KING DIAMOND

House of God

2000 - Metal Blade

A CURA DI
ELEONORA STEVA VAIANA
09/09/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Kim Bendix Petersen, in arte King Diamond, nel 2000 dà alla luce il bellissimo "House of God", nono album nella carriera solista del Re di Diamanti, senza contare la produzione Mercyful Fate. Uscito via Metal Blade, il lavoro vede la spettacolare presenza di un King Diamond più in forma che mai, affiancato dall'immancabile Andy LaRocque e da Glen Drover alle chitarre, David Harbour al basso e John Luke Herbert dietro alle pelli: la sensazione di avventurarsi nell'ascolto di una produzione kingdiamondiana è simile a quella che si ha quando si compra un libro nuovo. Di cosa ci parlerà, questa volta, il nostro Re? Quale sarà la storia narrata alla corte dei Diamanti? Di temi scottanti e molto attuali, nonostante scovino le loro origini nell'alba dei tempi: il protagonista è Gesù Cristo in un confronto dove la sua essenza puramente umana si mette a nudo di fronte all'essenza divina e al dolore terreno. A osservarci direttamente dall'artwork un volto temibile, mostruoso, con denti affilati e occhi chiusi forzatamente da una brutale cucitura: la particolarità del mostro è di avere una corona di spine in testa e una mano in primo piano che avvolge il logo della band. Sembra emergere da una mostruosa tela in pelle umana, cucita da una mano esperta ma poco empatica: una nota di merito anche al booklet, dove non si trovano soltanto le classiche liriche trattate dai singoli brani. Sono presenti citazioni e particolari molto inquietanti relativi alle tematiche e alle storie narrate nel lavoro, che riguardano un po' il concetto dietro alla storia portante del disco. "House of God" nasce da una storia vera tramandata direttamente al Re, talmente difficile da accettare da aver bisogno di uno scambio di nomi dei personaggi in scena e dei luoghi di passaggio. Come vedremo attraverso l'analisi delle tredici tracce che compongono la tracklist del lavoro, non tutto, però, è frutto della vivace fantasia del nostro caro Re di Diamanti: la particolarità di questo lavoro è di seguire un po' il filone del precedente "Voodoo", il quale già univa storia e mito appartenenti alla cultura della Lousiana. In questo caso, King Diamond decide di attingere a teorie e storie che hanno affrontato e trattato studiosi (o presunti tali), ma anche registi e scrittori più o meno noti. Attinge alla storia, alla cultura, a quell'alone di mistero che da sempre si aggira su tutto ciò che concerne la sfera spirituale appartenente all'umanità dai tempi dei tempi: eh già, qui si parla di Gesù, ma si aprono varchi praticamente illimitati, si palesano domande del tutto lecite, frutto di quella luciferina voglia di conoscere, sapere e scoprire quanto più possibile di una singola, miserabile, infernale vita.

Upon the Cross

E' "Upon the Cross" ad aprire le danze su questo lavoro del Re, avviando la breve traccia introduttiva con dei colpi riverberati di grancassa ai quali si vanno a unire dei cori tetri e assolutamente inquietanti, sui quali trionfa una voce demoniaca e cavernosa. Un contraccambio rituale di botta e risposta tra la voce e il coro, nel quale spunta una sonorità acutissima che spicca su tutte, trascinandosi in un lamento assordante e dissonante conclusivo. Il brevissimo testo ci parla, in rima baciata, di colui che sulla croce non morì, fu torturato, sì, ma sopravvisse ed entrò di nascosto nel sud della Francia, per cercare della tranquillità: qui sposò Maddalena e fondò un'altra dinastia, fu costruita una chiesa sulla cima di una collina, creata per servire la volontà degli dei. È chiaro di chi stiamo parlando, del Salvatore dell'umanità, di Gesù, descritto in una veste discordante dalla tradizionale visione biblica: non più resurrezione, ma sopravvivenza. In un contesto dove umanità e divinità continuano a rimanere fuse, dato che nonostante le torture il figlio di Dio è comunque riuscito a sopravvivere, si fa spazio la teoria della Linea di sangue di Gesù, secondo la quale Gesù avrebbe avuto dei figli con Maddalena (o con un'altra donna, è indifferente): tra le varie versioni, il libro "The Holy Blood and the Holy Grail" di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, delinea l'ipotesi che Gesù fosse fuggito nel sud della Francia, dando vita alle linee di sangue dei Re e delle Regine del mondo occidentale. La teoria si basa su un'analisi biblica, su leggende e antiche nozioni esoteriche che, negli ultimi anni, hanno visto una vera e propria esplosione di consensi e curiosità, grazie anche al famosissimo libro - trasportato successivamente su pellicola - "Il Codice da Vinci", di Dan Brown. 

The Trees Have Eyes

Ritornando a "House of God", è "The Trees Have Eyes" a proseguire la tracklist dell'album: una traccia che si presenta con un meraviglioso riff dinamico e ricco di tensione, sul quale, finalmente, arriva potente e arrogante la voce del Re. Classiche soluzioni kingdiamondiane ci portano verso un ritornello aperto, trionfale e orecchiabile, fatto di ritmiche spedite e controcanti acutissimi. La strofa si ripresenta subito in tutta la sua meravigliosa tensione, la pelle si accappona all'ascolto di quei saliscendi di tonalità, mentre le pelli continuano a rimanere infuocate di una bestialità furiosa. Al secondo ritornello la traccia cambia veste, introducendo al bridge che si propone più morbido, grazie al cambio di mood delle chitarre, ma anche più teso, grazie, in questo caso, alla scelta degli accordi: il Re ci delizia con la sua voce, che copre il suo classico range, per poi farsi da parte e lasciare spazio all'assolo di chitarra. Uno stacco contraddistinto dalla presenza di ululati introduce una situazione molto più inquietante, onirica ma stranamente terrificante, con saliscendi ritmici e proggeggianti in successione. Stacchi ritmici, impennate e scale di accordi, ci riportano direttamente al ritornello, una ventata di aria familiare, che lascia spazio a un ultimo breve solo che conclude il pezzo. Si parla del momento del viaggio, avvenuto durante la notte e attraverso un passo di montagna boscoso: il viandante e il suo cavallo sono molto stanchi, protetti dall'occhio vigile della luna la quale, grazie al proprio bagliore, è in grado di squarciare la legge dell'oscurità che trionfa d'intorno. Gli alberi sono altissimi, sono strani, "Il nascondiglio del diavolo", si chiama quel posto, e proprio quei lunghi arbusti hanno gli occhi. La strada, seppur familiare, è molto differente agli occhi del viaggiatore, non c'è più il sentiero, la sensazione di perdita della bussola, la sensazione di essere osservato: in questo scenario da brivido, un ululato, sempre più potente e terrificante. Un lupo, lì, con gli occhi gialli, un lupo e la convinzione di doversi preparare alla morte. Lei era lì, in un alone di luce, in nero, bianco e argento, con gli occhi blu immersi in quelli del protagonista che, dichiara, non ha mai visto niente di più bello prima d'ora.

Follow The Wolf

"Follow The Wolf", nonostante il titolo (Segui il lupo) si presenta con un arpeggio di chitarra molto angelico e la voce del Re che inspessisce l'atmosfera, lasciando spazio a tutti gli strumenti di fare la propria comparsa. Uno stacco ed ecco che il pezzo si mostra in tutta la sua bestialità seducente e sorretta principalmente dai saliscendi vocali di King Diamond: acuti, voci gracchianti basse, sempre molto ricche di riverbero per suonare cavernose, ma altrettanto auliche, quasi. Ottimo il supporto ritmico e musicale fornito da basso, batteria e chitarre, che si attorcigliano fino a formare splendidi passaggi tra una strofa e l'altra, caratterizzate dalla sensazione predominante di qualcosa che deve accadere. Troviamo uno stacco che provoca il silenzio, interrotto dal ritorno in scena di quell'arpeggio iniziale seducente come il canto di una sirena, questa volta il basso si fa sentire mentre il Re continua a deliziarci con le sue impersonificazioni, che conducono verso un baratro corposo e colmo di vortici chitarristici che esplodono in un magistrale solo. Il tempo di orientarci, che tornano strofa e ritornello, con tutti i piccoli passaggi di batteria intensi e prepotenti, portandoci di nuovo verso un solo di chitarra seguito da lamenti vocali e da una situazione di tensione esasperata, dove la follia e il terrore si fanno spazio tra una plettrata e un tocco fugace dietro alle pelli. È mattino, il protagonista si sente in procinto di concludere la propria vita: tuttavia si rende conto, sorprendentemente, di essere ancora in presenza di quel lupo angelico, che senza pronunciare una parola lo invitava a seguirlo. Come un automa, il protagonista decide di seguirlo lungo la montagna, in cima alla quale la bestia si ferma improvvisamente: un uomo e un lupo, due figure in silhouette su un panorama indimenticabile. Da lassù riesce a vedere il villaggio, distante dal punto in cui si trova: deve seguire il lupo fino alla fine, fino alla casa di Dio. Una chiesa insolita agli occhi di quello spettatore incantato, sulla cui porta si può leggere "Questo luogo è terribile": la necessità di commettere un peccato inizia a palesarsi, insieme a una rete di pensieri insani avvolti da una luce piuttosto cupa. Dio è mai stato lì? E se c'è stato, è scappato in preda alla paura?

House of God

Vediamo se la successiva "House of God" ci dà una risposta esaustiva: il protagonista è entrato, trovandosi sorprendentemente di fronte a un luogo non decadente quanto la facciata esterna. Una bellezza gloriosa interna, non in grado, tuttavia, di far scomparire quella sensazione di orrore cosmico avvertito a causa della situazione: vedendo il lupo cambiare d'aspetto, il protagonista afferra un crocefisso d'argento pensando, da un momento all'altro, di doversi trovare faccia a faccia con il male. Ma, alla visione della bellezza di quella donna trasformatasi dal lupo, talmente bella da poter essere solo un sogno, il crocefisso cade: "Ti amerò per sempre, non lasciarmi mai". È amore a prima vista e nell'amore non c'è mai niente di giusto o di sbagliato: non gli interessa più di sapere nient'altro se non il suo nome, Angel, e di strapparle un bacio conscio di non essere più solo. Una notte di peccati, una notte d'amore, trovato proprio nella casa di Dio: con cibo e vino, banchettano al trionfo di questo amore, provando una passione unica e sconvolgente esattamente nel luogo più sacro che possa esserci. E alla fine una domanda enigmatica: Angel, dove sei adesso? Musicalmente il riff iniziale ci presenta una situazione intensa dal punto di vista emotivo, semplicemente meraviglioso e ricco di tensione commovente. Con un bel giro di organo piuttosto inquietante di sottofondo, si fa spazio la strofa, serrata dal punto di vista sia ritmico che chitarristico: la voce del Re ci offre un ventaglio di tutte le sue interpretazioni timbriche più classiche, perfettamente calibrate e in grado di caricare la situazione fino allo special, ancora più teso ed energico. Il ritornello ripercorre la strada melodica iniziale, intensificandosi, però, dal punto di vista vocale: cori, variazioni di intensità, e un successivo solo di chitarra da brividi. Colonna portante dell'intera struttura, l'organo di sottofondo che non si lascia intimorire, se non dall'ispessimento generico che si presenta alla comparsa del secondo solo di chitarra e che prosegue sottolineando una sensazione di benessere e inquietudine al contempo. Terzo solo, sempre più vorticoso, e un walzer di accordi tesi e intensi che procurano la ricomparsa dello special e, successivamente, del ritornello: una pioggia di brividi è più che normale, ve lo assicuro. Quella successione di accordi, seppure molto semplice, è perfetta per creare una sensazione dove l'amore e la paura, la follia, l'insensato, stanno a braccetto, trovando l'apice con la voce del Re che chiama disperatamente la sua Angel. Il solo finale sottolinea questa sensazione di tormento, di perdita totale di tutto ciò per cui il protagonista aveva osato, finendo in un sadico sfumato che lascia la porta aperta sulla sua ricerca spasmodica.

Black Devil

La tensione vibrante che ci assale nel riff iniziale di "Black Devil" non promette niente di buono: dinamiche fin da subito spedite e che non lasciano il tempo di respirare, una sei corde predominante che non accenna a cambiare neppure alla comparsa della voce molto bassa e piuttosto aspra, che non fa una piega neppure allo stacco ritmico che le si presenta dinnanzi. Prosegue anche alla richiesta di aiuto invocata dalla voce del Re, per poi lasciarsi andare in un arrogante riff che va a costituire la seconda parte della strofa: in questo contesto la voce si fa più intrigante ed è pronta a cambiarsi d'abito per impersonare nel modo migliore la sensazione e il mood generale. Il ritornello, fugace e sulle tonalità della strofa appena ascoltata, lascia successivamente spazio a un solo acuto e piuttosto altezzoso, e siamo pronti a ripartire di nuovo, dall'inizio: tutti gli elementi già incontrati sino ad ora si ripetono, torna il riff inarrestabile di chitarra, che non si ferma di fronte a nulla, torna il cambio a metà strofa della musicalità e della ritmica generale, torna il ritornello intenso e sfacciato. Un breve stacco e si presenta un altro bridge, molto più teso sia dal punto di vista ritmico che musicale, con la voce del Re che non tarda a comparire in un falsetto pieno di riverbero direttamente dall'Oltremondo. Con la ricomparsa del ritornello e del bridge appena ascoltato, ci avviciniamo verso un solo caotico e che incute una paura energica, che trova il suo apice in una situazione finale veloce e intensa, fugace e brevissima, che conclude il pezzo. Si parla di un piccolo uomo seduto all'altare, un Diavolo Nero al quale il protagonista chiede aiuto, chiede di sapere, dato che non sa che sta succedendo: è il mattino del settimo giorno, il sole si fa vedere sbucando da una finestra posta in alto, al Diavolo Nero chiede di spiegargli cosa vede, cosa sa, senza ricevere risposta. Guardandosi intorno, nella chiesa, vede cose che non sarebbero mai dovute esistere, come per esempio due pulpiti. Uno rivolto verso sinistra, l'altro verso destra, da un lato un baldacchino con dei gargoyl, dall'altro dei demoni che si divertono: la domanda finale del protagonista rivolta al Diavolo Nero è diversa, posso sentire che odi la mia anima [?], Diavolo Nero cosa sta succedendo?

The Pact

Si prosegue con la successiva "The Pact", iniziata da un riff molto energico e sospeso che non perde l'occasione di accogliere la voce di King. Un dispiegamento molto fluido che carica la situazione, grazie al turbinio di basso e batteria, conducendo al meraviglioso ritornello ricco di emozioni e teatrale al massimo: le voci del Re si cambiano d'abito tra una battuta e l'altra, introducendo un primo solo di chitarra intervallato a un secondo che fa la sua comparsa dopo un breve cambio di scenario. Il secondo solo, modulato e vorticoso, riporta direttamente alla strofa, in cui la voce di King Diamond suona più sporcata e intensificata. Special e ritornello, di nuovo pronti a dimostrare la propria ricchezza e bellezza spigolosa, e poi un bridge più vuoto e ritmato: la voce del Re è una costante che continua ad alternare parlato e cantato, per poi sopravvivere in una timida eco mentre al giro di chitarra, basso e batteria si uniscono i rintocchi di una tastiera onirica. Torna in scena, di nuovo, il magnifico ritornello che a ogni ascolto suona sempre più intenso, ricco di segreti e misteri. Ci troviamo in uno scenario autunnale, con le foglie che cadono dagli alberi e un cielo plumbeo pronto a scaricare le sue lacrime sul mondo: nel confessionale Angel e il protagonista stanno facendo dei giochi, lui si comporta da prete, lei è la peccatrice dei suoi sogni. Sogni che, però, si stanno tramutando in incubi: il volto della bellissima ragazza si trasforma, il suo sorriso scompare e le sue labbra pronunciano la frase "Niente, niente è per sempre" aggiungendo che in quel posto sono tante le cose sbagliate e che le hanno procurato una vita di paura. Un anno prima Angel ha firmato un patto sacro e se lui la ama, dovrà fare altrettanto: il patto è potente, non lascia via di scampo a meno che, entro un anno, qualcun altro lo firmi col sangue. Deve essere qualcuno da portare in quella chiesa maledetta, un altro lupo che faccia da guida su quella collina: se lui lo firmasse subito, la ragazza sarebbe libera di andare, senza più memoria, senza più essere un lupo ma solo una donna. Se non lo facesse morirebbe dopo sette giorni, di fronte ai suoi occhi. Se lo firmerà sarà costretto a rimanere nella chiesa, che potrà lasciare solo nelle vesti di lupo.

Goodbye

"Ora lo sto firmando per te", sono le ultime parole prima di "Goodbye". Meno di due minuti di brano, introdotti da un giro molto melodico ma altrettanto terribile, reso tale dagli strani giochi intrattenuti dagli strumenti che suonano come se fossero in un'altra dimensione: la voce del Re suona naturale, accompagnata da qualche coro qua e là. Una sorta di requiem ripetitivo, lamentoso, tormentato, che si intensifica al passare di ogni secondo e di ogni battuta: sono le voci le vere protagoniste della situazione, che suona quasi come un outro, se non fosse per quella conclusione sospesa che si porta appresso un sacco di domande. Tante lacrime e la necessità di spostare lo sguardo da un'altra parte, un cuore e un'anima distrutti per liberarne un'altra alla quale augura tutto il meglio, invitandola ad andarsene via verso una vita migliore: parole incorniciate perfettamente da una musicalità azzeccata, commovente e ricca di passione.

Just a Shadow

Potente ed energica, "Just a Shadow" contrasta con la dolcezza e la malinconia della traccia che la precede: l'inizio è estremamente dinamico, molto teso, una sensazione ricalcata sia dagli strumenti che dalla voce del Re. Tra acuti e tonalità più basse, la canzone si evolve arricchendosi di punti di tensione che sfociano in brevi risoluzioni, per poi immergersi, di nuovo, in un circolo vizioso simile che conduce al ritornello, dove viene adottata una soluzione ritmica simile a quella dello special di "Blue Eyes", traccia del successivo "The Puppet Master" (2003). Una pioggia di note cade dal cielo kingdiamondiano squarciato da un solo energico e fulmineo: un botta e risposta rapido tra voce e chitarra, e di nuovo un altro solo. Si riprendono in mano gli elementi già incontrati fino a questo momento e compare un solo nuovo, più tranquillo inizialmente, ma che non tarda a trovare l'energia necessaria per vorticare. King Diamond e i suoi si fiondano in un nuovo ritornello, pronto a inserirsi in un'ultima, finale strofa che conclude il brano. Il protagonista è solo mentre osserva il vino cadere nel bicchiere, vino che non potrà condividere con nessuno: una vita di tristezza e oscurità illuminata solo da una candela nera, mentre se ne sta lì, seduto durante la notte e immerso in un gelo interiore distrutto dalla memoria di Angel. È soltanto un'ombra, ormai, un'ombra di un uomo, osservato dagli occhi delle statue presenti nella chiesa: non è vivo, ma non è neppure morto, si trova esattamente nel mezzo e in un mondo invisibile. Prova a ricordare ciò che era un tempo e si rende conto di non avere la più pallida idea di cosa gli riserverà il domani: se la vita è così divina, perché lui deve soffrire così tanto? Ha dovuto trascorrere una vita di odio e dolore, pronti a ripetersi giorno dopo giorno: sono esattamente questi i motivi per cui si è lasciato il passato alle spalle, eppure è tornato a provare esattamente le stesse cose, sopo perché l'amore lo ha reso cieco.

Help

"Help!!!" si presenta nel modo più terribile possibile, con un loop elettronico e un rumore di lame che si affilano: il riff che inizia il pezzo vero e proprio ci propone immediatamente il ritornello, con una voce del Re molto incupita. La strofa, aperta e melodica, suona piuttosto strana, risultando uno spiraglio di luce inaspettato in un mondo di ombre, paura e follia: un brevissimo special molto più inquietante, due nuove battute di strofa e si ripresenta il ritornello. Il mood generico del pezzo è molto sensuale, sfacciato per certi versi e assolutamente godibile da ogni punto di vista. Si dispiega in maniera molto fluida, aggiungendo un tocco più heavy dettato dalle chitarre, che diventano protagoniste indiscusse nella seconda parte della traccia, esattamente a partire dalla metà del brano: se la voce del Re era inizialmente incupita, adesso si lascia andare alla maestria del falsetto pazzoide che da sempre lo contraddistingue. Un pezzo classicone, di quelli facili da ascoltare e talmente additivi da richiederne l'ascolto ripetuto, dove le chitarre e il basso non perdono l'occasione di riproporre in maniera ossessiva il riff del ritornello: sul finale si aggiunge la voce di King Diamond, sempre più in preda agli spasmi della follia, sempre più acuta, sempre più pungente e terrorizzata. Con un urlo finale e il rumore di vetri in frantumi, questa bellissima traccia si conclude, lasciandoci con la eco del grido disperato di aiuto del protagonista e con tutto il suo tormento: sta impazzendo, non sa più se sia vivo o morto. Vede il sole, è trascorso un altro giorno, ma ormai, nella sua esistenza, non fa più la differenza, quando l'unica amica al proprio fianco è la solitudine e gli specchi appesi alle mura di quella chiesa non perdono l'occasione di mostrare l'infelicità che si prende un'altra porzione di vita-non vita. Aspetta solo la sua ultima ora, condannato a non essere mai più libero, ma maledetto per l'eternità: si rivolge a colui che sta tra le ombre, che sia esso Satana o Dio, accusandolo di averlo maledetto col marchio del Diavolo. Arriva al punto di distruggere quegli specchi sulle mura, prima che distruggano definitivamente la sua anima, ma così facendo finisce per ritrovarsi a terra, da solo, sanguinante, consapevole di non riuscire più ad andare avanti.

Passage to Hell

"Passage to Hell", per quanto breve in durata (2 minuti appena) si mostra sin dal titolo come la più terribile delle condanne per quell'anima tormentata, in fin dei conti, per colpa dell'amore: inizia con il rumore ferroso di un portone aperto da delle catene rugginose, presumibilmente, al quale fa seguito un accordo dissonante di tastiera, una gran cassa rituale e il suono tormentoso e diabolico di una sorta di carillon. Accordi sempre più inquietanti, una voce che suona completamente divorata dalla follia, alla quale fanno eco le sei corde, una situazione che si carica di tensione in continuazione: torna alla mente "Voodoo", title track del precedente (splendido) lavoro rilasciato da King Diamond nel 1998, un rimando inevitabile all'ascolto della linea vocale. La paura nella voce del Re sottoscrive perfettamente la situazione, grazie anche alla comparsa improvvisa di cori e grida provenienti da un mondo di dolore: un suono iniziale, il protagonista si guarda intorno rendendosi subito conto che qualcosa si è spostato. C'è una sorta di voragine diretta verso l'oscurità sul pavimento, esattamente dove sorgeva l'altare: nonostante il sangue e il dolore alle braccia causato dai vetri deve entrare là dentro, deve valicare quel passo verso l'inferno. Qualcuno suona una campana, ma c'è soltanto lui: una voce, proveniente da quel buco sul pavimento, un odore di antiquato e vecchio, delle scale a malapena visibili che attirano inevitabilmente i passi di un uomo pronto a scendere.

Catacomb

Il racconto, troncato di netto, prosegue con "Catacomb", dove troviamo il protagonista diretto verso il buio, armato solo di una candela. Sul pavimento trova incisi dei messaggi molto criptici, oltre ai topi e ai ragni che gli passeggiano sul volto. Ci sono ombre alte che si muovono, come se camminassero sui muri, mentre la presenza viva della paura inizia a farsi sentire sempre più vicina, delle ossa umane compaiono rinchiuse in piccole stanze: una catacomba, dove la morte vince la vita. Si chiede se deve morire, quando vede una luce proveniente da un'altra stanza con un fiammifero. La Vergine Maria è là, in piedi e in forma di statua di legno appesa al muro, con la faccia distrutta dagli anni che sono trascorsi: è una statua o forse una mummia? Avvicinandosi, riesce a scorgere le bende che cadono, mostrando una faccia secca e terribile, vede anche la corona di spine che porta in testa: Gesù Cristo, cosa hai fatto a te stesso? Sta correndo e scappando per salvare la sua vita e lasciarsi alle spalle la notte, ma è difficile anche respirare ormai, considerato anche che l'olezzo inizia a essere troppo laggiù. Invoca l'aiuto di Satana, invoca l'aiuto di Dio: è pronto ad accogliere chiunque ascolti i suoi tormenti e improvvisamente gli è chiaro che quella catacomba lo aspettava per donargli, quasi, la morte. Musicalmente parlando l'adrenalina è avvertibile sin dagli accordi scelti per creare la situazione iniziale, una bella strofa caratterizzata da dinamiche leggere e chitarre dissonanti, che aleggiano nell'aria come spiriti, viene stroncata da un grido del Re. La situazione si gonfia con uptempo che creano la situazione, esplodendo in un ritornello meravigliosamente introdotto da un'impennata melodica davvero di grandissimo effetto. La discesa nell'oscurità del povero cristo prosegue, ripetendosi, ciclicamente, con la comparsa di strofa e uptempo, special che, tuttavia, anziché portare al ritornello, porta a un cambio generico della situazione: tutto si fa molto più terribile, il fiato inizia a mancare, mentre le sei corde trovano lo spazio ideale per lanciarsi in una danza spasmodica di tasti. Ritorna in scena la voce del re, lo special che carica, carica, carica e ci lascia nell'estasi del ritornello tanto atteso, al quale segue una situazione molto più dinamica, veloce e drammatica, evocata da sei corde, basso, batteria e tastiera.

This Place is Terrible

Un crescendo continuo che si conclude con la tranquillità di un silenzio atteso e temuto, considerato soprattutto il titolo della traccia successiva: "This Place is Terrible". Con la comparsa del riff iniziale, che disegna subito uno scenario di compassione e tensione, cominciamo a provare una specie di pena per il povero Gesù, colpevole solo di aver seguito l'amore, colpevole solo di aver seguito la sua indole di voler fare del bene a tutti i costi, immolandosi, anche dopo essere sfuggito a una crocifissione, a salvatore. Con stacchi ritmici molto cadenzati, il pezzo dispiega un ventaglio di accordi molto piacevoli e tinti di un velo di lacrime, finché non compare la voce del Re. Cattiva, spossata, combattente e al limite con la pazzia più totale: la strofa si presenta molto intensa dal punto di vista musicale e vocale, non perde occasione di sottolineare la pesantezza della situazione accompagnandola con un'attitudine molto snervata. Un botta e risposta diabolico apre la strada a una situazione nuova, ancor più tesa e destinata a non trovare una soluzione armonica: le chitarre si animano suonando in maniera spiritica, quasi, sembrano ombre che vagano in uno spazio maledetto, mentre il pezzo non lascia modo di trovare un attimo di pausa. Nuovo scenario, introdotto da un breve passaggio ritmico e strumentale, più dinamico dal punto di vista ritmico e sempre molto teso da quello musicale, che si evolve portando direttamente a un solo che, questa volta, lascia una sorta di sensazione piacevole, non più interrotta a mezz'aria tra questo e un altro mondo. Gli stacchi non demordono, continuano a rendere la situazione carica e tesa, mentre l'evoluzione stilistica procede in una direzione furiosa e bestiale che promette bene (per noi, un po' meno per il protagonista): un bellissimo crescendo armonico conduce all'ennesimo solo, che scambia la propria scena con la voce che inizia a diventare sempre più dolorosa, tormentata, e conclude la sua esistenza con un grido di dolore e il rumore di una gola soffocata. Il protagonista è nuovamente in chiesa, avvolto dalla notte, continua però ad avvertire il suono del vento proveniente dalla catacomba: dal buco sul pavimento emerge una luce accecante, che avvolge tutto lo spazio, portandosi appresso facce e corpi contorti. Ormai non ha più paura di morire, ha paura, bensì, di sapere quale sia la verità. Sei entrato dove gli umani non devono andare, hai visto la bugia, la bugia della croce. Quell'entità fluttuante e luminosa inizia a spiegare di essere l'altissimo, non uno, ma unico seppur molteplice e dà la tremenda notizia, al protagonista, che non sarà mai messo a conoscenza di quel grande perché: perché colui che non è morto sulla croce è stato fatto prigioniero di quella chiesa? Per tenerlo lontano da Dio? Per non farlo mai più tornare a camminare sulla vita? O forse per metterlo in salvo, per evitare che facesse di nuovo quel che ha fatto in passato? Prosegue rivelando che Dio e Satana non sono altro che pupazzi che stanno alle loro corde, utili per creare conflitti nelle menti degli uomini e, di conseguenza, per nutrirli. Non conta cosa o chi creda che siano, conta solo che sappia che sono Dio e il Diavolo, il buono e il cattivo, questo e molto altro ancora. Quell'entità molteplice conclude dicendogli di vivere al meglio questa vita, lasciando tutto il resto nelle mani loro. Il protagonista risponde dicendo che non può farlo, non vuole essere lui a dover nutrire un dio sconosciuto, ma gli consiglia di rivelarsi all'umanità spiegandogli il significato del caos, il significato di questa vita infernale e terrena. Vuole solo la pace mentale e forse inizia a rendersi conto di come ottenerla: sale per le scale grigie di pietra, nella torre dell'inferno, con una corda in mano e alla ricerca della terra sconosciuta. Conclude pronunciando le parole Padre dell'universo, Padre, sto arrivando: questo posto è terribile.

Peace of Mind

Il disco si conclude con la bellissima traccia strumentale "Peace of Mind", introdotta da un arpeggio molto bello e commovente: il requiem per un'anima tormentata per essersi resa conto che la terra è un luogo infernale, sostenuto da chitarre morbide e da accordi molto emozionali. Il pezzo si apre con l'ingresso della batteria, che dà colpi lievi dietro alle pelli creando una situazione molto oltremondana: la pace che ha cercato finalmente è arrivata, con un po' di malinconia, tristezza, ma con tanta luminosità. O forse no? Le ultime note e frequenze basse rimettono, per un attimo, le carte mescolate su un tavolo di incertezze, che non è mai stato così tanto umano.

Conclusioni

"House of God" è un disco piacevole da ascoltare e riascoltare caratterizzato da una serie di saliscendi emotivi davvero degni di nota. Il Re e i suoi prodi ci sanno fare, sanno crearle ad hoc quelle situazioni in cui non puoi far altro che immergerti, anima e corpo, per cinquanta minuti circa. Sanno farci affezionare ai personaggi, agli scenari, sanno scatenare quella curiosità propria di chi si sente un po' pioniere della vita, fatta di certezze ma soprattutto di incertezze: la vita che vivono i personaggi di King Diamond non è mai troppo semplice, anzi. Se a qualcuno piacciono le storie che non finiscono bene, allora questo è l'artista giusto e poliedrico: poliedrico perché dietro a ogni lavoro non si trovano solo ottime soluzioni ritmiche, melodiche, armoniche o vocali, bensì uno studio complesso e ben definito della psicologia del personaggio. Si tratta di un lavoro che ritroviamo nella letteratura e nel cinema, ma che con King Diamond viene trasportato alla perfezione anche in musica: si fanno propri i mezzi di altri metodi di comunicazione, riassumendoli in quello con l'essenza più difficile da cogliere, che piace perché sa toccare l'anima con due tasti di chitarra toccati al momento giusto e nel modo giusto. La ricerca kingdiamondiana che sta dietro alle sue storie ha subito una crescita esponenziale nel corso degli album: partendo già da un'ottima base solida e volitiva, prosegue attingendo non solo alla fantasia, ma anche alle teorie proprie di questo mondo che sì, è un po' un inferno terrestre. Troviamo, infatti, la teoria della Linea di sangue di Gesù ma anche la leggendaria formula Terribilis Est Locus Iste ("Questo luogo è terribile" anche se la traduzione corretta sarebbe "Questo luogo incute rispetto"), presente sul portale della chiesa di Santa Maria Maddalena di Rennes-le-Château: la frase, tratta da un versetto biblico, rimanda alla visione di Giacobbe della scala che portava al cielo (Genesi, 28; 17) e si trova inscritta su molti edifici religiosi presenti anche in tutta Italia. Gli elementi che formano una leggenda sono, generalmente, mitici e storici, contrapposti e abbracciati l'uno con l'altro: cos'altro non fa, qui, il nostro Re se non creare una leggenda? Un Gesù Cristo che sopravvive al supplizio della croce raggiungendo la Francia, dove trova l'amore in una donna-lupo. Un Gesù Cristo umano, ma infinitamente buono, come viene descritto nella Bibbia, pronto a immolarsi per il prossimo che quindi decide di sottoscrivere un patto di sangue e prendersi il dolore di un'altra anima facendolo proprio. Una Passione rivisitata, che avviene in una catacomba mostruosa, tra mummie ed entità misteriose, e che si conclude nel peggiore dei modi per un perfetto cristiano: con il suicidio. Cos'altro non è, questa, se non una leggenda creata dall'unione delle teorie mitiche moderne con fatti storici appurati da una chiesa posta sui Pirenei francesi? Gesù, in "House of God", si rende conto che questo mondo, quello che stava per salvare dalla disperazione e dal caos offrendo la propria vita sulla croce, è un inferno. Forse è l'inferno più simile alla descrizione che se ne fa nei testi Sacri, sicuramente, per chi vive nel tormento, è l'unico inferno esistente e immaginabile di tutto l'universo e di tutta la realtà: il legame con il Padre dell'Universo rimane inscindibile, o forse risulta essere una mera illusione persino per chi dovrebbe essere il figlio. Già: in questo lavoro vediamo un Gesù come non lo avevamo mai visto, pronto a rinunciare alla sua vita non per il bene degli altri, ma solo per il bene di se stesso. Riposa in Pace, Gesù, ora che hai trovato la tua pace.

1) Upon the Cross
2) The Trees Have Eyes
3) Follow The Wolf
4) House of God
5) Black Devil
6) The Pact
7) Goodbye
8) Just a Shadow
9) Help
10) Passage to Hell
11) Catacomb
12) This Place is Terrible
13) Peace of Mind
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