KING DIAMOND
The Puppet Master
2003 - Metal Blade
ELEONORA VAIANA
01/06/2013
Recensione
Budapest, un Natale del XVIII secolo: King Diamond, con "The Puppet Master" (Metal Blade), riesce a catturare e rievocare tutta la magica, misteriosa e inquietante atmosfera del suo Natale ungherese, e dei suoi fantastici personaggi. Con un curriculum come quello dell'ex Mercyful Fate, non si può far altro che restare sempre colpiti, stravolti e ammaliati dalle potenzialità musicali, letterarie ed evocative, da sempre ottemperate dall'ormai cinquantasettenne King Diamond, all'anagrafe Kim Bendix Petersen. The Puppet Master riesce in tutto questo, catapultando completamente l'ascoltatore nell'epoca e nella storia narrata e musicata: da sempre i concept album dell'artista danese, si differenziano per una qualità narrativa strabiliante, e perché no, una morale in fin dei conti. Per non parlare poi degli ottimi musicisti schierati in formazione, Andy Larocque (chitarra, tastiere), Mike Wead (chitarra), Hal Patino (basso), Matt Thompson (batteria) e Livia Zita (voce addizionale), ognuno dei quali riesce a dare uniformità e interpretazioni di altissimo livello, per un successo garantito. The Puppet Master è un album invernale, dai toni freddi ma dalle pennellate calde, luminose, dove, anche senza conoscere la storia trattata, non si fa fatica a captare dalle sonorità l'ambientazione natalizia, immersa in un panorama innevato, evocata. Il prologo “Midnight” introduce sia il sound che andrà a caratterizzare l'intero lavoro, sia la storia: un imperante organo, accoglie il falsetto di King Diamond, che interpreta The Unfortunate Man, il quale, malinconicamente, ripensa a quando era ancora in vita, a tutto il sangue che è stato costretto a vedere, mentre fuori sta nevicando. È difficile non provare un misto di pena e inquietudine nei confronti di questa “cosa”, che a mezzanotte canta in un delirio febbricitante, appeso a un muro: si parla di uno show, si parla di sangue che scorre, e in un macabro silenzio, una voce terribile dà il via allo spettacolo. Che lo show abbia inizio. Con la title track, si entra nel vivo della storia: è notte, siamo a Budapest e una calca di persone è in fila per assistere allo spettacolo di Natale dei burattini, in un teatro celato nell'oscurità. Una sfavillante chitarra dà il via alle danze, per poi andare ad amalgamarsi al riff principale della strofa, corposo ed elettrizzante; il ritornello è ampio, energico ma lascia un sentimento di sospensione, ulteriormente accentuato dal bridge, dove il narratore annuncia l'arrivo dei burattini e del “Puppet Master”. L'atmosfera generica incute un timore insensato, un senso di esposizione a forze strane, misteriose, ma per nulla gentili, e a incrementare questo mix di sensazioni così inspiegabili, giunge l'assolo firmato Andy LaRocque, virtuoso e contorto al contempo. Ma ecco che nella storia accade qualcosa di veramente sinistro: il narratore si accorge che i burattini non hanno fili a sorreggerli, e, cosa ancor più sconvolgente, che il piccolo burattino batterista lo sta guardando, come se fosse vivo. Incastonato in un riff dubbioso e affannante, The Unfortunate Man si accorge che quel piccolo burattino-batterista, ha un piccolo taglio sulla mano dal quale sgorga del sangue: il ritorno in scena del riff di apertura offusca la mente, e annebbia le domande spontanee che fanno capolino dopo una simile sconcertante scoperta, ma anziché sfociare in una strofa, quello che ci troviamo di fronte è una tempesta di sei corde, firmata LaRocque/Wead. Ci troviamo nuovamente di fronte al riff della strofa, ma questa volta le parole del narratore denunciano che nell'aria c'è qualcosa di molto strano, e che sarà difficile dimenticare una notte del genere. Dopo il ritornello finale, il pezzo viene tagliato di netto dal bridge, che coincide con la fine del grottesco spettacolo: il burattinaio stesso sale sul palco con i suoi “bambini”, si chiude il sipario e tutti se ne vanno. Mentre tutte le persone tornano a casa dopo lo spettacolo, The Unfortutnate Man riflette su quanto appena visto: è in “Magic” che si rende conto di aver assistito a un qualcosa di magico, ma maligno. Il riff di apertura del pezzo carica in una maniera spropositata, è il classico giro di chitarra che si annida nella mente senza presentare la minima intenzione di sloggiare: è bello, è attivo, è autorevole, introduce una strofa che odora di maligno e ingenuo al contempo, quasi a sottolineare la stoltezza di coloro che hanno assistito allo spettacolo, senza accorgersi che quello non era il classico show di burattini, ma qualcosa di più. Uno dei ritornelli più belli dell'intero lavoro, appartiene proprio alla traccia numero tre: è la voce di Victoria (Livia Zita) a impreziosire il brano, risuonando splendente e avvolgente, ma anche malinconica e gelida. È come la neve, in grado di riscaldare e avvolgere il cuore di chi la vede cadere soffice, ma gelida nella sua natura concreta, e malinconica, se osservata tornare a essere semplice acqua sul palmo della mano. Dopo l'assolo di Andy LaRocque, torna nuovamente a far da protagonista la strofa: The Unfortunate Man, innamorato della donna di nome Victoria, un anno prima l'aveva baciata, la sera dello spettacolo dei Burattini, è stata a teatro, ma non è più tornata a casa, e cos'altro può fare un uomo che ha visto la magia negli occhi della sua amata, se non andare a cercarla? Dal punto di vista esecutivo, il nostro Re è impeccabile: i falsetti sono molto più pacati rispetto agli standard firmati King Diamond, grazie anche all'intervento di Livia, la quale dà un apporto stilistico ed emotivo veramente notevole. Il pezzo è orecchiabile, godereccio da ogni punto di vista e non eccede in alcun modo: gli assoli sono ben ponderati, ben collocati e lasciano il fiato sospeso sulla storia, che si rivela essere un giallo, quel tanto che serve per ottenere un effetto d'interruzione e di suspance. Con un sinistro riff di chitarra e tastiera, prende il via “Emerencia”, titolo del pezzo e nome della moglie del Puppet Master: un pianoforte sospeso ma sicuro e deciso, accompagna la voce tetra di The Unfortunate Man, il quale sta perlustrando la zona dietro al teatro, per cercare Victoria. Gli strumenti incalzano via via aumentando la sensazione di incertezza adrenalinica, mentre l'enorme donna si aggira con un coltello in mano; con un'eco prolungato della parola “knife”, si articola un convulsivo assolo firmato Mike Wead, il quale reintroduce a sua volta la strofa, inspessita nelle dinamiche e nelle sonorità: grazie al magnifico falsetto del Re di Diamanti, si capta perfettamente il panico che cresce, pulsa e si dimena nelle vene del malcapitato Unfortunate Man . Vengono recuperate le sonorità che accoglievano l'assolo, e trasformate in uno splendido palcoscenico musicale, agitato e spasmodico, per descrivere Emerencia intenta a cercare vittime innocenti: è un povero senzatetto a rimetterci la pelle, del quale la donna si premura di raccogliere ogni goccia di sangue, per poi far ritorno al teatro. A descrivere la raccapricciante situazione, è un'esclamazione di terrore dello stesso Unfortunate Man, mentre la scena diventa proprietà di un pacato e morbido riff dalle tonalità tristi, affidato alle chitarre: l'uomo decide di seguire Emerencia, che si avvia verso una porta lasciata aperta, dalla quale assiste a uno spettacolo terribile; poi un colpo, un gemito di dolore e il suono sordo di un corpo che cade a terra esanime. Tra le più belle canzoni presenti in tracklist, sicuramente non è possibile omettere “Blue Eyes”, ricca di pathos, gelida e sofferente: The Unfortunate Man si trova incatenato in una cantina piena di scheletri, burattini fatti di parti umane e occhi, tra i quali riconosce quelli della sua amata Victoria. Dal punto di vista musicale, il pezzo è un crescendo continuo di emozioni, volte a ottenere un effetto di inquieta sospensione: lo stesso organo incute un misto di timore e incertezza, per non parlare del diminuendo che precede il ritornello, dove la voce sospira, quasi, su un sottofondo di stacchi e pause ritmiche. L'orrore provato dal protagonista nell'aprire gli occhi, e non vedere nient'altro se non l'oscurità, è tangibile quasi; brividi involontari si diramano sulla schiena nel momento in cui esplode il dolore nel riconoscere quegli occhi azzurri, che non vedono nulla, ma sono così tremendamente vivi. Lenta e impietosa, “The Ritual” è una traccia che incute già un certo timore dai suoi primi minuti di vita, vuoi per il titolo vuoi per il riff iniziale così vitale nonostante tutto il sangue, la malvagità e i corpi privi di vita incontrati sinora. Non appena The Unfortunate Man vede il Burattinaio e sua moglie entrare nella stanza, l'atmosfera musicale si incupisce, si elettrizza: teschi umani, libri antichi e strani simboli sul muro, circondati da candele nere accese. Nel ritornello, intenso ed emozionale, il protagonista si rende conto di essere nel bel mezzo di un rituale, e il brano torna sui passi della strofa: uno strano liquido nero giace in delle urne contate per ogni burattino, e The Unfortunate Man sente la voce del Burattinaio recitare parole strane e antiche, mentre lui prova una sensazione inspiegabile, come se gli avessero rubato lo spirito. Con un assolo bello carico, si evince l'adrenalina della situazione, che si fa sempre più brutta per il povero Unfortunate Man: nel panico più totale sottolineato da un'eccellente interpretazione vocale quasi gridata, ma mozzata nel fiato, il protagonista tira un calcio al ripiano sul quale erano stati posizionate le urne, ne cade una a terra e, con un grido grottesco e ansante, scopriamo che al suo interno vi era del sangue. Il rituale prosegue nonostante l'interruzione e l'esclamazione infuriata del Burattinaio, e il povero uomo, veramente sfortunato viene privato della sua anima, che sarà venduta al demone evocato tramite la cerimonia. Il pezzo è veramente notevole, ricco di un bagaglio emotivo da celebrare: si respira la paura, si respira la malignità dei cerimonieri, e il tutto è reso completo con semplici accordi, virtuosismi di tastiera e passaggi ritmici, che sconvolgono nonostante la loro semplicità. “No more me” si intitola il brano successivo, ed è semplice capire perché: The Unfortunate Man è legato a una letto di ospedale e i due folli consorti lo tagliano con un bisturi facendosi premura di raccogliere il sangue che cade. Ancor peggio, inseriscono i suoi occhi nella testa di un Burattino, ma nonostante ciò, riesce ancora a vedere tutto quanto. Mentre tutto questo accade, un bellissimo e tetro organo ci delizia con le sue evoluzioni cupe e meste dando vita a una cornice ottima per la situazione: l'interpretazione dal punto di vista vocale è superba, sembra quasi di provare il dolore di un bisturi che squarcia la pelle, di sentire l'odore del sangue che sgorga senza pietà, di provare il terrore nel vedere il proprio corpo gettato nell'immondizia. Il pezzo è un continuo altalenare di tastiera, inesorabile e inquietante; restando sospeso e non trovando una via di risoluzione, è straziante in una maniera morbosa. Trionfante, “Blood To Walk” si avvia spietata ma melodica, e incornicia il passaggio da persona a burattino di The Unfortunate Man; è elettrica e movimentata, un terremoto studiato che sfocia in un ritornello coinvolgente, aperto ed energico. L'uomo ormai divenuto burattino riesce a vedere, riesce a provare emozioni, ma non può muoversi: il “palm_muting” di chitarra sottolinea l'ansia, ma anche la rabbia del protagonista turbato e provato da una simile situazione. L'uomo-burattino vede Victoria, e uno splendido assolo incornicia la situazione alla perfezione: egli è rabbioso, ma elegante e corrosivo. La situazione cambia, tornano il Burattinaio e la moglie per giocare con i loro “bambini”, prendendo così Victoria e posizionandola di fronte a The Unfortunate Man, entrambi sorretti da corde. L'atmosfera si fa maledetta, tutto suona cupo ed energico, rabbioso ed adrenalinico quando il pezzo viene troncato di netto: i due burattini sono vivi, e questo basta al Burattinaio il quale decide di riporli. “Darkness” si avvia offuscata e stanca, i due burattini hanno dovuto imparare di nuovo a vivere nei panni di pupazzi: un'esplosione di bellezza e tristezza, si raggiunge col ritornello, straziante e commovente, dove The Unfortunate Man e Victoria cantano insieme il loro vivere nell'oscurità, il loro morire nell'oscurità, in un incessante circolo vizioso. Il Burattinaio fa di nuovo il suo ingresso, e un meraviglioso assolo sembra quasi suonare come un grido di terrore: egli vuole Victoria, la vuol vedere ballare, e nonostante non sappia farlo, prova a muoversi, col risultato di far cadere sei delle urne contenenti la linfa vitale dei burattini, un tempo uomini. Con la melodia malinconica e lacerante del ritornello, il Burattinaio decide di far trasferire Victoria a Berlino la mattina successiva: la tristezza esplode con “So Sad”, avviata da una sconsolata melodia di tastiera, dolce e malinconica al contempo. La voce sconfitta di The Unfortunate Man si dispera per la decisione di trasferire Victoria a Berlino: se lo faranno, lui morirà. Uno struggente dialogo fra i due innamorati tocca picchi emozionali angosciosi, si promettono di ritrovarsi in un futuro non ben definito, e con un toccante “I Love you” si salutano, lasciando l'ascoltatore con la pelle d'oca e il cuore straziato. Le sonorità di “Christmas” riportano subito alla mente il periodo invernale del Natale, distrutto dal riff di chitarra distorta e dall'assolo di Mike, borioso e vitale: è di nuovo Natale, ma non sarà più la stessa cosa per The Unfortunate Man, ridotto a essere il nuovo Burattino-Batterista dello show. Il pezzo è acido, seppur melodico, e si contorce in una serie di dinamiche musicali animate: la tristezza e l'oscurità nella quale vive ormai il protagonista, sono evocate alla perfezione dall'assolo firmato Andy Larocque. È il momento di entrare in scena del nuovo Burattino-Batterista, che cade, rompendo il suo piccolo strumento, e considerata la risata tipicamente “King Diamond”, acuta e maligna, ciò che lo aspetterà non sarà per niente piacevole. “The Puppet Master” si chiude con “Living Dead”, pezzo potenzialmente distruttivo, che tuttavia, parte in sordina: sono passati diciotto anni, The Unfortunate Man è stato venduto a un negozio, e non è mai riuscito a rivedere la sua amata; inoltre, sembra che i due consorti squinternati abbiano intenzione di costruire un nuovo teatro a Londra. Il pezzo esplode col ritornello e il suo tappeto di doppio pedale, con sonorità e dinamiche tipicamente “heavy” che riescono a sottolineare la voglia di ribellarsi, arrabbiarsi e vendicarsi, di colui che un tempo era un uomo, ma che adesso si trova appeso in un retrobottega ad esser trattato e venduto come merce. Il brano diventa ancor più tetro nel descrivere la reazione dei bambini che lo vedono lì, appeso e in attesa di esser venduto: li segue coi suoi occhi, li intimorisce, e la sua voce, nel cantarlo, si fa gelida e strisciante. La conclusione è affidata all'ennesimo passaggio struggente, fatto di una chitarra pulita e pacata, sulla quale Victoria si chiede se lo vedrà mai più; con i due che contemporaneamente si domandano dove sia l'uno e dove sia l'altro, il brano sfuma in maniera dolce e malinconica, per sfociare delicatamente nel silenzio. Ancora una volta King Diamond ha dimostrato di essere un vero e proprio Re dell'immaginazione, della musica, della sfera letteraria ed emotiva: “The Puppet Master” non stanca mai, in nessuna delle sue evoluzioni, presenta sempre atmosfere musicali tali da evocare un preciso sentimento, il sentimento del protagonista al quale si finisce per affezionarsi, facendo propri i suoi dolori e i suoi tormenti. Il sound è impeccabile, ha un che di talmente tanto onirico, da sembrare di vivere in una palla di vetro con la neve che cade se capovolta; è un disco classico, ma all'avanguardia che rispecchia in maniera completa l'atmosfera di una Budapest natalizia di fine XVIII secolo, avvolta nella neve, e capovolta dalla crudeltà e dalla follia di un Burattinaio e della sua “dolce” metà.
1) Midnight
2) The Puppet Master
3) Magic
4) Emerencia
5) Blue Eyes
6) The Ritual
7) No More Me
8) Blood to Walk
9) Darkness
10) So Sad
11) Christmas
12) Living Dead