KING DIAMOND
Abigail II: The Revenge
2002 - Metal Blade Records
ELEONORA STEVA VAIANA
16/11/2015
Introduzione recensione
Il 2002 è stato l'anno in cui King Diamond ha portato alla luce, assieme ai suoi prodi vassalli, la conclusione di una storia drammatica, misteriosa e molto articolata: la storia di Abigail con "Abigail II: The Revenge". Il capitolo precedente, risalente al 1987, fu un album estremamente apprezzato per l'originalità, la qualità e la concezione che stava dietro al concept. La storia raccontata in quel lavoro pubblicato via Roadrunner Records aveva come protagonisti Miriam Natias e Jonathan La'Fey, una giovane coppia che si era trasferita in una vecchia magione. Era il 1845 quando alcuni cavalieri li fermarono, consigliando loro caldamente di non trasferirsi, altrimenti il 18 sarebbe diventato 9: nonostante l'avvertimento decisero comunque di proseguire per la loro strada, ma la prima notte trascorsa nella nuova casa si fece ricordare, limpida e vivida. Jonathan incontrò lo spirito del Conte La'Fey, che indicò al giovane discendente una cassa da morto contenente il corpo di una bambina, Abigail. Lo informò anche del fatto che Miriam portava nel suo grembo lo spirito della piccola e che il bambino sarebbe rinato a breve: era necessario che Jonathan uccidesse Miriam per prevenire che tutto questo accadesse. La storia si ricollegava, così, a un fatto avvenuto il 7 luglio del 1777, giorno nel quale il Conte aveva scoperto che sua moglie lo aveva tradito e stava aspettando un figlio illegittimo: per porre rimedio al problema, se così si può dire, aveva gettato la Contessa di sotto dalle scale facendole rompere il collo, cosicché il bambino che aveva in grembo non potesse mai vedere la luce. Quel feto, chiamato Abigail, era mummificato e conservato in un sarcofago, ma il Conte non sapeva, con certezza, perché sentiva il bisogno di tenere quella cosa. Miriam era effettivamente incinta, lo scoprì all'improvviso insieme al fatto che quella cosa dentro di lei cresceva molto velocemente: Jonathan, impaurito, accusò così Abigail di aver posseduto sua moglie e quello spirito malefico, in effetti, lo ammise. In un momento di lucidità, però, Miriam chiese al marito di ucciderla buttandola dalle scale, proprio come aveva fatto il vecchio conte con la moglie fedifraga. La situazione, però, si ribaltò e fu Miriam, per volontà dello spirito che portava in grembo, a gettare il marito dalle scale: partorì ma morì dopo poco, arrivarono così i 7 cavalieri che scoprirono la bambina nel sarcofago, intenta a mangiare qualcosa di troppo terribile da menzionare - probabilmente il suo stesso corpo precedente - e la portarono in una cappella nascosta nella foresta. Una storia del genere, considerato soprattutto lo spirito di Abigail che sembra essere immortale o tenuto in vita da una specie di maledizione demoniaca, non poteva non avere un seguito: via Metal Blade Records, infatti, il Re ci regala il seguito di questa narrazione avvincente, degna di un romanzo, per un totale di 53 minuti di puro terrore. Ad accoglierci in questa nuova avventura, un artwork firmato Travis Smith che riporta tutti gli elementi più eclatanti e riassuntivi della vicenda: vediamo, infatti, una ragazza vestita di bianco, con i capelli neri, davanti a un cancello avvolto nella nebbia. Due i punti di luce: un lucernario in lontananza e una piccola lanterna in primo piano, sorretta da un piccolo corpicino che sembra essere quasi trasparente. La formazione, oltre a King Diamond, Andy LaRocque (chitarra, tastiere), Mike Wead (chitarra), Hal Patino (basso) e Matt Thompson (batteria), conta della presenza di Kol Marschall impegnato alle tastiere, agli archi e con il clavicembalo. A interpretare, invece, La Piccola troviamo la voce di Alyssa Biesenberger, classe 1993, che incise il disco del Re all'età di 7 anni. Una curiosità riguardante la storia, si collega con la figura di Brandon Henry, il maggiordomo del vecchio Conte presente in "Abigail II: The Revenge": sembra che il personaggio sia basato su un amico realmente esistente di King Diamond (che si chiama Brandon J. Henry), il quale fa da custode della sua casa durante i periodi di tour.
Spare This Life
Il sipario si apre con "Spare This Life" (Trad. Risparmia questa Vita), una brevissima intro in perfetto stile King Diamond, dove si spiegano alcuni punti salienti della storia in questione, senza svelare, però, troppo. Delle tetre tastiere si accompagnano a un ritmo scandito da rintocchi echeggianti, fluendo in una intensa danza durante la quale si susseguono accordi molto spettrali. La mesta sfilata si protende per quasi due minuti, incrementando il proprio spessore evocativo mediante un lieve crescendo di accordi progressivo: in tutto ciò si trova una costante spaventosa che domina la situazione già piuttosto inquietante. Una voce, distorta ed effettata, introduce la trama dell'intero concept: è di nuovo O' Brian il primo personaggio a essere nominato, a dire il vero è in effetti proprio lui il narratore. Si scopre subito che Abigail è la sorellastra del Cavaliere Nero, alla quale ha salvato la vita sul finale del primo capitolo di questa macabra storia. Ricorda di come tutti sappiano che il Bambino Demoniaco abbia lo spirito di Abigail dentro di sé, uno spirito né buono né cattivo: vuole soltanto fare quello che vuole, quindi che gli sia offerta questa vita, attraverso la quale sarà compiuta la vendetta e grazie alla quale Abigail potrà trovare la sua pace. A concludere l'intro, il tic-tac di un orologio immerso nel vuoto più totale, a dare quel tocco ansiogeno in più alla situazione complessiva, sulla quale si scagliano i tuoni di una tempesta in arrivo.
The Storm
Il pezzo successivo, "The Storm" (Trad. La Tempesta), è quello che effettivamente ci fa addentrare maggiormente nella storia: facendo una ricostruzione, ci troviamo nel 1863 e Abigail ha 18 anni. Sta camminando da sola nella foresta dove l'oscurità sembra viva, ha dunque lasciato la cappella dove i Cavalieri Neri l'hanno potuta salvare facendola crescere: una tempesta la sta seguendo, ma è una tempesta molto particolare che contiene un mostro dentro di sé, intento a rincorrere la ragazza. Terrorizzata, comincia a essere assalita da gocce di pioggia che le cadono sulla testa, una pioggia molto strana che si trasforma via via, divenendo di un rosso rubino molto acceso. Una magione potrebbe essere la sua salvezza, ne scorge la silhouette da lontano, nell'oscurità, mentre la pioggia continua a colpirla sempre più fitta: delle sbarre di ferro arrugginito la separano dal fantasma de la piccola, la prima Abigail morta nel 1777, che la invita a entrare pur sembrando non tanto uno spettro classico, quanto un corpo mummificato con una lanterna in mano. Ed è grazie proprio a quella lanterna che Abigail riesce a leggere il nome della persona che vive in quella casa. Conte de La Fey. Il riff che dà inizio alle danze è uno di quei calci nei denti che più o meno tutti hanno preso almeno una volta nella vita: "Abigail II: The Revenge" è, del resto, il seguito di uno degli album più riusciti del Re, e come ogni masterpiece che si rispetti, al momento che si ripropone con un sequel, merita almeno un ascolto. Nonostante i molteplici ascolti e riascolti, il riff introduttivo di "The Storm" è sempre un po' come un fulmine a ciel sereno, una di quelle mazzate chiodate che arrivano senza anticiparsi né annunciarsi in alcun modo. La voce del Re compare doppiata da ottave posizionate in coro, gettandosi subito a capofitto nella meravigliosa strofa elettrizzante e curata nei minimi particolari: tra tempi raddoppiati e voci grottesche, la costante delle sei corde permane dando vita all'intera situazione. Si staglia un primo solo, mentre la traccia prosegue nel suo corso, fulmineo e velocissimo che spezza le due strofe: la seconda si contorce riuscendo ad allungare le grinfie su un bellissimo bridge cadenzato, terreno fertile per un secondo solo. Ugualmente fulmineo, torna il Re in tutto il suo pathos, proponendoci una terza strofa questa volta più ricca dal punto di vista della linea vocale, che si estende delicatamente verso il ritornello: basato sul tema portante del pezzo, si caratterizza per le ritmiche differenti, più pacate e contenute, e per gli acuti classici del caro buon vecchio King che non stancano mai. In un sottofondo energico e dinamico, i vassalli del Re proseguono nel loro cammino, che incontra un nuovo solo acuto e molto piacevole, diretto verso un'intensificazione molto accentuata delle dinamiche generali della traccia: il ritornello conclude le danze, caratterizzandosi, però, per una rotta particolarmente cupa e inquietante, sottolineata dal sottovoce finale che pronuncia il nome del Conte de La Fey.
Mansion in Sorrow
"Mansion in Sorrow" (Trad. Magione nel Dolore) prosegue il lavoro, avanzando con un piede di guerra subito stagliato sul picchiare duro: un bel riff introduttivo di sei corde, sparato a mille su un tappeto ritmico molto sostenuto, si trasforma nella colonna portante del brano. Il Re spalanca la porta sulla scena pronunciando subito le parole riassuntive dell'intera traccia, Mansion in Sorrow, le quali, assieme alle cupe evoluzioni strumentali, rendono la situazione ancor più tetra: è molto insolito incontrare un brano la cui introduzione è costituita dal ritornello, dato che generalmente il primo elemento a trovarci di fronte è sempre la strofa. Ma siamo alla corte del Re di Diamanti, dove tutto può essere stravolto. Ed ecco che, al comparire della tanto attesa strofa, ci rendiamo conto di quanto in realtà suoni così familiare: la sua struttura melodica l'abbiamo già incontrata sulle prime battute di vita del pezzo in qualità di riff introduttivo. Le pelli, infuocate e infuriate, battono il tempo spedito e sul quale la voce del Re si impone, risultando l'elemento più esposto rispetto agli altri strumenti, che virano e si evolvono conducendoci, direttamente, nelle grinfie del ritornello. Gli acuti di King Diamond doppiano la sua voce acre e piuttosto acida, mentre strumentalmente non si notano elementi di spicco: un ritornello classico, piacevole e piuttosto aperto. Al grido di una voce malvagia e cupissima, si apre di nuovo il sipario sulla strofa, questa volta occupata da un bel solo di Mike, entusiasmante e coinvolgente, un perfetto filo conduttore piuttosto breve per spezzare e tornare di nuovo sul sentiero del ritornello. Il refrain della strofa si presenta identico, se non per la voce del Re che risulta più alta e impennata verso una pioggia di acuti doppiati da voci cavernose: la situazione si trasforma, ad annunciarlo ci pensa un doppio pedale a manetta e una serie di accordi piuttosto inquietanti che portano a un bridge dove, questa volta, a trionfare dietro alle sei corde si trova Andy. Il solo si fa estremamente elettrizzante, velocissimo e asfissiante, che apre la scena a una situazione del tutto differente: questa volta a farla da padrona non è più la tranquillità, ma al contrario, un'adrenalina incontrastata diretta da ritmiche estremamente serrate e da un Re sempre più folle, sempre più terrificante. La protagonista della song è la magione del Conte De La Fey, una magione nel dolore: i suoi cancelli erano in realtà chiusi dall'interno e Abigail, accortasene, era sicura di morire. La piccola, però, fa in modo che si aprano e prosegue salendo le scale, diretta verso la vecchia porta di quercia. Abigail, ancora sotto shock, si riprende a causa di un suono. Segue, così, la piccola che, nel frattempo, è scomparsa all'interno della Magione del Dolore. D'improvviso la porta si apre, sulla soglia un personaggio piuttosto inquietante, ovvero Brandon Henry, il quale le chiede dove sia stata. L'uomo è infatti il maggiordomo del Conte de La Fey, che invita Abigail a seguirlo all'interno di quella casa illuminata da candele nere e con un'aria piuttosto nebbiosa e molto strana: la conduce in una stanza molto simile a un santuario, con gioielli e vestiti molto altezzosi, sistemati in delle vetrine di ferro. Su quelle mura si contano in tutto 18 ritratti, mentre l'aria è pregna di un profumo molto antico: cosa c'è di inquietante in tutto ciò? Quasi niente, se non fosse per dei lunghi, neri capelli senza vita.
Miriam
La traccia successiva, "Miriam" ci svela qualche ulteriore dettaglio su questa avvincente storia: in una coltre di buio e oscurità, spezzata da un timido candelabro, Abigail sa di non essere sola in quel luogo. A parte il maggiordomo, c'è qualcun altro: la conferma arriva ben presto, tramite una voce che le chiede di avvicinarsi in modo da poter vedere il suo volto. Abigail, grazie alla luce del candelabro, riesce a distinguere la sagoma di una sedia a rotelle e chi vi siede sopra sta chiedendo alla giovane Oh Miriam, perché sei andata e sei morta? Il punto di vista si sposta, così, sul personaggio seduto sulla sedia a rotelle, che non può credere ai propri occhi: è come se Miriam fosse tornata dalla sua tomba, dato che la sua faccia è identica a quella della donna. L'individuo si presenta: è il Conte de La Fey, il quale, dunque, non era morto dopo che sua moglie Miriam, posseduta dallo spirito della prima Abigail, lo aveva buttato di sotto dalle scale. La ragazza pronuncia il suo nome e l'uomo le chiede se possa chiamarla Miriam: Abigail accetta, mentre l'uomo si rende conto della somiglianza della chioma corvina rispetto a quella di sua moglie. La invita a ritirarsi e riposarsi, cosa che lui stesso farà: una situazione tesissima e molto inquietante, specialmente considerando che il Conte sembrava spacciato alla fine del primo "Abigail". La traccia si apre con una terrificante tastiera tetrissima, alla quale fa seguito un bel riffone veramente coinvolgente e dalle ritmiche sostenute, la colonna portante della strofa: a dire il vero ha tutta l'aria di essere, in realtà, il ritornello, di nuovo, dell'intera composizione, nonostante la sua posizione in pole position. Al comparire della voce del Re, il riff si fa ancora più coinvolgente, grazie alla presenza di armonie molto cupe e in grado di dare un'ambientazione concisa alla musicalità. L'oscurità della situazione è evocata ancor meglio dalla successione di accordi della seconda parte di strofa-ritornello, con un Re in sordina, che canta come se fosse stremato, immedesimandosi nei panni di Abigail. Le pelli si incendiano donandoci un bel passaggio di batteria estremamente godereccio, in grado di tenere in sospeso la situazione che esplode, di nuovo, con il ritorno in scena del riff della strofa-ritornello. La situazione di tensione avvolge mente e anima quando il Conte chiede ad Abigail di avvicinarsi, ad accentuare le emozioni ci pensa una voce mostrificata di King Diamond, che sembra provenire direttamente dall'inferno: è la volta dell'Assolo, acutissimo e molto piacevole, poggiato su una base strumentale molto lineare costituita essenzialmente da una successione di accordi molto semplice. La situazione si protrae, al posto della sei corde si impone la voce del Re che dispiega il racconto alternando tra timbri differenti, mentre la canzone si evolve virando verso un'atmosfera molto più tranquilla ed emozionale uccisa da voci demoniache e dal successivo solo firmato LaRocque, breve e conciso. Torna la strofa, ancor più folle e in un crescendo verso una scala di pazzia assoluta: stop and go, voci distorte, il ritmo rituale e continuo di una batteria instancabile, un finale troncato di netto all'improvviso.
Little One
Direttamente da una cripta infestata dagli spiriti e dai pipistrelli, "Little One" (Trad. La Piccola) si presenta in tutto il suo maestoso terrore, pur apparendo come una traccia contenuta nelle ritmiche ed emotiva dal punto di vista musicale. La voce di una bambina molto piccola grida mamma (mommy) in lontananza, accompagnata da una eco che sa di ragnatele e panico: le chitarre pulite hanno un non so che di terrificante, quasi come se non dovessero starsene lì così calme e pacate, facendola sembrare la quiete prima della tempesta. Tra arpeggi e una bambina disperata, la situazione si fa diversa: le ritmiche assumono un aspetto molto più prog, con stop and go e un'aggressività amplificata nelle sei corde e un inaspettato solo introduttivo per mano di Mike. D'improvviso compaiono sia la voce del Re che la strofa, piuttosto tranquilla e lineare dal punto di vista strumentale, ma molto acuta per quanto riguarda la linea vocale: lo special procura un po' di tensione in più, grazie a un ispessimento piuttosto equilibrato delle ritmiche e a un crescendo melodico che sfocia nella seconda strofa. Tutti i musicisti ripercorrono il sentiero già battuto, giungendo nuovamente allo special che questa volta suona più agghiacciante: la voce del Re, tra lo spettrale e l'incuriosito, si alza vertiginosamente, mentre i suoi Vassalli riprendono in mano la scena iniziale, riproponendola in tutta la sua mostruosa emozionalità. La situazione si ribalta divenendo estremamente ritmata con la seconda parte della traccia, avviata da un veloce stacco ritmico che lascia modo al nuovo riff di proporsi in tutto il suo terribile fascino. Molto più protagonista il basso, che si lascia andare a un bel giro estremamente catchy, la situazione diventa più ansiogena, ma estremamente piacevole: a fare da spartiacque si presenta un solo firmato LaRocque, molto breve ma ugualmente entusiasmante. La situazione continua ad evolversi, il Re trova spazio per regalarci un altro pezzo della sua storia, incastrandolo in uno spazio piuttosto cupo e caratterizzato da melodie molto inquietanti. È tempo del solo di Mike, che arriva proponendosi in maniera piuttosto sfacciata ed estendendosi anche all'ennesimo cambio di situazione che riporta in scena quella strofa/ritornello iniziale che aveva contribuito a destabilizzare un po' la situazione. Il secondo riff già incontrato è pronto a entrare in scena, per morire troncato di netto e lasciando dietro a sé una scia di terrore puro. Nella casa del Conte Abigail, mentre stava per andare a dormire, sente le grida di una bambina terrorizzata che non trova più la sua mamma: immediatamente la ragazza si alza in piedi, scende le scale avventurandosi nell'oscurità e alla ricerca della fonte di quel suono. E c'era lei, la bambina: un fantasma, nient'altro, lo stesso fantasma già incontrato ai cancelli della magione. "Piccola, dimmi chi sei". Quello che le risponde la bambina è agghiacciante: "Sono il tuo spirito gemello, provengo da molti anni fa, sono La Piccola". Abigail, in un evidente stato di shock, inizia a riportare alla mente i suoi ricordi di quando era piccola: aveva solo sei anni, anche allora era solita sgattaiolare fuori dal letto di notte. Ricorda di quando, nel buio, ascoltava le storie di un uomo che le parlava di Jonathan e de La Piccola. Nonostante la situazione di poca obiettività, Abigail riesce a fare mente locale e a capire quello che deve fare: deve salvare La Piccola, ma soprattutto deve rompere la catena.
Slippery Stairs
Proseguiamo con "Slippery Stairs" (Trad. Scale Scivolose), aperta da un bel riff ritmato e adrenalinico, sostenuto da ritmiche taglienti: un solo firmato Andy prende in mano la situazione, tirando le corde che cantano, introducendo la voce del Re che si presenta subito in un altisonante farsetto. Il tenore della traccia, inizialmente molto allegro e luminoso, si incupisce nella seconda parte di strofa, più ansiogena e decisamente accattivante. Dopo un ritorno in scena del riff di apertura, la situazione si fa più tesa e le ritmiche diventano più contorte, in perfetto stile King Diamond, per poi ritornare sulla retta via; la song si evolve aprendosi ulteriormente in un un bel ritornello molto tranquillo dal punto di vista ritmico e melodico, che vede un crescendo intenso ed elegante, che porta all'ennesimo solo di Andy, più ritmato rispetto al precedente. Torna in voce il Re, questa volta intento a cantare su di un tappeto ritmico estremamente cadenzato, con stop and go e una presenza del basso molto piacevole. È la volta del solo di Mike, una pioggia di tasti spremuti a dovere in una danza che conduce all'ennesima strofa spedita e scandita da pelli intrise di fiamme, le quali lasciano nuovamente spazio alle sei corde di Mike per una manciata di istanti. Torna in scena il ritornello, così melodico e aperto rispetto alla cupezza generica che si avverte non tanto nella musicalità, quanto, piuttosto, nell'atmosfera generica resa dal contesto: un'ultima strofa ci fa tornare alla mente il riff di apertura della traccia, mentre la conclusione, a opera di un pianto abbastanza straziante, ci fa tornare alla mente la storia che stiamo vivendo e ascoltando. È mattino, Henry è alla porta di Abigail per svegliarla, nonostante il Conte fosse solito alzarsi nel pomeriggio: la tavola è apparecchiata per due, i due iniziano a parlare di Miriam fin quando la ragazza gli chiede di parlarle de La Piccola. Henry inizia a raccontarle che il fantasma della casa si trova nel piano inferiore, è sufficiente scendere le scale scivolose e dirigersi verso la cripta per poterla trovare, addormentata, durante il giorno. Di notte La Piccola si sveglia e inizia a cercare sua madre: Henry invita Abigail a non alzarsi mai di notte perché quello diventa un luogo sinistro, proprietà di terrore, morte e dolore. Il giorno successivo, Jonathan, a cena con Abigail (che chiama sempre Miriam), le chiede di tenerle la mano: è tempo di "produrre" un erede. Abigail, per salvarsi da quell'orrenda visione e da quell'orrendo pensiero, spegne la luce e decide di smettere di pensare: tutto quello che le passa per la mente si può riassumere in dolore, tormento, come cadere da quelle scale scivolose. Gli occhi si iniettano di un nero, a causa del disgusto, tutto ciò che riesce a provare è odio, ma, per fortuna, in poco tempo tutto finisce, e rimane solo spazio alle lacrime che scendono copiose sul volto.
The Crypt
La storia prosegue con "The Crypt" (Trad. La Cripta), introdotta da un arpeggio di chitarra pulita e da un'atmosfera stranamente tranquilla, alimentata dalla voce, resa elettrica da qualche tocco di chitarra distorta e sparata, in direzione della tensione, da un'evoluzione ritmica e melodica molto sinistra. Tra saliscendi melodici, tenuti assieme da un tappeto di batteria molto sostenuto, prosegue incessante, finché la canzone non trova modo di aprirsi e lasciarsi andare a un solo di chitarra a opera di Andy, dalle fattezze e dalle sonorità quasi ipnotiche. Dopo un vortice di note e un breve stacco, torna in scena il dolce arpeggio iniziale, sul quale si impongono un giro di basso piuttosto acuto e la voce del Re, intenta a vestirsi di timbri differenti man mano che la situazione si fa sempre più tesa. Qualcosa sta accadendo, la melodia e il giro di accordi, assieme al ritmo, lo fanno intuire: un'evoluzione giunge con il secondo solo, questa volta a opera di Mike, contorto e ricco. Gli fa seguito la ricomparsa in scena della strofa, sovrastata dalla voce che diventa sempre più acida e incupita: ritorna quella sensazione di ansia e tensione non appena le ritmiche si fanno più contorte e la voce del Re inizia a ripetere, fino allo stremo, "Will she ever know" (Lo saprà mai?). È notte fuori, Jonathan sta dormendo profondamente: è il momento giusto per fare una scappatina nella cripta. Abigail inizia a scendere le scale, fendendo l'oscurità con una lanterna accesa in mano, e raggiunge quel luogo maledetto dal suo segreto: una bara costruita su misura per un bambino, chissà chi si trova al suo interno. L'odore del malessere si unisce alla visione di una bambina mummificata, sul coperchio c'è scritta solo una parola: Abigail. La bambina mummificata ha una collana d'argento avvolta attorno al collo, ma mentre la sta osservando Henry, arrivato in silenzio, compare chiedendole cosa sta facendo lì. Abigail, allora, strappa la collana che viene via assieme alla testa della mummia e, con le ali taglienti del ciondolo, taglia la gola al maggiordomo. Lì, in quella cripta, la sua sorella gemella sta cercando la sua casa e la sua mamma, anche se sua madre è ormai sotterrata. E lei non lo sa.
Broken Glass
"Broken Glass" (Trad. Vetro Rotto) ha appena visto passare una tempesta e vive sotto a un celo plumbeo, pieno di nuvole ancora intente a vagare: Abigail, dopo la notte precedente, era ancora nel suo letto, qualcuno stava chiamando Henry o se lo stava solo immaginando? Il sogno di quella notte per la ragazza era certamente significativo: un vetro che si rompe e taglia la pelle, la pioggia che diventa rossa e il sangue che scorre per il cadavere. Di nuovo, Abigail sente un nome, Jonathan sta provando a uscire dal letto e, vista la sua Miriam, le chiede dove sia il suo maggiordomo: di tutta risposta Abigail gli dice che non si sentiva troppo bene, perciò lo aveva fatto tornare a letto. Sarà lei a occuparsi del Conte, sarà lei, con il suo nuovo spirito fiammante e intriso di desiderio di vendetta, a preparare la cena per il vecchio uomo sulla sedia a rotelle che, per l'occasione, indossa un suit da funerale. Era di nuovo innamorato quell'uomo, ma Abigail avrebbe compiaciuto il suo amore in un modo diverso. E come potrebbe iniziare un pezzo che si intitola Vetro rotto se non con il rumore di vetri che si rompono? Incontriamo poi un bel riff teso, sovrastato dalla presenza di una tastiera molto melodica che incorona la voce del Re in tutto il suo magnifico splendore. La strofa riprende il tema portante del pezzo, scorre fluida e tesa fino a un primo solo per mano di Andy: bello, melodico, ricco di tasti spremuti per quel tanto che occorre, lancia la situazione su uno stop contraddistinto dalla voce vecchia del Re che sta impersonando il Conte. Ci troviamo così nel bel mezzo di un dialogo cantato, che si caratterizza per la permanenza soltanto della batteria al parlare della nuova e infuriata Abigail. La situazione risulta molto elettrizzata e assolutamente tesissima, si avverte il sapore di vendetta sulle labbra della ragazza che parla attraverso la voce di King Diamond e che trova modo di esplodere nella soluzione seguente, con tutti gli strumenti in prima fila per marciare. Si estende un solo firmato Mike, più inquietante e ipnotico rispetto al precedente incontrato, e si ripropone il riff introduttivo con tutta l'intensità evocata dalle melodie. Compare una voce baritonale che scambia un paio di battute col Re, si aggiungono voci più sussurrate, mentre musicalmente la traccia ripercorre quanto già incontrato fino ad ora: sul finale, ancor più dinamico ed energico, si dispiega un ventaglio di voci acute e in preda alla follia, stroncate da un finale dissonante, spettrale e terrificante, a opera di un organo poco rassicurante.
More than Pain
La successiva breve traccia, dal titolo "More than Pain" (Trad. Più del Dolore), descrive Abigail bellissima e vestita di bianco, contemplata dal Conte che dichiara il suo amore per la ragazza (chiamandola, ovviamente, Miriam). Tuttavia, l'uomo inizia a provare un dolore acutissimo allo stomaco, paragonabile alla sensazione di ricevere delle coltellate violente, qualcosa di più di un semplice dolore: Abigail, ridendo di un gusto sadico, gli svela di aver messo dei vetri rotti nella cena e che presto diventerà tutto molto più doloroso, il tempo gli porterà paura e gli ruberà preziosi minuti di vita, prossima ad andarsene per sempre dal suo vecchio corpo. L'uomo, allo stremo, le chiede aiuto, ma Abigail, continuando a ridere con un sadico piacere, gli dice che no, non gli darà nessun tipo di aiuto: morirà soffrendo qualcosa che va oltre il semplice dolore, proverà la pioggia del Demonio. Sul finale, il Conte de La Fey, disperato, invoca Dio mentre il sangue inizia a colargli dalla bocca. La situazione è incorniciata da una musicalità angelica ed estremamente luminosa, perfetta per evidenziare lo scenario di armonia e pace che si incontra in un primo momento: ritmiche contenute, chitarre pulite e delicate, una sensazione di benessere molto accentuata. Il Conte è interpretato da una voce lirica, doppiata dagli acuti classici del nostro Re: il momento in cui comincia ad avvertire dolore allo stomaco, la situazione cambia divenendo più drammatica, si ha una sensazione generale di sospensione che scompare con la risata crudele e malefica di Abigail, in tutto il suo splendido sadismo. La situazione si fa molto più intrigante, le ritmiche si intensificano, gli accordi diventano cattivi, anche se per un breve istante torna in scena la situazione di calma e pace iniziale, squarciata da una nuova risata acutissima ed estremamente malvagia. Si ripetono tutti gli elementi incontrati fino ad ora, mentre la conclusione è affidata alla voce dolorante del Conte, a un arpeggio di chitarra sostenuto dal basso, alle risate di Abigail e al tic-tac di un orologio.
The Wheelchair
Dopo due minuti e una manciata di secondi, "The Wheelchair" (Trad. La Sedia a Rotelle) entra in scena portandosi appresso un concentrato di follia concretizzato in archi che suonano stridendo, la sensazione che si avverte è quella di un vorticoso capogiro: l'apertura vera e propria è invece affidata a un bel riff arricchito da un clavicembalo, mentre la strofa si apre con una bella energia concretizzata in un ennesimo riff con tiro spedito e sovrastato da un insieme di voci poste su ottave differenti, che creano un ambiente molto intenso. Ritorna il riff introduttivo, questa volta accompagnato dalla presenza di una linea vocale dal fiato spezzato, che conduce direttamente verso un primo solo a opera di Andy. Mentre gli strumenti sottostanti mantengono gli accordi della strofa, il solo si dispiega con una serie di tasti spremuti a dovere, che di colpo si interrompono: la situazione cambia, diventa più dinamica dal punto di vista ritmico e vocale, dato che il Re si destreggia nell'impersonificare un alter ego dalle fattezze tragiche, malate, quasi, e psicotiche. Stop and go a profusione, fino a tornare a un breve sipario del riff introduttivo, che riprende la situazione per costituendo un paio di stacchi, per poi impossessarsi completamente della scena. Un attimo di sospensione e la traccia percorre una strada nuova, acquisendo un aspetto quasi rock'n'roll, ma mantenendo pur sempre il tratto distintivo di King Diamond: tanti stacchi, pause e riprese, una situazione sospesa che si arricchisce del meraviglioso solo di Mike. Molto più emozionale rispetto a quello di Andy, assume fattezze più vorticose che si incastrano alla perfezione con il sottofondo musicale e con le sue evoluzioni armoniche e melodiche: siamo così giunti alla seconda metà del brano, caratterizzata per una maggiore intensità emotiva e situazionale. Sovrana la voce del Re, fomentata da ritmiche abbastanza spedite e da chitarre presenti al punto giusto: da brividi l'acuto inaspettato sulla parola scream che apre la porta alla follia vocale più assoluta. Di nuovo ci troviamo di fronte a una maratona di stop and go che portano alla parte conclusiva del pezzo, affidata a un rantolo di dolore e al clavicembalo che ripropone il tema iniziale. Abigail parla al Conte, ricordandogli ciò che ha fatto a sua madre e a lei, provandola a uccidere quando era ancora nella sua pancia: Miriam sì, è morta, ma lei è ancora viva ed era la sorella di suo padre in un'altra vita, il padre che lui non ha mai conosciuto ma che l'ha salvata molti anni fa. E ora è lì, di fronte a quell'uomo che vive nel passato standosene sulla sua sedia a rotelle, un uomo che non lascia spazio alla vita ma che accoglie soltanto l'oscurità. È la vecchia Abigail a parlare, diventa chiaro quando testimonia la sensazione dolorosa di avere sopra di sé una bara e qualche chiodo: è di nuovo tornata, mentre lui continua a vivere nel passato, sotto la legge del male più assoluto nel quale ha sempre vissuto. Lui l'ha quasi uccisa, per questo deve pagare: prova ad alzarsi dalla sedia a rotelle con fatica, ma senza il suo bastone è praticamente impossibile. Quel bastone che avrebbe potuto aiutarlo, infatti, era in mano ad Abigail che lo utilizzava per spingerlo indietro e per picchiarlo: non riesce a credere che sia ancora vivo, è arrivato il momento di insegnagli come si fa a morire. Per farlo, incendia la sua sedia a rotelle, ridendo di grandissimo gusto a ogni urlo di quell'uomo, completamente fuori controllo: vendetta, di questo si tratta, una vendetta che finalmente si conclude col corpo in fiamme di Jonathan che cade a terra.
Spirits
La traccia successiva, "Spirits" (Trad. Spiriti), si apre con la morte di Jonathan e con il gusto di Abigail nell'osservarlo a terra privo di vita e circondato da lingue di fuoco: lei è il fuoco, lei è il fuoco che distruggerà quella magione. Gli spiriti volano nella stanza, tagliandosi la strada l'un l'altro, diretti verso la pace e verso l'assenza di morte: i fantasmi che hanno vissuto lì, in passato, utilizzeranno le fiamme per lasciare finalmente quella casa così malefica. In tutto questo la ragazza osserva lo spettacolo e la danza portata avanti dagli spiriti e dalle fiamme che, ormai, hanno raggiunto anche lei. Non prova dolore, nonostante il suo corpo stia iniziando a scomparire, sta lasciando lentamente il suo corpo dietro di sé mentre gli spiriti le stanno vicini: ecco, il momento del trapasso è arrivato, anche il suo spirito è nell'aria. Gli altri la guidano verso quelle fiamme che li fanno scomparire e finalmente può stare per sempre insieme a degli amici, a dei consimili, a dei fratelli. Ma Abigail si è scordata di qualcosa: la sua gemella più piccola. Un suono sordo, dal quale si estende una tastiera solitaria, apre la strada a un arpeggio di chitarra molto inquietante arricchito ulteriormente da un coro di voci terribili: la situazione sembra prendere una piega molto emotiva, ma viene sparato un colpo che porta all'ingresso in scena della strofa. La voce del Re si alza e si abbassa senza sosta, mentre giungiamo a un primo stop che apre la porta a una nuova situazione musicale: si palesa, così, una bellissima situazione melodica che fa venire i brividi sulla schiena, lanciata a mille in una dinamica estremamente piacevole. Protagonista la voce acutissima di King Diamond, che assieme all'evoluzione musicale della traccia riesce a dare estrema intensità alla situazione: si srotolano in successione una serie di situazioni che rendono effettivamente l'idea di un corpo avvolto dalle fiamme, di spiriti che svolazzano all'interno di una magione avvolta dal fuoco. Prima del solo curato da Mike, l'agghiacciante Abigail is on fire squarcia la situazione, lanciando direttamente in un vortice di maggiore intensità che porta al ritornello dal quale si distacca una vena noise a opera della sei corde di Andy. Una nuova situazione breve e concisa, introdotta da lamenti di dolore, porta a un ennesimo solo, questa volta molto melodico ed emotivo, sempre firmato Andy: la parte conclusiva della traccia si apre melodicamente, portando direttamente al ritornello e al tema finale firmato Andy e Kol. Il finale, rallentato e intensissimo, sottolinea alla perfezione la situazione di perdita, panico e dolore vissuta dal nuovo spirito di Abigail.
Mommy
La successiva "Mommy" (Trad. Mamma) viene introdotta da un rumore cavernoso e molto cupo, al quale fa seguito un bel riff contraddistinto da una ritmica molto incalzante e da una voce nera, cattiva, doppiata da cori acuti. Prosegue in maniera molto contenuta, ripetendo il riff iniziale vivacizzato da qualche variazione tematica: scompare la batteria e rimane un inquietante arpeggio di chitarra, avvalorato dal pianto di una bambina. Timidamente si ricongiungono basso e batteria e il pezzo prosegue, intensificandosi ulteriormente dal punto di vista emotivo: compare un solo firmato Mike, che fa prendere alle ritmiche un'intensità maggiore, si doppiano a vicenda mentre le note di chitarra si fanno elettrizzate e dinamiche. La conclusione del solo riporta sui passi la traccia che recupera il riff della strofa proseguendo senza nessun tipo di variazione, se non nella voce che, a seconda della situazione, si fa più acuta o più mostruosa. Di nuovo l'arpeggio di chitarra che spezza la situazione, questa volta intensificato da un sottovoce che si trasforma in acida evoluzione direzionata verso un incremento ritmico. Sulla ripetizione dell'arpeggio, questa volta incontriamo il pianto della bambina alimentato da una sadica risata a opera di King Diamond che, prima del solo di Andy, si lancia in uno dei suoi classici acuti che permangono anche nella parte conclusiva. Troviamo una serie di voci tormentate, fra le quali spicca quella della bambina, alimentate dalla sei corde di Andy che, sul giro portante, si lascia andare assieme alle pelli e alla voce del Re che, su It's Yourself si lascia andare a un picco di massima intensità. Quella notte in cui Abigail si è lasciata andare alle fiamme il cielo ha iniziato a piangere, mentre la magione è avvolta dal fuoco: non riesce, però, a raggiungere la cripta dove La Piccola piange. Costretta, con la sua lanterna, a rimanere immersa nell'oscurità, nel freddo e nel dolore, è destinata a rimanere lì per sempre, imprigionata tra le mura della cripta: Abigail è stata impegnata per troppo tempo a pianificare la sua vendetta, al punto da lasciare lo spirito de La Piccola incatenato a quel luogo mostruoso e intento a cercare, a chiamare la sua mamma. La sua mamma, che non riesce a trovare, è stesa a terra senza vita: ma è veramente la sua mamma? No, la sua vera madre è in realtà la Contessa e non la troverà mai, perché è sepolta nel terreno, perché in realtà quello che sta cercando non è la madre, ma è se stessa.
Sorry Dear
Conclude il brevissimo outro intitolato "Sorry Dear" (Trad. Scusa Cara) costituito da una cacofonia di sottofondo, sulla quale si impone la voce della bambina in lacrime, alla quale risponde una voce proveniente da un mondo fatto di dolore e tormento, alimentata dalle fiamme della vendetta. Un falso finale fa scomparire tutto quanto, ma da tutta quella oscurità emerge la voce della piccola anima che dice I do like the dark there con uno spiraglio di curiosità e, tutto sommato, allegria, un contrasto evidente rispetto a quanto ascoltato fino a ora: un amen chiude questa traccia, traccia dove una bambina cerca la sua mamma, le chiede di portarla via, le chiede se la rivedrà mai più. Ogni bambino, senza la sua mamma, si sente perduto, tra i singhiozzi e le lacrime pronte a solcare il piccolo volto: la differenza è che qui la risposta della mamma è agghiacciante, spaventosa e mostruosa. Un semplice Scusa cara al quale fa seguito la risposta di una (apparente) anima innocente che dichiara A me piace questa oscurità alla quale fa eco un mesto coro funebre che conclude effettivamente questo album.
Conclusioni
L'ascolto di "Abigail II: The Revenge" è sempre un grandissimo piacere: quest'album è la perfetta degna conclusione di uno dei lavori più notevoli del nostro Re, nonostante gli anni di distanza l'uno dall'altro. Musicalmente, le atmosfere rimangono molto simili: cupissime, nere, inquietanti e curate nei minimi particolari, spezzate da correnti tanto brevi quanto incisive, dove regna sovrana la pace più angelica possibile. Una contrapposizione di emozioni continua che travolge completamente l'ascoltatore, tra un solo di Mike e un altro di Andy, intenti a regalare meravigliose evoluzioni sui tasti veramente degne di nota. Dal punto di vista del mixaggio, questo lavoro sembra molto più moderno di quanto in realtà non sia, ma rimane, comunque, collegato in qualche modo a quell'alone di passato: diciamo che la storia non è ambientata, semplicemente, nella metà del 1800, ma è viva in quell'epoca. Prendiamo, per esempio, le evoluzioni musicali di clavicembalo o quegli archi così inquietanti che troviamo in "The Wheelchair": hanno un gusto classico e donano all'intero lavoro uno stile estremamente coerente con la storia e con la situazione più in generale. Contando, poi, la posizione di questo lavoro, tra "House of God" (2000) e "The Puppet Master" (2003), il Re dimostra, ancora una volta, di non averne mai sbagliata neppure una: certo, qualcuno apprezzerà in misura differente altri lavori, non ne apprezzerà completamente altri, li troverà più o meno intriganti rispetto ai predecessori o ai successori. Quel che si evince dalla corposa discografia di King Diamond (e tralasciamo volutamente la realtà dei Mercyful Fate altrimenti sarebbe vincere facile) è che il suo nome non è un semplice costrutto, il suo nome rispecchia il suo essere un vero e proprio Re in tutto quello che fa: le storie differenti tra loro, i personaggi ai quali ci affezioniamo o che odiamo con tutto il cuore, le soluzioni melodiche e strutturali delle tracce, che dimostrano la qualità dei musicisti schierati in prima fila. King Diamond è un sovrano in tutto quello che ha fatto nella sua carriera, è il sovrano di tutta la sua popolazione immaginaria, partorita da una mente brillante che sicuramente avrà fatto scorpacciate di autori sacri del genere Horror, come Poe o Lovecraft dei quali si possono trovare tracce, più o meno evidenti, nelle soluzioni adottate per evidenziare gli aspetti propri dell'uomo, le sue paure, le sue qualità, i suoi segreti. Prendiamo ad esempio la figura di Abigail che in "Abigail II: The Revenge" diventa molto più chiara: qual è l'errore più grande che fa lo spirito? Accecarsi con la vendetta. La giovane Abigail vuole salvare La Piccola, ma si fa troppo prendere la mano con il bisogno di vendicarsi del vecchio Conte, che la costringe a essere Miriam e a giacere con lui: l'unica vera vittima di questa situazione è proprio La Piccola, abbandonata doppiamente da sua madre e dalla sua gemella, costretta all'oscurità e alla solitudine di una cripta gelida, dove neppure gli spiriti rimangono a farle compagnia, dove, addirittura, neppure il fuoco riesce ad arrivare. La vendetta trionfa e, proprio così facendo, ci dimostra di quanto un istante di accecamento per merito di un sentimento così pungente e forte possa costarci molto più di quanto non saremmo portati a credere. Una missione di misericordia e umanità si trasforma, in un lampo, in un omicidio efferato e nella prigionia di un'anima persa, nelle fiamme di un inferno verso il quale dirigersi, in qualcosa di fin troppo umano: il piacere di godersi un istante di soddisfazione meschina e beffarda, che contrasta necessariamente con un'eternità di dolore, di rimpianti, di rimorsi. La perdizione di ogni briciola di umanità si riassume in quel grottesco sorry dear pronunciato dallo spirito appena trapassato di Abigail, rivolto alle domande de La Piccola.
2) The Storm
3) Mansion in Sorrow
4) Miriam
5) Little One
6) Slippery Stairs
7) The Crypt
8) Broken Glass
9) More than Pain
10) The Wheelchair
11) Spirits
12) Mommy
13) Sorry Dear