JINJER

Micro

2019 - Napalm Records

A CURA DI
MATTEO BURCHIANTI
28/12/2021
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

Progresso.

Una sola parola racchiude in se millenni di cambiamenti, nuove scoperte e menti brillanti che hanno dedicato la propria causa allo sviluppo delle vite di ogni singolo essere del pianeta. Passo dopo passo ci siamo evoluti, estirpando dalla nostra carcassa quelle tracce di antichità che per troppo tempo ci avevano caratterizzati, lasciando così spazio a nuovi esseri per nostra stessa definizione "perfetti".

Se dovessimo ripercorrere la storia delle nostre vite noteremmo come ogni tassello del puzzle riesca a combaciare millimetricamente, in modo quasi impeccabile: fasci di muscoli e tendini intrecciati in modo ottimale, organi sensoriali di una precisione sorprendente e... Ma che ve lo dico a fare amici lettori, date un occhiata allo specchio di casa vostra e capirete all'istante di cosa stia parlando. Ma siamo certi che questa minuziosa analisi si possa estendere a ogni evento che ci circonda? Può il progresso, di fatto, rappresentare il muro portante di questo ammasso di emozioni e sensazioni comunemente chiamato vita?

Ci svegliamo ogni mattina sconvolti dalla miriade di informazioni che la nostra mente è riuscita a inglobare e non facciamo in tempo a mettere insieme le idee che veniamo immediatamente catapultati nell'infinito cataclisma che, da li a poco, ci accompagnerà per tutta la giornata. So già che vi starete chiedendo la ragione di queste mie parole, apparentemente così lontane da quello che è il motivo per il quale vi trovate a spendere minuti preziosi del vostro tempo, ovvero la musica: vi posso assicurare che non mi sto assolutamente allontanando dalla meta, sto bensì tessendo le sottili trame di una tela che man mano vi aprirà gli occhi.

Tempo.

 Non ho usato questa parola a caso cari lettori; oserei dire che questa mia scelta accompagnerà la vostra attenzione al testo per tutta la sua durata, come un buon amico col quale bere un aperitivo durante una lieta serata di relax. Si parte dagli anni d'oro del Metal, il nostro fedele compagno, alle prese con band di spessore indiscutibile: Metallica, Iron Maiden, Black Sabbath sono soltanto alcuni dei pilastri che hanno reso questo genere musicale una vera e propria istituzione per i fedelissimi che se la sono incisa a fuoco nelle ossa. Con l'avanzare degli anni, questo "Dio" di note e melodie, ha finito per fondersi con quelle che erano le esigenze di un mondo che stava cambiando, schiavo del progresso e dell'avanzamento di una cultura sempre più vasta, dando così vita a nuovi "mostri sacri" che oggi invadono indisturbati le nostre percezioni sensoriali e uditive scavando in profondità nei nostri animi. Oggi mi faccio portavoce di una creatura tra le ultime nate: ecco a voi i JINJER.

Come un albero che da lì a poco si prepara a donare al mondo i propri frutti, forti della collaborazione con l'etichetta discografica Napalm Records Handels GmbH, questi titani emergono dalle terre crude e fredde dell'Ucraina espandendo vertiginosamente le proprie radici in tutto il mondo grazie a un sound granitico e potente. Nel 2009, la band poteva vantare già una line up solida e di talento:  Roman Ibramkhalilov alla chitarra, Eugene Abdukhanov al basso e Vladislav Ulasevish alla batteria stavano per mostrare a tutti che non sarebbero stati soltanto un fuoco di paglia ma come in tutte le storie che si rispettino, non esiste trama senza una bella fanciulla da salvare o nel nostro caso, da ingaggiare. Nel 2010 i Jinjer prendono a bordo la magnifica e tatuatissima Tatiana Shmailyuk, cantante dalla voce suadente e irresistibile, ma capace di picchi growl di una cattiveria inaudita. Con la band al completo la creatura poteva dare inizio al suo progetto: dimostrare agli sventurati ascoltatori che il tempo e il progresso, molto spesso, sono soltanto due facce della stessa medaglia.

Arrivati a questo punto spero di aver attirato la vostra attenzione ma non crediate che il cammino che vi aspetta sia così facile da percorrere; il primo ostacolo che vi troverete davanti sarà l'artwork che i nostri paladini ucraini hanno pensato bene di rendere oscuro e criptico, componendolo di forme geometriche indefinite su uno sfondo cupo in bianco e nero, come a preannunciare un ascolto che sicuramente non si dimostrerà alla portata di tutti. Se questo non bastasse, posso assicurarvi che ogni singola traccia avrà modo di farvi riflettere: si passa dalla nascita dell'uomo alle sue azioni spietate verso il pianeta con il Creatore stesso che si pente di averlo messo al mondo, a una tematica delicata come la violenza sui minori con una traccia profondamente introspettiva e claustrofobica. Insomma, non un ascolto adatto a tutti. Attraverso questo disco è come se i Jinjer ci volessero mettere di fronte a uno specchio, lasciandoci con il compito di riflettere sulle nostre azioni; il mezzo migliore per far arrivare il messaggio in modo diretto e devastante è sicuramente quello di usare un genere brutale e dall'impatto immediato, sfruttando al massimo ogni singolo strumento con una tecnica precisa e mirata. I nostri si affidano al Djent, branchia del metal estremo derivato dal Progressive e nato intorno alla fine degli anni '80, che vanta band dello spessore di Periphery e Meshuggah.

Ora che ho imbastito il palcoscenico, lasciate che la mia scrittura vi accompagni nell'abisso che questo spettacolo ha in serbo per voi, mettetevi comodi e? LET'S PLAY!

Ape

"Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".

Queste parole, che sicuramente avrete letto o sentito almeno una volta nella vita, vengono pronunciate da Ulisse -uomo di immenso intelletto- in un passo della Divina Commedia del Sommo Poeta Dante Alighieri. Analizzando queste parole possiamo capire come l'uomo, fin dai suoi primi attimi di vita sulla Terra, fosse destinato alla grandezza e alla supremazia sulle altre razze non attraverso l'uso della mera forza bruta o della violenza, bensì della conoscenza e del suo immenso intelletto.

"Ape", prima traccia di questo Ep, appare fin dal primo minuto di ascolto come una dichiarazione d'intenti da parte della band: le chitarre danno sfoggio di una tecnica e una cattiveria magistralmente calcolate, il tutto sorretto da un muro ben percettibile creato dal basso e dalla batteria che percuote i timpani dell'ascoltatore come un martello pneumatico in pieno cantiere; ad arricchire il tutto, la voce della bellissima Tatiana spazia tra strofe di un growl tritaossa fino al ritornello eseguito contrariamente in tono pulito. La tematica che viene affrontata è, in partenza, quella della creazione della terra e, successivamente, della razza umana; una melma nata da una palla di fuoco viene presentata come il nutrimento perfetto per quella che sarebbe dovuta essere, a tutti gli effetti, la creatura a immagine e somiglianza del Divino.

"Don't you remember you were the size of a bean? Now what a shame to wear the name of "human being"

Le azioni dell'uomo nel corso dei secoli hanno portato guerre, distruzione e danni irreversibili, dunque perché continuare a definirci "esseri superiori"? La traccia prosegue su questa tematica a ritmiche serrate, con riff sempre più potenti e cambi di voce sempre più ispirati. Senza dubbio il modo migliore per dare un assaggio all'ascoltatore dell'immenso talento e della capacità compositiva, anche in fase di stesura dei testi, che questa band ha da offrire.

Dreadful Moments

Voglio fare un esperimento con voi amici lettori, così da farvi immergere meglio nell'atmosfera che questa traccia crea durante il suo ascolto; provate a chiudere gli occhi, a svuotare la mente da ogni pensiero e, con il tempo che vi serve, immaginatevi nella vostra stanza, al buio, assopiti nel calore del vostro letto. Per quanto mi riguarda posso assicurarvi che in un momento del genere mi sentirei totalmente a mio agio e inoltre, non credo sia azzardato, al sicuro; ma se questa quiete temporanea che trasporta la vostra mente e il vostro corpo verso lidi sicuri fosse interrotta a un tratto da qualcosa di veramente sconvolgente, come credete riuscireste a cavarvela? Potreste trovare una via di scampo giusto in tempo per evitare il peggio?

"Dreadful Moments" ci trasporta nella cameretta di una bambina che nella quiete della notte si troverà da li a poco a fronteggiare uno degli incubi peggiori che la vita possa riservare ad un essere umano: la violenza da parte di colui che, fin dall'infanzia, avrebbe dovuto proteggerla e amarla. Passi pesanti, il rumore di colpi decisi alla porta: così Tatiana, con tutta la potenza del suo growl, ci introduce alla traccia nel bel mezzo dell'abominio; ogni strumento è focalizzato sulla brutalità che deve suscitare nell'ascoltatore, così da rendergli più facile l'immedesimazione nella scena. La batteria accompagna il pianto incessante della bambina come fosse un metronomo mentre la voce di Tatiana muta, trasformandosi in una supplica soave e straziante allo stesso tempo, per poi tornare alla sua massima potenza nell'apice della traccia che colpisce l'ascoltatore con riff devastanti. Ogni passaggio di questo brano ci trasmette l'agonia della protagonista, schiava di violenze alle quali non può opporsi, dando sfoggio di una tecnica ed una capacità compositiva davvero solida e perfettamente calcolata. Avendo dunque terminato il nostro esperimento, credo sia giunto il momento di lasciare i nostri paladini al resto della loro fatica: trasportarci in altri mondi attraverso la potenza devastante della loro musica.

Teacher, teacher

Che bella la buona vecchia scuola: sede di amicizie e divergenze, fonte di infinita conoscenza e cultura e, soprattutto, di quelle relazioni con i docenti che mai ci andavano pienamente a genio. Per quel che mi riguarda è sicuramente un capitolo da archiviare, una memoria che certamente non custodisco con piacere in un cassetto nei meandri sconfinati della mia mente; se devo dirla tutta, una cosa da ricordare ce l'ho: la perpetua ridondanza con la quale coloro che si ergevano a "superiori"  mi propinavano un modo di pensare a loro dire "ideale" e corretto. È proprio questa tematica che i Jinjer ci donano in questa traccia, ancora una volta attraverso la loro tecnica e potenza musicale, cercando di aprirci gli occhi sul fatto che non dobbiamo farci abbindolare da fandonie e tanti bei discorsoni perché potrebbero essere la nostra rovina. La canzone si apre con la solita Tatiana che, stavolta in veste di professoressa (da qui il titolo stesso), detta le regole a lei più congeniali affinché la classe non perda il controllo e si comporti in modo disciplinato; pena per chi trasgredisce, una punizione severa. Usando in modo magistrale la sua enorme dote canora, la nostra musa balza tra il cantato pulito e il growl, così da rendere al meglio i vari stati d'animo del soggetto, che non permette, per tutta la durata del brano, nessuna trasgressione. Ritroviamo la stessa ferocia accompagnata dalla giusta dose di controllo tecnico in ogni singolo strumento musicale: la batteria dà sfoggio del primo blast beat di tutto l'Ep e credetemi, vi divertirete un sacco nello scoprirlo; basso e chitarra, dalla loro, ci deliziano con dei riff bellissimi, quasi ci volessero trasportare di nuovo sulle sedie in quelle aule fredde, costretti a subire ancora e all'infinito le pressioni di una società che ci vuole ridurre lentamente ma in modo inesorabile a tanti burattini imbalsamati e tutti identici.

Perennial

Molte volte mi sono ritrovato a pensare quanto possa essere complicato e intenso per una donna riprodurre il growl a livelli quasi maschili, passando poi automaticamente e in modo quasi totalmente naturale al cantato pulito. Non fraintendete le mie parole, non voglio assolutamente fare discriminazione tra i due sessi ma bensì lodare le qualità di cantanti che, alle mie orecchie, restano e resteranno sempre una spanna avanti alle voci maschili. Nel nostro caso, in modo specifico, non posso che inchinarmi di fronte all'assoluta bellezza della voce di Tatiana, che in ogni brano dimostra ispirazione e dedizione pura, facendoci godere ogni nota e ogni passaggio. Lo stesso possiamo dunque dire per questa penultima perla che la band ci dona in questo Ep: l'introduzione è da brivido, con una voce sottilissima e "soffusa" -quasi impercettibile- che ci teletrasporta direttamente nel periodo dell'autunno, nell'esatto momento in cui le foglie cadono portando agli occhi la morte, seppur momentanea, della natura. A livello musicale potremmo definirla "la quiete prima della tempesta", in quanto bastano pochi secondi ai nostri paladini per esplodere in un brano ispiratissimo e ricco di riff trascinanti; l'ambiente è quello di una natura che sta morendo ma che dice soltanto arrivederci alle proprie creature, chiedendo loro di ritrovarsi al più presto la prossima volta. Bellissima la metafora con il volo della farfalla che se ne va, nel suo ultimo volo, verso la fine dei suoi giorni; insomma cosa chiedere di meglio a una band quando ci trascina, in modo così delicato, in atmosfere del genere? Personalmente sono ammaliato da ogni brano di questo gruppo e reputo Perennial, probabilmente, come la traccia più ispirata ed evocativa dell'intero disco. Una nota di merito va poi senza dubbio alla conclusione di questo viaggio uditivo, dove Tatiana da il meglio di se con poche parole che, sono certo, riecheggeranno tra i fan a ogni concerto della band.

"From the ashes of my roots the new me will rise to live again. This is poetry of youth, this is poetry of me and you".

Micro

Durante questa recensione vi ho accompagnati in un viaggio ricco di diverse sfaccettature: l'inizio del mondo e del genere umano, violenze e crudeltà sui minori, l'assoggettamento ai dettami e alle leggi di una scuola che ci rende schiavi e burattini di un sistema al limite della follia e in conclusione, una traccia che rende perfettamente l'idea della caducità della natura, come a voler significare che la nostra avventura sia giunta ormai al capolinea? Ma sarà davvero così, miei amici metallari? Non ci stiamo dimenticando di qualcosa di fondamentale? Ebbene, non ho dimenticato di parlarvi della titletrack, che i Jinjer a mio parere hanno sapientemente deciso di piazzare alla fine della loro creatura: "Micro" si presenta effettivamente come qualcosa di molto particolare e decisamente inusuale da trovare al termine di un album, essendo composta esclusivamente da una partitura di basso. Eugene Abdukhanov ci saluta dedicandoci un brano suonato in modo magistrale, a coronazione di un'opera simbolo del tempo che stiamo vivendo, colma di contraddizioni ma con la speranza che un giorno, presto o tardi, riusciremo a cambiare le cose.

Conclusioni

Il metal negli anni è passato attraverso svariate trasformazioni, alcune dettate dalle mode, altre dalle passioni e dalla voglia delle varie band di sperimentare; ne consegue una continua ricerca delle preferenze degli ascoltatori, ma sempre con le orecchie tese a quei fasti passati delle band che hanno reso glorioso e immortale questo genere. Ogni volta che la parola "Metal" salta sulla lingua di qualsivoglia appassionato, resta inevitabile trovare innumerevoli varietà di opinioni e punti di vista: c'è chi afferma la totale sovranità delle band storiche, che reputano inamovibili dal loro trono, chi si adegua alle novità anche soltanto perché ha spolverato quasi tutto il repertorio storico e non sa più cosa ascoltare e coloro che, trovando noiosi e sottotono i miti intramontabili, si dedicano totalmente alla musica di nuova generazione. Nella miriade di informazioni che una persona può di conseguenza ricavare da queste opinioni dissonanti, potete trovare anche la mia, che forse si distacca un po' da tutte le precedenti: per quanto mi riguarda la musica è arte, e come tale va rispettata in ogni sua forma. Con questo non voglio certo dire che ogni barrito equivalga a una melodia armoniosa e questo di conseguenza vi fa capire che anche io ho le mie preferenze, ma assolutamente non dettate dallo scorrere del tempo o dalle influenze che il nostro amato compagno musicale ha subito. Negli anni della mia vita, a partire da quando ho udito le prime note di band come Iron Maiden o Cannibal Corpse, mi sono dedicato alla passione sfrenata che provo per questo genere con tutte le mie forze, passando attraverso periodi che hanno abbracciato pressoché tutte le possibili varianti: dal "Death Metal" al "Power", passando per il "glam" e lo "Sludge" e, in qualche caso veramente sporadico, anche attraverso il "Black", del quale non sono poi così invaghito. Crescendo ho scoperto moltissime band e ne ho apprezzato tutte le sfaccettature, dalle più affascinanti alle meno intriganti, senza mai distogliere lo sguardo, o meglio l'udito, da quello che è sempre stato il mio obbiettivo primo, ossia la scoperta di novità sempre più appetibili. Quando mi sono imbattuto nei Jinjer ho capito fin da subito che mi avrebbero trascinato in mondi mai esplorati prima: l'aggressività di Tatiana, mai ridondante e sempre ben calcolata, unita alle qualità evidenti di ogni singolo musicista, sono sempre state fonte di ispirazione e nuova linfa dalla quale attingere per la mia passione musicale. Questo album è un esempio perfetto di ciò che dico: già al momento della sua uscita ha riscosso un certo successo collezionando una lunga serie di valutazioni positive da parte di ascoltatori di qualsiasi provenienza e retaggio; a questi si aggiunge il mio, in quanto mi sono ritrovato a rincorrere idee nuove, emozioni inedite e ad affrontare "ombre" della coscienza altrui -ma che inevitabilmente si insinuano anche nella mia e in quella di chiunque si trovi a contatto con certe tematiche- che cambiano il percorso di una vita. Durante l'ascolto mi si parava di fronte il muro della violenza crudele e del rifiuto che naturalmente provavo mirabilmente accompagnata dalla musica che amplificava il tutto; l'ascolto di per sé è un'ottima esperienza in quanto si tratta di un lavoro di alta qualità, il faccia a faccia col marciume umano lo è decisamente meno. Trattandosi precisamente dello scopo della band, direi lavoro impeccabile. Sebbene si tratti di un prodotto relativamente breve, è ricco: delle tracce "Ape" e "Perennial" troviamo anche due videoclip ufficiali e anche un lyric video della traccia "Dreadful Moments "; in particolare il video di "Perennial" è particolarmente suggestivo, è caratteristico nelle ambientazioni (è girato all'aperto, fra scenari innevati e notti buie) e ti lascia addosso un senso di oppressione, decadenza e asfissia, una sensazione molto negativa che ti taglia il respiro. Spero vivamente che questo disco, seppur composto da soli cinque brani, possa coinvolgervi come ha fatto con me e che riesca a farvi provare le mie stesse emozioni e mi permetto di consigliarvi di prepararvi emotivamente all'ascolto, perché una volta immersi il vortice di quesiti irrisolti può destabilizzare; vi auguro dunque una buona lettura e, se vorrete, un buon ascolto amici miei. Io sarò di nuovo qui, molto presto, per raccontarvi le gesta di una nuova band?Quindi corna al cielo e birra alla mano gente!

1) Ape
2) Dreadful Moments
3) Teacher, teacher
4) Perennial
5) Micro