KING DIAMOND

The Eye

1990 - Roadrunner Records

A CURA DI
ELEONORA STEVA VAIANA
14/05/2014
TEMPO DI LETTURA:
9,5

Recensione

Da dove nascano le idee, non ci è dato saperlo. Possiamo sentirci più che privilegiati per poterle sentire balenare nella testa, poterle esprimerle, poterle confrontare tra loro. Spesso si tende, tuttavia, a pensare che le idee riescano a influenzarsi l'un l'altra, lanciando filoni di pensiero, atteggiamenti e stili di vita simili tra di loro: non esiste fuggire dall'opinione comune, non esiste avere la propria idea, perché tutti, chi più chi meno, finiamo per essere influenzati da ciò che pensano i nostri consimili. Ed ecco che con il declino dell'umanità vediamo scemare anche tutte le qualità che hanno reso la specie umana così trionfante: dall'inizio del Novecento in poi, le idee sono sempre state meno potenti e immortali, le arti hanno teso la mano a un declino inevitabile e doloroso. Pensiamo alla musica commerciale degli anni Sessanta e confrontiamola con quella degli anni Novanta: niente di paragonabile. Un contrasto evidente come quello tra la notte e il giorno, da fuggire per mezzo di una ricerca personale, senza accontentarsi di ciò che mettono in tavola i media comuni. In questo panorama decadente, tuttavia, c'è sempre stata la voce fuori dal coro, l'eccezione che conferma la regola, quell'elemento di distinzione che porta la mente a un ottimismo tanto entusiasmante, quanto, a tratti, ingenuo: in quel calderone di generi e stili musicali, negli anni Novanta, qualcuno ha saputo continuare a distinguersi, dichiarando guerra a una società ormai priva di stimoli o potere critico in ambito artistico e, in questo caso, musicale. Ed ecco, che mentre Mo-Do si apprestava a conquistare il mondo con “Eins Zwei Polizei” nel 1994 o Britney stirava le piaghe della gonna per “...Baby One More Time!” nel 1999, i Judas Priest lasciavano il segno con “Painkiller”, i Megadeth con “Rust In Peace”, gli Slayer con “Seasons in the Abyss”. E in che anno avveniva, tutto ciò? Nel 1990. In questo concentrato di follia, mentre al mondo si presentavano alcune tra le perle più trash della musica internazionale, qualcuno espandeva il suo regno, proseguendo la conquista delle anime e dei cuori di chi con “Them” o con “Abigail” si era lasciato rapire da una mente e da una voce fuori dagli schemi. Il Re proseguiva la sua crociata verso il Mondo delle Idee, direttamente dal quale andava a pescare ispirazione, per regalare a noi comuni mortali, lavori degni di nota, come il, purtroppo, sottovalutato “The Eye”. Con una squadra così valida, formata da Snowy Shaw (batteria), Hal Patino (basso), Pete Blakk (chitarra) e l'immancabile Andy LaRocque (chitarra), King Diamond ha saputo fare nuovamente la differenza, racchiudendo in uno scrigno musicale tutto il suo genio raffinato ed elegante.



 



Con “Eye of the Witch” si apre la porta su un mondo fatto di inquietudine nera e ombre che strisciano sui muri, al ritmo di una tempesta violenta e illuminata da fulmini sublimi. È notte, nella storia, nella musica, vestita delle note acute di una tastiera che suona il mistero della collana chiamata The Eye. Un ritmo solenne, dei riff ricchi di emozioni e una voce tipicamente King Diamond, ci portano per mano verso un'atmosfera enigmatica: occhi di strega evocati a gran voce, chiamati a ripetizione in un mantra terribile. Come in ogni lavoro del Re, la prima traccia è un vedo/non vedo confuso, narrato dagli occhi di un protagonista sconosciuto: parole criptiche cantate con note misteriose, pronte a cambiare passo e sfumatura a distanza di una battuta. Ed ecco giungere, maestoso, l'assolo, talmente brillante da accecare, per poi tornare sui passi della strofa e concludere, così, il primo capitolo della storia. Un primo capitolo intriso in una maledizione musicale, che suona come una condanna sulla nostra testa: abbiamo iniziato il viaggio, ormai non si può tornare più indietro, perché King Diamond rapisce chiunque sia suscettibile alla paura in musica, senza possibilità di pagare alcun riscatto. Proseguiamo con un flashback sul passato di una storia ancora sconosciuta: ecco, in sostanza, il succo di “The Trial (Chambre Ardente)”. Si narra dell'accusa di stregoneria nei confronti di Jeanne Dibasson, interpellata per chiedere una confessione circa il suo caso: Jeanne nega di aver mai fatto del male a qualcuno, di aver mai creduto anche solo al potere della stregoneria. Tuttavia, come ogni inquisitore che si rispetti, certe parole sono vuote alle orecchie di chi non vuole ascoltarle: prigione per la donna, prigione per la strega. Il viscido La Reymie non perde tempo per palpare la povera ragazza, gettata a terra nuda e costretta a pentirsi per i suoi peccati, per aver giaciuto con le bestie, per essere un'adoratrice di Satana e, per questo motivo, meritevole di morte. Nonostante continui a svincolarsi da queste folli accuse, chiedendo quali prove abbiano in mano, Jeanne e la sua situazione non promettono niente di buono. Il pezzo si districa lentamente, a ritmo incalzante e con tonalità molto fumose, crudeli, a tratti esasperanti: una paura che scorre lenta e densa, accompagnata da chitarre oscure e ritmiche rituali. L'atmosfera creata ad hoc dalle tastiere, incontra la perfezione nella voce del Re, che interpreta, sente, vive e trasmette emozioni a dir poco orribili di una vittima nelle mani di un carnefice viscido e disgustoso. Tra assoli di sei corde e intermezzi di tastiera, trionfa l'acclamata sensazione vincente di chi pensa di essere nel giusto, a discapito della vita altrui, sul baratro del raziocinio e col volto diretto verso un orizzonte di pura follia. Tutto suona terrificante, eppure così bello e perfetto in ogni sua sfumatura: l'adrenalina di chi è messo a morte si va a mischiare con quella di chi prova piacere nel dettare una sentenza di fine eterna, portando con sé una scia distruttiva e infuocata che lascia inevitabilmente il segno e che sfuma in un finale nebbioso e vorticoso. Un'atmosfera caliginosa e fiammeggiante annebbia i sensi fin dal primo riff di “Burn”: è scontato quel che sta per accadere e in qualche modo ce lo stavamo aspettando. L'Inquisizione ha deciso di uccidere la strega, soddisfacendo così la presunta volontà di Dio di giustiziare al dolore eterno una figlia del Demonio. Brucia nella notte, una vita per la quale nessuno piangerà: la pelle si accartoccia e si annerisce, mentre i preti rimangono allineati a godersi il macabro spettacolo. Qualcosa di magico, però. accade: la collana della presunta strega, prende quasi vita, vola via e riesce a imprimere indelebilmente, tutto il potere del suo occhio in punto di morte. È King Diamond a cantarne la fine, strutturando un brano che scivola via come fiamme dirette verso un cielo plumbeo, pronto a piangere una morte per la quale nessuno prova il minimo dispiacere: tra sospensione, evocata specialmente dalle tastiere, e reazione, il pezzo si dispiega lasciando godere di riff estremamente orecchiabili e assolutamente piacevoli. Brevi assoli di chitarra spezzano le dinamiche, che si intensificano al prender vita di quelle fiamme che diventano quasi percettibili sulla cute: il dolore sembra urlare assieme a quelle sei corde, trasformandosi poi nel grido acuto di un cantato godibile e inquietante al contempo. Come la morte giunge inaspettata a porre la parola fine, la conclusione è un colpo di mannaia che non lascia scampo né alla speranza, né alla disperazione, ma solo all'odore di carne bruciata di chi ha lasciato traccia di sé solo grazie a una collana maledetta. Degli enigmatici tocchi di tastiera, lasciano intravedere un futuro misterioso, protagonista del quale si trovano a essere due ignare bambine che, casualmente, si trovano a giocare esattamente nel punto in cui Jeanne è stata bruciata qualche tempo prima. L'ingenuità di chi scopre il mondo incontra quella di chi il mondo lo ha dovuto abbandonare sul rogo, per aver pensato di potersi salvare dicendo la verità: questo, in sostanza, quanto evocato in“Two Little Girls”. Mentre giocano, nel punto esatto in cui le ceneri di una vita si sono accumulate durante quella notte di dolore, una delle due bambine trova a terra una collana, quella collana: cominciano a litigarsela, finché non notano quello spaventoso occhio impresso con tutta la rabbia, il dolore e la magia di una vita misteriosa, spezzata dall'ignoranza. Una visione che costa la vita a una delle due anime, che muore affogata all'istante. Tutta la paura è perfettamente percettibile per tutta la durata del pezzo: sonorità intriganti, ma soprattutto inquietanti, la fanno da padrona sin dai suoi primi istanti di vita. La sensazione di tempo passato dalla notte del rogo è perfettamente espressa da un'atmosfera infantile e sfumata, non percettibile, proprio come quel mistero che aleggia, grida, si contorce, andando a toccare e segnare l'esistenza di due anime innocenti, trovatesi lì per caso per giocare. Terrificante, questa è la parola più azzeccata per esprimere quel turbinio mostruoso di sensazioni così vive e travolgenti: il pezzo si presenta come una specie di intermezzo retto solo da voce e tastiera. La sensazione di qualcosa che deve accadere è una costante terribile, in grado di far trasalire al minimo movimento di un pensiero nella mente, che porta a chiedersi cosa stia succedendo, ma soprattutto quando succederà. Direttamente dal regno degli inferi, un riff giunge a portar testimonianza di “Into The Convent”, pezzo contraddistinto fin dagli albori, da un cipiglio crudele e per niente rassicurante. La strofa, caratterizzata dal contrasto tra voce acuta e grave, si tiene su ritmiche spedite al punto giusto, immerse in una caverna di misteri, con echi pronti a evocare segreti desiderosi soltanto di restare tali. Va a intensificarsi la situazione, con un crescendo che sfocia nella frenesia più totale, sostenuta dall'energia delle chitarre che vorticano in cerca di un barlume di sanità mentale. Un pezzo che sa donare emozioni enigmatiche, a cavallo tra la malinconia e il puro terrore, che scorre nel sangue portando al cervello molecole intrise di paura accecante: strano e additivo, vortica, tenendosi saldamente legato a sonorità familiari, intensificate più o meno a seconda delle dinamiche adottate. Si narra di una donna, Madeleine, in fuga da se stessa e distrutta dalla vergogna: vuole potersi pulire l'anima da tutti i peccati compiuti e per farlo decide di bussare alla porta di un convento. È Padre David ad accoglierla, ammiccando tuttavia a strane comunioni da celebrarsi completamente nudi: insomma, per essere un convento non manca il divertimento, visto che i sogni più selvaggi, come spiega il cappellano, hanno modo di essere esauditi. Durante una notte, in quel convento, Madeleine si sveglia e cominciando a vagare, scova la collana, The Eye. Grazie, forse, a un incantesimo, non riesce a trattenersi dall'indossarla, senza sapere che questo costerà la vita a Padre David: durante una delle loro comunioni il cappellano osserva quel ciondolo così attraente, finendo freddo e stecchito sul suolo del convento. Un nuovo cappellano arriva con “Father Picard”, il quale si presenta immediatamente come il portatore di cambiamenti effettivi in quel sacro convento: accoglie le sorelle e Madeleine, definendole come coloro che Dio ha scelto per essere i Suoi angeli. Con queste parole dolci e delicate, però, Padre Picard porta con sé intenzioni tutt'altro che caste e pure: offre alle suore del vino, condito con una strana polvere bianca, che fa sfociare un fuoco di lussuria e desiderio negli occhi delle candide donne, da consumare, ogni domenica, in una consueta comunione. Una lussuria riassunta in riff densi di carica e intenzioni per niente sacre, che costituiscono strofe goderecce, dipinte del tipico cantato del Re: idee su idee si susseguono in musica, rendendo un effetto a dir poco emozionante e vivente. Tra assoli di chitarra e cambi continui di dinamiche, il pezzo prosegue liscio e naturale, risultando estremamente piacevole e raffinato: si poggia su cori di voci immersi in un deserto di corde che strisciano, agghindato di splendidi stacchi di tastiera raffinati ed eleganti. È un lampo nel cielo che scorre fluido e veloce, lasciandosi dietro la scia dell'oblio di chi ha perso la propria volontà, di chi ha firmato un patto involontario con un padrone sadico e malvagio. Madeleine, durante “Behind These Walls”, si domanda cosa stia accadendo in quel luogo così sacro, eppure così profano: mura che celano segreti impossibili da ammettere dalla mente stessa di chi li porta dentro, talmente fumosi e inconcepibili, da essere al limite con il sogno, o meglio, con l'incubo. Una scena paradossale, quella della suora intenta a raccogliere fiori mentre gli uccelli cantano: l'immagine della purezza che coglie la purezza, sporcata da domande per niente rassicuranti. Dove sono finite le sue compagne? Perché non riesce a vederle? Le balenano nella mente le urla di notti dimenticate, il sapore di quel vino, del sangue di Cristo, mentre la campana che annuncia la comunione, solennemente, suona. Il pezzo si presenta immediatamente con un biglietto da visita tratteggiato dalle note di un organo misterioso, dai toni piuttosto squillanti: si apre la strofa, sostenuta da un ritmo contenuto, ma carico di energia. Il tutto riconduce a un alone inquietante di misteri, situazioni si districano lasciando uno strano sapore in bocca, a metà strada tra il sogno e la realtà. La tensione è alle stelle, mentre il pezzo si dispiega continuando a stupire e a rapire mente e corpo: tra stacchi ritmici e assoli di chitarra, l'eleganza del brano rimane una costante sulla quale poter contare per godere di un effetto a dir poco elettrizzante, coinvolgente, carico. Tutto è perfettamente in equilibrio al fine di dar vita a una creatura musicale semplicemente stupenda: paura, sconcerto, tensione, incamminati verso un delirio di chitarra turbinante e colmo di passione, fino a dare il colpo di grazia per un finale immediato. Procediamo verso “The Meetings”, traccia annunciata fin da subito dalla potenza nera, evocata musicalmente da un riff esagerato e travolgente: una situazione poco rassicurante viene a crearsi, sorretta da ritmiche contenute, ma grintose. Al comparire del cantato, il drumming si fa più serrato, donando così una situazione affannosa, resa ancor più soffocante da scambi ritmici e melodici a dir poco rabbrividevoli: la bellezza sublime di chi non può far niente di fronte a ciò che ha deciso il Re viene evocata da chitarre vorticose e tempi dispari, col risultato di trovarsi in una pura estasi di piacere incredibile. Pre-chorous e chorous conocorrono al rendere il brano un vero e proprio gioiello incastonato di diamanti terribili, neri, affascinanti nel loro essere crudeli: cambi di tempo consentono al pezzo di procedere prendendo vita, tra convulsioni e pause inaspettate che lasciano senza fiato, fino all'ennesima conclusione netta e possente. Si narra di misteriose figure che vagano nella notte, per le strade di Louviers: sono sette, in tutto, tra i quali spiccano Padre Picard e le suore. Sono diretti al loro incontro segreto, avvolto nell'ombra di un'orrenda diabolicità: candele al muro, la croce cristiana impera dall'altare di Dio. Anche Madeleine è presente, corrosa da pensieri strani e sensazioni poco piacevoli: un personaggio misterioso entra in quella stanza celata nell'ombra, portando un bambino che piange disperatamente, mentre nell'aria si avverte uno strano odore misto di morte e omicidio. Le suore cominciano a pregare, prendono il piccolo in braccio e lo accompagnano alla croce: è qui che Padre Picard si avvicina a quel macabro quadretto, portando un martello e qualche chiodo. La sensazione di scoprire una storia così terribile non lascia scampo: è angosciante, è terrificante, è violentemente agghiacciante. Sensazioni evocate a gran voce dalla strumentale “Insanity”, introdotta da un arpeggio di chitarra pulita che accoglie via via suoni distorti, strani, irregolari. Il giro si presenta emozionante ed emozionale, attraversando fasi di gioia estasiante per poi gettarsi in un oceano di quesiti e inquietudini: esattamente come possiamo immaginare stia accadendo nella mente di Madeleine. Disperata, straziata, confusa, ma nel pieno dell'estasi non voluta né controllata: è quasi percettibile il terrore di chi si trova confinato in una realtà brutale, misto all'istinto di protezione che si ha nei confronti di chi si trova a soffrire, dalla purezza del suo essere indifeso. Un brano tenuto in piedi semplicemente dalle armonie di chitarra sulle quali, sul finale, si vanno a poggiare le note terrificanti di una tastiera preoccupante: non ci sono parole, non c'è voce. Eppure si ha la sensazione di aver assistito al monologo di un'anima in grado soltanto di gridare, a metà strada tra la realtà e la follia di chi non sa riconoscere più cosa sia consueto e cosa sia immorale. “1642 Imprisonment” lascia intendere le sorti dei protagonisti di questa vicenda così inquietante: è proprio in questo anno che Picard, ormai impazzito, arriva alla sua fine. Stanco, malato, non più in grado di tener testa al consueto incontro demoniaco e settimanale. Anche Madeleine e le sue sorelle soffrono l'insanità vissuta e provata nel corso di questa terribile esperienza, confessano le loro diaboliche possessioni, le loro diaboliche esperienze, finendo per potersi sentire libere soltanto una volta rinchiuse nelle loro celle, in quelle umide prigioni. Il pezzo si regge su tonalità drammatiche, evocate da chitarre, tastiera e voce, che collaborano al fine di creare una situazione completa dal punto di vista atmosferico: con ritmiche particolarmente articolate e un coro di voci squillanti, si viene a profilare la situazione di chi non desidera altro che potersi liberare l'anima di un fardello pesante e straziante. Dopo un breve assolo, degli scambi di tastiera e chitarra reintroducono la strofa finale, scivolando verso un vortice di emozioni familiare, ma fresco e intriso di una vitalità unica. L'ennesimo assolo e poi il silenzio. È interessante notare come la ciclicità di King Diamond trovi spazio anche in questo lavoro: la traccia conclusiva è intitolata “The Curse”, riprendendo la maledizione della quale si narrava inizialmente. Una maledizione che ci è ormai familiare, l'abbiamo scampata ma ci ha sfiorati, lasciando indelebili tracce, emozioni, frammenti distorti. Un salto in avanti verso i giorni nostri, dove la collana The Eye continua a portare con sé la sua maledizione: lei riesce a vedere tutto, a sapere ogni pensiero che scorre nella mente della vittima. Basta osservarla un solo istante, per trovare il riassunto del terrore, dell'odio, del nero sentimento maledetto di chi ha visto la sua vita spezzata per colpa dell'Inquisizione. Il brano sembra risorgere da quelle stesse ceneri provenienti da un inferno non troppo lontano, dispiegandosi subito con riff godibili e una strofa acida, increspata in un'espressione corrosiva. È epico, è solenne, è sublime: racconta un passato che potenzialmente potrebbe trasformarsi in presente, avvalendosi di sonorità spettacolari quanto semplici. Uno scambio di accordi e armonie che fanno accapponare la pelle, andandosi a imprimere indelebili nella mente e nell'anima: scorrendo verso un torrente di note, si approda a un assolo elettrizzante, avvalorato da note di tastiera e da una ritmica spedita, godibile, estasiante. Un saliscendi di situazioni ricche di pathos, dove ogni strumento collabora al fine di rendere perfettamente in musica l'energia tendente al nero dell'odio di uno strumento magico nato su un rogo in un tempo indeterminato, ma determinato a farsi ricordare: conclusione affidata a pochi tocchi di tastiera in una melodia che fa rabbrividire, aprendo le porte su una serie di pensieri ultraterreni e oltreumani.



 



Un lavoro che insegna tante cose, in grado di trasmettere un tornado di emozioni forti e sconcertanti: “The Eye” risulta un gioiello non apprezzato a dovere né a sufficienza, sia dal punto di vista musicale, che concettuale. Ci insegna di quanto l'ignoranza di chi cerca o brucia le streghe, sia in grado di trasformarsi in forza malvagia, talmente nera da crearle, le streghe: un plot semplicemente geniale, che narra un tratto di storia di una vita della quale non sappiamo praticamente nulla. Jeanne era una strega? Probabilmente. Ma non avremo mai la certezza. E se fosse stata una normalissima ragazza, magari semplicemente particolare caratterialmente o fisicamente rispetto alla normalità? Che cos'è poi, la normalità? Quesiti che riescono a spalancare porte luminose di un nero accecante, dentro le quali trovare solo altre mille domande, ma mai una risposta. E in tutto questo King Diamond e i suoi prodi, riescono a dirigere un coro di emozioni talmente perfetto, da lasciare senza parole: ogni pezzo risulta trovarsi esattamente nel punto del mosaico di una storia, ponderata a partire dalla mente geniale di chi, evidentemente, ha una fantasia che non lascia scampo. Quasi come se il Re in prima persona avesse vissuto ogni singola storia, ogni singolo personaggio in ogni sua singola sfumatura: una corte alla quale si apprestano ad arrivare ombre, misteri, streghe e demoni, incanalati in un flusso ineccepibile di invettiva e genialità. Musica e letteratura si sorreggono vicendevolmente, andando a costituire una realtà immaginaria, ma viva, lucente, pungente e luccicante. Perché questo lavoro possa essere apprezzato a dovere, è necessario ascoltarlo in ogni sua molecola trasudante genialità ed eleganza, al fine di rendere omaggio a elementi che hanno dato la vita per avere la possibilità di divenire frutti dell'arte. In primo luogo alla povera Jeanne, costretta a diventar strega, avvolta tra le fiamme di un rogo retrogrado e barbaro, per poter essere ascoltata: ci insegna l'importanza della parola, in grado di maledire e creare demoni che poi sì, prendono vita. Alla povera bambina che ha visto la morte a causa di chi non si è trattenuto dal proprio desiderio di potenza , a Madeleine per aver cercato rifugio nel luogo sbagliato e al bambino sacrificato come Cristo in croce. E infine a lei, vera protagonista di questo lavoro, talmente potente da averlo forgiato nel proprio sentimento così puro e vitale: la collana, The Eye, un concentrato di vita materiale e immateriale, talmente spesso da poter uccidere. A tutti voi grazie, per averci resi partecipi di uno spettacolo raccapricciante, ma eseguito in maniera talmente celestiale, da non averci permesso per un solo istante, di distogliere lo sguardo dallo schermo delle nostre menti e da quella di King Diamond.


1) Eye of the Witch
2) The Trial (Chambre Ardente)
3) Burn
4) Two Little Girls
5) Into The Convent
6) Father Picard
7) Behind These Walls
8) The Meetings
9) Insanity
10) 1642 Imprisonment
11) The Curse

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