese. Ecco quindi dei campanelli seguiti da un fraseggio in loop, sul quale partono le vocals calde e "soul" di Head, unite a cornamuse e parti di basso suadenti e felpate; brevi parti di sola cornamusa fanno da cesura, mentre incontriamo anche atipici (per i Korn di allora) attimi più progressivi con brevissimi assoli ad accordatura bassa di chitarra. Dal quarantatreesimo secondo il sostrato sonoro assume toni un po' più decisi, senza però mai passare a modalità aggressive e mantenendo il gusto pacato che domina la canzone; giungiamo così alla conclusione, lasciata a brevi giochi ritmici e parti sempre controllate di chitarra. Un gioco quindi, che mostra la natura più funky della band, destinata ad emergere di più in alcuni episodi del futuro, ma già presente nel dna dei Nostri.

Ass Itch

Ass Itch - Formicolio Al Culo è un pezzo che tratta in modo unico del processo di scrittura di Davis, il quale si prende anche in giro da solo riferendosi ai temi dominanti di sofferenza e malessere tipici della sua musica; ecco un riffing distorto ed estraniante, il quale prende piede con il suo loop, subito raggiunto da un drumming cadenzato e dalle vocals suadenti del cantante, che descrive come odi scrivere, lo trova stupido, si chiede qual'è il suo problema oggi, forse è depresso, forse non ascolta quello che esce dalla sua penna, o dal suo dolore. Le ultime parole vengono ripetute con enfasi, sottolineate da giri di chitarra drammatici e urgenti, in un'atmosfera nervosa; riprende quindi il movimento precedente, mentre Davis ora ci ripete come scrivere sia stupido, si chiede perché si senta così, se è nel suo occhio, se è andato troppo oltre, e non andrà via il dolore. Riecco i loop taglienti, destinati questa volta ad aprirsi in un ritornello arioso con giri incalzanti e belle linee di chitarra:  ecco che la canzone sta morendo, e ci si chiede perché ciò accada. Andiamo a collimare contro una cesura fatta di bordate rumorose e suoni meccanici, segnale della ripresa della sessione portante del brano: "I hate writing shit. Ain't looking foward to it. What's fucked up, today? Writing all this time. Feeling all that's mine. Come right out my pen. Pain...Pain... Pain...  - Odio scrivere merdate. Non lo attendo con trepidazione. Cosa c'è che non va oggi? Scrivendo tutto questo tempo. Sentendo tutto quello che è mio. Viene fuori dalla mia penna, Dolore... Dolore... Dolore..." dichiara ora il nostro, guardando con sarcasmo ancora una volta al suo processo di scrittura, basato su una catarsi non sempre del tutto cosciente. Ritroviamo le alternanze ormai familiari, in un songwriting non certo progressivo, ma dal buon effetto trascinante; riecco quindi anche il ritornello arioso, il quale ci porta con se verso un'ennesima cesura. Ora fraseggi dissonanti e piatti cadenzati sottintendono giri di basso e vocals nasali, dove il cantante chiede ora che gli venga detto se è dentro di sé questa cosa, non è giusto, ha dentro di se un piccolo figlio che è libero. Un feedback in loop lascia quindi il posto ad una marcia militante di chitarra, un ponte sonoro verso una struttura strisciate con cantato sospirato che si fa man mano sempre più rabbioso: Davis chiede di essere liberato, in una concitata disperazione palpabile. Arriviamo così ad un nuovo stop fatto di chitarre a sirena, punto di partenza per la ripresa dell'ormai familiare ritornello dal gusto etero. Esso si alterna con attacchi distorti uniti a versi disperati, in una tensione che esplode in un ringhio finale,s seguito da languidi suoni liquidi e spettrali, conclusione onirica della traccia.

Kill You

Kill You - Ti Ammazzo tratta del rapporto conflittuale di Davis con la sua matrigna, sconfinando nella perversione sessuale in un misto di odio e desiderio delirante, in cui il Nostro sogna di violentarla ed ucciderla. Un fraseggio spettrale apre le danze, espandendosi fino all'aggiunta di scale evocative, portandoci poi ad un movimento ronzante coadiuvato dalle vocals soavi del cantante; ecco che chiede alla vita di non piangere, Dio è dolore, e in molte notti ci sono stati pensieri dolorosi su di lei, mentre gridava contro di lui, ancora una volta nel torto. Distorsioni dal sapore doom riempiono l'etere, creando un'atmosfera pesante e allo stesso tempo solenne, ma invece di esplodere come potremmo aspettarci, esse ci riportano all'andamento precedente, dandoci il gusto dell'alternanza: illudendosi, aveva provato ad esserle amico, di essere un bravo ragazzo, ma vede solo un odio profondo dentro, che lo investe, e ora chiede di essere salvato. Arpeggi delicati e ritmiche strascinati sottintendono il tutto, conducendoci però questa volta a digressioni epiche con bordate dilatate e punte vocali piene di pathos; ora le memorie riempiono il suo cuore e lo seppelliscono. L'energia fin'ora trattenuta si libera in un ritornello marciante con colpi secchi, cantato diviso tra falsetto e parti in riverbero, e chitarre granitiche: tutto ciò che vuole fare è ucciderla, prima colpendola, pugnalandola e violentandola. L'atmosfera è alienante, perfetta per il quadro qui dipinto, scosso da un drumming che sembra d'acciaio; ora il riffing si fa sincopato, così come le vocals deliranti del Nostro, le quali declamano "Looking back I was never ever right. You were my step-mom who always wanted me out of your sight. I would come walkin' in and I 'd say hello, but you slap me and you make some fucked up comment about my clothes. So I tried to let it pass, but the visions in my head, were with you, with a knife up your ass, laying dead. So I pop some more caps in your ass, now your son is not so fun.Motherfucking bitch! Never try to play me!!! - Ricordando il passato non avevo mai ragione. Eri la mia matrigna che non mi voleva tra i piedi. Io arrivavo e dicevo ciao, ma tu mi davi uno schiaffo e facevi qualche commento delirante sui miei vestiti. Quindi ho cercato di andare oltre, ma le visioni nella mia testa, comprendevano te, un coltello su per il tuo culo, con te morta. Quindi infilo qualche altra capsula su per il tuo culo, ora tuo figlio non è così divertente. Fottuta troia! Non provare mai più a prendermi in giro!!!" mostrandoci un quadro fatto di desideri di vendetta e odio legato ai ricordi ben vivi in lui. Suoni stridenti accompagnano la marcia ossessiva, ma ecco una parentesi eterea che riprende le delicatezze iniziali, non destinate però a durare: dopo di esse subito dopo riprendono i toni concitati ad accordatura bassa, con batteria martellante e giri concentrici in loop. Ormai è il delirio a dominare la scena, e vocals distorte oltre ogni limite si alleano con chitarre taglienti, mentre i bei fraseggi continuano a darci una melodia sotterranea; il cantato conosce momenti di disperazione alternati a sospiri malevoli, mentre arpeggi di basso e feedback si delineano dietro le quinte: lei ha reso la sua vota non buona, e ora vuole solo ucciderla, vorrebbe fosse già morta, e nel finale ci si chiede come può piangere per qualcuna che non ha mai amato. Il tutto recitato con reale disperazione, e suggellato da un pianto finale, seguito da svariati minuti di silenzio; ecco quindi la "traccia segreta" del disco  "Twist (A Cappella)", semplicemente una riproposizione solo vocale di parte della prima traccia dell'album, dove quindi otteniamo i versi ringhianti di Davis in solitario, i quali in questa modalità assumono connotati ancora più deliranti, e anche in parte divertenti, essendo slegati da ogni connotato musicale e dal loro contesto reale. 

Conclusioni

Tirando le somme, un'opera che non può essere scissa dalla sua collocazione temporale e dal suo ruolo nella discografia dei Nostri, ma che va anche vista nei suoi singoli meriti e demeriti: un songwriting che inizia a trovare una forma più compiuta, ma ancora incerto, a volte perso in sperimentazioni che sanno di tentativo, spesso privo di quel gusto per il ritornello arioso che emerge solo in alcuni episodi, "A.D.I.D.A.S" e "Good God" in primis, non a caso risaltanti rispetto al resto del disco, uniforme nelle sue strutture pesanti ed ossessive coadiuvate da tratti lisergici. Guardando solo a questi aspetti, potremmo parare di anello debole nella catena, certamente il meno compiuto della così detta "quadrilogia" che sta a monte della definizione di nu metal da parte dei padrini del genere; ma è anche vero che senza di esso non avremmo avuto i due dischi successivi, e che in futuro verranno anche lavori ancor meno ispirati, aggravati dalla mancanza di quell'ingenua libertà qui ben presente sia nel suono, sia nei testi autobiografici fino al livello della psicoanalisi. Inoltre, molte di quelle che all'epoca per non pochi erano novità assolute, come la libera fusione di stili diversi, oggi spesso si perdono nella nostra visione viziata da decenni di fusioni e crossover; va però tenuto conto del forte impatto in un'epoca dove ancora molti ascoltavano musica a compartimenti stagni che sottintendevano anche divisioni culturali, quando non razziali. Volendo fare il passo più lungo della gamba, potremmo parlare dei Korn, e quindi del nu metal, come di uno degli effetti di quella globalizzazione e multiculturalismo che oggi sono esplosi anche grazie alla diffusione di internet; ma in realtà basta limitarci a giudicarli come la naturale conseguenza di un mondo musicale presente da molto tempo nelle retrovie delle logiche di mercato, ora pronto ad esplodere e, inevitabilmente, essere fagocitato ed inglobato proprio da quest'ultime. La carriera della band è ormai avviata, e il momento del riconoscimento mondiale è alle porte: l'album riceverà alcune recensioni positive ed altre negative, soprattutto per il giudizio sulla performance di Davis, ma le posizioni in classifica sono ottime, così come le vendite, e il tour promozionale vede diverse tappe sia in America, sia in Europa, in compagnia di nomi quali Marilyn Manson, Danzig, Fear Factory, Megadeth, Ozzy Osbourne, Snoop Dog, Prodigy, dimostrando anche sotto questo aspetto il loro toccare più fasce e tipi di pubblico (con grossa gioia di discografici ed etichette), facendo conoscere a molti la band, ora pronta a ricevere il totale supporto da parte di stazioni radio e, cosa più importante, da MTV, allora ancora il mezzo di diffusione più importante per la musica, soprattutto tra i giovani adolescenti, target principale dei Nostri. L'epopea dei Korn sta ora esplodendo, portandoci a quanto già abbiamo visto nelle recensioni predenti, e alla consacrazione come rockstar generazionali, seguita da evoluzioni, incertezze, ricerche di nuove identità in un mondo dove il fenomeno nu metal si era spento insieme a molte band che con esso avevano avuto successo temporaneo; ma noi proseguiamo invece a ritroso, raggiungendo le radici del fenomeno e del gruppo californiano, analizzando quel debutto omonimo che presentava le fondamenta del loro mondo, con un sound ben più greve e rozzo, più vicino ai Soundgarden più duri e al noise-rock americano, piuttosto che alle ingerenze stilistiche qui già registrate, anche se non mancheranno alcuni semi qui germogliati. Siamo quindi pronti a concludere la nostra analisi della discografia di una band che, nel bene e nel male, ha cambiato sotto molti aspetti il mondo musicale tra fine anni novanta ed inizio duemila, rendendo normali suoni e strutture un tempo per nulla scontate e diffuse, aprendo la strada per una generazione intera di musicisti cresciuti tra le influenze più disparate, e di ascoltatori bisognosi di qualcosa di diverso rispetto alle rigide categorie ancora fermamente vigenti.

1) Twist
2) Chi
3) Lost
4) Swallow
5) Porno Creep
6) Good God
7) Mr. Rogers
8) K@#Ø%!
9) No Place to Hide
10) Wicked
11) A.D.I.D.A.S.
12) Lowrider
13) Ass Itch
14) Kill You
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