KORN
Greatest Hits. Vol. 1
2004 - Epic Records
DAVIDE PAPPALARDO
02/12/2017
Introduzione Recensione
Si conclude oggi il nostro viaggio nella discografia dei californiani Korn, band cardine del momento nu metal ancora oggi attiva nel panorama musicale. Abbiamo analizzato il loro percorso musicale partendo dalle loro ultime uscite e passando per esperimenti vari, fino a raggiungere i primi successi che li hanno portati alla fama mondiale, e ancora più indietro analizzando i loro primi passi nel mondo della musica. Il modo migliore per culminare tutto questo, è la recensione del loro "Greatest Hits, Vol. 1", ovvero la prima (e più significativa) raccolta della loro carriera, pubblicata nel 2004 per la Epic Records; due inediti, ovvero la cover di "Word Up!" dei Cameo e quella di "Another Brick in the Wall" dei Pink Floyd, vengono seguiti da una serie di pezzi che hanno fatto la storia del gruppo, anche se non sempre necessariamente singoli usati, a loro tempo, come portavoce dei dischi da cui provengono. Nello specifico, i casi "anomali" sono "Twist" e "Trash", ed inoltre il tutto viene completato da un remix della famosa "Freak On A Leash". Troviamo qui tracce prese dai primi due lavori in studio, e anche dai dischi successivi, con una progressione in ordine temporale inverso che parte da quello che all'epoca era l'ultimo album pubblicato, ovvero "Take A Look In The Mirror" rappresentato da ben tre pezzi, passando ad "Untouchables" del 2001, "Issues" del 1999, e raggiungendo quel "Follow The Leader" che nel 1997 faceva scoppiare il fenomeno Korn in tutto il mondo. Non vengono naturalmente esclusi i primi due dischi della band, ovvero "Life Is Peachy" e l'omonimo "KoRn", entrambi basi fondamentali per la nascita e i primi sviluppi del suono dei Nostri, allora più rozzo e diretto rispetto alle svolte più melodiche dei tempi recenti. Ma chi sono i Korn? Nel 1993 a Bakersfield, in California, James Shaffer, Reginald Arvizu, David Silveria, precedentemente membri dei L.A.P.D, unirono i loro sforzi con Brian Welch e Jonathan Davis, quest'ultimo precedentemente cantante dei SexArt, creando così la band che qualche anno dopo avrebbe rivoluzionato il mondo del metal alternativo di stampo crossover. La loro fortuna nascerà da un sincretismo culturale, potremmo dire un vero e proprio Zeitgeist, che darà forma ad una serie di pulsioni urbane e psicologiche che aleggiavano nell'aria ormai da anni, complice l'influenza di menti "illuminate" quali Godflesh, Faith No More, Anthrax, Helmet, Fear Factory e molti altri, e anche i contrasti e le fusioni culturali tra le varie comunità e musiche dell'America anni novanta. Dopo un demo non molto riuscito e non amato da pubblico e critica, chiamato "Neidermayer's Mind", i Nostri si presentano al mondo con un debutto ancora largamente influenzato dal grunge, ma già contenente alcuni punti fondamentali del nu metal, tra cui assenza di assoli e chitarre ad accordatura bassa in loop, elementi hip hop, ritmiche frenetiche e sincopate, atmosfere allucinate ed acide. Il successivo "Life Is Peacy" aggiunge elementi ancora più funky ed esperimenti vari, configurandosi come un ponte verso quel "Folllow The Leaders" che, se non il lavoro più riuscito, sarà probabilmente il lavoro più importante della loro carriera, avendoli fatti conoscere al mondo intero ed avendo lanciato quel genere che dominerà le classifiche per molti anni. Seguono l'ottimo "Issues", opera che recupera e rielabora molti degli elementi iniziali del loro suono, più pesanti ed aggressivi, alla luce della loro maggiore abilità a livello di songwriting, poi il disco sperimentale "Untouchables", largamente influenzato dalla new wave e dal metal alternativo anni ottanta-inizio novanta, e il contemporaneo "Take a Look In the Mirror" , primo episodio di un progressivo allontanamento dal nu metal verso altre aree dell'alternative, anche di matrice più rock. Un percorso qui esemplificato da ben diciannove tracce, capace di delineare egregiamente l'evoluzione e i momenti topici del sound della formazione che vedeva all'epoca di pubblicazione Jonathan Davis (voce), David Silvera (batteria), Brian Welch (chitarre), James Shaffer (seconda chitarra) e Fieldy (basso) tra i componenti.
Word Up!
"Word Up! - Giusto!" è il brano che apre il disco, cover del pezzo anni ottanta dei Cameo, band soul/funk attiva sin dai primi anni settanta; esso tratta della scena musicale dell'area rap dell'epoca, criticando le "prime donne" che lo dominavano, ovvero i gruppi più attenti a creare drammi e discussioni, piuttosto che fare musica di qualità. Una serie di effetti elettronici distorcono il fischio iniziale della versione originale della traccia, mentre la parte di basso e drum machine viene qui sostituita da un fraseggio più melodico, subito accompagnato dalla voce nasale di Davis; essa si struttura poi su una serie di riff in loop, i quali mantengono una natura distesa e decisamente rock, lontana da qualsiasi attacco o violenza. Per le belle donne in giro per il mondo, abbiamo una cosa strana da mostrare, quindi devono dire a tutti i ragazzi e le ragazze, i fratelli, sorelle, e anche alle loro madri, che stiamo per andare giù, e sanno cosa fare, ovvero muovere le mani in aria come se nulla fosse, planando tra le persone mentre ci osservano guardando, invitiamo a danzare a modo nostro, e chiediamo che ci venga detto come stanno le cose. Intanto la musica prosegue incalzante tra riff elettrici, fraseggi in loop e voce suadente e melodica, portandoci al ritornello dalla natura molto ariosa e pop: tutti quanti dicono che è vero, quando senti la chiamata devi nasconderti, è la parola in codice, non importa dove la dici, sai che ti sentiranno. Un funk rock domina l'aria, tra coretti e parti concitate, ma sempre ben lontani da qualsiasi elemento metal o troppo spigoloso. "Now all you sucker DJ's who think you're fly. There's got to be a reason and we know the reason why. Why you put on those airs and you act real cool. Got to realize that you're acting like fools. If there's music we can use it. You're free to dance. We don't have the time for psychological romance. No romance, no romance, no romance for me mamma. Come on baby tell me what's the word - Ora, per voi tutti DJ sfigati che pensano di essere grandi. C'è una ragione, e noi sappiamo il perché. Perché vi date le arie e fate i fighi. Dovreste capire che vi comportate da idioti. Se c'è musica, la potete usare. Siete liberi di ballare. Non abbiamo tempo per seghe mentali. Nessuna sega mentale per me, mamma. Avanti piccola dimmi cosa si dice." prosegue ora il Nostro, esplicitando la natura critica del testo, e la volontà di mettere al centro solo la musica, e non le chiacchiere e i discorsi inutili. Ora Davis si accompagna a cori che ne sottolineano le parole, mentre le scariche ormai familiari strutturano il pezzo insieme alle chitarre rilassate in sottofondo, e alla ritmica controllata nei suoi rullanti. Si ripete il ritornello entusiasmante, sempre allegro e spensierato, mentre di seguito abbiamo una digressione fatta di suoni più taglienti e grevi, uniti ad una drum machine possente e al fischio iniziale; riecco quindi ancora il ritornello, ormai immancabile nei suoi andamenti protratti ad oltranza fino ad un gioco finale di chitarre distorte, breve e di pochi secondi. Ed è così che si conclude il primo inedito del disco, una cover ben lontana dalla pesantezza dei Korn vecchia scuola, a tratti addirittura più leggera della versione originale.
Another Brick in the Wall (Parts 1, 2, 3)
"Another Brick in the Wall (Parts 1, 2, 3) - Un Altro Mattone Nel Muro (Parte 1, 2, 3)" è la cover dello storico pezzo dei Pink Floyd contenuto, in diverse sezioni, nel doppio album "The Wall" del 1979. Esso tratta tanto dell'isolamento dalla realtà da parte di chi non si sente parte di essa, quanto della ribellione verso un potere opprimente che cerca, sin dalla tenera età, di controllare le menti e la vita delle persone. In questa versione viene inoltre attaccata nella parte finale "Goodbye Cruel World", altro brano dello stesso album, che esplicita l'isolamento raggiunto dal protagonista nei confronti del mondo. Un riffing sommesso sale, assumendo toni distorti che riprendono le atmosfere del fraseggio con synth dell'originale; Davis si unisce con toni suadenti e filtrati, raccontandoci di come papà era volato oltre oceano, lasciando solo una memoria, una fotografia nell'album di famiglia, e chiedendogli cos'altro ha lasciato per lui. Dopotutto, non era altro che l'ennesimo mattone nel muro. La tensione in crescendo viene sviluppata da suoni di chitarra in sottofondo e arie grandiose ed epiche, che rispettano l'atmosfera dell'originale. Ecco che ora il tutto si eleva con un drumming pulsante coadiuvato da vocals disperate e riff possenti di chitarra: non abbiamo bisogno di un'educazione, non abbiamo bisogno di un controllo mentale, di nessun sarcasmo oscuro nelle aule, gli insegnanti devono lasciare in pace gli studenti. Dopotutto, è solo un altro mattone nel muro. La musica ha ormai assunto toni che mischiano le arie epiche dell'originale con un ammanetto metal tagliente; ecco che dopo alcuni rullanti di cesura il ritornello appena incontrato viene ripetuto da un coro di bambini, riprendendo così il corrispettivo della versione originale, ma qui con una base musicale ben più robusta. Al terzo minuto e trentasei si aggiunge l'altrettanto familiare assolo di chitarra, il quale domina ora la scena dilungandosi nelle sue scale progressive ed ammalianti; si prosegue così per diversi secondi, superando un minuto intero di riff e suoni trascinanti. All'improvviso Davis riprende con il suo cantato, sottolineato ora da digressioni cosmiche dal gusto anni settanta: "I don't need no arms around me. I don't need no drugs to calm me. I have seen the writing on the wall. Don't think I need anything at all. No, don't think I need anything at all. All in all it was all just bricks in the wall. All in all you were all just bricks in the wall - Non ho bisogno di braccia intorno a me. Non ho bisogno di droghe che mi calmino. Ho visto le scritte sul muro. Non credere che io abbia bisogno di qualsiasi cosa. No, non credere che io abbia bisogno di qualsiasi cosa. Dopotutto erano solo mattoni nel muro. Dopotutto non eravate altro che mattoni nel muro." dichiara ora, mostrando il raggiunto stato di isolamento da parte del protagonista. La musica è epica, tra bordate colossali e ruggenti, e fraseggi in sottofondo. Nel finale un crescendo improvviso di chitarra e batteria si infrange contro esercizi tecnici, dandoci un movimento contratto culminante in feedback e suoni squillanti di chitarra, promulgati in un loop che va a concludere il tutto tra suoni di basso pulsanti e campane, ma non prima che il cantante pronunci le sue ultime parole, annunciando il suo addio al mondo in modo soavemente disperato.
Y'All Want a Single
"Y'All Want a Single - Voi Tutti Volete Un Singolo" parte subito con il cantato sornione e ritmato di Davis, il quale parla della realtà discografica e del suo mercato, su come le band vengano tenute al guinzaglio per produrre singoli fatti per guadagnare soldi, e più nel concreto di come la Sony avesse chiesto ai Nostri, appunto, di creare un pezzo orecchiabile per trascinare il disco e le sue vendite; parti squillanti di chitarra ne delineano il passo, mentre scopriamo come tutto quello che gli altri vogliono è avere un singolo, e quindi il Nostro chiede di dirlo chiaramente a più riprese. Dopo un verso onomatopeico di esplosioni parte quindi un riffing graffiante, il quale viene cesellato da alcune bordate squillanti seguite da un fraseggio severo, dopo il quale abbiamo un trotto con vocals nasali: ci chiediamo cosa sta succedendo, dobbiamo liberarci, abbiamo un problema che ci sta portando giù con sé. "They think we're all the same. And always we're to blame. For shit I think is lame. It's time to stop the game. I think it's time to pay for everything you made me say - Pensano che siamo tutti uguali. Siamo sempre da incolpare. Per merda che credo faccia schifo. È tempo di fermare il gioco. È l'ora di fartela pagare per tutto quello che mi hai fatto dire." prosegue il testo, mentre ora esplode il ritornello aggressivo, il quale riprende I versi iniziali con veemenza, ripetendoli più volte, e concludendosi con una nuova cesura dal giro circolare greve; si riprende quindi tutta la parte gestita dalle vocals sempre nasali di Davis, chiedendoci ora perché le cose debbano essere così, non stiamo andando da nessuna parte, ed ancora bussiamo la porta del bisogno di inginocchiarci. Si ricreano quindi i motivi che ci portano ancora una volta al ritornello altisonante e feroce. Ecco dunque che esplodono cantati ariosi e chitarre quasi orchestrali, in una sezione dove si dice che noi siamo quelli che fanno a pezzi gli altri, la speranza di annegare i suoni altrui, e gli altri pensano che "siamo da trovare in giro per il mondo, mentre si stanno portando verso il fondo"; inevitabile il ritorno al ritornello compulsivo, anticipato però da una dilatazione di chitarra e piatti, ed ora presentato in modalità più strisciate e controllata, delineata da versi più aggressivi in contrasto al cantato rauco di Davis. Ed è così, su una serie di montanti rocciosi e dissonanze, che raggiungiamo un falso finale; dopo pochi secondi un grido riprende la traccia, presentando la vera coda conclusiva, fatta di loop reiterati fino all'oblio.
Right Now
"Right Now - Proprio Ora" parte con un riff greve scolpito da alcuni loop altrettanto roboanti, I quali prendono piede in una sequenza stridente; ecco che Davis interviene con il suo cantato sincopato, in un testo dove si tratta in modo diretto e semplice dell'odiare tutto e tutti, al punto di provare istinti omicidi. Ci sentiamo cattivi oggi, non perduti o spazzati via, solo irritati ed abbastanza odiati, mentre l'autocontrollo cede e ci chiediamo perché tutto è così tediante; la nostra vita ci piace folle, mentre rimuginiamo e discutiamo su chi prenderemo a calci. In tutto questo la musica segue un trotto macinante ed ossessivo, fatto di suoni dissonanti e militanti, i quali poi si aprono in bordate sempre disturbanti nel ritornello: ora non abbiamo modo di mettere da parte l'odio che sentiamo nel vedere gli altri, e nemmeno a non fare a pezzi le cose che eccitano gli altri, mentre sentiamo prudere dentro e non riusciamo a controllare il disprezzo. Il tutto sottolineato da pochi elementi ripetuti, i quali collimano in una cesura dissonante, seguita da una nuova sequenza serpeggiante con anche cori in sottofondo; "I'm feeling cold today, not hurt just Fucked away. I'm devastated and frustrated. God I feel so bound. So why'd I feel the need? I think it's time to bleed. I'm gonna cut myself. and watch the blood hit the ground - Oggi mi sento freddo, non ferito, ma semplicemente strafottuto. Sono devastato e frustrato. Dio, mi sento così legato. Allora perché sento il bisogno? Credo sia il momento di sanguinare. Mi taglierò, e guarderò il sangue che scorre sul pavimento." annuncia il testo, mentre di seguito esplodono di nuovo le parti del ritornello ormai familiare, completando il ciclo. Ecco quindi che dopo esserci fatti strada tra i riff ossessivi, arriviamo da una pausa dall'elettronica liquida e dai feedback tesi, sulla quale Davis sospira con fare perverso: se l'altra persona aprirà ancora la sua bocca, giuriamo che la romperemo, non possiamo più sopportarla, intimandole più volte di chiuderla, altrimenti la conceremo per bene. Quest'ultima parte coincide con un'esplosione di grida gutturali e chitarre aggressive, la quale non può non precipitare verso un'ennesima cesura, caratterizzata da accordature basse e stacchi elettrizzanti; riecco quindi il ritornello, il quale si ripete ad oltranza, accompagnando con l'ultima frase ripetuta la chiusura del breve brano, caratterizzato da un songwriting asciutto e dai pochi elementi, caratteristico del disco da cui è tratto.
Did My Time
"Did My Time - Ho Fatto Il Mio Tempo" ci accoglie con un riffing dal gusto rock, cesellato da piatti e bordate squillanti, in un gioco sincopato coronato da un giro dalla melodia imperiosa; ecco che essa viene ripresa da un nuovo motivo, un loop appoggiato su un drumming cadenzato ripetuto a più riprese. Davis insorge con il suo famoso tono nasale su un ritmo contratto tipico per il gruppo, in un testo che tratta del sentire di averla già pagata abbastanza, anche se sembra che la cosa non basti, mentre i problemi si ripetono all'infinito nel tempo. Abbiamo capito che non vinceremo mai, sentendoci come se avessimo fallito, chiedendoci da dove incominciare dentro, mentre la nostra mente ci deride, e chiediamo perché dobbiamo essere incolpati, mentre dovremmo essere tutti uguali, ed è per questo che non calmeremo mai quello che ci brucia dentro. Il tutto viene allineato da strappi di chitarra, ed ecco che conclusasi questa sezione, torna la melodia di poco prima, la quale ora crea il ritornello arioso del brano: siamo noi a scegliere il nostro percorso, siamo noi quelli che non sono potuti durare, e sentiamo la vita strappata da dentro di noi, mentre la rabbia ci cambia. Riprende quindi il trotto precedente, sempre sincopato e spinto in avanti con un loop ritmico incalzante; "Sometimes I can never tell, if I've got something after me. That's why I just beg and plead. For this curse to leave me. Tell me why am I to blame, aren't we suppose to be the same. That's why I will never tame this thing that's burning in me - A volte non so dire se c'è qualcosa che m'insegue. Ecco perché supplico e scongiuro. Perché questa maledizione mi lasci in pace. Dimmi perché devo essere incolpato, non eravamo uguali? Ecco perché non calmerò mai questa cosa che mi brucia dentro." prosegue il testo sulle vocals ansali del Nostro, mentre poco dopo si riaprono le arie epocali e quasi orchestrali grazie alle melodie vorticanti in sottofondo. Ora un arpeggio ad accordatura bassa fa da cesura, mentre il cantato si converte in una supplica accorata e disperata, dove dichiariamo di sentirci traditi e schiavizzati, ci abbiamo provato, ed abbiamo fatto il nostro tempo; ecco che i toni diventano più aggressivi grazie ad un riffing roccioso dalle pulsazioni decise, il quale poi conosce un growl indemoniato, il quale annuncia una serie di bordate ossessive. Ora riprende il ritornello, il quale ripropone tute le sue caratteristiche, reiterate fino ad una chiusura robusta adagiata su chitarre in loop, le quali dopo pochi giri mettono fine alla traccia.
Alone I Break
"Alone I Break - Da Solo Distruggo" vede un fraseggio presto raggiunto da pulsioni elettroniche e vocals soavi da parte di Davis: ecco che ci parla del sentire dentro qualcosa che ci avvelena, ma che non riusciamo a far uscire. Ora ci chiede di essere preso, ha sanguinato troppo a lungo, proprio qui ed ora, lo fermerà in qualche modo. L'aggressività si palesa con parti più ruggenti, ma la musica per ora si mantiene strisciante, giocata su trame sintetiche quasi trip hop: farà andare via tutto, non può più stare qui, è il solo modo, presto andrà via, questi sentimenti pure. Prende ora piede il bel ritornello controllato, basato su un arpeggio acustico sul quale il cantante delinea la sua voce su archi orchestrali, dandoci una ballad dal largo respiro. Torniamo all'improvviso alla suadente sequenza iniziale, riconoscendo tutte le evoluzioni in chiave elettronica che sono destinate a portarci verso una nuova riproposizione del ritornello: Il Nostro vede che i tempi cambiano, ed andarsene non è così strano, spera di trovare dove lasciare indietro il dolore, tutta la merda che riceve tutto solo sembra distruggere, chiedendosi se ave vissuto al meglio che poteva, non lo renda un uomo. La sua conclusione vede nuovi toni orchestrali, dilungati una sessione che sembra una colonna sonora, confermando un pezzo dal gusto molto leggero ed atmosferico. Le pulsioni elettroniche si ripetono, segnando il passo mentre la voce ricompare con filtri molto pesanti, robotici: "Am I going to leave this place? What is it I'm running from? is there nothing more to come? (am I gonna leave this place?) Is it always black in space? Am I going to take it's place? Am I going to leave this race? (Am I going to leave this race?) I guess god's up in this place? What is it that I've become? Is there something more to come? (more to come) - Lascerò questo luogo? Da cosa sto scappando? C'è qualcosa in più che deve arrivare? (lascerò questo luogo?) E' sempre nero nello spazio? Prenderò il suo posto? Lascerò questa gara? (Lascerò questa gara?). Credo che Dio sia in questo luogo?Cosa sono diventato? C'è qualcosa in più che deve arrivare? (in più che deve arrivare?)" continua il testo, portandoci a nuovi giochi elettronici, i quali collimano nel ritornello evocativo. Esso si ripete con le sue arie intime, portandoci con se verso il finale del brano, segnato da una semplice chiusura con piatto. Un episodio che ci dona una ballad malinconica che mostra lo spirito più pop dei Korn.
Here to Stay
"Here to Stay - Qui Per Rimanere" apre le danze con un riffing greve ad accordatura bassa, ripreso in un galoppo altrettanto abrasivo, quasi doom, presto potenziato da cimbali cadenzati. Ecco che Davis subentra con il suo cantato filtrato con effetti, nel quale ci parla dell'essere sfruttati, fino al punto di non poterne più e di voler tornare al punto di partenza; questa volta, portando tutto via, abbiamo un problema riguardo al nostro metterci in mezzo, non per vocazione, quindi prendiamo la nostra faccia e la sbattiamo contro uno specchio, non vedremo i dolore mentre sanguiniamo. Ecco che al musica sale d'intensità con giri roboanti, ed il dolore diventa odio, anticipando tutti i sentimenti malati ancora una volta: passiamo al ritornello epico ed arioso, contornato da cori e chitarre in levare, strutturato su una ritmica sempre presente e robusta. Il dolore dentro scompare, è andato tutto troppo oltre, abbiamo atteso per tutto questo tempo, ed ora non possiamo più commemorare, una volta tanto dentro si svegliamo, non siamo delle puttane, ci hanno preso tutto, e non possiamo più dare. Ora la strumentazione riprende con il suo galoppo pulsante, trascinandoci con il farsetto del cantante verso la stessa evoluzione incontrata all'inizio. "My mind is done with this, Okay, I've got a question. "Can I throw it all away?" Take back what's mine. So I take my time, guiding the blade down the line. Each cut closer to the vein (vein, vein) - La mia mente l'ha fatta finita con questo, okay, ho una domanda, "Posso gettare tutto questo?" Riprendere ciò che è mio. Così mi prendo il mio tempo, guidando la lama nella linea. Ogni taglio più vicino alla vena (vena, vena)" declama il Nostro, mentre ci spingiamo verso le arie avvolgenti del ritornello imperante, sottolineato da parti stridenti in sottofondo: segue poi una bella melodia di tastiera, la quale sottintende fraseggi felpati e parti vocali quasi sospirate. Esse non possono che portarci verso un'esplosione segnata da riff potenti e grida altisonanti, vere e proprie mitragliate, e non mancano ritmi maniacali. Siamo qui per rimanere, e faremo crollare tutto, non possiamo più dare nulla; nuovo spazio dunque viene dato alle belle arie dell'ormai familiare ritornello, compulsivo, ma anche pieno di melodia sottintesa e vocals in qualche modo angeliche. Il drumming finale si fa battagliero, da marcia, e ci porta alla conclusione del brano con un feedback in dissolvenza.
Trash
"Trash - Spazzatura" si apre con un motivo baritonale di chitarra, sottolineato da sirene evocative; un fraseggio nervoso ed arpeggi delicati sottintendono il tutto, ma presto parte un motivo hip hop lisergico e sincopato, sul quale Davis sospira il testo mentre parla del trattare come spazzatura la propria partner, tradendola e abusandone, consapevoli di fare una cosa sbagliata, e di come lei nonostante tutto rimanga al fianco di chi lo fa, peggiorando i sensi di colpa. Non sa come sia iniziato il tutto, sa solo che sente la fame, vede la carne e la sente fresca, pronta per essere colta. Le ragazzine lo fanno sentire esilarante, le palpa e non può fermarsi, sta cancellando il suo dolore. Ora la voce viene filtrata con effetti ancora più alienanti: dice le sue menzogne e disprezza ogni secondo passato con lei, quindi fugge, ma lei rimane, e quindi si chiede cosa cazzo non vada in lei. Su queste ultime parole i toni si fanno più aggressivi, aprendosi a riff di chitarra rocciosi e perentori, preparatori per il ritornello arioso e pieno di effetti vocali; non può fare altro che stuprare i sentimenti altrui, gli dispiace, ma lui non prova quello che prova lei, il suo cuore è costantemente pieno di odio, e gli dispiace di gettarla via come sta facendo. I toni "new wave" qui non esprimono affatto romanticismo o dolcezza, bensì una fredda ed amara consapevolezza riguardante quello che si sta facendo, e la mancanza di un vero rimorso che porti a fermarsi. Riprende quindi la filastrocca precedente, felpata e strisciante, sulla quale il Nostro sospira "I don't know why I'm so fucking cold? I don't know why it hurts me. All I wanna do is get with you. And make the pain go away. Why do I have a conscience? All it does is fuck with me. Why do I have this torment? All I want to do is fuck it away. - Non so perché sono così fottutamente freddo? Non so perché mi faccia male. Tutto quello che voglio è andare con te. E far andare via il dolore. Perché ho una coscienza? Tutto quello che fa è fregarmi. Perché ho questo tormento? Tutto quello che voglio fare è fottere per farla andare via.", esprimendo ancora una volta un misto di disaffezione e disgusto verso se stessi. Ripete le sue menzogne, e con esse si ripetono anche le evoluzioni sonore precedenti, collimando nel ritornello sempre arioso e strutturato nella ritmica da una batteria cadenzata stagliata su un loop di chitarra roboante. Riecco il movimento portante, sempre dominato da suoni hip hop ed effetti disorientanti, destinato ad esplodere per l'ennesima volta: riff ruggenti, ed arie evocative ci portano verso una cesura caotica fatta di screeching, chitarre rumoroso e grida rabbiose al limite dell'isterico. Si ripetono poi i toni angelici e languidi, i quali si ripetono nel finale con cori altisonanti, protratti fino alla dissolvenza che mette fine alla traccia qui ascoltata.
Somebody Someone
"Somebody Someone - Qualcuno, Chiunque" parte con una melodia notturna di chitarra appagante ed ipnotica, presto soppiantata da un riffing greve e ripetuto, contornato da un drumming secco e deciso. Ritorniamo quindi al motivo iniziale, ora accompagnato da un basso ritmato e dalle vocals tra il nasale ed il disperato di Davis, il quale tratta del bisogno di essere compresi ed amati per quello che si è, spesso disatteso nella realtà. Non sopportiamo di far vincere gli altri, li guardiamo e basta, non sapendo cosa fare, sentendoci stupidi dentro e tutto il dolore che nascondiamo. Pensavamo che l'altra persona ci fosse amica, ma non finisce mai, abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti, abbiamo bisogno di essere amati semplicemente per quello che siamo. Le ultime parole assumono toni ancora più spettrali, accompagnate da un suono ora più minaccioso, completato poi da chitarre rabbiose ed urla in growl, dandoci tutto il senso di rabbia raccolta. Torniamo quindi al movimento precedente, fatto di melodie inquietanti, fraseggi pulsanti, e striature quasi meccaniche in sottofondo; "Giving you this and that. Giving gave nothing back. It's all related to all the things I do. Feeling like a fool inside. Seeing all the things you tried. I am nothing. - Dandoti questo è quello. Il dare non mi ha dato nulla in cambio. E' tutto legato a tutte le cose che faccio. Sentendomi come un idiota dentro. Vedendo tutte le cose che hai provato. Non sono nulla." ci dice ora il cantante, esprimendo tutta la sua delusione, il sentirsi usato e non voluto per quello che si è, sentendo che quanto fatto è inutile, non sapendo nemmeno la realtà delle cose. Si ripete l'evoluzione che ci porta al ritornello greve, quasi doom nei suoi toni monolitici e pressanti, un muro brutale di buona fattura e costruzione sonora; un fraseggio ritmato cambia il registro, insieme a piatti più decisi, esprimendo un nervosismo ripreso dalle vocals ora sempre più isteriche ed urgenti. Il Nostro guarda e segna, sa di aver bisogno di qualcuno che lo aiuti, e piange per quello che prova a fare, sentendo di essere un cumulo di merda, e di stare per morire. Inevitabile la ripresa dei toni funerei e macilenti, ora ancora più rallentati e spacca ossa, sui quali si apre un cantato arioso in duello con grida altisonanti, un mantra perfettamente orchestrato, una coda che s'infrange contro un feedback finale di chitarra.
Make Me Bad
"Make Me Bad - Rendimi Cattivo" ci accoglie con un suono notturno d'estrazione urbana, una sequenza sincopata di natura hip hop fatta di un'elettronica minimale, ripetuta nei suoi movimenti; ecco che all'improvviso un riffing maestoso si erge, creando l'ossatura del brano, sottintesa da un drumming secco e da toni grevi di basso. Tornano i toni liquidi iniziali, sui quali si staglia un Davis dai modi languidi, il quale ci parla della dipendenza dal sesso, vissuto come una droga e fuga dal dolore, la quale porta però a scelte e gesti che feriscono gli altri, producendo nuovo dolore, e portando a farsi domande su se stessi. Egli guarda l'ascesa e la caduta della sua salvezza, e c'è cosi tanta merda intorno a lui, una mancanza di compassione; egli credeva che sarebbe stato tutto divertente, un gioco, invece è tutto uguale, e vuole qualcosa da fare, qualcosa che gli faccia sentire la malattia nell'altra persona. I suoni si fanno sempre più alienati e lisergici, arrivando ai montanti siderali de l ritornello, basato su un'esecuzione nasale da parte del cantante adagiata su marce ritmiche e di chitarra: avverte che la ragione lo sta lasciando, e non vuole che succeda, e si sente ingannato dal fatto che la carne lo renda cattivo. D'improvviso torniamo al movimento primigenio, sempre ondulato ed onirico; tutto ciò che fa è cercare l'altra persona, sapendo che anche lei ha bisogno della sua dose, anche solo per avere un qualche tipo di attenzione. "What does it mean to you? For me it's something I just do. I want something. I need to feel the sickness in you. I feel the reason as it's leaving me, no, not again. It's quite decieving as I'm feeling the flesh make me bad. - Cosa rappresenta per te? Per me è solo una cosa che faccio. Voglio qualcosa. Ho bisogno di sentire il disagio in te. Sento la ragione mentre mi lascia, no, non ancora. E' ingannevole sentire che la carne mi rende cattivo." declama Davis, riferendosi al vuoto che sente anche nel piacere, constatando la differenza d'intenti tra le due parti, la mancanza di un vero amore da parte sua. Ancora una volta saliamo di potenza, e l'energia si libera nel bel ritornello ritmato, vero fulcro del brano, giocato sull'attesa serpeggiante e sul rilascio qui raggiunto. Ecco ora una serie di rullanti di batteria sottolineati da un fraseggio greve e da riff squillanti ripetuti in loop, una cesura destinata però a scomparire nell'ennesima ripresa del ritornello; vocals nasali e giri rocciosi si ripetono, accompagnati ora da cori eterei, in un completamento dell'atmosfera grandiosa della canzone, collimante in esercizi di chitarra ed una dissolvenza che trascina con se il pezzo verso l'oblio.
Falling Away From Me
"Falling Away From Me - Sfuggendo Lontano Da Me" si annuncia con una melodia diafana e spettrale, un arpeggio notturno che già instaura un certo mood tra il malinconico ed il disperato, il quale dominerà il resto dell'episodio; ecco quindi un riffing roccioso e distorto, accompagnato da una batteria dai colpi ossessivi e dai piatti cadenzati. Davis interviene su una serie di scosse elettriche sincopate e nervose, perfetta rappresentazione di un tedio costante e ronzante, con la sua voce strisciante e nasale: egli tratta del tema, caro ai Nostri e soprattutto al loro cantante, degli abusi domestici e della possibilità di uscirne. Si sente stanco, il suo tempo oggi è trascorso, e se flirta con l'idea del suicidio, la cosa a volte è giusta. Fa quello che gli altri gli dicono, e rimane vuoto, sfuggendo e cadendo lontano da se stesso. Le frasi vengono coadiuvate da una serie di riff disturbanti, creando un andamento diretto dove la nevrosi esplode periodicamente in sfoghi roboanti. Il giorno fugge via, ed è la notte il momento in cui vengono i pensieri suicidi, a volte l'unico modo per uccidere il dolore; al massimo potrà sempre dirsi che domani andrà meglio, mentre però continua a cadere lontano, sempre più lontano da sé. L'effetto degli abusi è evidente, il dolore rimane costante e non va via, ed il risultato è una lucida disperazione dove solo l'idea della morte da una minima consolazione, per quanto illusoria. Si raggiunge il culmine, ed è l'ora del ritornello rabbioso e pieno di amara tristezza: veniamo pestati fino a sbatterci dentro al terreno, gridando ed emettendo qualche suono, ed intanto le chitarre si aprono a giri segaossa, e la batteria continua a colpire duro senza segno di voler smettere. Torniamo di seguito ai suoni languidi ed ai loop elettrici, mentre il cantante adotta un registro ancora più inquietante, con punte in farsetto, descrivendo come gira su se stesso mentre cade, perdendo qualcosa che non può ritrovare, fino ad arrivare al punto di rallentare: gli effetti della violenza si sentono ancora, la testa gira e qualcosa non va. Riesplode il ritornello pieno di pathos, quasi a voler rendere ancora di più chiaro il punto, e questa volta esso termina con una digressione vocale, preparatoria ad un nuovo coro angelico e falsamente soave: "Twisting me, they won't go away. So I pray, go away. Life's falling away from me. It's falling away from me. Life's falling away from me. Fuck! - Contorcendomi, non vanno via. Quindi prego, che vadano via. La vita sta sfuggendo da me. Sta sfuggendo da me. La vita sta sfuggendo da me. Cazzo!" recita, e le ultime frasi vengono dettate prima da un farsetto rauco, poi da grida rabbiose sormontate da loop dissonanti, potenziati da un basso greve e meccanico. Rieccoci quindi con l'ormai familiare ritornello portante, protratto ad oltranza con l'accompagnamento di coretti filtrati, e terminato con un'altra digressione vocale e sonora, curiosamente reminiscente dello stile di Axl Rose dei Guns 'n' Roses. Si conclude quindi una traccia dagli ingredienti ben calibrati, tra una disperazione mai sopita e nervosismi sonori messi al servizio di un suono saturo ed alienante, perfetta rappresentazione dello stato mentale espresso dai testi di Davis.
Got the Life
"Got The Life - Vita Presa" inizia con un bel motivo di chitarra incalzante e strutturato da cimbali ritmati di batteria, un andamento che va continuando, fino ad infrangersi contro una cesura greve, la quale poi prosegue tra chitarre squillanti e le vocals di un Davis altisonante e diviso tra parti languide e asserzioni; egli tratta del peso della fama, e del chiedersi se ne vale la pena, nonostante i vantaggi pratici ed economici che essa porta. L'odio, a volte, in qualche modo, prende a calci la porta, il nostro è qualcosa dentro, non lo seguiremo nemmeno. Chiediamo qualcosa di vero, non seguiremo nemmeno la cosa, ma ci prepariamo... Scosse hip hop con parti vocali pesantemente trattate si fanno strada nel songwriting, dando al tutto una punta sperimentale; con l'odio ci sentiamo fregati ancora, ed è dovuto alla merda che abbiamo dentro, e dora tutti seguiranno. Ci viene dato nulla, se non il sentire. L'atmosfera acida sale di tensione, trovando sfogo naturale nel ritornello epico e robusto, giocato ancora una volta su cori trascinanti ed aperture ariose: Dio pensa che non vedremo mai la luce, e ci chiediamo chi vorrà vedere, Dio ci dice che abbiamo già la vita. Chitarre ossessive e falsetto sognante dominano la scena, fino al ritorno verso linee ben più sfumate e nervose; un basso che suona come un disturbo sottintende una sessione cadenzata con vocals sospirate e chitarre arpeggiate dal gusto notturno: "Each day I can feel it swallow, inside something they took from me. I don't feel your deathly ways. Each day i feel so hollow, inside I was beating me, You will never see, so come dance with me. Dance with me - Ogni giorno posso sentire che ingoia, dentro c'è qualcosa che mi è stato preso. Non sento i tuoi modi mortali. Ogni giorno mi sento così vuoto, dentro mi distrugge. Non lo capirai mai, quindi vieni a danzare con me. A danzare con me." declama ora il testo, dipingendo visioni disperate di vuoto interiore e mancanza di speranza. Si degenera in suoni sempre più caotici, aggiungendo versi squilibrati, ma non ci sorprende il fatto che il tutto collimi nuovamente nel ritornello ispirato, un vero e proprio climax tanto musicale, quanto emotivo. Ora il movimento si protrae fino al raggiungimento di ripetizioni vocali stagliate su una ritmica ossessiva; il gran finale prevede chitarre dissonanti in solitario, summa del discorso musicale e narrativo qui affrontato.
Freak On a Leash
"Freak On a Leash - Lo strano Al Guinzaglio" ci accoglie con un fraseggio squillante e terso, dalle atmosfere sulfuree e tese; esso si dilunga fino ad uno stop dove Davis viene introdotto da una parte parlata, mentre tratta della realtà dell'industria musicale e del sentirsi al guinzaglio, controllati da essa, e sfruttati mentre vengono fatti soldi sulle proprie spalle. Qualcosa ha preso una parte di noi, qualcosa di perduto e mai visto, ogni volta che incominciamo a credere, qualcosa viene strappato e preso da noi. Nel frattempo il loop creatosi prosegue nelle retrovie, costante ed ossessivo, pur nella sua pacatezza quasi sfrontata: "Life's got to always be messing with me. You wanna see the light. Can't they chill and let me be free? So do I. Can't I take away all this pain? You wanna see the light. I try to every night all in vain, in vain. - La vita deve sempre fregarmi. Vorresti vedere la luce. Non possono calmarsi e lasciarmi essere libero? Come faccio io. Non possono portare via tutto questo dolore? Vorresti vedere la luce. Ci provo ogni notte, inutilmente, inutilmente." continua il testo, alternando il cantato normale con parti filtrate dal sapore lisergico ed estraniante, esprimendo uno stato di disperazione e disagio palpabile, l'idea di non sentirsi libero e di non essere in pace. Riff grevi e vocals nasali ci prendono per mano, portandoci verso il ritornello esaltante: a volte non possiamo prendere questo posto, a volte non possiamo sentire la nostra vita, a volte non possiamo sentire la nostra faccia, ma non ci vedranno mai cadere in disgrazia. Qualcosa ha preso una parte di noi, noi e l'altra persona non eravamo destinati ad essere, se non una semplice scopata momentanea, ci sentiamo come uno strano al guinzaglio, sentendoci come se non avessimo sfogo, e ci chiediamo quante volte ci siamo sentiti morti, vogliamo vedere la luce, ma nulla nella nostra vita è gratuito. Troviamo versi sincopati e folli, sottolineati da suoni dissonanti e fraseggi serrati: lo scopo è quello di esplodere in un movimento roccioso con rime aggressive e punte gutturali. Dobbiamo lottare per qualcosa, è questo che viene ripetuto ora dal cantante; ci ritroviamo quindi ancora nel ritornello, protratto fino al raggiungimento di una coda ariosa con tanto di effetti cosmici e chitarre dissonanti, parte finale del brano.
Twist
"Twist - Gira" non è altro che un divertissement basato sulla tecnica dello scatting (cantato senza senso ed improvvisato, nato nel mondo del jazz), dove i versi senza senso di Davis si stagliano su chitarre ad accordatura bassa, assolutamente dissonanti, e suoni di basso grevi ed estranianti; le vocals quindi diventano una sorta di strumento esse stesse, e ci danno un significato compiuto solo nella ripetizione del titolo della traccia. Un'atmosfera alienante ed alienata, dal sapore lisergico, un biglietto da visita che secondo qualcuno rappresenta lo stato di confusione mentale legato all'uso delle sostanze stupefacenti: un mondo distorto e delirante, dove ogni regola del buon senso e della logica viene sovvertita in versi isterici. Da un punto di vista musicale abbiamo una sorta di riassunto della puntata: un insieme di ritmica lenta dal sapore alternative e di suoni che filtrano in chiave crossover le asperità dello sludge e del doom, il tutto rivisitato in chiave urbana grazie alle parole spezzate del Nostro. Più un'introduzione per il pezzo successivo, in questo caso, che un brano vero e proprio, nonché quindi una curiosa inclusione in una greatest hits, la quale dimostra la sempre presente volontà dei Nostri di distinguersi dalla norma con piccoli gesti.
A.D.I.D.A.S.
"A.D.I.D.A.S." è uno dei brani cardine dei Korn, caratterizzato da un songwriting vicino a quello strutturato e melodico che caratterizzerà i loro lavori di fine anni novanta; esso tratta molto semplicemente del sesso, ossessione del cantante, riferendosi nel titolo alla marca di scarpe allora preferita dalla band tramite un acronimo scherzoso. Ecco chitarre dissonanti che ricordano cornamuse, elemento portante del pezzo, facilmente riconoscibile; la voce suadente di Davis s'introduce su di essa, unite ad un fraseggio costante e cadenzato. Onestamente, sembra che sogniamo sempre di qualcosa che non possiamo essere, non ci importa, perché saremo sempre quel pappone che vediamo nelle nostre fantasie; ora i giri si fanno più ruggenti, mentre il cantato assume toni altisonanti e melodici, declamando come pur non sapendo il nome dell'altra, la vogliamo comunque scopare. Alcuni secondi di silenzio fanno da cesura, mentre riprende ancora poco dopo l'andamento serpeggiante, con tutti gli elementi del caso: "Screwin' may be the only way that I can truly be free. From my fucked up reality. So I dream and stroke it harder, 'cause its so fun to see my face staring back at me - Fottere potrebbe essere l'unico modo in cui io possa essere libero. Dalla mia fottuta realtà. Quindi sogno e lo stringo più forte, perché è così divertente vedere la mia faccia che mi guarda" confessa ora il cantante, dichiarando come il sesso sia per lui l'ennesima droga per fuggire da una realtà che vive con ostilità ed alienazione. Incontriamo la sequenza già vissuta, tra toni che si fanno più decisi e riff costanti, ma questa volta collimiamo in un ritornello arioso, altra parte topica della canzone; tutti i giorni pensiamo al sesso, tutti i giorni pensiamo allo scopare, e lo dichiariamo apertamente in modo ossessivo. Il contrasto tra le parole e l'atmosfera quasi spirituale funziona perfettamente, unita alla ritmica secca e accattivante del drumming: arriviamo così ad una nuova cesura, fatta di arpeggi sotterranei e vocals filtrate, la quale sottintende una tensione pronta ad esplodere. Non ci sorprende quindi l'arrivo di bordate circolari furiose e distorte, destinate a reiterare con il cantato il concetto, come se non fosse già chiaro. Si ripropongono i momenti ariosi ed epici, in un ritornello semplice e ripetuto, sorretto da una batteria basilare e da un basso in loop; la conclusione viene lasciata a rullanti in solitario e pulsioni hip hop, firmate da un'ultima distorsione di chitarra.
Clown
"Clown - Pagliaccio" tratta in generale delle persone che si rendono ridicole per essere accettate, e più in particolare di un episodio capitato al cantante durante un concerto, quando uno skinhead cercò di colpirlo con un pugno dopo aver detto alla band di tornarsene nel loro paesino. Un cantato scherzoso (che parla di come la vita sia nel nostro corpo) durante la fase di check del suono ci introduce alla registrazione, durante la quale i Nostri giocano tra di loro in maniera molto spontanea, non lesinando insulti e risate, dopo quattro click, partono, ma siamo solo a tre, così hanno detto, ed ecco che viene insultato il finocchio che sta in basso. Viene chiesto a Ross (il produttore) di cosa parla, la canzone è partita, ma viene risposto che non ci sono click, ma già stanno registrando, è l'ora di partire. Si decide di tenere questa improvvisazione sul nastro, e viene chiesto se vuole sentirlo, passando ad altri improperi. Il pezzo vero e proprio prende piede al quarantaseiesimo secondo con un fraseggio severo e dissonante, sul quale si organizzano dei riff contratti in bordate marziali; si aggiungono poi suoni serpeggianti, sui quali le cavalcate circolari ci regalano un groove combattivo dal gusto quasi thrash. In un'atmosfera dilatata e lisergica, coadiuvata da chitarre ad accordatura bassa, Davis s'infiltra con i suoi toni suadenti, con i versi "Anger inside builds within my body, Why you hit me? What have I done? You tried to hit me! - La rabbia dentro si crea nel mio corpo, perché mi colpisci? Cosa ho fatto? Hai cercato di colpirmi!" abbastanza chiari nel loro messaggio rivolto allo skinhead prima menzionato. Si passa ad un bellissimo ritornello ricco di movimenti dal gusto grunge/metal (alla Alice In Chains, per intenderci), melodico, ma allo stesso tempo diretto, dove ora lo invitiamo ad urlarci ancora contro, a lanciarci il suo odio a tutta potenza, a colpirci perché siamo strani, a dirci che siamo fighette e che lui è più duro di noi. Ci blocchiamo con nuove bordate, seguite dal ritorno del movimento in avanti, riproposizione del crescendo ammaliante e nervoso, mentre chiediamo cos'ha, un corpo tatuato che nasconde quello che lui è, spaventato di essere onesto, e di essere se stesso, ovvero un codardo. Non andiamo in giro cercando di essere quello che non siamo, se ci guardano negli occhi, siamo liberi, mentre lui è solo un falso. Riecco quindi il ritornello dominante, sempre una catarsi emotiva dal pathos ben evidente, questa volta collimante prima in un verso solitario, poi in una serie di fraseggi squillanti, sui quali Davis si da ad un rap isterico: invitiamo il pagliaccio a colpirci perché non siamo della sua città. Una nuova cesura fa da ponte verso la ripresa dei riff circolari e della batteria decisa, dandoci un attacco selvaggio dove semplicemente si enuncia come egli non è nulla, e che avrà la faccia aperta. Il ritornello torna per un'ultima volta, riempiendo l'etere con i suoi bei motivi trascinati ad oltranza verso delle bordate conclusive accompagnate da versi rabbiosi.
Shoots and Ladders
"Shoots and Ladders - Spari e Scale" presenta un titolo che non è altro che un gioco di parole sul gioco per bambini "Chutes And Ladders" (Cadute E Scale), presentando un pezzo che si riferisce al fatto che spesso le filastrocche e ninnananne hanno origini sinistre e significati inquietanti; campionamenti di uccellini ci accolgono, mentre un suono di cornamuse sale nell'etere, dandoci un'atmosfera solenne ed epica. La lunga sequenza dura fino al minuto e venti, quando un riffing roccioso e tempestato dalla batteria cadenzata, ma lenta, prende il sopravvento su tutto, instaurando una marcia che insieme allo strumento precedente completa il quadro sonoro, non dimenticando dissonanze. Davis s'introduce con una cantilena infantile, ma dai toni malevoli, dove descrive come giriamo intorno alle rose, con le tasche piene di fiori, cenere, cenere, cadiamo tutti giù. Ecco che ci si apre ad un ritornello arioso, controllato sia nella velocità, sia nei toni mai aggressivi, anche se in sottofondo una parte sincopata dal cantato urbano crea un sottinteso d isteria sotterranea: "Nursery rhymes are said, verses in my head, Into my childhood they're spoonfed. Hidden violence revealed, darkness that seems real, Look at the pages that cause all this evil - Ninnananne vengono dette, versi nella mia testa, nella mia infanzia vengono imboccate. Violenza nascosta ora rivelata, oscurità che sembra reale, guarda le pagine che causano tutto questo male." declama qui il Nostro, svelando la natura sinistra delle favole e delle loro origini, assumendo toni ancora più emozionali nelle ultime parole. Riprende quindi la sequenza iniziale, dissonante e strisciante; il songwriting è molto semplice, ecco quindi che tona il ritornello già incontrato, sempre predisposto negli stessi modi: ora però collimiamo in una dissolvenza prolungata, che lascia posto ad un fraseggio circolare accompagnato prima da respiri affannosi, poi dalle vocals suadenti di Davis. Uno, due, allacciamo le scarpe, tre, quattro, chiudiamo la porta, cinque, sei, prendiamo i bastoni, sette, otto, li mettiamo giù dritti. Esplode un riffing serrato, dove i toni si fanno gridati e ruggenti, spingendo in avanti la composizione, e dopo alcuni versi confusi il tutto si fa ancora più cacofonico e sincopato. All'improvviso ci si ferma, riportandoci alla filastrocca iniziale, con relativa strumentazione squillante e lenta. Si prosegue fino ad un passaggio verso il ritornello arioso, coadiuvato da chitarre dilatate e cantato soave; ecco una parte ritmata con chitarre stridenti, dove Davis canta del ponte di Londra che sta cadendo, sta cadendo, sta cadendo, apostrofando una "cara signora". Termina così all'improvviso su questi versi la canzone, un episodio tra i più incalzanti e trascinanti della prima parte della carriera dei Korn.
Blind
"Blind - Cieco", il cui l testo tratta della dipendenza da anfetamine, e dalle sostanze in generale, la quale ha caratterizzato per molto tempo la vita di Davis già in giovane età; dei piatti cadenzati incontrano loop improvvisi di riff, dilatati su una base di basso che compare ad intermittenza. Distorsioni varie quindi si aggiungono, fino al raggiungimento dell'esplosione di un trotto annunciato dal "siete pronti?" del cantante. I montanti ruggenti proseguono, portandoci verso i versi "This place inside my mind, a place I like to hide, You don't know the chances. What if I should die?! A place inside my brain, another kind of pain, You don't know the chances. I'm so blind! - Questo luogo nelle mia mente, dove mi piace nascondermi, non sai le occasioni possibili. E se dovessi morire?! Un luogo nel mio cervello, un altro tipo di dolore, Non conosci le occasioni possibili. Sono cieco!" i quali mettono in chiaro lo stato mentale del Nostro, influenzato pesantemente dalle sostanze, parole enunciate ora in modo malevolo, ora con aperture emozionali dal grande impatto. Le chitarre in sottofondo creano una bella melodia diafana, prima di tornare su lidi ben più robusti e tellurici: il songwriting è però molto mutevole, il che comporta un rallentamento improvviso, sul quale prosegue la narrazione. E' un altro luogo in cui lui fugge dal dolore, nel quale sprofonda sempre più come in un sogno, vivendo una vita che sembra una realtà perduta, la quale non riesce a raggiungere il suo interiore; la sua autostima è bassa, e si chiede fino a che punto può sprofondare in basso, se troverà un modo per andare oltre le nuvole grigie che coprono la nostra mente, cercando ciò che sta tra le linee. Un drumming secco si unisce a chitarre ora adagiate, ora taglienti, pronte a creare un galoppo diretto quando le vocals si danno ad arie ben più aggressive, regalandoci un attacco urbano dal sicuro effetto. Una sospensione ci riporta all'inizio, con una cesura dilatata dove i piatti e i fraseggi di chitarra preparano l'ascoltatore per un nuovo terremoto, mentre Davis ripete prima con sospiri, poi eruttando, come non riesce però a vedere, accecato dalla dipendenza; si crea quindi un finale epico dalle melodie ammalianti, destinato a degenerare in un attacco rabbioso, il quale si consuma in un fraseggio conclusivo dai toni funky, protratto in dissolvenza.
Freak On a Leash (Dante Ross Remix)
"Freak on a Leash" remixata da Dante Ross, ovvero lo storico produttore hip hop americano mente dietro la Elektra Records, è la traccia che chiude la raccolta con le sue arie urbane ed elettroniche: su effetti vorticanti si distendono le vocals filtrate pesantemente di Davis, mentre vengono poi aggiunte drum machine cadenzate e bassi in loop. La traccia diventa così qualcosa di ben diverso dall'originale, anche grazie all'arrivo di arpeggi dal sapore Southern; il ritornello si accompagna ora a riff rocciosi ed effetti dirompenti, tra rullanti e cimbali campionati. Una cesura vede il ritorno del suono iniziale unito a fraseggi dal gusto country, protratti poi seguendo le linee precedenti. Ecco quindi il ritorno del ritornello dai riff meccanici e dalla ritmica incalzante, il quale poi vede scratching e versi sincopati in una sequenza urbana che mantiene la natura più ritmica di questa versione del brano. Si ritorna per l'ennesima volta alle scariche taglienti di chitarra campionata, mentre il contesto musicale si mantiene su coordinate hip hop ripetute tra suoni vorticanti e ossessioni di batteria. Ed è su questo loop che andiamo in dissolvenza verso la conclusione della traccia, e di conseguenza anche dell'opera qui recensita.
Conclusioni
Una raccolta quindi che fa il punto della situazione riguardo ai Korn del 2004, mostrandoci in ordine cronologico e filologico inverso un percorso che, all'epoca, era arrivato vicino ad un bivio che si stava mostrando in tutta la sua chiarezza. Gli ultimi brani tratti dal contemporaneo "Take A Look In The Mirror" mostrano un uso più massiccio di elementi elettronici e chitarre di stampo alternative, preparando la strada per ciò che avverrà di li a poco con "See You On The Other Side" e i suoi connotati "commerciali", mentre con gli episodi derivati da "Untouchables" troviamo ballad lente e grevi, nonché scorze sintetiche, malinconiche ed evocative. Entriamo di seguito nel fulcro della loro stagione nu metal, che li ha consacrati come leader del genere e li ha consegnati al successo presso le masse: dagli attacchi grezzi e dalla produzione impeccabile di "Issues", alle trame hip hop e urbane di "Follow The Leader"; dai primi passi di natura prevalentemente funky ed esperimenti di "Life Is Peachy", alla furia primigenia del debutto omonimo, ancora influenzato dal grunge e dall'alternative di inizio anni novanta. Il tutto presentato da due cover: quella "Word Up!" dei Cameo, qui resa un brano più leggero rispetto alla norma dei Nostri, dai connotati rock e distesi fatti per essere seguiti tra ritornelli e fraseggi leggiadri, e la famosissima "Another Brick In The Wall" dei Pink Floyd convertita in un medley fra le sue tre parti originali e "Goodbye Cruel World", altro brano sempre tratto da "The Wall", il quale dimostra una natura più severa ed onirica, riproponendo lo spirito dell'originale in una chiave più tagliente e metal, e concluso da un remix che, pur senza far gridare al miracolo o rendersi fondamentale, si configura come una piacevole aggiunta finale. Una band, come precedentemente detto, sull'orlo di diversi cambiamenti, sia sonori, che di formazione: nel 2005 il membro storico Brian "Head" Welch lascia la band per motivi religiosi, essendosi convertito al Cristianesimo e avendo abbandonato l'uso di droghe, intraprendendo una carriera solista dedicata a questi aspetti, eliminando così di fatto un elemento fondamentale del suono classico della band. I Korn non demordono, e dopo aver firmato per la Virgin Records pubblicano quel "See You On The Other Side" prodotto insieme al collettivo The Matrix, caratterizzato da una parte da un largo uso di elettronica "commerciale" e con reminiscenze new wave, dall'altra da tendenze vagamente industrial rock in linea con i gusti del periodo del cantante Jonathan Davis; nonostante le riserve di molti fan della prima ora la cosa funziona, e i Nostri riescono, pur non avendo lo stesso impatto e supporto totale di critica di poco prima, a sopravvivere all'implosione del genere da loro stessi creato e alle defezioni interne, con una serie di lavori non sempre totalmente riusciti, ma che sperimentano di volta in volta su basi più minimali, e su strutture più melodiche che si adagiano ai ritornelli e al lato più arioso della voce di Davis, ora meno portata con l'età all'uso continuo di growl e urla. Troveremo quindi esperimenti rock minimali ed elettronici prodotti da Atticus Ross (oggi compagno d'avventura di Trent Reznor e dei suoi Nine Inch Nails) con "Untitled", ritorni al passato non del tutto riusciti con "Korn III: Remember Who You Are", e derive dubstep con il discusso "The Path Of Totality". Tutto questo fino a quel "The Serenity of Suffering" del 2016 che, complice il ritorno nella band di Welch avvenuto nel 2014 con il buon "The Paradigm Shift" ed il revival del genere presso la nuova generazione di adolescenti, riprende in parte molti connotati nu metal del passato, adattandoli però alla realtà dei Korn ultra quarantenni di oggi e dei vari stili da loro adottati nel tempo. Un percorso, insomma, che ad oggi non sembra volersi fermare, con un nuovo disco già annunciato per il 2018, vedremo su quale linea ed approccio; di sicuro una carriera più che ventennale non è un traguardo facile o scontato, oggi, e i Nostri - con buona pace dei detrattori - hanno ottenuto un posto nella storia del rock e del metal mondiale seguendo sempre il proprio istinto e volontà, anche quando questo non ha dato frutti ottimi, da una parte integrandosi perfettamente con i circuiti e i meccanismi della realtà mainstream, dall'altra mantenendo sempre una certa aria "ribelle" e temi vicini ai drammi esistenziali di molti ragazzi e ragazze, facendo sì che una serie di fedelissimi dell'area più alternativa continuassero a seguirli. Si conclude quindi con quest'ultima disamina il nostro percorso, partito dalle ultime uscite in ripresa della band, ancora tra suoni dubstep e connotati vicini al passato, i vari esperimenti e tentativi incerti di marcia indietro, tra crisi d'identità e problemi musicali e non, e le origini storiche che hanno arricchito il panorama musicale con suoni e tendenze poi riprese da molti altri per diversi anni; retaggio di un mondo dove ancora internet non dominava il tempo delle persone e i canali di comunicazione, dove MTV era un canale musicale che proponeva quindi principalmente musica ed era capace di influenzare i gusti degli ascoltatori e di portare alla ribalta un fenomeno musicale ed un intero genere. Oggi quel mondo è altamente cambiato, ma i Korn sembrano essersi adattati perfettamente negli anni, capaci ancora di attrarre l'attenzione, sia positiva, sia negativa, di critica ed ascoltatori; vedremo cosa riserberà ancora il futuro per i californiani, che sembrano non ancora pronti ad appendere le chitarre al chiodo.
2) Another Brick in the Wall (Parts 1, 2, 3)
3) Y'All Want a Single
4) Right Now
5) Did My Time
6) Alone I Break
7) Here to Stay
8) Trash
9) Somebody Someone
10) Make Me Bad
11) Falling Away From Me
12) Got the Life
13) Freak On a Leash
14) Twist
15) A.D.I.D.A.S.
16) Clown
17) Shoots and Ladders
18) Blind
19) Freak On a Leash (Dante Ross Remix)