KORN
Issues
1999 - Immortal/Epic
DAVIDE PAPPALARDO
17/07/2017
Introduzione Recensione
Prosegue il nostro viaggio a ritroso nella discografia dei californiani Korn, band che a conti fatti ha creato il cosiddetto nu-metal, genere che ha dominato gli anni a cavallo tra fine novecento ed inizio nuovo millennio, salvo poi cadere dietro le quinte soppiantato dal fenomeno metalcore e dalla rinascita del metal estremo. Siamo proprio nell'ultimo anno dello scorso secolo, e mai data potrà essere più simbolica: quel 1999 che sembra come una festa d'addio lunga un anno, con non poca paura di ciò che verrà dopo, tra antiche profezie e moderni immaginari apocalittici di bug informatici che porteranno la civiltà indietro di secoli (spoiler: non succederà). Un misto di nostalgia ed aspettative, paure e voglia di cambiamento. Appena due anni prima i Nostri hanno conosciuto un successo mondiale legato al disco "Follow The Leader", legato a toni meno "gotici" e cavernosi rispetto a quelli degli esordi, lavoro che ha messo in risalto il loro stile che fonde rap/hip hop e metal d'estrazione urbana, concetto innovativo per l'epoca, ed imitato da un numero incredibile di gruppi che spunteranno letteralmente come funghi, inondando il mercato. Alcuni raggiungeranno uno status uguale o vicino a quello dei Korn (Limp Bizkit e Slipknot in primis), altri si accontenteranno di una dignitosa posizione "di serie B" (si vedano i Coal Chamber), ma la maggior parte saturerà presto il mercato con dischi fotocopia, sparendo velocemente una volta che l'entusiasmo di pubblico e stampa scemerà progressivamente, fino ad arrivare all'estremo del rifiuto e derisione in favore di nuovi "eroi" da elevare e poi distruggere (da sempre un meccanismo insito nell'ambiente critico musicale). In ogni caso, ancora la festa non si è conclusa, e la band di Jonathan Davis (voce), James "Munky" Shaffer (chitarra), Fieldy (basso), Brian "Head" Welch (chitarra), David Silveria (batteria) continua ad essere "la reginetta del ballo" al centro dell'attenzione. A maggior ragione, dopo il successo del già nominato disco, gli occhi e le orecchie sono puntate verso di loro: cosa verrà dopo? Un disco uguale? Un ritorno alle origini? Come spesso accade, la risposta disattende molti preconcetti insiti nella domanda. "Issues - Problemi", ovvero il quarto album della band, ripropone dei toni più grevi e pesanti, oscuri, legati però ad un songwriting più snello e collegato al groove di estrazione funk; rimangono anche gli elementi più metropolitani, immersi però in un'atmosfera ancora più disagiata e piena di ombre, una trasposizione musicale di sedute psicologiche, abusi di sostanze, cicatrici lasciate da traumi infantili (temi questi, comunque, dominanti tutto l'immaginario del gruppo da sempre). Insomma, da una parte non si vuole ripetere quanto appena fatto solo per cavalcare l'onda, ma dall'altra non si vuole nemmeno fare un'inversione di marcia e tornare agli albori che qualche fan della prima ora già rimpiange. Quello che idealmente è il finale di una vaga "quadrilogia", riprende le anime finora mostrate dai Korn e ne regala una sintesi che non è altro che il risultato di un percorso; la voce di Davis è probabilmente al massimo delle sue capacità (mentre da lì a poco l'aiuto di elementi da studio si farà sempre più necessario), la batteria di Silveria sa essere sia militante, sia ipnotica e trascinante, e le chitarre di Munky e di Head contribuiscono alla stesura sonora con i loro loop grevi distesi sul basso di Fieldy. Naturalmente nessun virtuosismo tecnico o progressivo, anche se sono presenti diversi pezzi brevi che fanno da intermezzo tematico; non è questa la natura del progetto, anche rispetto all'imminente futuro, dove le cose si faranno sempre più minimali. Il suono qui è ancora pieno relativamente slegato da a stilemi pop, pur non rinunciando a ritornelli ed all'uso di un'elettronica ancora comunque contenuta e funzionale all'attività degli altri strumenti. Anche dal punto di vista testuale, probabilmente viene raggiunto qui il meglio della loro produzione, mantenendo le stesse premesse della musica: nessun poema o capolavoro letterario, ed il disagio adolescenziale è sempre ad un passo da noi, ma vengono evitate punte di patetismo o goffaggine raggiunte spesso in passato, ed anche in futuro. Di fondo ci sono sempre un dolore ed una rabbia che suonano molto veri, espressi tramite frasi e metafore per una volta non troppo contorte. Un gioco di equilibri e trovate varie, una "stabilità" che va a favore del risultato finale, in un disco che rappresenta la fine di un'era e che, probabilmente involontariamente, sarà simbolo dei cambiamenti nella carriera dei californiani, ed anche del destino del genere che hanno creato ed al quale sopravvivranno (perché in musica i padri sperano sempre di vivere di più dei loro figli, pur sapendo che prima o poi quest'ultimi torneranno dalle loro momentanee tombe sotto l'egida della parola "revival"); destino questo, come già accennato, non riservato a molti.
Dead
"Dead - Morto" funge da introduzione al disco, delineandosi con delle batterie marziali in levare sulle quali si stagliano cornamuse oniriche, riprendendo un elemento caro ai Korn; ecco che Davis interviene con un cantato sospirato, con il quale tratta con poche parole della speranza di cambiare le cose ed essere felici, salvo poi capire che si sta cadendo nei soliti errori, finendo per sentirsi morti dentro: "All I want in life is to be happy (happy). It seems funny to me. How fucked things can be. Everytime I get ahead. I feel more dead. - Tutto ciò che voglio nella vita è essere felice (felice). Mi sembra divertente. Come le cose possano essere folli. Ogni volta che vado avanti. Mi sento più morto." declama, e le ultime righe vengono sardonicamente recitate da un coro angelico in farsetto, il quale per contrasto dà ancora più rilevanza a quanto espresso, qui incapsulato da una semplice frase. Essa però nasconde un mondo, familiare a chi è avvezzo alla musica dei Nostri e alle loro tematiche: la continua ricerca di una via di uscita, ed il ricadere sempre nello stesso baratro, in gran parte a causa di sé stessi, finendo per morire sempre di più dentro. Un'introduzione quindi non solo musicale (anzi, la parte sonora, affidata praticamente ad un loop protratto per un minuto, e forse quella meno sostanziosa), ma anche lirica, un mood portante che sorregge tutto il disco, caratterizzato da quella alienazione esistenziale che è un marchio di fabbrica della band californiana. Continuiamo quindi con l'atmosfera soave e delicata, la quale va ad infrangersi verso il finale tanto semplice quanto effettivo, collimando poi nella traccia successiva.
Falling Away From Me
"Falling Away From Me - Sfuggendo Lontano Da Me" si annuncia con una melodia diafana e spettrale, un arpeggio notturno che già instaura un certo mood tra il malinconico ed il disperato, il quale dominerà il resto dell'episodio; ecco quindi un riffing roccioso e distorto, accompagnato da una batteria dai colpi ossessivi e dai piatti cadenzati. Davis interviene su una serie di scosse elettriche sincopate e nervose, perfetta rappresentazione di un tedio costante e ronzante, con la sua voce strisciante e nasale: egli tratta del tema, caro ai Nostri e soprattutto al loro cantante, degli abusi domestici e della possibilità di uscirne. Si sente stanco, il suo tempo oggi è trascorso, e se flirta con l'idea del suicidio, la cosa a volte è giusta. Fa quello che gli altri gli dicono, e rimane vuoto, sfuggendo e cadendo lontano da se stesso. Le frasi vengono coadiuvate da una serie di riff disturbanti, creando un andamento diretto dove la nevrosi esplode periodicamente in sfoghi roboanti. Il giorno fugge via, ed è la notte il momento in cui vengono i pensieri suicidi, a volte l'unico modo per uccidere il dolore; al massimo potrà sempre dirsi che domani andrà meglio, mentre però continua cadere lontano, sempre più lontano da se. L'effetto degli abusi è evidente, il dolore rimane costante e non va via, ed il risultato è una lucida disperazione dove solo l'idea della morte da una minima consolazione, per quanto illusoria. Si raggiunge il culmine, ed è l'ora del ritornello rabbioso e pieno di amara tristezza: veniamo pestati fino a sbatterci dentro al terreno, gridando ed emettendo qualche suono, ed intanto le chitarre si aprono a giri segaossa, e la batteria continua a colpire duro senza segno di voler smettere. Torniamo di seguito ai suoni languidi ed ai loop elettrici, mentre il cantante adotta un registro ancora più inquietante, con punte in farsetto, descrivendo come gira su se stesso mentre cade, perdendo qualcosa che non può ritrovare, fino ad arrivare al punto di rallentare: gli effetti della violenza si sentono ancora, la testa gira e qualcosa non va. Riesplode il ritornello pieno di pathos, quasi a voler rendere ancora di più chiaro il punto, e questa volta esso termina con una digressione vocale, preparatoria ad un nuovo coro angelico e falsamente soave: "Twisting me, they won't go away. So I pray, go away. Life's falling away from me. It's falling away from me. Life's falling away from me. Fuck! - Contorcendomi, non vanno via. Quindi prego, che vadano via. La vita sta sfuggendo da me. Sta sfuggendo da me. La vita sta sfuggendo da me. Cazzo!", recita, e le ultime frasi vengono dettate prima da un farsetto rauco, poi da grida rabbiose sormontate da loop dissonanti, potenziati da un basso greve e meccanico. Rieccoci quindi con l'ormai familiare ritornello portante, protratto ad oltranza con l'accompagnamento di coretti filtrati, e terminato con un'altra digressione vocale e sonora, curiosamente reminiscente dello stile di Axl Rose dei Guns 'n' Roses. Si conclude quindi una traccia dagli ingredienti ben calibrati, tra una disperazione mai sopita e nervosismi sonori messi al servizio di un suono saturo ed alienante, perfetta rappresentazione dello stato mentale espresso dai testi di Davis.
Trash
"Trash - Spazzatura" si apre con un motivo baritonale di chitarra, sottolineato da sirene evocative; un fraseggio nervoso ed arpeggi delicati sottintendono il tutto, ma presto parte un motivo hip hop lisergico e sincopato, sul quale Davis sospira il testo mentre parla del trattare come spazzatura la propria partner, tradendola e abusandone, consapevoli di fare una cosa sbagliata, e di come lei nonostante tutto rimanga al fianco di chi lo fa, peggiorando i sensi di colpa. Non sa come sia iniziato il tutto, sa solo che sente la fame, vede la carne e la sente fresca, pronta per essere colta. Le ragazzine lo fanno sentire esilarante, le palpa e non può fermarsi, sta cancellando il suo dolore. Ora la voce viene filtrata con effetti ancora più alienanti: dice le sue menzogne e disprezza ogni secondo passato con lei, quindi fugge, ma lei rimane, e quindi si chiede cosa cazzo non vada in lei. Su queste ultime parole i toni si fanno più aggressivi, aprendosi a riff di chitarra rocciosi e perentori, preparatori per il ritornello arioso e pieno di effetti vocali; non può fare altro che stuprare i sentimenti altrui, gli dispiace, ma lui non prova quello che prova lei, il suo cuore è costantemente pieno di odio, e gli dispiace di gettarla via come sta facendo. I toni "new wave" qui non esprimono affatto romanticismo o dolcezza, bensì una fredda ed amara consapevolezza riguardante quello che si sta facendo, e la mancanza di un vero rimorso che porti a fermarsi. Riprende quindi la filastrocca precedente, felpata e strisciante, sulla quale il Nostro sospira "I don't know why I'm so fucking cold? I don't know why it hurts me. All I wanna do is get with you. And make the pain go away. Why do I have a conscience? All it does is fuck with me. Why do I have this torment? All I want to do is fuck it away. - Non so perché sono così fottutamente freddo? Non so perché mi faccia male. Tutto quello che voglio è andare con te. E far andare via il dolore. Perché ho una coscienza? Tutto quello che fa è fregarmi. Perché ho questo tormento? Tutto quello che voglio fare è fottere per farla andare via.", esprimendo ancora una volta un misto di disaffezione e disgusto verso se stessi. Ripete le sue menzogne, e con esse si ripetono anche le evoluzioni sonore precedenti, collimando nel ritornello sempre arioso e strutturato nella ritmica da una batteria cadenzata stagliata su un loop di chitarra roboante. Riecco il movimento portante, sempre dominato da suoni hip hop ed effetti disorientanti, destinato ad esplodere per l'ennesima volta: riff ruggenti, ed arie evocative ci portano verso una cesura caotica fatta di screeching, chitarre rumoroso e grida rabbiose al limite dell'isterico. Si ripetono poi i toni angelici e languidi, i quali si ripetono nel finale con cori altisonanti, protratti fino alla dissolvenza che collima nel pezzo successivo.
4 U
"4 U - X Te " è un altro degli intermezzi del disco, caratterizzato da un'elettronica che si muove tra l'ambient ed il trip hop, con un Davis futuristico ed allo stesso tempo malinconico, dandoci un breve brano dedicato ai fan del gruppo, anche se può essere più generalmente visto come una dedica a chi c'è per noi nonostante tutto. Toni quindi "cosmici" giocati non sull'aggressione e sulla violenza, ma comunque in un qualche modo inquietanti nella loro freddezza siderale; dopo i primi suoni di tale natura, una ritmica pacata e linee armoniose di synth ci portano verso la voce filtrata del cantante, sdoppiata tra un lato angelico ed una sottolineatura greve e rauca. Questa merda è qui per gli altri, e possiamo vedere tutte le loro facce, e mentre tutti pensano che la cosa riguardi solo noi, in realtà stiamo per collassare, e ci chiediamo se è questo il nostro destino, e se siamo condannati ad una vita di miseria ed odio. Suoni come di campane si distendono in sottofondo, mentre le vocals si fanno ancora più confuse ed inumane: non sapranno mai quello che abbiamo fatto per loro, cosa dobbiamo passare per loro, ma faremo tutto per loro, perché non avremmo mai potuto vivere senza il loro sostegno. Nel finale i suoni si fanno integralmente più delicati, quasi a voler accompagnare il tema più "speranzoso", con un finale dove Davis usa la sua voce naturale per reiterare come tutto questo sia per i suoi fan. Un uso di suoni prettamente elettronici che sarà foriero in futuro di evoluzioni molto importanti per la band, elementi che qui hanno i loro primi semi, destinati a crescere costantemente; per quanto riguarda il testo, ci sorprende un Davis che, per una volta, cerca di pensare al meglio e tiene in considerazione coloro che, detto in soldoni, mantengono la sua fama ed il suo successo.
Beg For Me
"Beg For Me - Implora Per Me" parte con una marcia imperante, sottintesa prima da suoni baritonali, poi da un arpeggio greve, seguito da un riffing monotono e dissonante, ipnotico nel suo incedere protratto. Suoni elettronici sincopati e passaggi felpati accompagnano l'introduzione della voce di Davis, il quale tratta di come iegli vive il proprio ruolo sul palco durante i concerti, sentendosi bene in quei momenti, perchè adorato dai fan. Tutti quanti lo cercano, ma lui non riesce ad uscire dal letto, e c'è un male nella sua testa, e per questo chiede a tutti di lasciarlo in pace. Quando sale sul palco, tutto va via e lui è libero. Ora I toni s'inaspriscono, dandosi a motivi nervosi e squillanti, sui quali riff rocciosi e vocals piene di effetti in riverbero hanno campo spianato: dicono che saranno lì per lui, sono il pubblico, e devono dargli energia, ma non lo imploreranno. "Tell me, how could this fade? I am going in shame. And I could not have my pain. Everyone please let me be. Because when I hit the stage it is gone and I am free. - Dimmi, come potrebbe scomparire? Sto andando nella vergogna. Non ho potuto avere il mio dolore. Lasciatemi tutti in pace, vi prego. Perché quando salgo sul palco va tutto via, e sono libero." si chiede poi, alternando ancora una volta visioni positive e paranoie, ben dandoci un'idea del suo stato interiore conflittuale. Torniamo di seguito sui territori precedentemente incontrati, tra suoni lenti e serpeggianti, ed atmosfere che potremmo definire tranquillamente diafane; batterie cadenzate e chitarre dal tocco felino dominano la scena, portandoci di nuovo verso il ritornello feroce e eccocelo, un'ondata di perturbazioni sonore dal timbro deciso e senza compromessi. Esso si ripete in più sessioni, andando poi a collimare con una cesura grandiosa con vocals nasali e riff possenti: egli si sente lo stesso di sempre, non è pazzo, sente ora cose diverse, e non gli frega se la sua vita fa schifo, sa che non si arrenderà. Troviamo qui il vero senso del pezzo, esprimendo come l'esperienza live gli dia una ragione di vita che lo tiene in piedi e lo fa andare avanti. Nuovi drumming marziali ci conducono di nuovo verso arpeggi ad accordatura bassa e vocals quasi sospirate, per poi salire d'intensità con la ripresa dei riff taglienti del ritornello, ora ripetuto diverse volte in una sessione destinata ad essere interrotta all'improvviso da striature elettroniche e fraseggi delicati, con un Davis supplicante. Questa coda dalle bordate ossessive va a creare un mantra che chiude il pezzo su note aliene rispetto al resto del brano, con un senso di conclusione e di fine esperienza.
Make Me Bad
"Make Me Bad - Rendimi Cattivo" ci accoglie con un suono notturno d'estrazione urbana, una sequenza sincopata di natura hip hop fatta di un'elettronica minimale, ripetuta nei suoi movimenti; ecco che all'improvviso un riffing maestoso si erge, creando l'ossatura del brano, sottintesa da un drumming secco e da toni grevi di basso. Tornano i toni liquidi iniziali, sui quali si staglia un Davis dai modi languidi, il quale ci parla della dipendenza dal sesso, vissuto come una droga e fuga dal dolore, la quale porta però a scelte e gesti che feriscono gli altri, producendo nuovo dolore, e portando a farsi domande su se stessi. Egli guarda l'ascesa e la caduta della sua salvezza, e c'è così tanta merda intorno a lui, una mancanza di compassione, egli credeva che sarebbe stato tutto divertente ed un gioco, invece è tutto uguale, e vuole qualcosa da fare, qualcosa che gli faccia sentire la malattia nell'altra persona. I suoni si fanno sempre più alienati e lisergici, arrivando ai montanti siderali de l ritornello, basato su un'esecuzione nasale da parte del cantante adagiata su marce ritmiche e di chitarra: sente che la ragione lo sta lasciando, e non vuole che succeda, e sis ente ingannato dal fatto che la carne lo renda cattivo. D'improvviso torniamo al movimento primigenio, sempre ondulato ed onirico; tutto ciò che fa è cercare l'altra persona, sapendo che anche lei ha bisogno della sua dose, anche solo per avere un qualche tipo di attenzione. "What does it mean to you? For me it's something I just do. I want something. I need to feel the sickness in you. I feel the reason as it's leaving me, no, not again. It's quite decieving as I'm feeling the flesh make me bad. - Cosa rappresenta per te? Per me è solo una cosa che faccio. Voglio qualcosa. Ho bisogno di sentire il disagio in te. Sento la ragione mentre mi lascia, no, non ancora. E' ingannevole sentire che la carne mi rende cattivo." declama Davis, riferendosi al vuoto che sente anche nel piacere, constatando la differenza d'intenti tra le due parti, la mancanza di un vero amore da parte sua. Ancora una volta saliamo di potenza, e l'energia si libera nel bel ritornello ritmato, vero fulcro del brano, giocato sull'attesa serpeggiante e sul rilascio qui raggiunto. Ecco ora una serie di rullanti di batteria sottolineati da un fraseggio greve e da riff squillanti ripetuti in loop, una cesura destinata però a scomparire nell'ennesima ripresa del ritornello; vocals nasali e giri rocciosi si ripetono, accompagnati ora da cori eterei, in un completamento dell'atmosfera grandiosa della canzone, collimante in esercizi di chitarra ed una dissolvenza che trascina con se il pezzo verso l'episodio successivo.
It's Gonna Go Away
"It's Gonna Go Away - Deve Andare Via" è uno degli intermezzi dell'album, una sorta di jam-session dal gusto post-rock, fatta di toni particolarmente noise e vocals distanti, disperate. Le chitarre niziali e dal basso greve e pulsante incontrano presto le vocals sospirate di Davis, sottolineate in sottofondo da urla teatrali e disperate, con le quali egli tratta della consapevolezza che un giorno perderemo tutto quello che abbiamo, ed il terrore che ciò porta in noi. Si accorge che dovrà lasciare andare chi ama, e si chiede cosa è successo, senza lasciare che esca fuori, non vuole che vada via, è spaventato, e non sopporta quello che sta succedendo. Intanto in sottofondo proseguono i suoni lenti e protratti, in una sequenza insolita per i Nostri, ma già un anticipo di future sperimentazioni da parte della band. Un'atmosfera satura e tetra, ossessiva, che ben rappresenta il tema lirico dell'episodio. Tutto crolla e a via, sotto la pressione, e non riesce più ad andare avanti con la propria vita. Siamo così giunti alla fine del breve brano, di circa un minuto e mezzo, il quale rallenta lasciando la chiusura a feedback diafani di voce e chitarra. Qui ancora più che prima, si evidenzia la natura di questi "pastiche" sonori, una sorta di cesure tra gli "episodi principali" del disco, schegge che, come qui, contengono esperimenti di varia natura, per ora inconsapevoli semi che presto verranno usati nel songwriting delle tracce vere e proprie della band.
Wake Up
"Wake Up - Svegliatevi" parte con un riffing nervoso e disturbato, fatto di accordature basse ed andamenti grevi, completato da una batteria altrettanto perentoria, dandoci una marcia destinata ad infrangersi contro un breve silenzio. Ora Davis ci grida di svegliarci, anticipando il testo dove tratta dei problemi interni alla band, nella quale i litigi crescono ogni giorno, i quali porteranno presto a defezioni e cambiamenti. Un fraseggio dalle scale trascinanti completa la sequenza, aprendo strade più ariose sormontate da piatti cadenzati, le quali poi lasciano campo ad un suono basso e ripetuto. La voce soave e nasale del cantante si adagia su una trama elettronica plumbea e dalla ritmica strisciante, con tanto di cori angelici: ogni giorno è più spaventoso, e tutti noi vorremmo morire, la pressione stringe, non vogliamo nemmeno provare a fuggire. Ci chiediamo se dovremmo accogliere tutte le stronzate, non siamo felici, e vogliamo che gli altri si sveglino. Le ultime parole vengono ripetute di nuovo in un mantra violento e pulsante, riprendendo la parte iniziale del brano, in un ritornello destinato a ripersi nella sua ossessività monolitica in diverse occasioni. Il tutto naturalmente contornato da grida e suoni taglienti, e completando la scena con un cantato più umano, sottolineato da suoni stridenti, dove enuncia "I can't take no more. What are we fighting for? You are my brothers. Each one I would die for. Please just let it go. All the heads are blown. Let's take the stage and remember what we play for. - Non ne posso più. Per cosa combattiamo? Siete i miei fratelli. Morirei per ognuno di voi. Per favore, andate oltre. Tutte le teste sono scoppiate. Saliamo sul palco e ricordate per cosa suoniamo.", parlando di come sia stanco delle discussioni, e di come voglia andare oltre, mantenendo integra la band. Se ne andrà se non smetteranno di combattere, ma gli altri continuano a dire stronzate in suo disprezzo; nel frattempo i toni delicati ed ironicamente leggiadri sono tornati sulla scena, preparando l'ennesima eruzione del ritornello martellante, ormai familiare. Ritroviamo quindi le evoluzioni precedenti, andando però questa volta a collimare con una cesura nervosa fatta di suoni elettrici e chitarre a trapano, ripetute in una sequenza sinistra e vivace. Ora si torna ai toni più armoniosi della parte cantata, chiedendosi ancora perché si litiga invece di andare avanti, ripetendo la domanda ad oltranza, su un letto fatto di chitarre dagli arpeggi solenni e dalle melodie accennate, nonché da una ritmica marciante nei suoi rulli ripetuti. La conclusione vede una dissolvenza finale, destinata a trascinare con se il pezzo qui ascoltato nell'oblio, mentre il cantante e la musica proseguono nel loro percorso.
Am I Going Crazy
"Am I Going Crazy - Sto diventando Pazzo?" è un nuovo intermezzo, giocato su suoni iniziali filtrati e spettrali, con ritmiche in riverbero e vocals pesantemente filtrate, un ennesimo pastiche, della durata di appena un minuto. Davis ci parla dei problemi avuti durante gli ultimi tour, avendo sviluppato una grave forma di agorafobia ed ansia. Il testo è praticamente un insieme di poche parole, dove il cantante si chiede se sta diventando pazzo e confuso, e se è troppo perduto per affrontare questa cosa, e quanto costerà fuggire da questo. Nulla è giusto, ed è molto spaventato. Dal lato musicale i suoni non sono molto vari, e ci troviamo davanti ad un loop continuo fatto di suoni filtrati, con uno stile che può ricordare molto i momenti più onirici e lisergici dei Nine Inch Nails. Insomma, ancora una volta non certo un pezzo vero e proprio da ascoltare in singolo, bensì una parte funzionale alla natura ed alla dinamica dell'album, al suo processo di narrazione interna, ed alla posizione dei pezzi al suo interno.
Hey Daddy
"Hey Daddy - Ehi Papino" inizia con un effetto liquido di matrice elettronica, sul quale si stende un fraseggio quasi medio orientale, seguito dalle vocals filtrate di Davis, suadenti e contraccambiate da punte sospirate; qui il testo tratta dello stato di schizofrenia provato dal cantante, arrivato al punto di sentire voci che gli dicevano di uccidersi e di fare azioni pericolose. Vediamo come la sua vita sia stata portata via, mentre un demone lo perseguita, e sa che lo aspettano al varco. I toni si aprono con un ritornello dai giri imperanti e dalle arie oscure in sottofondo, dove anche il cantato si libra in un coro glorioso: il Nostro chiede di essere aiutato, ma lo fottono, si sente imbavagliato e legato, viene preso quando è giù, e non può vivere senza di esse, non esiste senza le voci. Torniamo poi al suono precedente, riprendendo il movimento dal sapore estraniante e lisergico; chiama un fantomatico papino, dicendo che lo stanno portando via, mordendolo, affrontando un individuo che è la sua anima, divorandolo, ed implora di essere aiutato. Esplode nuovamente il ritornello deciso ed ossessivo: "They say this thing inside of me. Wants to get out. All it does is scream and shout. I'm trying not to let them out. They tell me to hurt myself. They tell me to hurt myself. They tell me to hurt myself. But I'm not going to listen. - Dicono questa cosa dentro di me. Vogliono uscirne. Tutto ciò che fa è gridare e strillare. Cerco di non farle uscire. Mi dicono di farmi del male. Mi dicono di farmi del male. Mi dicono di farmi del male. Ma non ascolterò." declama, esprimendo come le voci vogliano uscire, esplodendo, invogliandolo a farsi del male, ad autodistruggersi. Segue ora una sequenza ritmata sulla quale si districa una voce malevola e perversa, molto vicina allo stile usato da Manson nei suoi monologhi, ricca quindi di filtri. Essa ripete appunto come egli non ascolterà le voci che ripetono di farsi del male, esprimendo un dissidio interiore sempre più accentuato; riecco quindi i suoni precedenti, ripetuti ad oltranza in un mantra, sul quale questa volta si sovrappongono i cori ripetuti del ritornello, dandoci una sessione caotica e dla grande impatto, una sorta di coronamento di tutta la traccia. La coda finale viene lasciata agli stessi suoni di inizio pezzo, ovvero un fraseggio minimale, suoni liquidi, e vocals melliflue ripetute in dissolvenza.
Somebody Someone
"Somebody Someone - Qualcuno, Chiunque" parte con una bella melodia notturna di chitarra, presto soppiantata da un riffing greve e ripetuto, contornato da un drumming secco e deciso. Ritorniamo quindi al motivo iniziale, ora accompagnato da un basso ritmato e dalle vocals tra il nasale ed il disperato di Davis, il quale tratta del bisogno di essere compresi ed amati per quello che si è, spesso disatteso nella realtà. Non sopportiamo di far vincere gli altri, li guardiamo e basta, non sapendo cosa fare, sentendoci "stupidi dentro" con tutto il dolore che nascondiamo. Pensavamo che l'altra persona ci fosse amica, ma non finisce mai, abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti, abbiamo bisogno di essere amati semplicemente per quello che siamo. Le ultime parole assumono toni ancora più spettrali, accompagnate da un suono ora più minaccioso, completato poi da chitarre rabbiose ed urla in growl, dandoci tutto il senso di rabbia raccolta. Torniamo quindi al movimento precedente, fatto di melodie inquietanti, fraseggi pulsanti, e striature quasi meccaniche in sottofondo; "Giving you this and that. Giving gave nothing back. It's all related to all the things I do. Feeling like a fool inside. Seeing all the things you tried. I am nothing. - Dandoti questo è quello. Il dare non mi ha dato nulla in cambio. E' tutto legato a tutte le cose che faccio. Sentendomi come un idiota dentro. Vedendo tutte le cose che hai provato. Non sono nulla." ci dice ora il cantante, esprimendo tutta la sua delusione, il sentirsi usato e non voluto per quello che si è, sentendo che quanto fatto è inutile, non conoscendo nemmeno la realtà delle cose. Si ripete l'evoluzione che ci porta al ritornello greve, quasi doom nei suoi toni monolitici e pressanti, un muro brutale di buona fattura e costruzione sonora; un fraseggio ritmato cambia il registro, insieme a piatti più decisi, esprimendo un nervosismo ripreso dalle vocals ora sempre più isteriche ed urgenti. Il Nostro guarda e segna, sa di aver bisogno di qualcuno che lo aiuti, e piange per quello che prova a fare, sentendo di essere un cumulo di merda, e di stare per morire. Inevitabile la ripresa dei toni funerei e macilenti, ora ancora più rallentati e spacca ossa, sui quali si apre un cantato arioso in duello con grida altisonanti, un mantra perfettamente orchestrato, una coda che s'infrange contro un feedback finale di chitarra.
No Way
"No Way - In Nessun Modo" ci accoglie con una chitarra squillante, dall'effetto dissonante ed ipnotico, presto accompagnata da un riffing tagliente ed ossessivo, contornato da un'ossatura ritmica giocata su rullanti di batteria; segue quindi un nuovo fraseggio pulsante, inizialmente come cesura, poi come sottinteso per il resto della strumentazione. Davis interviene con le sue vocals supplicanti, mentre tratta nuovamente dell'esperienza sul palco, e di come si senta adorato, quasi un dio, quando canta davanti al pubblico. I suoni dissonanti si fanno strada in un'atmosfera acida, mentre il testo viene languidamente declamato: ultimamente le cose non vanno come vuole lui, ed ogni cosa è grigia, e sembra qualcosa, ma in realtà è nulla, e capisce di essere andato troppo oltre. Su queste ultime parole la ritmica si fa più marciante e la voce si apre a toni ariosi, mentre i riff di chitarra si fanno granitici, ma controllati. Un'ennesima cesura di batteria ci riporta al movimento precedente, sempre occupato da arpeggi lisergici ed andamento minimale, ripresentandoci anche le stesse evoluzioni. Siamo andati troppo oltre per finire in questo modo, sentendoci come se fossimo Dio, e sentendo che non c'è altro modo. Oggi siamo arrabbiati, è questa è l'unica cosa fatta da noi, e questo inizialmente ci sembra qualcosa, salvo subito capire che no, non è nulla. Rincontriamo i giri circolari e rocciosi, così come il cantato etereo, il quale però non esplode mai, portandoci invece verso una cesura dai suoni delicati e dalla ritmica segnata da una drum machine, dove Davis si dà ad un'esibizione intima e supplichevole: "Hating, feeling, falling to the place where people haunt me. I can't help but keep from falling to the place where people call me. I can't wait to give them these feelings of hating. Deep down inside me for all to take. Picking at me. They're ripping at me. Ripping at me. - Odiando, sentendo, cadendo nel luogo dove le persone mi perseguitano. Non posso fare altro, se non cercare di non cadere dove la gente mi vuole. Non posso aspettare di dare loro questo odio. Dentro di me, in profondità, tutto da prendere. Mi raccolgono. Mi mietono. Mi mietono." dichiara, districandosi tra i fraseggi ed esprimendo un misto di mancanza di fiducia e paranoia verso gli altri, visti come persecutori. Con l'incedere delle parole, i suoni si fanno sempre più disorientanti, aprendosi poi a cori ariosi e riff grintosi, dando energia al ritornello portante, protratto di seguito con tanto di parti d'accompagnamento in farsetto. Dopo una marcia rantolante, Il brano termina d'improvviso con una breve coda prima delicata, dove si ripropongono le pulsioni elettroniche, e poi quasi noise nelle sue chitarre distorte e suoni corrosivi.
Let's Get This Party Started
"Let's Get This Party Started - Iniziamo Questa Festa" viene introdotta da un arpeggio sognante, presto seguito da un fraseggio notturno e disorientante, sul quale si distendono le vocals filtrate, sentimentali, di Davis, intento a parlarci del fuggire da se stessi e dalle situazioni che si vivono tramite la ricerca del piacere nei modi più disparati, una vera e propria ossessione. Un uomo piange e la cosa lo riporta in un certo luogo, un luogo che non trova molto spesso. Vede una famiglia camminare, e pensa sempre di essere in un altro tempo, cade a faccia in giù in un solco, e non riesce ad uscirne. Chiede di essere svegliato, e di avere indietro parte dei sentimenti che aveva. Ora i toni vocali si aprono a partiture new wave grandiose, sottolineate da riff ariosi ed atmosfere epiche: a volte vorrebbe essere forte come gli altri, ma non importa, ed ogni volta che si risveglia sente la verità, e non riesce a sopportarla. Ecco che scatta il gioco dei contrasti, con un ritornello rabbioso e severo, dominato da growl inumani e strumentazione stressata, tra druming marciante e chitarre perentorie. Iniziamo la festa, stanchi di essere gli altri, ci fanno sentire folli, e non ci arrendiamo. Gli altri ci fanno impazzire, e vogliamo essere noi quelli che ci faranno rinsavire. Di seguito torniamo ai suoni plumbei e delicati iniziali, sempre supportati da ritmiche cadenzare e suoni spettrali: "Time is ticking, it makes me feel content. With what I have inside. Constant paranoia surrounds me. Everyone I see is out to get me. So I fall face down in a rut. I can't seem to get out of. Please wake me. Please give me some of it back. The feelings I had. - Il tempo scorre, mi rende appagato. Nei confronti di ciò che ho dentro. Una paranoia costante mi circonda. Tutti quelli che vedo vogliono prendermi. Quindi cado di faccia in un solco. Sembra che non possa uscirne. Per favore, svegliatemi. Per favore dammi qualcosa indietro. I sentimenti che ho avuto." declama disperato e supplicante i Nostro, esprimendo l'effetto del tempo, momentaneamente curatore, ma incapace di eliminare le sue ossessioni, ripetendo le immagini precedenti. Ritroviamo quindi le evoluzioni già conosciute, passando per epiche sequenze ed esplosioni bombardanti, piene di energia violenta e satura, punto centrale del brano. Ecco che di seguito troviamo una cesura distorta fatta di ritmi sincopati, suoni grevi, fraseggi squillanti, vocals aggressive e cori diafani n sottofondo. Essa va ad infrangersi contro la ripresa dello sviluppo del ritornello, in una sequenza decisamente familiare, destinata per l'ennesima volta ad implodere in un caos perpetrato fino alla conclusione improvvisa dell'episodio, affidata ad una distorsione roboante.
Wish You Could Be Me
"Wish You Could Be Me - Vorrei Tu Potessi Essere Me" è l'ultimo dei cosiddetti intermezzi del disco, un episodio di circa un minuto, basato su suoni lo-fi di batteria e chitarra, sui quali Davis orchestra una filastrocca hip hop dal gusto urbano, trattando del voler vedere gli altri al proprio posto, in modo che comprendano i nostri errori e gesti, con non pochi riferimenti all'abuso di sostanze. Un pastiche quasi jungle, tribale ed ossessivo, frammentato da effetti sommessi e carico di un'atmosfera malevola, ma mai esplosiva o violenta. Il Nostro sta impazzendo, tutta questa merda riguarda il dolore, r non riesce a resistere mentre tutto esce dal suo cervello, desiderando che gli altri fossero lui. Ora ci dice che, come vediamo benissimo, egli è stanco, e l'altra ha tenuto il meglio di lui, e ci chiede almeno di guardarlo mentre lo stupriamo. In sottofondo prosegue il loop ossessivo e metallico, per un pezzo breve che esula dal metal, addentrandosi invece in suoni anni novanta cari ai ghetti californiani, e non solo. Stiamo prendendo la sua vita e la stiamo vendendo, ma non si lamenta, dato che la cosa aiuta il suo dolore, ora si sente apposto, e la cosa non intacca la sua fama. Si ripete quindi il mantra di poco prima, concludendo poi il tutto con un vano insulto in cui ci dà delle fighette, evocando il vaneggiamento di una persona sotto effetto, in pieno farneticante delirio. Alienazione e rancore dominano il tutto, così come un'auto consapevolezza riguardo al farsi usare e rovinare, pur di superare il dolore che si ha dentro.
Counting
"Counting - Contando" parte con un fraseggio secco e greve, ripetuto varie volte, presto seguito da un riffing roccioso che ne riprende i modi, supportato da un drumming spaccaossa; Davis interviene con la sua voce filtrata da effetti in eco, e sembra parlarci del rapporto con il successo e le case discografiche, le quali riempiono gli artisti di soldi, salvo però volere indietro la loro libertà, approfittandone delle loro debolezze. Non riesce ad affrontare ciò che cresce nella sua testa, e vuole essere lasciato in pace. Gli altri si avvantaggiano di quello che lui crede loro facciano, ma un giorno lo imploreranno, e lui non dice nulla, ed essi prendono di più ogni giorno, mentre lui grida nel dolore, e loro continuano a contare. La musica si mantiene ossessiva e ritmata, basata su bordate continue, salvo poi aprirsi a sessioni più ariose, le quali sottolineano i passaggi vocali e la narrazione del testo. Arriviamo così ad una cavalcata ancora più robusta, la conferma di un songwriting incisivo dai modi metal ben pronunciati, rocciosi e granitici; il Nostro è visto come qualcosa da gettare in giro, loro non c'erano per lui, e mentre lo sbattono per terra, sembra sempre che prendano di più da lui. Ritroviamo le aperture ariose, giocate su chitarre squillanti, piatti cadenzati e rullanti incisivi, questa volta interrotte da un fraseggio plumbeo e dal gusto quasi progressivo, base per una melodia pulsante di tastiera, sormontata da marce militanti e vocals nasali filtrate: "It's funny how we get started. They get their money from the things on you. They get your money and the girls and the fame. I only do it for the fun. That's my game. - È divertente come abbiamo iniziato. Ottengono i loro soldi dalle cose che stanno in te. Prendono il tuo denaro, e le ragazze e la fama. Lo faccio solo per divertimento. E' il mio gioco." ci dice il cantante, esprimendo il suo disincanto con la vita che conduce e con il comportamento delle etichette, le quali danno molto, ma tolgono ancora di più, in un gioco dal quale non si può fuggire. Un nuovo fraseggio fa da cesura, seguito da una nuova scarica ruggente e monolitica, destinata a ridarci i versi circolari ripetuti con ossessione tramite voce piene di atmosfera solenne e riff ossessivi, elaborando una coda finale conclusa da una digressione con feedback e voce supplicante.
Dirty
"Dirty - Sporco" chiude il disco con una marcia melliflua, introdotta da una ritmica quasi tribale, sottintesa da un basso greve ed effetti squillanti accennati; Davis s'introduce nella trama sonora con una voce soffusa e sofferta, raccontandoci del soffrire dentro e non farcela più, volendo che gli altri capiscano cosa proviamo, allo stesso tempo però odiandoli profondamente. Continuano a bussare, ma nessuno è qui, scende giù tutto, quasi percepito. E qui fuori, tutto solo, pronto a farsi saltare la testa in aria: qui ora i toni si fanno più severi, esplodendo sulle ultime parole in una sequenza di grida grandiose e cimbali possenti, completando il quadro con riff rocciosi, pronti però a declinare di nuovo in un suono strisciante e controllato, ma carico di malsana tensione. Soffre dentro moltissimo, e vorrebbe che gli altri potessero vedere il mondo tramite i suoi occhi, ogni giorno è uguale, e lui vuole solo poter ridere ancora. Effetti elettronici quasi ambient ogni tanto si mostrano tra la trama costante della batteria, mentre il Nostro prosegue con vocals sempre più falsamente angeliche: continua a sperare, ma nulla si risparmia, e la sua vita è fuori posto, sembra una troia, una sporca troia. Riecco le evoluzioni squillanti, destinate a degenerare nel ritornello disperato, pieno di filtri vocali e chitarre ruggenti. Segue una cesura ariosa dalla ritmica tribale, dominata ad atmosfere nebbiose, e presto accompagnata da un fraseggio onirico dalle scale trascinanti, una delle parti più belle probabilmente di tutto il disco; Davis declama come prenderà tutto dentro di noi, dandoci delle sporche piccole troie, e ripetendo poi con ossessione il termine assumendo connotati più aggressivi tra chitarre quasi noise. Oscurità siderali si districano in sottofondo, mentre le eco ed effetti vorticanti ci danno una gusto dark ambient protratto fino all'improvviso stop contraddistinto da un disturbo da televisione rotto, un rumore bianco portato avanti per diversi minuti, una sfida quasi per gli ascoltatori meno smaliziati.
Conclusioni
Un disco, come già detto, che rappresenta il finale di un gran periodo, tanto per la band da noi recensita, quanto per il genere di cui sono i padrini, ovvero il nu-metal. Una summa di molti motivi portanti di questo suono sono qui presenti: chitarre grevi ad accordatura bassissima, loop ossessivi che sostituiscono i più classici groove ed assoli tipici del metal vecchio stampo, connotazioni urbane che sanno di ghetti e quartieri pieni di graffiti, collegati a strutture sincopate hip hop ed a passaggi dal sapore funk, atmosfere alienate, distorte e con una certa oscurità a volte unita ad un'elettronica malinconica dal gusto vagamente retrò. La differenza rispetto alle migliaia di epigoni che si sono creati negli anni, sta nell'innata caratterizzazione e nello stile inconfondibile della band: nessuno dei suoi componenti eccelle da un punto di vista puramente tecnico, ma ognuno di essi è fondamentale e funzionale per quello che sono i Korn al momento dell'uscita dell'album (e non è un caso il fatto che i cambiamenti di suono dei Nostri coincideranno con quelli di formazione). La voce di Davis mantiene sempre una linea sottile tra il patetico, il disperato, il supplicante e l'aggressivo , con i consueti passaggi tra farsetto e growl, momenti catartici e narrativi di grande effetto, mentre le chitarre di Munky ed Head creano un movimento continuo che non si presta ad evoluzioni progressive, mantenendosi ossessivo e continuo, e tale discorso si applica ancora di più al basso greve di Fieldy, vera e propria ossatura dei brani; infine, la batteria di Silveria crea la struttura ritmica portante dei pezzi, tra marce e parti più veloci, senza mai esagerare in un senso o nell'altro. C'è qualcosa di genuino, di autentico, che traspare anche negli elementi più convenzionali e nelle parti più commerciali e "piacione", qualcosa che ci fa capire come là dove molti gruppi tentano di suonare in un certo modo, semplicemente i Korn suonano per natura secondo i dettami che hanno stabilito loro stessi. Inoltre i loro testi, o meglio quelli del cantante, mostrano sempre una natura personale che si mantiene costante anche nelle loro iterazioni più adolescenziali, tra metafore contorte ed aperte dichiarazioni di odio, amore, solitudine, alienazione; un malessere esistenziale che ha fatto sin da subito presa su ragazzini ed adulti lontani dalla società ed alienati rispetto ad essa. Certo, nulla nasce da nulla, e la loro musica è collegata in realtà ad una serie di tradizioni alternative che partono già dalla metà degli ottanta: il noise rock e l'alternative di New York, l'industrial metal californiano ed inglese, il funk metal di Primus e Jane's Addiction, le commistioni post-hardcore degli Helmet e le sperimentazioni crossover degli Anthrax, il geniale ed omni-comprensivo stile dei progetti di Mike Patton, Mr Bungle e Faith No More in primis, il rap militante dei Public Enemy, ed infine la new wave di grande successo di pubblico, soprattutto i Duran Duran. Una serie di elementi assorbiti in modo più o meno conscio nel proprio DNA, e filtrati da una vita di confine nei ghetti americani dove culture diverse confluivano, non sempre in maniera pacifica, e da patemi esistenziali potenziati dall'abuso di alcool e droghe, usati come fughe dalle cicatrici portate dentro e dalla realtà. Un suono ed un mondo tematico in grado di catturare la realtà del proprio tempo, unici riferimenti di una generazione che non si vede rappresentata da quei dogmi musicali fino ad allora considerati molto rigidi e con poco spazio (a livello mainstream) per la fusione e la contaminazione, e soprattutto agli elementi più lontani ad essa, vittime di abusi, soprusi, non legati ad un contesto ben preciso. Come molte band basilari della storia della musica, un'emanazione di uno Zeitgeist, il risultato di qualcosa che bolle in pentola da tempo, e che aspetta di trovare una forma compiuta; e proprio come queste band, però il matrimonio con quanto creato non sarà per sempre, o meglio non sarà legato ad una fedeltà costante ed esclusiva. Superato il periodo nu metal, i Korn cercheranno negli anni di allontanarsi sempre più dall'associazione esclusiva con esso, con risultati alterni ed alienando una parte del loro pubblico, anche a causa del loro atteggiamento da rockstar (un parallelo con la storia dei Metallica e del thrash metal non sarebbe fuori luogo), salvo poi tornare a fasi alterne sui propri passi. Questo è però il futuro, per ora ancora stiamo parlando di una band nu metal che ha raggiunto il successo mondiale, e che concretizza con il suo quarto album un sunto della sua storia fino a quel punto, ed allo stesso tempo stabilisce la propria evoluzione avvenuta negli anni, e che deve ancora continuare. Le vendite coronano un'altra volta il gruppo, e buona parte della critica apprezza, notando i toni leggermente diversi rispetto a quelli del precedente "Follow The Leader", e quindi la volontà di non ripetere un disco-fotocopia sulla scia del successo; ben tre pezzi diventano singoli accompagnati da video di prestigio con ospiti quali Brigitte Nielsen ed Ugo Kier (parliamo di "Falling Away From Me", "Somebody Someone", e "Make Me Bad", quest'ultimo con gli attori prima menzionati), e l'album diventa tre volte disco di platino. Il tour di promozione chiamato Sick And Twisted va a gonfie vele, e le cose sembrano rosee; dove andare ora? Come sappiamo, la risposta arriverà dopo tre anni e vedrà le novità introdotte da "Untouchables", nuovo punto di partenza della carriera della band californiana, segnato da elementi più vicini al metal alternativo ed all'elettronica di stampo new wave. Ma il nostro viaggio è a ritroso, ed è per questo che parleremo del tassello precedente, ovvero quel già tanto nominato "Follow The Leader" che ha lanciato la band nel panorama mondiale, ed ha fatto conoscere a milioni di persone l'unione di trame hip hop e chitarre elettriche; un lavoro fondamentale per capire sia quanto qui recensito, sia la figura dei Korn e la loro importanza nel genere da loro sdoganato, nonché, in ultima analisi, la storia del rapporto tra musica mainstream e contaminazioni di varia natura.
2) Falling Away From Me
3) Trash
4) 4 U
5) Beg For Me
6) Make Me Bad
7) It's Gonna Go Away
8) Wake Up
9) Am I Going Crazy
10) Hey Daddy
11) Somebody Someone
12) No Way
13) Let's Get This Party Started
14) Wish You Could Be Me
15) Counting
16) Dirty