KORN

KoRn

1994 - Immortal Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
11/11/2017
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Siamo oggi in dirittura di arrivo con il nostro viaggio nella discografia dei Korn, alfieri californiani del nu metal, nati a Bakersfield in California nel 1993. Prodotto di varie incarnazioni di band precedenti, la loro storia incomincia nel 1989 con i L.A.P.D., quando questi  si trasferirono a Los Angeles per una serie di vicissitudini e, dopo aver pubblicato due album, decisero di sciogliersi. I rimanenti  James Shaffer, Reginald Arvizu e David Silveria cercarono prima di andare avanti con i Creep, poi assoldando Brian Welch e Jonathan Davis, quest'ultimo precedentemente cantante dei SexArt, cambiando in seguito il nome con quello attuale; una curiosità sta nel fatto che fu Davis a disegnare la R invertita tipica del loro logo. Un gruppo fatto di persone "diverse", freak, appunto, per gli standard della società americana dell'epoca, dalle influenze musicali disparate e con storie di bullismo costante a scuola ed isolamento. In futuro, tutto questo segnerà indissolubilmente il suono e le tematiche dei nostri, facendo da fondamento per quelli che diventeranno i topoi del nu metal, termine all'epoca non ancora nato. In particolare, Davis era totalmente alieno alla figura del tipico singer metal, un amante della new wave e del look dark (si narra che fino al consulto con un veggente, egli sia stato estremamente restio all'idea di unirsi al gruppo), e con un bagaglio di abusi che influenzerà i suoi testi; un sincretismo, questo, che tramite una serie di fattori culturali e di, potremmo dire, "Zeitgeist", darà forma ad una serie di pulsioni urbane e psicologiche che aleggiavano nell'aria. Nulla nasce dal niente infatti, e il pensare che tutto ad un tratto "i metallari si siano messi a rappare" sarebbe una visione alquanto ingenua e poco credibile; siamo verso la fine della prima metà degli anni novanta, in una California che vive di tensioni etniche e convivenza forzata tra bianchi, comunità afroamericana, asiatici, ispanici e via discorrendo. Il 29 aprile del 1992 a Los Angeles erano avvenute le famose rivolte scatenate dall'assoluzione di quattro poliziotti bianchi dall'accusa di aver pestato, un anno prima, un automobilista di colore (evento ripreso da un videoamatore e passato alle trasmissioni locali), le quali coinvolsero tutta la città con una serie di violenze e saccheggi; si trattava dell'apice di un clima costante che interessava in realtà molte grandi città, ma anche piccoli borghi americani. Come sempre, tutto questo presupponeva però anche una contaminazione di gusti e tendenze dovuta al vivere fianco a fianco giornalmente; bisogna inoltre considerare la scena americana di allora, la quale sin dalla fine degli anni ottanta aveva visto una serie di contaminazioni in ambito alternative metal/rock. Gli Helmet, a partire dal 1989, univano post rock, noise ed hardcore, i Faith No More univano con disinvoltura metal, dark, funk e quanto veniva loro in mente, i Fear Factory, con "Soul Of A New Machine", nel 1992 presentarono al mondo il loro death/thrash cibernetico con l'alternanza tra cantato pulito e growl, che sarà poi ripresa dalla scena nu metal e groove; i Ministry, tra fine anni ottanta ed inizio anni novanta, presentarono, con la trilogia "The Land Of Rape And Honey", "The Mind Is A Terrible Thing To Taste" e "Psalm 69", l'industrial metal al mondo intero, così come i Nine Inch Nails in accezione più rock; intanto, in Inghilterra, i Godflesh avevano messo al centro del loro sound suoni meccanici ed oppressivi con chitarre pachidermiche dall'accordatura bassissima, in cui l'assolo era messo al bando. Tutta una serie di pulsioni e movimenti a cui si aggiungono le scene più disparate, tra il groove e il post thrash con contaminazioni hardcore ed esperimenti come la famosa "Bring The Noise", degli Anthrax, in collaborazione con i Public Enemy; intanto, sul piano sociale, una serie di adolescenti disillusi e circondati dal cinismo e dalla noia, perseguitati da coetanei ed autorità se diversi dalla norma, sono quanto più lontani dalle tendenze fantasy di certo metal che poco prima spopolava, attratti invece dai climi concreti e urbani delle nuove correnti, e dai testi carichi di disagio e rabbia nei quali si ritrovavano. "KoRn", il debutto della band qui recensito, incarna perfettamente tutto questo, traendo spunto da quanto citato e dandogli un impianto unico che, da li a poco, scatenerà un'ondata immane di band, epigoni, diramazioni e chi più ne ha, più ne metta. Anticipato appena un anno prima dal demo Neidermayer's Mind, curiosamente disprezzato da pubblico e critica, il lavoro vede la produzione del nume tutelare di molto di quel suono che verrà, ovvero Ross Robinson, il quale trarrà molto credito proprio a partire da qui. Pubblicato per la Immortal Records, etichetta distribuita dalla Epic, il lavoro raccoglie consensi, diventando un episodio che ispirerà altri nomi come Limp Bizkit, Slipknot, Coal Chamber; il suono qui presentato vede un allontanamento da molti punti cardine del metal precedente, rinunciando agli assoli in nome di loop di chitarre ad accordatura bassa, batteria a tratti tribale, basso in ronzio costante, aggiungendo elementi astrusi come cornamuse e parti vocali tra la ritmica hip hop, sezioni più pulite e grida disperate. Si crea un clima spesso allucinato, dalla marcia divisa tra pesantezza post metal, alcuni tratti ancora di stampo "grunge", e aperture più funk (ma quest'ultime verranno sviluppate più in futuro), dove oscurità esistenziale, problemi adolescenziali e quant'altro trovano forma in un suono sincopato, distorto ed ossessivo. Una riproposizione musicale insomma di tutti gli elementi vissuti, digeriti, e qui risputati da parte dei Nostri con la bile e l'acido, in una vera e propria dichiarazione d'intenti che farà breccia nel pubblico portando l'album al disco di platino. Anche l'artwork esprime i punti topici della band in modo sintetico ed esteticamente perfetto: una bambina sull'altalena viene sovrastata dall'ombra minacciosa di un adulto con oggetti affilati tra le mani, e a rendere il tutto ancora più inquietante la sua ombra sembra essere impiccata dall'ombra della K nel logo della band; un'attenzione per i particolari, quindi, che presenta anche sulla grafica i Nostri come un prodotto ben congegnato, dimostrando il fiuto di chi li aveva messi sotto contratto e prodotti, scelta con il senno di poi vincente, ma all'epoca tutto tranne che certa. 

Blind

Si parte con "Blind - Cieco", il cui l testo tratta della dipendenza da anfetamine, e dalle sostanze in generale, la quale ha caratterizzato per molto tempo la vita di Davis già in giovane età; dei piatti cadenzati incontrano loop improvvisi di riff, dilatati su una base di basso che compare ad intermittenza. Distorsioni varie quindi si aggiungono, fino al raggiungimento dell'esplosione di un trotto annunciato dal "siete pronti?" del cantante. I montanti ruggenti proseguono, portandoci verso i versi "This place inside my mind, a place I like to hide, You don't know the chances. What if I should die?! A place inside my brain, another kind of pain, You don't know the chances. I'm so blind! - Questo luogo nelle mia mente, dove mi piace nascondermi, non sai le occasioni possibili. E se dovessi morire?! Un luogo nel mio cervello, un altro tipo di dolore, Non conosci le occasioni possibili. Sono cieco!" i quali mettono in chiaro lo stato mentale del Nostro, influenzato pesantemente dalle sostanze, parole enunciate ora in modo malevolo, ora con aperture emozionali dal grande impatto. Le chitarre in sottofondo creano una bella melodia diafana, prima di tornare su lidi ben più robusti e tellurici: il songwriting è però molto mutevole, il che comporta un rallentamento improvviso, sul quale prosegue la narrazione.  E' un altro luogo in cui lui fugge dal dolore, nel quale sprofonda sempre più come in un sogno, vivendo una vita che sembra una realtà perduta, la quale non riesce a raggiungere il suo interiore; la sua autostima è bassa, e si chiede fino a che punto può sprofondare in basso, se troverà un modo per andare oltre le nuvole grigie che coprono la nostra mente, cercando ciò che sta tra le linee. Un drumming secco si unisce a chitarre ora adagiate, ora taglienti, pronte a creare un galoppo diretto quando le vocals si danno ad arie ben più aggressive, regalandoci un attacco urbano dal sicuro effetto. Una sospensione ci riporta all'inizio, con una cesura dilatata dove i piatti e i fraseggi di chitarra preparano l'ascoltatore per un nuovo terremoto,  mentre Davis ripete prima con sospiri, poi eruttando, come non riesce però a vedere, accecato dalla dipendenza; si crea quindi un finale epico dalle melodie ammalianti, destinato a degenerare in un attacco rabbioso, il quale si consuma in un fraseggio conclusivo dai toni funky, protratto in dissolvenza. 

Ball Tongue

"Ball Tongue - Lingua Contorta" tratta di un collaboratore della band che ha disegnato alcune loro t-shirt, un personaggio difficile caratterizzato da un piercing sulla lingua, ma sul quale si dice che li abbia anche iniziati all'uso dello speed, droga che rende l'uso del linguaggio incoerente (da qui il gioco di parole del titolo); un a serie di montanti distorti e batteria dai colpi cadenzati, si alterna con fraseggi di basso grevi, in un effetto  nervoso e quasi tribale. I loop dal gusto metal lasciano poi spazio a nuovi passi felpati, contornati da strani effetti  stridenti e spettrali, sui quali partono le vocals suadenti del cantante: eccoci soli, senza la speranza di avere qualcuno di cui essere orgogliosi, qualcosa di guadagnato senza implorare. Chiediamo chi pensa di essere, cos'altro vuole da noi, questa lingua contorta, tira fuori le dighe, e pensiamo che ci terranno d'occhio, la pezza su cui siamo, ci giustifica, e ringraziamo sarcasticamente per aver rovinato il nostro trucco, chiedendo ancora cos'altro vuole da noi. Le ultime parole vengono ruggite con rabbia, ed ecco che la strumentazione passa su un attacco devastante dove parti vocali isteriche e riff marziali dominano la scena. Torniamo di seguito sulla linea strisciante ed estraniante, e Davis ritorna con i suoi toni ammalianti; "Why are you at home buried in your own self pity? Why do you insist on living the life clean out of me? Yes, I know you're the person, the person that took time with me, Does it give you the right to expect your life revolves around me?! - Perché sei a casa sepolto nell'autocommiserazione? Perché insisti a vivere evitandomi? Si, lo so che sei la persona, che si è presa del tempo con me, questo ti da il diritto di aspettarti che la tua vita giri su di me?" prosegue, esprimendo disappunto per come come son evolute le cose, e per il comportamento altrui.  Ritroviamo le evoluzioni precedenti, con nuove esplosioni rabbiose dai montanti cacofonici, ripetuti a più riprese in un clima caotico: questa vita però il passaggio è verso una bella parte dalle vocals ariose, con il Nostro che ricorda come l'altro era un fratello, chiedendosi dove sia finita la loro amicizia, non riuscendo ad accettarlo, e chiedendosi come fa a dubitare di lui. Ora un intermezzo si espande con linee di basso e suoni estranianti ripetuti, in una sessione etnica con ritmi tribali e registrazione lo-fi con tanto di scratching hip-hop; in maniera abbastanza prevedibile torniamo di seguito su suoni di chitarra elettrica, taglienti ed ossessivi, sui quali il cantante ripete le parole precedenti. Parte una parte ritmata stagliata su suoni sincopati e spezzati, dando un senso di urgenza destinato ad esplodere nell'ennesima reiterazione del ritornello rabbioso, il quale va poi a dilungarsi in riff circolari, sui quali il cantato raggiunge vette di disperazione ed aggressività dai connotati hardcore. Ritroviamo nel finale le sequenze sega ossa, unite a suoni industriali e versi ipnotici, mentre il brano va  a perdersi in dissolvenza. 

Need To

"Need To - Bisogno Di" ci parla di un rapporto conflittuale con una persona che già ha una relazione, di come si cerchi di mantenere le distanze per non soffrire. Dopo suoni di chitarra severi e rombanti, un drumming deciso si aggiunge dandoci un crescendo che conosce anche parti di basso, generando un suono che ricorda delle sirene da guerra drammatiche. Davis parte con un cantato emozionale, dove descrive come siamo confusi, mentre combattiamo noi stessi, vogliamo arrenderci, necessitiamo di aiuto, una pelle fredda dal terrore, lo sentiamo quando la tocchiamo, fuori non la conosciamo, ma dentro siamo fottuti. La ritmica si fa piena di rullanti, mentre i riff meccanici proseguono ossessivi, anche quando le vocals si aprono  in arie dilatate; invece di portarci però verso una catarsi, il tutto ci ripropone i movimenti precedenti, sui quali il Nostro chiede "Can you see it in me? Skin cold from touch, Each day confronted with what I have done, You pull me closer, I push you away, You tell me it's OK, I can't help but feel the pain - Lo puoi vedere in me? La pelle fredda al tocco, ogni giorno confrontato da ciò che ho fatto, mi avvicini, io mi allontano, tu mi dici che va tutto bene, io non posso fare altro che sentire il dolore.", esprimendo un evidente stato di sofferenza. I toni si fanno sempre più drammatici, con fraseggi severi, aprendosi in un ritornello epocale con batteria tribale e falsetti che si contrappongono a dichiarazioni di odio; la odiamo, perché è impegnata, la amiamo, ci sentiamo inutili, ci chiediamo perché proprio lei, strappandoci le budella ogni volta che stiamo con lei, ci chiediamo perché piangiamo, perché dobbiamo farlo, e finiamo per insultare l'oggetto del nostro dolore. I ritmi si fanno ora contratti, con una sessione satira di spirali sonore e attacchi improvvisi che contraggono il tutto tra versi infernali da parte di Davis. Passiamo di seguito ad una coda veloce, sconvolta dai soliti baritoni di chitarra, destinata a riportarci verso l'arioso ritornello dove rabbia e desiderio si fondono indissolubilmente. Giungiamo così al gran finale, dominato da loop ripetuti su versi contorti del cantante, fino alla conclusione.

Clown

"Clown - Pagliaccio"  tratta in generale delle persone che si rendono ridicole per essere accettate, e più in particolare di un episodio capitato al cantante durante un concerto, quando uno skinhead cercò di colpirlo con un pugno dopo aver detto alla band di tornarsene nel loro paesino. Un cantato scherzoso (che parla di come come la vita sia nel nostro corpo )durante la fase di check del suono ci introduce alla registrazione, durante la quale i Nostri giocano tra di loro in maniera molto spontanea, non lesinando insulti e risate, dopo quattro click, partono, ma siamo solo a tre, così hanno detto, ed ecco che viene insultato il finocchio che sta in basso. Viene chiesto a Ross (il produttore) di cosa parla, la canzone è partita, ma viene risposto che non ci sono click, ma già stanno registrando, è l'ora di partire. Si decide di tenere questa improvvisazione sul nastro, e viene chiesto se vuole sentirlo, passando ad altri improperi. Il pezzo vero e proprio prende piede al quarantaseiesimo secondo con un fraseggio severo e dissonante, sul quale si organizzano dei riff contratti in bordate marziali; si aggiungono poi suoni serpeggianti, sui quali le cavalcate circolari ci regalano un groove combattivo dal gusto quasi thrash. In un'atmosfera dilatata e lisergica, coadiuvata da chitarre ad accordatura bassa, Davis s'infiltra con i suoi toni suadenti, con i versi "Anger inside builds within my body, Why you hit me? What have I done? You tried to hit me! - La rabbia dentro si crea nel mio corpo, perché mi colpisci? Cosa ho fatto? Hai cercato di colpirmi!" abbastanza chiari nel loro messaggio rivolto allo skinhead prima menzionato. Si passa ad un bellissimo ritornello ricco di movimenti dal gusto grunge/metal (alla Alice In Chains, per intenderci), melodico, ma allo stesso tempo diretto, dove ora lo invitiamo ad urlarci ancora contro, a lanciarci il suo odio a tutta potenza, a colpirci perché siamo strani, a dirci che siamo fighette e che lui è più duro di noi. Ci blocchiamo con nuove bordate, seguite dal ritorno del movimento in avanti, riproposizione del crescendo ammaliante e nervoso, mentre chiediamo cos'ha, un corpo tatuato che nasconde quello che lui è, spaventato di essere onesto, e di essere se stesso, ovvero un codardo. Non andiamo in giro cercando di essere quello che non siamo, se ci guardano negli occhi, siamo liberi, mentre lui è solo un falso. Riecco quindi il ritornello dominante, sempre una catarsi emotiva dal pathos ben evidente, questa volta collimante prima in un verso solitario, poi in una serie di fraseggi squillanti, sui quali Davis si da ad un rap isterico: invitiamo il pagliaccio a colpirci perché non siamo della sua città. Una nuova cesura fa da ponte verso la ripresa dei riff circolari e della batteria decisa, dandoci un attacco selvaggio dove semplicemente si enuncia come egli non è nulla, e che avrà la faccia aperta. Il ritornello torna per un'ultima volta, riempiendo l'etere con i suoi bei motivi trascinati ad oltranza verso delle bordate conclusive accompagnate da versi rabbiosi.  

Divine

"Divine - Divino" è un breve episodio che non raggiunge i tre minuti di durata, riguardante una ragazza che piaceva molto a Davis, il quale però non era ricambiato; nel momento in cui lui lasciò perdere, lei incominciò a cambiare idea, ma ormai il cantante voleva dimostrarle com'era essere rifiutati. Una serie di giochi ritmici di batteria s'intervallano con bordate dissonanti, creando un effetto incalzante che poi si libera in un trotto roccioso tempestato da colpi secchi di batteria; la voce di Davis s'innesta su una serie di riff, mentre con un cantato dal gusto rap descrive come ci nascondiamo solo per sfidarla, portare via il solo amore dentro di lei, vediamo la sua faccia dentro tutti, dentro abbiamo solo iniziato. Pensa che usciamo per spaventarla, ma vogliamo solo prepararla per quando si fermerà e si girerà, il suo corpo andrà giù. Dopo una breve cesura, i toni si fanno suadenti, mentre le chitarre rimangono combattive, per quanto rallentate: sprecherà il suo tempo, la sua vita presto sarà nostra, lei è di sicuro unica, e ora soffre per noi, è una cosa divina. Subito dopo riprende la parte sincopata, mentre il cantante declama "Tell me why you never liked me, Tell me why it is you fight me (Tell me why, so you'll fight me), Pull down and wait for the perfect time to take what is rightfully mine - Dimmi perché non ti sono mai piaciuto, dimmi perché lotti con me (dimmi perché, così mi attaccherai), mettiti giù e attendi il momento perfetto per prendere ciò che è mio di diritto" mostrandoci da una parte rancore per il rifiuto, dall'altra la volontà di vendicarsi pagando con la stessa moneta. Di seguito ci parla di come creda che siano stupidi a sfidarmi, che lei non voglia farlo, lei aspetta, non vuole nessuno. Riecco quindi il ritornello incalzante, il quale ancora una volta si sviluppa con giri promulgati a diffusione e vocals ammalianti e striscianti; collimiamo in una serie di bordate marziali, destinate poi a degenerare in una digressione. Ecco quindi un fraseggio tagliente, pronto a conoscere attacchi improvvisi e cantato sempre più aggressivo: le diciamo che si deve fottere, siamo stanchi di lei, se non siamo abbastanza per lei, che si fotta, siamo migliori di lei. L'aggressività si mantiene ossessiva, fino ad un'ennesima digressione con parti sospirate, dove si prende di nuovo energia, ripartendo con parti più pregnanti. Le chiediamo se pensava di batterci al nostro stesso gioco, ora prova a capire cosa ha ottenuto, ovvero noi che la facciamo scervellare.  Il finale vede una serie di riff roboanti, ripetuti insieme alle ultime parti del cantato, fino alla conclusione.

Faget

"Faget - Frocio" parla dell'adolescenza del cantante, di come veniva deriso e definito con il termine usato nel titolo della canzone, a causa del suo look.  Ecco un fraseggio con accordatura bassa, coadiuvato da un drumming tribale, il quale ci conduce fino all'esplosione del brano vero e proprio, anticipato da una cesura con stop ritmico e riff accennato. Parte un movimento simile, ma più veloce, in una bella sessione incalzante: suoni alienanti e cantati soavi dominano poi l'atmosfera, e Davis si enuncia con le parole "Here I am, different in this normal world, Why did you tease me? Made me feel absurd, Fucking stereotypes feeding their heads, I am ugly. Please just go away - Qui io sono, diverso in questo mondo normale, perché mi provochi? Mi fai sentire assurdo, fottuti stereotipi riempiono le loro teste, sono brutto, per favore vai via" dove già mette in chiaro i temi di derisione da parte degli altri e di non comprensione dei loro schemi mentali. Arpeggi lontani creano un sottofondo diafano, mentre i riff marziali si ripetono, aprendosi poi ad un ritornello arioso, ma sempre potente e combattivo: vediamo che è difficile trovare del buono in ciò, chiediamo perché veniamo trattati così, perché abbiamo fatto rimanere l'odio, e il dolore.  Dissonanze e trotti rocciosi dominano la scena, fino alla ripresa del movimento precedente, sempre lisergico e più dilatato; mentre camminiamo non riusciamo a scappare dalla derisione e dal dolore, e chiediamo cosa farebbero al posto nostro, concludendo che non farebbero nulla, se non nascondersi. Riecco il ritornello di poco prima, quasi epico, ma diretto e dall'essenza dura e trascinante, con chitarre come scosse elettriche in loop; segue ora una sequenza con attacchi roboanti e drumming cadenzato, destinata ad evolvere in una ripresa del movimento portante, nebbioso e acido. Vengono ripetute le parole iniziali, dipingendo un quadro ormai familiare, tanto quanto gli andamenti musicali incontrati. Si palese di nuovo anche il ritornello, sempre ipnotico nei suoi loop, così come le bordate successive. Un fraseggio leggero fa ora da cesura, sovrastato da un cantato sospirato, ma dalla rabbia crescente: siamo solo dei bei ragazzi, o come lo si voglia dire, non saprebbero riconoscere un vero uomo a vederlo, continua ogni giorno, siamo stanchi di essere trattati così ogni giorno, e dichiariamo a chi pensa che siamo strani, e che dovremmo stare in una gabbia, che non sanno cosa succede ora, abbiamo  questi sentimenti da bel ragazzo, come se fossimo schiavi di un mondo che non ha mai apprezzato un cazzo. A tratti le vocals si alzano in grida, tornando poi ai climi precedenti, dandoci una sensazione di schizofrenia, pronta a liberarsi nella frase "mi hai succhiato il cazzo, e ti è fottutamente piaciuto". La soluzione successiva è un nuovo attacco roboante, con cantato in rima e sincopato, collimante in una bella coda con fraseggi malinconici, rullanti, e voce sospirata  e soave; una serie di nuovi fraseggi fanno da cesura, mentre ancora una volta la voce di Davis monta una rabbia che si sprigiona in versi aggressivi, poi accompagnati da chitarre altrettanto combattive.  Il finale vede bordate ritmate, ripetute con grida dove il Nostro si insulta da solo, questo fino alla conclusione.

Shoots and Ladders

"Shoots and Ladders - Spari e Scale" presenta un  titolo che non è altro che un gioco di parole sul gioco per bambini "Chutes And Ladders" (Cadute E Scale), presentando un pezzo che si riferisce al fatto che spesso le filastrocche e ninnananne hanno origini sinistre e significati inquietanti; campionamenti di uccellini ci accolgono, mentre un suono di cornamuse sale nell'etere, dandoci un'atmosfera solenne ed epica. La lunga sequenza dura fino al minuto e venti, quando un riffing roccioso e tempestato dalla batteria cadenzata, ma lenta, prende il sopravvento su tutto, instaurando una marcia che insieme allo strumento precedente completa il quadro sonoro, non dimenticando dissonanze. Davis s'introduce con una cantilena infantile, ma dai toni malevoli, dove descrive come giriamo intorno alle rose, con le tasche piene di fiori, cenere, cenere, cadiamo tutti giù. Ecco che ci si apre ad un ritornello arioso, controllato sia nella velocità, sia nei toni mai aggressivi, anche se in sottofondo una parte sincopata dal cantato urbano crea un sottinteso d isteria sotterranea: "Nursery rhymes are said, verses in my head, Into my childhood they're spoonfed. Hidden violence revealed, darkness that seems real, Look at the pages that cause all this evil - Ninnananne vengono dette, versi nella mia testa, nella mia infanzia vengono imboccate. Violenza nascosta ora rivelata, oscurità che sembra reale, guarda le pagine che causano tutto questo male." declama qui il Nostro, svelando la natura sinistra delle favole e delle loro origini, assumendo toni ancora più emozionali nelle ultime parole. Riprende quindi la sequenza iniziale, dissonante e strisciante; il songwriting è molto semplice, ecco quindi che tona il ritornello già incontrato, sempre predisposto negli stessi modi: ora però collimiamo in una dissolvenza prolungata, che lascia posto ad un fraseggio circolare accompagnato prima da respiri affannosi, poi dalle vocals suadenti di Davis. Uno, due, allacciamo le scarpe, tre,quattro,  chiudiamo la porta, cinque, sei, prendiamo i bastoni, sette, otto, li mettiamo giù dritti. Esplode un riffing serrato, dove i toni si fanno gridati e ruggenti, spingendo in avanti la composizione, e dopo alcuni versi confusi il tutto si fa ancora più cacofonico e sincopato. All'improvviso ci si ferma, riportandoci alla filastrocca iniziale, con relativa strumentazione squillante e lenta. Si prosegue fino ad un passaggio verso il ritornello arioso, coadiuvato da chitarre dilatate e cantato soave; ecco una parte ritmata con chitarre stridenti, dove Davis canta del ponte di Londra che sta cadendo, sta cadendo, sta cadendo, apostrofando una "cara signora". Termina così all'improvviso su questi versi la canzone, un episodio tra i più incalzanti e trascinanti del disco, non a caso uno dei singoli usati. 

Predictable

"Predictable - Prevedibile" è un pezzo che tratta in modo generale e vago del fingere da parte delle presone, e di come questo le corroda dentro portandole a vivere vite che non sono le loro.  Un fraseggio ad  accordatura bassa si dipana, e dopo un verso del cantante esso prende connotati ancora più decisi e taglienti; Davis usa i suoi toni nasali per descrivere come possiamo, in ogni modo, confondere il dolore che abbiamo dentro, come questo viene da noi, e come i pensieri malvagi strisciano nella nostra mente, mentre ci chiediamo chi sono gli altri per dire che non possiamo dire quello che abbiamo in mente,e alla fine tutto fugge via, ed è così prevedibile. Nel frattempo la batteria cadenzata struttura il tutto, intersecandosi tra le chitarre arrugginite, ma a tratti ci sono piccole cesure ariose che creano un senso di parentesi tra l'ossessione protratta in loop: "I can, in every way, feel the stress that tangles up inside, Too blind to see, emptiness and sorrow of their lives, You run away to the cover of their pointless ties, You ask me? It's so predictable - Io posso, in ogni modo, sentire lo stress che  comprime dentro, troppo ciechi per vedere, il vuoto e il dispiacere delle oro vite. Ti nascondi dietro i loro legami inutili, e se chiedi la mia opinione, è così prevedibile." dichiara, descrivendo il dissidio interiore che le persone cercano di nascondere, dovuto all'ipocrisia delle loro vite. Si collima ora in una serie di rullanti e riff come scosse elettriche, che poi generano un bel ritornello dalle vocals ariose molto anni novanta e striature sonore. Nuovi colpi di drumming fanno da cesura, seguita da bordate ritmate e fraseggi atmosferici, dandoci una bellissima sequenza evocativa; si passa quindi ad un basso greve dove la batteria si dilata mentre il cantante sospira le sue parole. Un altro giorno, il silenzio opprime la nostra mente, chi può dire se abbiamo il tempo, perché dobbiamo pregare affinché l'odio vada via, non possiamo mai essere liberi, ci aspettano, li chiamiamo, vivremo per sempre. I toni si alzano poi riprendendo i connotati più epici di poco prima, in un pathos intenso. Suoni meccanici e riff in loop seguono, portandoci verso nuove brevi cesure ariose, intensificate nel bel ritornello, ripetuto nelle sue linee evocative. Il finale vede un proseguo della coda su coordinate più ritmate e marziali, dove Davis conosce anche toni più malevoli, terminando con un feedback di alcuni secondi. 

Fake

"Fake - Falso" parla di una persona falsa che ha fatto del male al cantante, il quale ora la disprezza, e non si fa remore a dirgli quello che pensa di lei apertamente. Riffing roboanti fanno partire il pezzo, mentre un drumming cadenzato e fraseggi secchi accompagnano il tutto fino ad uno stop improvviso. Davis parte con un cantato sospirato, mentre suoni diafani si predispongono in sottofondo creando un'atmosfera lisergica ed alienante, trascinata con toni lenti  e marcianti: non possiamo sopportare di vederlo, quello che ci ha fatto passare, la sua vita è una bugia, che nasconde, ci chiediamo se è così terribile essere dentro di lui, non sopportiamo il pensiero di lui, le cose che fa, chiediamo perché cerca di giustificarle, era troppo spaventato di essere sé stesso dentro, e noi ora lasciamo andare tutto. Quando lo guardiamo, vediamo solo una persona troppo spaventata per essere quello che veramente è.  All'improvviso scatta un ritornello ritmato e roboante, dove il titolo della canzone viene ripetuto con baldanza, mentre la batteria scandisce il passo con i suoi rullanti; arriviamo quindi a chitarre stridenti e epocali, seguite da bordate elettriche e fraseggi sognanti. "I can't stand what you put me through, I can't stand even the thought of you, Your secret lies that you hide, Is it that terrible being you inside? - Non sopporto quello che mi hai fatto passare, e nemmeno il pensiero di te, le tue bugie segrete che nascondi, è così terribile essere te dentro?" dichiara ora il Nostro, declamando tutto il suo disprezzo verso quella persona e il suo modo di vivere. Riprende ora il ritornello tagliente e dai loop circolari, con le vocals alternate tra ruggiti e cori nasali, collimando in un fraseggio squillante sul quale Davis si da ad un cantato sincopato in cui ripete concetti gi à espressi in precedenza. Tornano le bordate elettriche, sottintese dalle chitarre sognanti, mentre poco dopo il cantato in solitario domina la scena, aggiungendo di seguito archi eterei in un'atmosfera falsamente idilliaca, espressione musicale di quell'ipocrisia qui criticata: il soggetto della canzone prova troppo duramente ad essere voluto, false emozioni lo smascherano, pensiamo che essere una persona dipenda da una cosa: essere se stessi, è troppo spaventato per essere qualcuno che non sia falso, che non è interessato ad essere altro. Versi in growl si uniscono alle bordate, mentre si passa a riff circolari e drumming secco, introducendo grida decise, toni apocalittici, e e nervose parti rap. Concludiamo così con sequenze taglienti e versi nasali, mentre andiamo a perderci in dissolvenza, ripetendo il ritornello ad oltranza mentre il brano sfuma nell'oblio. 

Lies

"Lies - Bugie"  presenta una denominazione tratta delle menzogne che dominano la vita di chi ha paura di essere sé stesso, e non vuole affrontare la realtà. Un riffing distorto e rumoroso riempie l'etere, dilatandosi poi in una serie di loop circolari su cui fraseggi di basso e rullanti secchi si propagano; la voce di Davis si aggiunge con toni melliflui, dichiarando come ci piacerebbe cercare dentro, tutte le cose che l'altro nasconderà, e gli chiediamo qual è il problema.  Sembra che non riesca a guardare oltre i problemi che lo affliggono, noi sorridiamo quando ha paura e scappa mentre soffre.  Suoni notturni e squillanti, dissonanti, si liberano in sottofondo, mentre poi versi in growl e chitarre furiose accompagnano un ritornello gridato e rabbioso: chiediamo se vede mai le cose aldilà delle sue paure, pensando alla sua vita, e alle sue paure interiori. Riprende di seguito il ritornello marciante, con arie soavi nel cantato e tensione marziale nella musica, aggiungendo man mano elementi stridenti; torniamo quindi al ritornello aggressivo, sempre caratterizzato da connotati brutali, quasi grindcore nel cantato, i quali ora esplodono in una cacofonia orchestrale fatta di chitarre magistrali e drumming furioso. Il tono greve si accompagna quindi a ritmi sincopati con bordate ripetute: "I want you to see the life you have disguised, The world of things that hurt you, Kept all these useless lies, I want you to fear, fill you on up inside, Once I took you in, I'll throw you out next time, I tried, you win, My life is ripping your heart out and destroying my pain! Go! - Voglio che tu veda la vita che hai nascosto, il mondo di cose che ti fa del male, mantenute tutte queste bugie inutili, voglio che tu abbia paura, che ti riempia dentro. Una volta ti ho accolto, la prossima volta ti butterò fuori, ho provato, hai vinto tu, la mia vita ti sta strappando i cuore e distruggendo il mio dolore, vai!" dichiara il Nostro, tra rabbia e rammarico, conoscendo anche connotati ariosi grazie a filtri vocali. Parte anche una cavalcata ritmata dalla batteria pestata, segno di uno dei brani più energici e violenti di tutto il disco, e dai riff distorti, destinata a collimare nel ritornello furioso, questa vota dalle vocals sdoppiate e schizofreniche, coronato da urla mostruose che vanno a concludere su note massacranti il pezzo. 

Helmet in the Bush

"Helmet In the Bush - Il Casco nel Cespuglio" parla della dipendenza da speed, una droga che comporta anche problemi erettili negli uomini che la utilizzano, oltre a far loro rischiare anche la vita. Dopo un campionamento di dialogo fatto da un certo Caco, partono cimbali cadenzati presto raggiunti da un fraseggio che si trasforma in un riffing marciante; chitarre alienanti dominano poi la scena, facendo da cesura prima delle bordate falsate che accompagnano la voce suadente di Davis. Egli ci parla di come continuiamo a chiedere qual è la bugia altrui, la quale è disturbante, non è nostra, e mentre i giorni passano, non ci sentiamo bene, e chiediamo a Dio di farci dormire questa notte. I toni si aprono a striature sinistre, mentre si innalza un bel ritornello dalle vocals melodiche: ogni giorno confrontato, circumnavighiamo, vogliamo solo sapere il perché. Seguono riff marziali, mentre il cantante ripete ossessivo, in un sospiro malevolo, le parole che descrivono come vogliamo smetterla, ma non possiamo fuggire da tutto questo. Si ritorna alle bordate iniziali, mentre si ripetono le evoluzioni incontrate, in un crescendo strisciante, ma ben presente; "I keep asking, Well, again, please try, It is haunting, This takes my mind, Days keep passing, Line after line. I don't feel right, Please God don't let me die tonight, Die tonight, die tonight, die tonight - Continuo  a chiedere, be ancora, per favore, provaci, mi tormenta, mi prende la testa, i giorni passano, riga dopo riga. Non mi sento bene, per favore Dio non farmi morire stanotte,  morire stanotte,  morire stanotte." continua il Nostro presentandoci un quadro di paura e paranoia legate all'uso della sostanza e ai suoi possibili effetti mortali. Ritornano le striature industriali, così come le aperture ariose dal gusto grunge, destinate a passare ad attacchi sincopati di scuola crossover; ora fraseggi grevi e chitarre squillanti dilatate fanno da cesura, mentre Davis ripete le sue parole in modo ossessivo e sospirante. S'innalzano toni cacofonici insieme a piatti pestati, seguiti da riff circolari in loop. Il finale vede un growl intenso, portato avanti insieme ad attacchi taglienti di chitarra e dissonanze, fino alla conclusione dell'episodio segnata da un verso improvviso in dissolvenza. 

Daddy

"Daddy - Papino" tratta degli abusi sessuali subiti da parte di un vicino dal cantante durante la sua infanzia, i quali lo hanno segnato in maniera indelebile provocando molti dei disturbi della sua personalità, anche perché i suoi genitori non hanno mai creduto alle sue parole quando lo raccontava. Il pezzo inizia con un Davis a cappella che con aria soave innalza delle vocals dove chiediamo a nostra madre di perdonarci, perché dovevamo sfogare il nostro dolore e la nostra sofferenza, e ora che abbiamo finito le chiediamo di ricordarsi che l'ameremo sempre, perché siamo i suoi figli. Un fraseggio greve segue il tutto aprendosi a colpi secchi, chitarre distanti e notturne, nonché ad un cantato strascicante e malevolo: "Little child, looking so pretty, Come out and play, I'll be your daddy, Innocent child, looking so sweet, A rape in my eyes and on your flesh I'll eat - Bambino piccolo, sei così carino, vieni a giocare, ti farò da papino, bambino innocente, sembri così dolce, l'idea dello stupro nei miei occhi e sulla tua carne mangerò" declama il Nostro, presentandoci senza filtri il punto di  vista dello stupratore pedofilo, come se fosse un predatore a caccia. La rabbia repressa esplode in un ritornello dagli attacchi taglienti, dove grida improvvisa e toni nasali si alternano in una sequenza nervosa; ci ha stuprati, ci sentiamo sporchi, fa male, eravamo dei bambini, legati, da bravi ragazzi, fottuti, proprio suo figlio, gridiamo, nessuno sente, fa male, non siamo bugiardi, abbiamo visto che guardava, chiediamo il perché. Tornano i toni iniziali, mentre viene ripetuta la filastrocca inquietante, destinata ancora una volta ad aprirsi al ritornello ancora più rabbioso nelle sue urla; segue ora una cesura dilatata dal drumming cadenzato e dal basso greve, mentre poi un riffing marziale con piatti in sequenza ci conduce verso un cantato arioso che fa da substrato per vocals malevoli che ripetono con ossessione il ritornello mentre versi disperati compaiono in sottofondo. Si hanno aperture più epiche, mentre il cantante ora dichiara con sardonico sarcasmo come il maniaco non ci ha toccati li, la mamma ha detto che non gli interessava,  ecco perché si è fermata ad osservare, esprimendo il negare assurdo dei genitori davanti ai fatti. Ritornano i versi striscianti e le chitarre notturne, e dopo un'accelerazione di qualche secondo parte il ritornello rabbioso, sempre più isterico: troviamo una breve cesura dilatata, una presa di respiro prima della ripresa dell'attacco cacofonico, dalle urla ormai oltre l'isteria. L'unica conseguenza può essere il pianto finale, seguito da distorsioni roboanti e batteria cadenzata, mentre Davis si da ad imprecazioni che costituiscono nella loro sincerità probabilmente una delle parti più inquietanti della musica dei Nostri, una catarsi mai più toccata, accentuata dall'indifferenza della strumentazione, che prosegue in un fraseggio quasi allegro. La lunga sequenza vede nella sua conclusione un ennesimo pianto ironicamente unito ad una ninnananna angelica, simbolo della canzone; intanto nuovi fraseggi accennati e piatti cadenzati compaiono, in una sorta di jam session progressiva che mette la parola fine all'episodio. Dopo alcuni minuti di silenzio troviamo un dialogo bizzarro, tra una donna e suo mirato, riguardo al carburatore di una Dodge Dart, storica auto americana degli anni sessanta e settanta, forse un ulteriore riferimento sottinteso alla violenza domestica e in generale alla falsa e ipocrita maschera delle famiglie americane.

Conclusioni

Un punto di non ritorno nella storia del metal, delizia per molti, orrore per molti altri; da qui inizia la storia del nu metal, anche se esso non sa ancora di chiamarsi tale, e la fortuna di tutta una serie di epigoni che assalteranno da qui fino all'inizio del nuovo millennio canali televisivi e radio. Di tutto questo rimane oggi solo qualche traccia, tra gruppi spariti, mutamenti, ed alcuni ritorni tardivi. Nel bene e nel male i Korn, gli iniziatori, non se ne sono mai andati e, pur conoscendo una parabola con discese e cambiamenti sostanziali, continuano tutt'oggi ad avere una carriera che molti esponenti del genere non hanno saputo mantenere. Inoltre, se prendiamo l'album per i suoi meriti propri al di fuori del suo contesto "filologico", otteniamo in ogni caso uno degli episodi migliori della loro carriera, diretto, dal giusto mix di ferocia e melodia grunge; gli elementi funky e hip hop sono timidamente presenti, ma ancora in maniera diversa rispetto all'immediato futuro, inseriti in un songwriting che ancora deve molto all'alternative metal americano e al crossover, nonché al già menzionato grunge. I testi sono una sorta di racconto autobiografico della crescita di Davis,  non certo sana e caratterizzata dall'alienazione, violenze sia sessuali che mentali, pestaggi, abuso di droghe, e in generale una parabola discendente verso uno status negativo che da li a poco farà presa su non pochi adolescenti (e anche adulti) americani. Anche qui nelle ingenuità, confessioni esplicite, passaggi a volte "giocosi", troviamo un'immediatezza che è tipica del lavoro di un gruppo che ancora non ha una formula decisa, che non sa quello che verrà, e che semplicemente vuole suonare la sua musica. Al momento i Korn sono tra i tanti gruppi che emergono nella prima metà anni novanta da un melting-pot culturale e musicale, qualcuno incomincia ad accorgersi di loro e della novità insita nel loro suono, le recensioni della critica saranno molto positive, e i futuri membri di gruppi quali Limp Bizkit e Coal Chamber scopriranno un mondo  sonoro; inoltre partirà da qui la carriera di Ross Robinson come produttore e responsabile della gran parte degli album cardine del genere che, da li a poco, esploderà negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Subito dopo la fine delle registrazioni, i Nostri andranno in tour con gli House Of Pain, Biohazard e Sick Of It All, non sempre però trovando un grande riscontro di pubblico; sarà nell'anno successivo che parteciperanno con i Deftones ai concerti di Ozzy Osbourne, cosa che darà loro un certo prestigio, mentre l'album diventerà disco d'oro e due volte disco di platino. Insomma, un inizio coi fiocchi, destinato  a portare grandi cose, sia musicalmente, sia economicamente per la band. Dopo un secondo episodio, a tratti più incerto e tediato da qualche esperimento fine a se stesso di troppo, i californiani troveranno il successo mondiale e il loro suono definitivo con "Follow The Leader", disco che sancirà il periodo di dominio del nu metal che si protrarrà fino ai primissimi anni del nuovo millennio. Seguiranno varie vicende ed evoluzioni, con cambi di line up, allontanamenti parziali o totali dal suono che hanno portato al successo, esperimenti più o meno riusciti, così come tentativi di ritorno al passato con stessa variante d'esito,  e il passaggio alla storia dello stardome del rock mondiale; fino ad arrivare ad oggi, dopo la pubblicazione del nostalgico e riuscito disco "The Serenity Of Suffering", che cavalca in parte il ritorno di sonorità nu metal riscoperte dai ragazzini di oggi. Una storia insomma che dura ormai da più di vent'anni, e che non sembra volersi concludere nell'immediato, e che come detto inizia proprio qui, da un disco che suo malgrado sarà il primo tassello non solo di un'intera carriera, ma anche di un genere musicale intero; simbolo di un mondo che va sempre più a mischiare le carte su tutti i fronti, con buona pace delle resistenze e dei moti reazionari che questo fenomeno sollecita, tanto in musica, quanto in altri aspetti della vita. Ed è qui che si sta per concludere il nostro viaggio a ritroso nella discografia della band, il quale ci dona una visione filologica della loro trasformazione, delle loro vicende, dell'esplosione del loro successo, e delle loro basi iniziali; ci manca solo una piccola postilla, ovvero  la raccolta del 2004 "Greatest Hits, Vol. 1" contenete due cover ("Word Up!" dei Cameo e "Another Brick In The Wall" dei Pink Floyd) e una serie di pezzi, non solo singoli, che hanno fatto la storia dei Korn fino a quell'anno, celebrazione della band in un periodo di forte transizione dalle sonorità puramente nu metal verso elementi più elettronici e di matrice alternative metal. Come tutte le raccolte di questo tipo, un punto della situazione che ad oggi può sembrarci anacronistico, perché non rappresenta lo stato attuale della band, ma in realtà fisso nel tempo come testimonianza di un primo percorso allora terminato, ed inizio di un altro che durerà per anni. Eccoci quindi pronti per l'ultimo capolinea nel mondo dei Korn!

1) Blind
2) Ball Tongue
3) Need To
4) Clown
5) Divine
6) Faget
7) Shoots and Ladders
8) Predictable
9) Fake
10) Lies
11) Helmet in the Bush
12) Daddy
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