Kill Your Karma

What Hides Behind the Sun

2017 - High Voltage Records

A CURA DI
NIMA TAYEBIAN
24/06/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione recensione

Quello che andremo a recensire oggi è l'ep "What Hides Behind the Sun" (edito dalla High Voltage Records), primo parto ufficiale dei Kill Your Karma, band torinese dedita a sonorità non totalmente incasellabili, tranne che per un rimando - a detta della band - a certi gruppi che potremmo inserire nel novero del post-metal quali Tool e The Ocean, a giganti del post/progressive metal come i Mastodon, oltre che a band tipo Opeth (prog-death metal). Verrebbe spontaneo dunque inserirli nel vasto nugolo del post-metal, catalogazione/non catalogazione che vede al suo interno gruppi tra loro sicuramente dissimili e capaci di distillare il verbo "post" in differenti maniere (è più o meno quanto avviene nell'ambito avant-garde, ma stavolta in maniera più "inquadrata", dato che nell'avant-garde possiamo sentire davvero tutto e il contrario di tutto), ma obiettivamente, sentendo e risentendo l'ep viene spontaneo incastonarli in un ambito post/progressive, vista la complessità della proposta (qualcuno direbbe post/progressive death metal, ma il death non è preponderante tra questi solchi). Da questo deduciamo che il loro sound, il loro "modus operandi" non è etichettabile in maniera banale e scontata, non è del tutto (concedetemi questo "del tutto" dato che comunque al giorno d'oggi è difficile affacciarsi a realtà totalmente originali) riconducibile al sound o alle modalità espressive di qualche altro gruppo o corrente. Li definiremo dunque abbastanza originali. La demo in questione in effetti consta di cinque tracce di cui una strumentale, forte di ritmi a tratti grooveggianti e potenti (in alcuni frangenti emerge un richiamo al groove/post-thrash metal, come nei primi secondi della opener) e a tratti più riflessivi e dilatati. A fare la differenza rispetto ad altre realtà conosciute nella scena è il supporto vocale della singer, Stefania Durante, capace di alternare uno scream abbastanza aggressivo - in shriek - ad una voce pulita e melodica, molto gradevole direi. Un'alternanza che, oltre - banalmente - a personaggi come Angela Gossow, potrebbe richiamare eventualmente le modalità espressive di una Karyn Crisis. Certo - e non me ne voglia la cantante - con meno potenza e carica di quest'ultima, ma non è improprio azzardare un paragone del genere. Dunque un tessuto "post" con un'alternanza scream/clean che tanto ha fatto la fortuna di svariati gruppi metalcore/modern metal, alternanza che a detta del sottoscritto non era neanche poi così necessaria, considerando che la bella voce espressiva di Stefania avrebbe fornito lo stesso un supporto interessante alle trame strumentali - particolarmente riuscite, mi viene da aggiungere - anche senza nessuna alternanza, ma puntando tutto sulla componente pulita nella quale la nostra fa senza dubbio la sua grassa figura. Quello ascoltato e recensito è solo un primo ep, dunque potrebbe essere considerato come una prima tappa obbligata di assestamento: potremmo quindi aspettarci per il futuro un eventuale abbandono della doppia impostazione vocale; o, se si deciderà di portare avanti tale modalità espressiva, quel che mi viene da consigliare è lavorare maggiormente sull'aggressività della parte in scream. Nel mentre il lavoro sembra buono e promettente, e per quel che riguarda la parte più prettamente strumentale, i nostri sembrano avere ottime carte da giocarsi: posso dire che nonostante per anni abbia ascoltato, e continui ad ascoltare, praticamente tutto (sono sempre molto curioso), i ritmi sin dall'inizio mi sono sembrati molto avvincenti. E proseguendo nell'ascolto li ho trovati "pieni", "espressivi", insomma, roba che ti viene voglia di riascoltare al termine del primo ascolto, alla ricerca di qualche sfumatura in più, di qualcosa che non è saltata immediatamente all'orecchio durante il primo ascolto. Quindi tutto fa ben sperare per il proseguo di carriera di questo giovane quintetto (in attesa di sfornare il primo disco ufficiale) del quale vi darò qualche dritta - tramite la loro bio dalla pagina ufficiale della band - sperando sino ad ora di avervi in qualche modo stimolato: "I Kill your karma nascono a Torino a cavallo tra il 2010 ed il 2011 per mano di Stefano Bianchi (ex Tipheret), Diego Maglioni e Claudio Canicattì (ex Kitchenette, Vertical Vision); la sezione ritmica viene completata in pianta stabile con l'arrivo alla batteria di Gabriele Luttino, attivo in diversi progetti musicali tra cui la ska band Stiliti. Inizia quindi la stesura del repertorio, composto quasi esclusivamente da pezzi propri, che si muove in ambito prettamente metal con influenze di band come Mastodon, The Ocean, Tool, Opeth, Agonist. Nel 2012 la line up viene completata da Stefania Durante (ex Seventh phase), la cui voce si muove con facilità sia sul cantato pulito che sul growl. A fine 2012 inizia l'attività live, ed a marzo 2013 viene registrata una prima demo in presa diretta di pre-produzione per un successivo EP, contenente 7 tracce, tra cui la cover di Teardrop dei Massive Attack. Ad aprile 2013 Stefano Bianchi esce dal gruppo a causa di impegni personali; a giugno dello stesso anno, a causa di pressanti impegni, anche Gabriele Luttino è costretto a lasciare, rimpiazzato dietro le pelli da Gabriel Trogolo. Poche settimane dopo Roberto Deblasio, già chitarrista degli Energy of the elements, entra stabilmente nel gruppo a ricompletare la lineup. In seguito a pressanti impegni personali, Roberto Deblasio lascia la band nel dicembre 2013; il gruppo prosegue come quartetto fino ad aprile 2014, quando Lorenzo Polia entra stabilmente nella band come seconda chitarra". Detto ciò, evitando quindi altri preamboli, direi di passare alla consueta track by track.

Ruins

Si inizia molto bene con la opener Ruins (Rovine). Inizialmente abbiamo una parte atmosferica che sembra echeggiare il rumore del vento. In breve si intrufola nella tessitura simil-ambient un ronzio chitarristico che ci porta, al ventottesimo secondo, ad un bellissimo intarsio strumentale cupo e "misterioso", e quindi, in seguito, ad uno stupendo riffing "stoppato" degno dei migliori gruppi groove/post-thrash (con qualche richiamo djent). Oltrepassato ampiamente il minuto (quasi al minuto e dieci) interviene la voce di Stefania, ariosa ed evocativa, che ci porta in seno ad una parte testuale che sembra prendere i connotati di una sorta di "confessione autobiografica", forse della stessa Stefania: si fa riferimento ad un momento della vita in cui sembra andare tutto a rotoli, eppure si persevera nel continuare a mentire a sé stessi chiedendo aiuto agli  altri, i quali sfortunatamente non sono in grado di sentire. Si fa inizialmente riferimento ad una fenditura nel cielo, da cui si liberano miasmi di zolfo: non fatichiamo ad identificare tale fenditura con una sorta di "ferita" dell'anima. Successivamente si fa riferimento ad un "uomo che giunse, dallo sguardo fiero e morto, il quale iniziò a battere le mani": riguardo a tale elemento maschile, se effettivamente la storia è autobiografica e fa riferimento a vicende che coinvolgono la cantante, allora si potrebbe identificare tale figura con quella di un suo partner passato. Ma forse potremmo spiegare differentemente tale simile elemento, ossia come una sorta di "rivelazione" che porta, ad un certo punto, ad un annichilimento totale e definitivo. La deriva presa arriva dunque ad una sorta di nichilismo ma, al contempo, si evince una certa carica di autodeterminazione, suggerendo che la soluzione sia di accettare i propri "demoni" e di affrontare le proprie paure, giorno dopo giorno, assaporando un senso di liberà che viene dall'aver preso in mano la propria pur disastrata esistenza. In sostanza, interpretando concettualmente il nome della band (traducibile come "Uccidi il tuo Karma") nell'atto di "prendere in mano le redini del proprio destino", possiamo eventualmente asserire che nel brano qui presente sia racchiuso parte del senso del moniker stesso. Tornando al lato prettamente musicale, l'entrata della voce di Stefania non determina immediatamente un cambio nelle coordinate strumentali, dato che il brano almeno sino al minuto e mezzo si mantiene su ritmi quadrati e granitici, non dissimilmnte da quanto udito a partire dal ventottesimo secondo. Dal minuto e mezzo in poi i ritmi diventano decisamente meno "estremi", portandoci su lidi un pizzico più ovattati e "morbidi" (termine questo da prendere con le pinze). Dal minuto e cinquanta in poi gli strumenti imbastiscono sonorità ben più "ariose", "epiche" e melodiche, accompagnando la voce ricca di interpretazione di Stefania. Dai due minuti abbiamo il refrain, decisamente melodico, ancor più arioso, nel quale la parte strumentale si fa particolarmente catchy, rockeggiante. Conseguentemente ai vocalizzi della singer, su un tappeto strumentale al contempo evocativo ed energico, vi è una sorta di break determinato da una gragnola di colpi alla batteria. Quindi, verso i due minuti e venticinque si ritorna in seno ad un tappeto strumentale energico e "metallico", non dissimile da quanto sentito prima del minuto e mezzo: unica variante, le vocals di Stefania, ora impostate sullo shriek. Uno stop ai due minuti e cinquantacinque determina un ritorno a frangenti più melodici e ad un uso maggiormente canonico della voce. A tre minuti e trenta il brano si riassesta su coordinate aggressive e quadrate, nelle quali si adagia nuovamente la voce di Stefania. Stavolta, a creare comunque un "tappeto" melodico ci pensa un intarsio di chitarra isnerito ad hoc nell'arazzo strumentale. A quattro minuti e quattro l'aggressività si placa ancora una volta per lasciare spazio a tessiture più melodiche. A quattro minuti e trenta circa il tessuto si fa più atmosferico: la componente più strettamente metallica si dissipa per lasciare spazio ad un frangente evocativo ed evanescente. Tutto questo solo per pochi secondi, dato che già a partire dai quattro minuti e cinquanta i ritmi tornano ad essere serrati e bellicosi.

Through the Sands of Time

Si continua con la seconda traccia: Through the Sands of Time (Attraverso le Sabbie del Tempo) la quale, conseguentemente ad un nervoso tamburellare, lascia spazio ad un riffone carico e quadrato destinato a cedere il posto, verso i trenta secondi, ad un nuovo riff ancor più grantitico, e quindi, al quarantesimo secondo, ad una tessitura devastante ed incendiaria, molto, molto violenta. Verso i cinquanta secondi il clima incandescente si smorza di una tacca, ritornando su ritmi tutto sommato quadrati, lasciando spazio all'ingresso della voce in modalità shriek, che stavolta ci delizia con un testo che pur nella sua malcelata cripticità, sembra in qualche maniera collegarsi a doppio filo con il testo del brano precedente. Ancora una volta la protagonista - almeno così sembrerebbe - prende in mano il proprio destino, le cui dinamiche sono irrimediabilmente definite dal passare del tempo, risorgendo da un "lago gelido". Non possiamo dare chiare interpretazioni riguardo alla "storia della lettera", ma potrebbe avere a che fare con la chiusura col passato e la perdita della vecchia "sé". La nuova vita è legata alla ricerca di qualcuno che ancora non si è trovato, intimo simbolo di una rinascita che richiede un ideale punto di ripartenza. Ma una "rinascita" necessita di lasciar morire ciò che era prima, e questo fa paura, sembra che il mondo "collassi" e "muoia". Il tempo definisce la rinascita, ma anche un ciclo infinito che non porta mai ad una vera liberazione. La parte finale, dai connotati pessimisti, lascia intendere che è il suo mondo - quello della voce narrante, ossia possibilmente della stessa Stefania - è completamente giunto alla rovina, e che il bilancio finale risulti nell'impietosa impossibilità di liberarsi dalle proprie catene. Tornando al lato più strettamente musicale del brano, a seguito dell'entrata in scena delle shriek vocals della singer, ecco che questa vira nel giro di pochi secondi su modalità pulite che, in tal frangente, vengono accompagnate da tessiture ben più calde e melodiche. Ancora un passaggio allo shriek (1 minuto e 15), quindi al minuto e 25 abbiamo un nuovo ritorno verso un'impostazione vocale pulita e ritmi non aggressivi. Dal minuto e trentacinque abbiamo una serie di "stop and go" scanditi dal battito cronometrico della batteria. Quindi, a un minuto e  quarantasei torniamo a ritmi quadrati e aggressivi, e alle shriek vocals della cantante. Quasi dieci secondi dopo il frangente dilaniante di cui sopra lascia di nuovo spazio a una parte meno aggressiva, ancora gestita dalle clean vocals di Stefania. Inizialmente non più "morbida" nei toni rispetto al precedente frangente, accorpa ben presto ritmi più quadrati e "rocciosi", scivolando ben presto (2 minuti e 30) verso un frangente più "atmosferico", meno ossessivo e ben più disteso, destinato a perdurare bene o male sino ai tre minuti e quarantacinque, quando si ritorna nuovamente su scenari di misura più rocciosi ed energici, ulteriormente vitaminizzati verso il quarto minuto (nel frattempo si gode di una breve alternanza tra le clean vocals e le "shriek"). Dai quattro minuti e un quarto i ritmi tornano quadrati e possenti, gestiti quasi totalmente (almeno all'inizio) dalle consuete clean vocals. Dai quattro minuti e trentuno perdurano per parecchi secondi le shriek vocals (sino ai 4 minuti e 47), offrendo così pathos e rabbia al finale del brano. 

Moon

Il proseguo è affidato all'ottima Moon (Luna), che inizia con un intarsio delicato di chitarra supportato dalla voce lievemente filtrata della singer. Un dosato lavoro alle pelli, verso i trenta secondi, ci fa scivolare in maniera delicata oltre l'introduzione, verso una parte ancora una volta molto quieta e mesta, ancora supportata dalle vocals pulite di Stefania, la quale ci introduce verso una parte testuale ancora una volta introspettiva e molto personale. Come nelle precedenti song la protagonista sembra essere proprio la cantante - o una sua possibile, immaginaria alter ego - e il testo viene modellato su spaccati della propria vita attraverso le sue riflessioni e considerazioni. Innanzitutto salta all'occhio come il testo sia nel contempo "romantico" e "cupo"; l'ambito è una relazione particolare, fatta di frasi non dette, di cose magari evidenti ma che non trovano sbocco. La sua è una relazione ove può "trovare rifugio ma non restare", come una momentanea consolazione, ma non una definitiva collocazione. Dal rapporto escono fuori le di lei insicurezze e paure. Ma "non cadranno" anche se non troveranno la via, perché lei si costruirà da sola la sua "strada". Ancora una volta quell'autodeterminazione propria del moniker. Quando parla del folle sogno che (lui), se vuole, può seguire, la cantante si riferisce forse alla musica ed alla sua band. "In questo tempo lasciami cadere" indica che la strada presa (possibilmente la musica) è una "caduta", una scommessa se vogliamo, intrapresa volontariamente. Da notare come venga utilizzata nel testo la frase "sii ciò che vuoi", possibile riferimento a quanto pronunciato dal noto mistico Aleister Crowley, ossia "do what thou whilt", "fai ciò che vuoi". Tornando al piano strettamente musicale, il brano - incredibilmente calmo e molto più lento dei suoi predecessori - sembra mantenersi in toto su coordinate dimesse, senza sobbalzi di sorta, cambi di tempo o atmosfere, cullato da un lavoro strumentale trasognato che del metal conserva solo un alone. La voce si mantiene per tutta la durata del pezzo su registri puliti, e la cosa risulta a suo modo molto positiva dato che - a mio modesto parere - in tali registri la vocalist sa esprimersi al meglio delle sue possibilità. Non essendoci parti più "aggressive", del resto, non si rende necessario l'uso dello scream o delle shriek vocals. Tutto il brano, insomma, sembra cullarci positivamente mantenendoci in uno stato di sospensione eterea. Un pezzo dunque decisamente riuscito capace di elevare ancor più lo standard qualitativo della demo, già su buoni livelli.

Melting Universes

Conclusa la parentesi più "eterea" del precedente brano si continua con Melting Universes, traducibile, un po' artificiosamente, come "fusione tra universi". Il brano inizia con un sound effettato e torrido, preambolo all'ingresso della voce pulita della singer, e si riallaccia in qualche modo ai testi dei brani uditi in precedenza: esso descrive un Caos che tutto rimodella, da cui nascono però situazioni diverse ma al tempo stesso uguali. Pare che la "rinascita" paventata nei brani precedenti si trasformi in una sorta di spirale contorta, dalla quale sorgono nuove ipocrisie e situazioni dalla "diversa forma" ma medesima sostanza. Il ritornello indica perciò una visione nichilista e pessimista dell'esistenza. Viene rifiutata una visione dell'universo come qualcosa di prefissato, voluto dal destino, o da Dio, ed ancora una volta viene esaltato l'atto di prendere in mano la propria vita ed il proprio destino ("sono il costruttore della mia casa") e l'essere giudici di sé stessi, ennesima riproposizione del senso profondo del nome della band. Ritornando al lato musicale, conseguentemente all'ingresso della voce di Stefania il pattern musicale rimane torrido, sincopato nell'andamento, straniante. Proprio volendo azzardare, si potrebbero ravvisare malcelati echi trip hop. Dal cinquantacinquesimo secondo si cambiano le carte in tavola: la voce di Stefania si fa irosa, scivola verso lo shriek già udito nei primi brani, il tessuto sonoro si fa improvvisamente robusto e acre, quadrato nell'andamento, groove/thrasheggiante. A un minuto e venti si ritorna nuovamente verso frangenti torridi e sincopati (nulla di dissimile da quanto udito all'inizio) in maniera solo strumentale, sino a che al minuto e trenta circa non udiamo un nuovo ingresso della voce (sempre in modalità pulita). A un minuto e cinquanta i ritmi divengono di misura più sostenuti, e a due minuti e dieci deflagrano nuovamente in una parte groove/thrash addizionati alla voce in shriek della singer; ritmi che verso i due minuti e trenta aumentano ulteriormente d'intensità portandoci su lidi ben più dirompenti e avulsi ai compromessi. Una chiusura in fade verso i tre minuti porta, ad un certo punto, ad un arpeggio di chitarra subito seguito dal ritorno della voce pulita di Stefania (3 minuti e 17) e quindi ad un'accelerazione impostata su un pattern ancora molto melodico e accattivante. Mantenendosi su queste coordinate troviamo, intorno al finale, una stratificazione tra la voce pulita e quella in scream/shriek della singer, seguita da una coda strumentale possente ed evocativa, degno finale di Melting Universes. 

What Hides Behind The Sun

Concludiamo con la title track dell'ep: What Hides Behind the Sun (Quel che si Nasconde Dietro il Sole). Il pezzo si apre tra folate di vento e distanti note prolungate. A trentuno secondi viene inaugurato un bel riff grasso e ridondante che ci porta, al cinquantesimo, secondo alla voce pulita di Stefania, la quale ci accompagna in seno ad una parte testuale nuovamente ancorata sulla pura introspezione: la protagonista del brano fugge, da sé stessa e da "un'umanità" che avverte come morta e decadente. La sua essenza è impenetrabile, giacché per gli altri (e forse per quella figura di partner paventata negli altri pezzi) la sua vera essenza rimane insondabile. Il peso della vita è una ferita che non guarisce. Lo spazio fra loro (lei ed il partner o, più in generale, lei ed il resto del mondo) è impenetrabile, ed in definitiva è solo lei che ha la capacità e la voglia di "guardare ciò che si nasconde dietro il sole", ossia la vera essenza delle cose, a costo di "bruciarsi gli occhi". Osservare ciò che si nasconde dietro le apparenze vuol dire anche riuscire a vedere attraverso sé stessi, "ciò che non vorrei vedere", qualcosa che evidentemente fa paura, ma la cui coscienza rende liberi. Ed è la libertà, in qualche maniera, la chiave di lettura - in un'ottica molto generale - di tutto il testo: la libertà, ancora una volta, di prendere in mano il proprio destino. Nuovamente, dunque, l'elemento centrale nel testo - il suo leitmotiv se vogliamo - è la stessa Stefania, il suo mondo, il suo rapportarsi con questo, le sue personali visioni e considerazioni. Tornando ad ambiti musicali, la voce pulita e vibrante di Stefania è gemellata ad una parte strumentale molto energica, trainata da un riffone potente di chitarra. A un minuto e sei i ritmi accelerano, e conseguentemente cedono spazio ad una parte più evocativa - solo strumentale - verso il minuto e venti. Venti secondi dopo vi è il ritorno della voce, ancora su modalità pulite, coadiuvata da ritmi aggressivi e potenti. Parziale cambio di ritmi dai due minuti e dieci: ci si mantiene su coordinate poderose, ma meno deflagranti rispetto a pochi secondi prima e un pizzico più quadrate. Il pattern di fondo acquista quindi una certa verve melodica dai due minuti e venticinque, mentre la voce, dopo una breve impennata in shriek, si stoppa momentaneamente per lasciare spazio a delle partiture quadrate e possenti. A due minuti e cinquantacinque abbiamo un frangente più ovattato ed evocativo che concede nuovamente spazio alla voce - pulita - di Stefania. Frangente destinato a protrarsi sino ai quattro minuti e venticinque, alla cui fine concede di nuovo spazio una tessitura strumentale poderosa ma parecchio rallentata - forse inizialmente addirittura doomy - e quindi, ai quattro minuti e cinquanta, a una parte estremamente veloce e dilaniante - potente ed aggressiva come non avevamo sino ad ora sentito - alternata a brevi frangenti più lenti. Verso i cinque minuti e quarantacinque viene dato spazio ad un frangente decisamente sincopato, arricchito dalle clean vocals di Stefania, destinato a perdurare sino ai sei minuti e cinquantasette, quando si impone una nuova trama strumentale quadrata, monolitica, ancora una volta di rimembranza thrash/groove, arricchita, nella coda, da un cesello di chitarra molto accattivante. La conclusione è affidata a meste note di chitarra, ultima sfumatura di una malinconica poetica. 

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Conclusioni

Si arriva così al consueto bilancio finale, con il quale mi sento di poter decretare in tutta tranquillità la riuscita di questo breve disco. La qualità media dei cinque brani è molto buona e non si evidenziano particolari cadute, ed è anche possibile trovare qua e là qualche notevole picco (l'ottima "Moon", la title track, il fraseggio iniziale dell'opener "Ruins") anche se certo, ad essere onesti, nulla che faccia gridare al miracolo. I brani sono, come già specificato, sicuramente buoni, e il fatto di incentrare l'intero apparato testuale di tutte e cinque le canzoni su tematiche tra loro affini - specificando comunque che il suddetto ep non è un concept - è un'idea a onor del vero molto interessante. Ma al contempo, per quanto interessante l'idea, risulta forse "eccessivo" l'onnipresente protagonismo della "figura centrale del disco", il cui intimismo abbiamo azzardato possa riferirsi direttamente all'esperienza personale della vocalist, ma, come specificato in certi punti nella track by track, non possiamo escludere si tratti di qualche "personaggio immaginario" che funge solo, verosimilmente, da alter ego della cantante. Certo chiedere maggiore varietà tematica in sole cinque tracce sarebbe stato troppo, ma anche piazzare nel disco magari un solo brano dotato di qualche tema distante e più generalizzato non sarebbe stato male. Ma sono dettagli, giacché di fatto una poetica così ben articolata e stratificata rappresenta senz'altro un importante valore aggiunto per l'intera opera. Quello che conta è soprattutto la buona riuscita dei pezzi, che si mantengono sempre su una media discretamente alta. Merito questo dei vari strumentisti, tutti preparati, capaci e in grado di mettere in piedi architetture sonore mai banali e scontate (il già citato fraseggio iniziale, quello in odore groove/post thrash dell'opener "Ruins" mi ha fatto rizzare i capelli e mi ha strappato sin dai primissimi momenti un grasso ghigno di soddisfazione) e della vocalist, capace - specie attraverso l'uso delle clean vocals - di rendere i pezzi ancora più brillanti e carichi di fascino. Altra nota: le harsh vocals, quelle che abbiamo definito in "shriek". Sono buone, sicuramente, ma ci sarebbe da lavorare forse un pizzico in più sull'aggressività. Magari maggiore carica, maggiore rabbia - non dimentichiamo che queste sono piazzate sapientemente nei frangenti più energici delle varie tracce (a parte la trasognata "Moon", unica a mantenersi su un'impostazione vocale pulita dall'inizio alla fine) - non guasterebbero affatto. Oppure c'è l'alternativa, al prossimo parto discografico - sperando si tratti di un full length - di non usarle affatto, dando risalto, stavolta, alle clean vocals che Stefania sa usare egregiamente. Perché è inutile specificarlo nuovamente, tanto lo abbiamo lasciato intendere a più riprese, che l'utilizzo della voce pulita per Stefania è un punto-forza notevole, non indifferente nella riuscita dei brani, dato che la sua è una voce bella e gradevole, capace di amalgamarsi egregiamente con la tipologia musicale del gruppo. Ora, più che un nuovo ep o un'altra demo (i nostri sono partiti proprio con una demo se non ricordo male) direi che i tempi potrebbero essere maturi per un primo full da "rodaggio finale", nel quale magari mettere parte dei brani (o tutti, è indifferente) di questo ep, ed estendere e ampliare quanto abbozzato sino ad ora. Basterebbe qualche piccola "limata" qui e là (parti testuali più variegate, utilizzo più convinto delle harsh vocals) oltre ad una ripresa della metodologia compositiva del ricco piatto già dato in pasto agli ascoltatori, per decretare un ottimo parto discografico, intrigante e focalizzato, la giusta portata per saziare tutti quegli ascoltatori che non sanno accontentarsi del compitino facile. Quindi, detto tra noi, non ci manca poi così tanto per avere risultati eccelsi - si tratta di distillare il meglio di quanto sentito ora e perfezionarlo - dato che da "buono" ad "eccelso" il passo è breve. E "maneggiare" una tipologia musicale così particolare e OGM (consentitemi questa parola) come il post/prog venato di death metal, con risultati buoni, non è da tutti e neanche da poco. Dunque, assicurando una bella promozione ai nostri, rimaniamo comunque in sospeso per quel che verrà, che, a parere di chi scrive, non potrà essere assolutamente deludente e anzi si rivelerà una piacevole sorpresa. Magari, riuscendo addirittura ad eclissare le prove di preambolo sentite sino ad ora in questi piccoli assaggi.

1) Ruins
2) Through the Sands of Time
3) Moon
4) Melting Universes
5) What Hides Behind The Sun