KINGCROW
The Persistence
2018 - Sensory

ANDREA CERASI
28/08/2018











Introduzione Recensione
Dalle azzurre acque del lago di Bracciano, località vicino Roma, che tutto inghiottono e trascinano negli abissi, infanzia e innocenza comprese, agli oscuri anfratti mentali che simboleggiano un abisso ben più profondo e astratto. Astrazione intesa come forma mutevole, e se l'album del 2015 "Eidos", che appunto significa "Forma", simboleggiava una dimensione ben precisa, quella del doloroso passaggio dalla fanciullezza alla maturità, è col nuovo lavoro in studio, il settimo in carriera, che i romani Kingcrow cercano di focalizzare le proprie energie su un'intimità sfuggevole e su un tempo decisamente avverso ma che persiste e si stanzia sulle note partorite dai musicisti capitolini. "The Persistence" è il volto multistrato di sei uomini fusi tra loro, non solo corpi ma menti e idee amalgamate, miscelate con cura e incastonate su sfondo nero, un abisso misterioso e crepuscolare che identifica il Tutto e il Nulla. Buio totale. La persistenza del titolo del nuovo lavoro è la permanenza di immagini e di suoni che non sbiadiscono una volta esposti, ma che sono destinati a restare per sempre nella memoria, in questo caso dell'ascoltatore. La copertina di "The Persistence", già da sola, ha molto da dire e da trasmettere, poiché evidenzia la volontà, da parte della band, di muoversi su territori impervi, pericolosi e astratti, senza certezze di fondo. Certezze minate da un approccio musicale affascinante e ardito, composto da numerose sfumature che si rivelano grazie a una produzione splendida e mirata, seguendo determinate linee guida che a volte si tingono di progressive, altre di gothic, altre ancora di rock elettronico e ancora di musica ambient o alternative. Sfumature, queste, che come i volti impressi sul bellissimo e minimale art-work si mischiano alla perfezione e con estrema sapienza, data ormai da una carriera lunga venti anni. I Kingcrow tornano sul mercato a distanza di tre anni dal precedente capitolo e lo fanno nel migliore dei modi, con un disco tutto da godere, da assaporare, capace di crescere ascolto dopo ascolto in tutta la sua oscura bellezza. Tetre e malinconiche atmosfere, passaggi sognanti, accelerazioni improvvise e una miriade di cambi di tempo fanno di "The Persistence" un album che punta dritto al cuore dell'ascoltatore, rivelando una serie di emozioni che si schiudono e si ammassano durante un viaggio sonoro distribuito su dieci eccellenti pezzi legati tra loro dal tema della solitudine, dei rapporti interpersonali e della sopravvivenza. Osare e sperimentare nuove vie, nonostante i venti anni di esperienza accumulata e sette album sulle spalle, fanno dei Kingcrow una realtà incredibilmente mobile, alla continua ricerca della forma perfetta e dall'ingegno fresco e mai limitato, che meriterebbe l'attenzione di ogni fan della buona musica, al di là di etichette e generi. Dieci brani per sprofondare in un mondo scandito dai solidi ritmi impartiti da Manuel "Thundra" Cafolla e il suo schiacciante drumming, tra intrecci muscolari dei chitarristi Diego Cafolla (in questo caso anche bassista) e Ivan Nastasi e le stentoree e atmosferiche tastiere di Cristian Della Polla, mai così presenti come in questo lavoro, che donano magnetismo e romanticismo, per poi inserire le sontuose linee di basso che conducono a luoghi a noi ignoti del nuovo innesto Riccardo Nifosì, subentrato a lavori quasi ultimati. Inoltre, in mezzo a cotanta magnificenza costruita e distesa sulla calda voce di Diego Marchesi, in uno dei dieci sentieri intrapresi, la delicata "Night's Descending", troviamo l'ospite d'onore, il vocalist Daniel Gildenlow, leader dei Pain Of Salvation, band con la quale i Kingcrow condividono il palco per il tour europeo. "The Persistence" è l'ennesimo cambio di direzione intrapreso dalla band romana, che sottolinea una costante sperimentazione e idee sempre fresche da concretizzare, ma a rimanere intatto è l'ambientazione oscura che domina in tutti gli album, figlia di un certo tipo di musica che affonda le radici direttamente negli anni 70 ma che poi si sviluppa pienamente negli anni 90. Bene, i Kingcrow sono figli di queste due epoche, e riescono perfettamente a mescolare la poetica del vecchio progressive rock con la morbosità decadente del gothic metal, farcendo il tutto con i suoni moderni più disparati e generando un ibrido di grande fascino.

Drenched
Un tappeto di tastiere introduce Drenched (Inzuppato), splendido brano dall'incedere nebuloso, dalla natura prog farcita di tonalità crepuscolari che si palesano dopo appena pochi secondi per condurci in un mondo tetro, intriso di poesia e di pura emozione. La musica è astratta, liquida come pioggia, è infatti è proprio la pioggia il tema proposto dalla narrazione: "Resta con me, facciamo un gioco, dimentica ciò che pensi di aver fatto prima. Seguimi, abbraccia la pioggia, senti le gocce che cadono su di te, senza peso". La pioggia cade dal cielo con estrema leggerezza, e a sottintendere tale leggiadria ci pensano le soavi tastiere di Della Polla, che si ritagliano grande spazio, alternandosi con le chitarre elettriche, in questo caso affilate e pronte a intrecciarsi per dare il via a una melodia che si dischiude con estrema facilità, in un ritornello splendido e sognante: "Risposte attese a lungo, da un cielo che non racconta menzogne a qualcuno che si è perduto nel nulla, per qualcuno che sta affrontando il proprio passato". Il sognatore è il vero protagonista delle liriche, colui che alza lo sguardo al cielo e contempla l'astro celeste, bagnandosi il viso per le gocce d'acqua che continuano a cadere. I pensieri e i ricordi di un passato mai dimenticato e che genera rimpianti e nostalgia sono incarnati dalle piccole gocce di pioggia che cadono sulla testa dell'uomo e si accavallano come fossero memorie lontane. Le linee melodiche impartite dal vocalist Marchesi sono eccezionali, tanto da risultare uno dei migliori refrain dell'album. Col cambio di tempo emerge anche il possente basso che trascina la band verso la seconda strofa: "Ora si fa strada un seme diverso, dai rami dello stesso vecchio albero qualcuno ti sta chiamando. Mentre corri scalzo inzuppato fino alla pelle, sei esattamente dove devi essere, qualcuno ti sta chiamando, oggi". L'albero della vita è oramai cresciuto, comincia a invecchiare e i suoi rami cominciano a scricchiolare, ma accanto ecco che sorge una nuova vita, rappresentata dal seme, che simboleggia nuove idee, nuove identità, nuovi progetti. La vita continua imperterrita e bisogna convivere con i ricordi, anche quelli più bui, con la mente inzuppata in un mare di emozioni. Il testo, così come l'intera sezione ritmica, è abbastanza astratto, ricco di metafore e di sfumature emozionali, i cui colori vengono dipinti con pennellate leggiadre da Diego Cafolla e da Ivan Nastasi nella selvaggia parentesi strumentale centrale, fino a quando Della Polla non ritorna in scena con le sue tastiere introducendo la coda finale. Una traccia d'apertura fenomenale.

Closer
"Chiamami ancora, nella tua mente. Segui le luci sulla strada immergendo i pedi nudi nella notte e nell'ignoto. Chiamami ancora, nella tua testa. Senti il cuore mentre viaggi, come puoi dire che hanno ragione sulla tua consumata speranza". Closer (Più Vicino) avanza in tutta la sua effervescente eleganza tra arpeggi acustici e riff abrasivi, sempre adagiati sulle atmosferiche tastiere che scavano un buco in mezzo al petto dell'ascoltatore, ficcandoci dentro emozioni e riflessioni esistenziali. Se il primo verso è morboso e cupo, il ritornello è un raggio di sole, dannatamente azzeccato e vincente sotto ogni punto di vista, che arriva quasi in modo inaspettato in tutto il suo vigore, dove a dominare sono il fragoroso drumming di Thundra e la melanconica voce di Marchesi: "Giorno dopo giorno ci avviciniamo. Più vicino di prima. Fissiamo ancora i nostri limiti, profondi sotto la pelle, attesi a lungo". Ancora una volta ci troviamo in un territorio oscuro, sottomesso alla notte, e ancora una volta l'uomo delle liriche è a piedi nudi, immersi nel buio dell'ignoto. Egli sente un richiamo particolare nella sua testa, la voce di qualcuno, che potrebbe simboleggiare speranza e salvezza. Il significato nascosto della narrazione è una richiesta d'aiuto, laddove un uomo, in piena crisi esistenziale e lacerato dai dubbi, invoca il calore e la luce di qualcuno. Il ritornello è pura estasi divina, un grido struggente di umanità, richiesta esasperata di un abbraccio, mentre le strofe, giocate tutte sul duello tra batteria e la gelida consistenza elettronica, sono macigni nel cuore, blocchi di oscure memorie che si ripetono nella testa dell'uomo, ipnotizzando nella loro folle stasi. "Non c'è posto qui dove nascondersi, affrontiamo le lacrime con vecchi pensieri. Sappiamo che ci sarà una luce alla fine della corda. Non c'è bisogno di nascondersi qui, non c'è modo di perdersi. Anche se la tua paura è mia, non cadiamo realmente". La dimensione descritta è surreale, non appartenente alla vita vera, ma è tutto frutto della mente di un uomo in crisi, che si sente abbandonato e solo. Nella sua testa tutto è buio, e non c'è luogo in cui nascondersi o dove scacciare i vecchi pensieri, quelli più dolorosi. È un gioco alla fune, egli tira la corda dalla sua parte e alla fine scopre che vi è una luce in fondo al tunnel dei ricordi, una luce di speranza, oltre la quale probabilmente c'è una persona cara ad aspettarlo per consolarlo. La dicotomia tra ombre e luci e tra malessere e speranza è ben presente nell'apparato strumentale, dove le chitarre esplodono solo in prossimità del grande e arioso ritornello. La luce in fondo alle tenebre è sempre più vicina, le paure che dominano l'uomo stanno per svanire ed egli sta tornano lentamente alla realtà. La possente batteria di Thundra Cafolla ridesta dal torpore, anticipando una coda finale da brividi, tutta eseguita in acustico, dove viene ripetuto un chorus che si memorizza all'istante e che resta indelebile.

Everything Goes
Everything Goes (Tutto Procede) è elettronica in tutto il suo splendore, dal fascino retrò e dal corpo molto classico che si divincola foscamente per quattro bellissimi minuti. "Le tue mani di nuovo a terra, pioggia che cade per ore e ore, mentre impari il gioco, il tempo dissipa la nebbia. Le tue mani di nuovo a terra, pioggia che cade e ore pesanti, come lasci il gioco, è tempo di benedire la caduta". La pioggia affoga il pianeta, simboleggiando il peso della vita sulle spalle, un peso che costringe l'essere umano a piegarsi a terra, con la schiena rotta e le mani strette a pugno. I rintocchi delle tastiere di Della Polla evocano il rumore delle gocce d'acqua che si infrangono al suolo, dissipandosi come nebbia quando il ritmo incalza. I toni ambient, seducenti e magnetici, prendono forma attraverso la calda voce di Marchesi, specie nel secondo blocco, nel quale declama l'angoscia vivida di un'esistenza schiacciata dai rimorsi: "Sei mai stato lì? Mai sentito come una preda? Hai mai pensato che la tua mente fosse debole? Molte cose non hanno senso. Riesci a sentirmi? Riesci a sentire questo dolore? Se hai una febbre furiosa stai per girare la pagina". La vita è fatta di pagine da voltare, per poi ricominciare giorno dopo giorno, magari incontrando cose che apparentemente non hanno senso alcuno, eppure esistono e completano la vita di tutti noi. Ogni cosa va avanti e niente e nessuno può fermare l'eterno divenire, l'eterno movimento del mondo. "Non sappiamo nulla alla fine, non sappiamo da dove inizi, riuscite a indovinare il nome di ciò che giusto, nel trattare con il tuo dolore, non riesci a vederlo, tutto va, affrontalo, impara a cadere, impara a giocare a questo gioco, impara a trattare il dolore". Il percorso di un uomo è tutto qui, un gioco nel quale si cade e ci si rialza, quotidianamente, tra gioie e dolori, da noia ed emozioni. Bisogna accettare il destino, la condanna della vita, e bisogna imparare ad affrontare i mali che popolano il mondo. la sezione ritmica si potenzia, a cominciare dal drumming che conduce a un epilogo tanto bello quanto inquietante.

Folding Paper Dreams
Il romanticismo gotico di Folding Paper Dreams (Sogni Di Carta Accartocciati) impressiona al primo ascolto, dove le tastiere ci cullano in un dormiveglia clamoroso che cresce di intensità minuto dopo minuto grazie ai numerosi cambi di tempo impartiti da Thundra. "Venendo alla fine di questo sogno lucido, assenza di suono, vicino alla riva" recita Marchesi placidamente, rievocando le rive di questo fiume privo di suoni che scorre davanti ai nostri occhi, e che forse trasporta il nostro corpo verso l'oceano. La voce stratificata di Marchesi ci conduce al secondo passaggio, tra tastiere solenni e morbide chitarre, raccontando di un amore profondo, un amore che è anche condivisione di paure e di dolori: "In ogni posto che chiami casa, io sarò lì con te, e ogni volta che affronti i tuoi fantasmi li combatterò con te affianco, ogni volta che arrivano". Basso pulsante e mefistofelici effetti elettronici incoronano il primo blocco del brano, poi l'accelerazione colpisce dritta al cuore, poggiata su un riff semplice ma muscoloso che fa esplodere una serie di sentimenti in un tripudio di melodia nel meraviglioso e glaciale ritornello: "Forse sono solo nella tua mente, il mio modo di stare con te, forse la luce del giorno, il mio modo di scaldare la pelle. Forse è solo nella mia mente il mio modo di starti accanto, dopo tutto questo dolore, forse questa luce del giorno mi fa sentire che sono con te per lasciare andare ciò che eravamo". Come nel più intenso sogno d'amore, la luce dell'aurora riscalda la pelle e assottiglia i dolori, facendo dimenticare il gelo della notte, che in questo caso rappresenta i brutti ricordi. "Sogni di carta accartocciati, cosa rimane di noi. Ancora risuonano ovunque", è la frase finale di questo lungo e raffinatissimo ritornello, emblema stesso di vita, di esistenza popolata di ricordi accartocciati che sbiadiscono di anno in anno. Siamo esseri umani, fatti di memorie e di esperienze che si accumulano lungo il percorso ma che, allo stesso tempo, sbiadiscono, forgiando caratteri e personalità. Il cambio di tempo è repentino, Thundra pesta che è una bellezza, poi Marchesi intona il bridge: "Soffriamo per una ragione, entrambi crediamo che stiamo vagando da soli in un meccanismo rotto, camminiamo su due percorsi diversi della stessa strada". Il drammatico resoconto dà il via ai fraseggi energici costruiti da Nastasi e Cafolla, che iniziano a una danza notturna mettendo in scena questo meccanismo esistenziale e concludendo un pezzo davvero riuscito.

The Persistence
A metà scaletta il capolavoro è servito, The Persistence (La Persistenza) è la massima espressione dei Kingcrow: tragica e solenne, dalle veloci accelerazioni e dalle linee melodiche sinuose e raffinate. La band trova l'alchimia perfetta e genera un brano apocalittico, dalle chitarre che alzano in aria un polverone massiccio, dal basso che sconquassa le casse dello stereo, la batteria che tuona e lancia tempeste e le tastiere onnipresenti che tessono un morbido ma tenebroso velo sonoro che si adagia freddamente sui timpani dell'ascoltatore. "Lotta infinita, per tenerlo in riga e salpare. Alte mura fatte di acqua, ti stanno sbarrando la vista, allontanandoti da casa", l'acqua è ancora elemento portante, acqua come fonte di vita, ma anche fonte di abbandono, dove le onde irrequiete sono in grado di allontanare da casa. Eppure dobbiamo tutti imporci sulla natura, affrontare le tempeste e i mari, piantando bene i piedi a terra e aspettando che le onde, metafora di accadimenti, si infrangano contro il nostro corpo. "Affonda il piede e preparati alle onde. Pianta il piede per non essere sopraffatto". Tra cori celestiali, scambi dialettici tra batteria e basso, ecco che arriva come un'onda lo splendido ritornello: "Non mi fermerò, sempre dritto, salpa con me fino a quando non scopriremo nuove terre". Il mare come segreto di vita, le cui acque vanno affrontate e superate alla ricerca di nuove terre, e quindi di nuove emozioni. Se tutto è in eterno movimento ed è perfettamente mutevole, la persistenza è la capacità di restare fermi sulle proprie visioni, di insistere affinché non ci si realizzi, nonostante un mare di cambiamenti, sia positivi che negativi, che tenta di sommergerci. Il break è favoloso, dal basso scaturisce la parte elettronica che dondola l'ascoltatore in queste acque nere, sempre più nere, dato l'incedere della sezione ritmica e la melodia funerea che proviene dalla voce del vocalist filtrata: "Per affrontare la paura dell'ignoto, navigando sopra la schiuma in piedi nonostante la grandine, superando la tempesta". Ma la pace dei sensi è dietro quella cascata di acqua, nella nuova terra che si intravede all'orizzonte, e così il ritornello torna timidamente adagiato sulla chitarra acustica, infine le tastiere prolungano questo senso di serenità che emerge piano piano, rassicurando l'ascoltatore.

Every Broken Piece Of Me
"Aspettando al freddo che io arrivi, i miei sogni denutriti vogliono un pezzo di me. Trovo un'altra parola per dire che sono vivo, mentre sto lentamente passando dall'altra parte", è la strofa introduttiva di Every Broken Piece Of Me (Ogni Pezzo Rotto Di Me), sulfurea semi-ballata che evidenzia una band in piena sinergia e che non si pone limiti nella sperimentazione sonora. L'atmosfera sospesa identifica certamente la forma del sogno, un sogno che lentamente divora corpo e anima della vittima, facendoli a pezzi. Gli arpeggi di chitarra sono immaginifici, si pongono davanti ai tamburi di Thundra, ma è solo il preludio per l'esplosione del ritornello, un momento magico che si divincola tra grassi riff di chitarra e giri di basso muscolari: "Stanno arrivando e hanno gli occhi ciechi, che si insinuano nella mia mente. Stanno arrivando e hanno gli occhi ciechi, ovunque io vada". I sogni sono inquietanti, predatori sempre affamati e in cerca di carne fresca da azzannare, da fare a pezzi. Creature del buio, privi di occhi e senza coscienza, i sogni hanno denti e artigli affilati, sono spietati, sempre pronti all'assalto. La preda è in costante pericolo, e questa non è altro che una riflessione sulla vita, sulla vita di tutti gli uomini, dal cuore dominato da sogni, elemento portante della quotidianità. "Sempre in fuga la mia ombra resta indietro, e posso sentire i lividi che mi dolgono dietro la schiena. Non mi resta altro che allargare le braccia e trovare un posto per ogni pezzo rotto di me". La dimensione depressiva si infrange sul roccioso ed esasperato drumming di Thundra, che si dimena per diverso tempo, per poi smorzarsi nella fase elettronica che si palesa a metà percorso, tra cupissime tastiere e chitarre minacciose che incorniciano un grande assolo e una bellissima parentesi strumentale che si ripercuote per parecchio, prima di dissolversi al cospetto dell'ultimo ritornello.

Devil's Got A Picture
Una delle prime composizioni scritte per l'album è Devil's Got A Picture (Il Diavolo Ha Una Foto), e già da qui si capisce il nuovo percorso intrapreso dalla band, decisa ad arricchire il proprio sound con soluzioni inedite ma che non dimentica i propri trascorsi. Thundra scandisce una ritmica che alterna accelerazioni furiose a improvvisi rallentamenti che spaccano cuori. La voce di Marchesi è soffice e sofferta, dunque una chitarra elettrica e una acustica che si incrociano tessendo una trama sonora annichilente, e allora attacca la prima strofa: "Memorizzando scorci di tutto ciò che sta in piedi, appeso al soffitto del mio stesso inferno, nutrendo la mia finzione come un soldato nella pioggia. L'unica regola è andare avanti, il diavolo ha una foto che non vuole condividere". A quanto sembra, il testo potrebbe descrivere la situazione critica di un uomo destinato alla morte. Il diavolo, infatti, possiede la foto del prescelto, e lo destina verso un triste fato. Eppure, nonostante una vita già segnata, l'uomo continua a correre, a respirare, a combattere. L'inferno deve ancora aspettare di ricevere il suo corpo e la sua anima, poiché l'unica regola è andare avanti a testa alta. "Impara a salire, percepisci il piano più grande, e per il prezzo che paghi io lo chiamo equo, non pensare di essere folle per qualcun altro" recita il folle chorus, non proprio memorabile, ma dall'aspro retrogusto che soddisfa il palato dei cuori più gotici. Della Polla torna protagonista spezzando il ritmo frenetico degli altri strumenti, facendo da ponte per la seconda parte, declamata da un Marchesi davvero ispirato il cui timbro viene ispessito dal giro di basso dello stesso Cafolla alle sue spalle: "Sono nella linea di fuoco, un uomo perduto e bendato, come se stessi cadendo indietro nel tranello di qualcun altro". La vita è una trincea e tutti noi siamo soldati minacciati dal fato, sotto la linea di fuoco, bagnati dalla pioggia che batte continuamente a terra, in un'orgia di fango che sporca i nostri tratti del volto, quasi a cancellare l'identità di ognuno di noi. Siamo uomini perduti e bendati e viviamo al buio: "In questa corsa pazzesca sono malato e stanco per fare un gioco senza senso", grida il vocalist, sostenuto da una produzione iper-moderna, mentre Thundra tempesta di raffiche la sua batteria, prima di lasciare spazio al verso conclusivo, quello della perdizione e della resa: "Imparare a risalire, percependo un piano più grande e il prezzo da pagare per pareggiare, l'unica regola è andare avanti".

Night's Descending
Night's Descending (La Notte Sta Scendendo) è uno dei punti di forza di "The Persistence", dove ad accompagnare al microfono Diego Marchesi troviamo l'ospite d'onore: Daniel Gildenlow dei Pain Of Salvation. Il risultato è una ballata struggente, dalle raffinate e potenti immagini, dalle suggestive melodie che ci prendono per mano conducendoci in luoghi dominati da neve, dalla natura invernale, e sorvegliati da un cielo costantemente terso dove una luce pallida fatica ad insinuarsi. Sin dall'arpeggio di chitarra si capisce che ci troviamo davanti a un gioiello tutto da gustare, che punta dritto al cuore: "La notte sta scendendo col suo tributo, passando come un respiro, spogliando la mia anima. Questo è il momento in cui trovo tonalità di dolore più leggere, ma solo per un po'". Un inno alla notte e alle tenebre, visti come luoghi di intimità dove denudarsi dei propri peccati, dei propri vizi, spogliando letteralmente l'anima, rendendola fragile e trasparente. Il ritornello è una meraviglia incredibile, e dalle profondità di una notte priva di stelle emerge come fosse un raggio di luce prodotto dalla coda di una stella cometa: "La notte sta scendendo sempre più, può una stella morente rispondere al mio richiamo?" è la domanda posta da Daniel, e tutti noi ci sentiamo vicini a lui nel momento più buio della nostra vita. "Maree, tempo di incontrarsi, affogare i timori per nutrire i miei sogni. Alzati prima che il sole arrivi. Il buio sta scendendo con la sua verità, tutti questi demoni sorridenti che si dilettano con te, facce col ghigno che si affollano intorno e che mettono in scena cieli plastificati fuori controllo". La notte è rifugio di mostri, di anime danzanti, di diavoli col ghigno stampato in volto, è una dimensione tutto sommato tranquilla e rassicurante, di pura sincerità, non violata dall'ipocrisia e dalle menzogne del giorno. "Alzati prima che il sole arrivi e brucia il tuo guscio alla luce di questa notte, brucia alla vita, come mai prima d'ora". L'assolo di Diego Cafolla è una vera delizia, si abbatte come un fulmine sulla terra, introducendo poi una grandissima fase corale dominata da cori celestiali, una sorta di abbandono intimista, di saluto alla notte che evapora via, sommersa dall'alba che giunge.

Father
Così come "Everything Goes", Father (Padre) rivela l'anima più elettronica dei Kingcrow. "Padre, guarda dritto verso di me, da una cornice d'argento. Vestiti da adolescente, un sorriso genuino che non riesco a ricordare", sin dalle prime battute si percepisce la profondità drammatica delle liriche e una dedica tutta speciale alla figura del padre. La sezione ritmica cresce a dismisura, rivelando una forza indomita inesistente nella parte introduttiva. Thundra pesta come un dannato, i suoni si gonfiano, sommergendo le tastiere, acuendo questo senso si smarrimento e di nostalgia. "Padre, eri con me, taglia dello stesso vestito, non ho mai veramente imparato a piangere o ridere ad alta voce. Parlami, per favore, parlami davvero, perché sono così stanco di vivere attraverso i ricordi. Mi chiedo cosa pensi di me, fissando il terreno, come se non sapessi più dove appartengo". Il figlio è preda di mille domande, schiavo dei ricordi, e non riesce più a stabilire un contatto con suo padre, forse deceduto, forse lontano caratterialmente. Dalle atmosfere claustrofobiche e annichilenti, ecco che si sprofonda in una vertigine emozionale col bellissimo refrain, lungo e articolato: "Catturato in tutte queste forti emozioni, non riesco a sentire la tua voce lontana. Ti aspettavi qualcosa di diverso? Per qualche volta vorrei essere altrove, lontano da qui, chiunque altro tranne me stesso e uccidere quello che ero prima", ma la base strumentale oramai è lanciata al galoppo, i singoli strumenti hanno preso il via e non sono intenzionati a rallentare il tiro. "Senza parole dopo tutto questo tempo, tenendo le parole dentro, affondando nella mia gola ancora non posso lasciarmi andare. Padre, cosa pensi di me?". I fraseggi di chitarra rimbombano nelle orecchie, echeggiando nelle casse dello stereo, sovrapponendosi alle tastiere per concedere un suono di maggiore impatto. "Father" è un brano che è in continua evoluzione e accelerazione, dal mood oscuro ma dalla melodia che riesce comunque a tracciare un solco lungo il cammino, accompagnandoci verso il finale di questo eccellente disco.

Perfectly Imperfect
Ancora una volta sono le tastiere di Della Polla a generare il brano, in questo caso troviamo un clima arido e molto intimo, nel quale Marchesi intona una cantilena morbida e sinuosa. La poesia di Perfectly Imperfect (Perfettamente Imperfetti) si rivela sin da subito in tutta la sua astratta bellezza. "Non ti deluderò, in questo silenzio non ti lascerò incolpare solo te stesso, ancora. Non ti deluderò in questo momento, non ti lascerò sopportare questo peso tutto da solo, oggi", il vocalist decanta di un rapporto problematico e conflittuale, ma che denota sincerità e amore. Intanto le tastiere rintoccano di qua e di là, accompagnando la solenne batteria, dunque subentra il basso a levigare gli umori: "Sì, i problemi sono così reali, ma per favore, dateci una possibilità, perché lasciatemi dire chiaramente che ci sentiamo allo stesso modo. Ci prenderemo al volo e risaliremo, lo sai, non cadremo". L'uomo invoca una possibilità, una sola dannata occasione per dimostrare la sincerità e la bontà del suo intento, cercando di guadagnarsi una fiducia che gli permetterà di abbandonarsi ad occhi chiusi tra le braccia di un amante, di un amico, di un caro. Lasciarsi cadere per prendersi al volo, per poi risalire insieme, senza mai toccare il fondo. "Tempo di andare, due perfettamente imperfetti, ecco quello che siamo. È tempo di cogliere questa occasione" grida Marchesi nel meraviglioso chorus che si incastona perfettamente nel corpo della canzone, come un diamante al collo di una donna. Le linee seducenti conquistano all'istante, rivelando un cuore fatto di zucchero e di miele, riuscendo a trasmettere serenità nonostante il mood cupo e depressivo. "Chi se non tu, chi se non io, può farlo ora, chi può farlo" recitano tutti in coro, proiettandoci al termine di questo lungo viaggio musicale ricolmo di significati intimi e sofisticati, ricco di sentimento, di tonalità e sfumature sbiadite, crepuscolari, mistiche, ma dotate di un fascino tutto particolare che rapisce al primo ascolto, scuotendo l'anima e facendo sobbalzare il cuore.

Conclusioni
In "The Persistence" prendono forma una serie di significati e di simboli: gioie e dolori, situazioni al limite, sofferte e disperate, ma anche romantiche e appassionate. Il nuovo album dei Kingcrow si rivela una brillante gemma di sentimento, dai suoni astratti e dalle cupe atmosfere prog anni 70 che rimandano inevitabilmente alla semplice eppur affascinante copertina elaborata dal grafico Devilnax, estremamente simbolica. Ma la musica partorita dalla band romana è in costante evoluzione e allora si appropria di elementi diversi, risultando moderna nonostante un approccio classico, complice anche una produzione meravigliosa che scandisce alla perfezione ogni singolo suono e ogni singolo strumento, senza mai risultare gelida e coinvolgendo pienamente i sensi. Giunti alla completa maturità stilistica ormai da tempo, ai Kingcrow non resta che limare e affinare il proprio talento compositivo, e in questo lavoro tutto quello che si poteva fare è stato fatto, e con risultati eccellenti e talmente elevati che lo candidano ad essere uno dei migliori album metal dell'anno. Dalla traccia d'apertura "Drenched", sulfurea e invernale, ma che rivela una melodia raffinatissima e travolgente che esplode nel grande ritornello, è un continuo sussulto emotivo, e allora è impossibile non impressionarsi di fronte alle linee maledette di "Closer", dalle strofe liquide come gocce di pioggia e dalla coda finale in acustico, oppure davanti all'oscura "Everything Goes", canzone che viaggia su sentieri elettronici che possono rimandare ai Paradise Lost di metà carriera, o ancora alla bella e trascinante title-track, forse il pezzo migliore, che scende a valle come lava incandescente sommergendo tutto quanto. E poi troviamo l'inquietante "Devil's Got A Picture", che parla di una vita segnata da un destino nefasto ma che, nonostante tutto, va avanti tra mille difficoltà e col coraggio di un leone, e la conclusiva "Perfectly Imperfect", classica struggente ballad della band, costruita su strofe placide e che esplode in un refrain immaginifico e disperato. "The Persistence" ci apre a un mondo suddiviso in dieci dimensioni sonore, in ognuna delle quali sprofondare con la memoria, abbandonandosi ai ricordi più intimi. Conclusa quella che viene definita la "trilogia della vita", costituita dai tre precedenti album: "Phlegheton", "In Crescendo" e "Eidos", che sondavano il passaggio dalla giovinezza all'età adulta, è col nuovo lavoro che la band accantona talune tematiche per reinventarsi, per approdare su nuovi territori, ringiovanendo sound e provando situazioni diverse e mai affrontate prima. Il nuovo materiale è una montagna sonora indecifrabile, che pesca dal passato della band e ne rimodella le forme, tracciando un nuovo approccio stilistico. Le ambientazioni oscure trovano maggiore vigore e godono di un atteggiamento meno meditativo e più muscoloso rispetto ai precedenti lavori, riuscendo comunque a creare immagini potenti e atmosfere moderne, grazie anche alla sofisticata penna di Marchesi, in questo caso unico autore dei testi, che mette per iscritto i contenuti e le profonde argomentazioni, spesso anch'essi astratti, di "The Persistence". I Kingcrow non solo sfornano l'ennesimo gioiello incastonato in una discografia di qualità elevata, ma allo stesso tempo inaugurano quella che sembrerebbe una nuova via di sperimentazione che potrebbe delineare, nell'immediato futuro, una grandissima svolta stilistica che potrebbe portarli verso chissà quali lidi sonori. Se la stasi compositiva logora talento e limita la creatività, "The Persistence" è conferma di mutevolezza, di un cambiamento che è tipico solo dei grandi. Insomma, i Kingcrow confermano il loro status, meritando successo, lodi, e una certa "persistenza" nel mondo della musica negli anni a venire. Disco da acquistare a occhi chiusi.

2) Closer
3) Everything Goes
4) Folding Paper Dreams
5) The Persistence
6) Every Broken Piece Of Me
7) Devil's Got A Picture
8) Night's Descending
9) Father
10) Perfectly Imperfect


