JETHRO TULL

War Child

1974 - Chrysalis

A CURA DI
SANDRO PISTOLESI
02/08/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Le critiche negative piovute in maniera copiosa sull'ottimo ma complicato "A Passion Play" ed il clamoroso misunderstanding escogitato dall'avido produttore Terry Ellis fra i nostri e la carta stampata albionica, ridimensionarono non poco la fama dei Jethro Tull, questo perlomeno per quanto riguardò il Regno Unito. Per fortuna le critiche non giunsero fino all'altra parte dell'Oceano, dove i nostri piazzarono saldamente il controverso album al primo posto delle classifiche americane. Invero, anche lo zoccolo duro dei fans di casa apprezzò l'album nonostante la lampante complessità delle liriche e della musica, ma i fans più suscettibili, condizionati da recensioni che definire negative suona come un eufemismo, preferirono spendere i loro risparmi andando alla scoperta del Lato Oscuro Della Luna o acquistando l'Inghilterra Un Tanto Al Chilo, seguendo l'infame e inopportuno consiglio degli addetti ai lavori. Un ridimensionato ed abbattuto Ian Anderson, nell'autunno del 1973 abbandonò momentaneamente la musica, dedicandosi alla stesura della sceneggiatura di un film, intitolato "War Child (Figlio Della Guerra)". Il titolo prendeva ispirazione da un vecchio brano del cantautore folk inglese Roy Harper. La trama della futura dark comedy a sfondo soprannaturale era incentrata sull'atavica lotta fra Dio e Satana, già affrontata in maniera velata nell'album precedente, con l'aggiunta di un clamoroso retroscena che vedeva i due contendenti racchiusi in un'unica entità soprannaturale. La protagonista del film era un'adolescente, che giunta nell'Aldilà (altro lapalissiano richiamo alle liriche di "A Passion Play") incontra Dio, San Pietro e Lucifero, rappresentati nelle vesti di avidi uomini d'affari. Contemporaneamente, i Jethro Tull, avvalendosi della preziosa collaborazione di David Palmer, si occuparono della scrittura della colonna sonora, che in origine doveva essere racchiusa in un doppio album. Furono rispolverate vecchie composizioni e addirittura i fallimentari nastri simpaticamente denominati da Ian Anderson"The Chateau D'Isaster Tapes", dai quali furono prese e rielaborate ben tre tracce. Quando il film sembrava praticamente ultimato, iniziarono a manifestarsi seri problemi nel reperire i fondi per la finalizzazione del progetto. La fama dei nostri in America fece sì che si facesse avanti una casa cinematografica americana, la quale però mise insieme ai soldi alcuni veti, ovvero la scelta inopinabile del regista e un attore protagonista di nazionalità a stelle e strisce. Ian Anderson si oppose ad un evidente tentativo di controllo da parte degli americani sul suo film, mandando clamorosamente tutto in fumo. Fra le mani del Madman Flautist rimase solo la colonna sonora, dalla quale furono estratte dieci canzoni che andarono ad ultimare la track list dell'album in studio numero sette, a cui rimase anche il titolo provvisori del film che per la cronaca, non è mai venuto alla luce. Ma prima di pubblicare il nuovo album, i nostri dovevano risolvere un problema che avrebbe potuto affondarli definitivamente, ovvero placare gli attriti con la carta stampata inglese. Un altro album con recensioni negative sarebbe stato a dir poco letale. Per tentare di seppellire l'ascia di guerra, fu indetta una conferenza stampa a Montreux. All'evento furono invitati tutti i giornalisti della carta stampata britannica e non, con tanto della presenza della televisione. In maniera diplomatica, Ian Anderson invitò i critici musicali a recensire un loro futuro album cercando di dare un chiaro punto di riferimento all'ascoltatore, e non di dirottare il medesimo verso l'acquisto di altri dischi. Senza ombra di dubbio, il rapporto fra la band e la critica non fu più il medesimo antecedente a "A Passion Play", ma perlomeno erano riusciti a sedare una guerra che gli avrebbe visti sicuri sconfitti. Come per i precedenti album, anche il tour di "War Child" era accompagnato da una suntuosa scenografia teatrale che aveva come tematica principale il bianco ed il nero. Il quartetto di strumentiste dirette da David Palmer eravestito in copia con un abito nero e ali platinate. Ogni membro della band aveva un suo costume e si identificava in un personaggio ben delineato. Ian Anderson si era ben calato nelle vesti pittoresche di un menestrello d'altri tempi, accompagnato dalla sua nuova fiamma, Shona Learoyd, che in abiti succinti porgeva aIan tutti i suoi strumenti. Martin Barre indossava un vistoso e colorato vestito a trama floreale, ma il più bello era il look di Jeffrey Hammond, con un lisergico motivo zebrato a strisce diagonali che continuava anche sulla sua strumentazione. La fama ormai consolidata in America portò i nostri a "trascurare" il Nuovo Continente nella prima parte del tour, puntando tutto su Oceania, Europa e Giappone. Ma gli americani furono ricompensati con gli interessi nella seconda parte del tour, che si consumò nel 1975, con ben 45 date, per poi ritornarvi per altre 29 dopo un interludio europeo di 22 date.L'esperienza negativa del Château D'Herouville, l'insoddisfazione nei confronti degli studi di registrazione inglesi sommata alla esorbitante tassazione del 98 % relativa agli artisti, portarono i nostri fare un intelligente investimento, ovvero realizzare uno proprio studio di registrazione mobile, denominato Maison Rouge Mobile. In questo modo, erano liberi di registrare anche durante i tour all'estero e sfuggire alle grinfie del fisco britannico. Alla fine del 1974, Ian Anderson abbandonò la sua residenza in Baker Street comprando una nuova casa, lasciata in maniera stravagante vuota per un discreto lasso di tempo, con il nostro che aveva preso la "residenza" in albergo, che trovava assai più produttivo per le sue ispirazioni, con l'intento di allontanarsi ancora di più da quel progressive con cui i nostri ci hanno conquistato. E' giunto il momento di inserire "War Child" nel nostro lettore e scoprire la nuova strada musicale intrapresa dai nostri amatissimi Jethro Tull.

War Child

Ad aprire le danze è proprio la title track, "War Child (Figlio Della Guerra)", le cui liriche, come spesso accade per i versi firmati Ian Anderson, possono avere più di una interpretazione, dal titolo si evince che si tratta di una canzone antimilitarista, che con una vena di sarcasmo critica qualsiasi tipo di confronto bellico. Ma ascoltando i primi secondi dell'introduzione, dove fra sirene, spari ed altri rumori riconducibili ad un conflitto bellico, in sottofondo udiamo un dialogo fra moglie e marito in cui lei offre a lui una tazza di tè, prontamente rifiutata, altrimenti farebbe tardi al lavoro. E' evidente una critica nei confronti del lavoratore medio inglese, che mette il lavoro davanti ogni cosa, non cedendo ad una tazza di tè offerta dalla moglie e noncurante dei minacciosi ruggiti dell'artiglieria pesante, che lentamente sfumano in fader, lasciando il campo ad una soffusa introduzione musicale con un melenso sassofono che va ad intrecciarsi con una classicheggiante partitura di pianoforte d'altri tempi. Dopo questo piacevole quadretto che rievoca immagini in bianco e nero degli anni '50, il basso di Jeffrey Hammond inizia a pompare, seguendo i delicati filler di batteria, annunciando la prima strofa. La chitarra gracchia in sottofondo, svolazzando intorno a dolci fraseggi di pianoforte che accompagnano il Menestrello Scozzese, secondo il quale ognuno di noi è un figlio della guerra. In ogni uomo è nascosta una buona dose di istinto aggressivo, che a seconda del soggetto può essere usata più o meno bene. E' lo spirito competitivo che distingue l'uomo dalla scimmia. Ma i versi colmi di doppi sensi, ci portano dritti verso un altro tipo di guerra, quello fra i nostri e la stampa musicale britannica, conflitto che come sapete è scoppiato dopo l'album "A Passion Play", amato dai fans ma stroncato dalla critica.Ian Anderson invita i critici più estremisti a rimettersi in gioco come fa lui, pronto a rialzarsi dalle cadute e determinato a sorprendere di nuovo. Nel chorus tornano il sax ed il pianoforte a farla da padrone, dove i nostri dubbi che fra le liriche si celino velate frecciatine verso la carta stampata vengono alimentati ulteriormente. I nostri si sentono figli delletenebre, che danzano di notte e di giorno, portando avanti il loro messaggio musicale. Nella seconda strofa con ironia il Cantastorie Di Dunfermline si paragona addirittura a Gesù Cristo, sostenendo di poter trasformare l'acqua in vino. Invero il nostro è solamente capace di trasformare le proprie idee musicali in pietre miliari della musica rock, ai miracoli veri e propri è giusto che ci pensi qualcun altro. Minacciosamente si fa avanti il ritornello, seguito da un'altra strofa, dove il nostro parla della difficile convivenza fra gli abitanti e i militari accorsi a difendere un paese colpito dalla guerra, militari che sovente abusano della devota ospitalità. Da notare come in questo primo pezzo sia lampante una mutazione stilistica e di songwriting. I nostri abbandonano le epiche suite del passato, cercando di riconquistare nuovi fans con brani dalla canonica struttura strofa-ritornello. Nel chorus successivo, sax e pianoforte vengono quasi oscurati dai minacciosi vagiti dell'artiglieria pesante e dalle hollywoodiane trame orchestrali di David Palmer, che proseguono anche nel successivo interludio strumentale, dove Ian Anderson ci incanta con un suntuoso assolo con il sax. I nostri ci accompagnano lentamente verso l'epilogo, con il ritornello riproposto in loop, sempre farcito dall'orchestra e dai rumori di una guerra sempre più padrona del Mondo.

Queen And Country

Con "Queen And Country (Corona E Patria)" arriva la prima sorpresa, che potrebbe far storcere il naso agli ascoltatori di mentalità meno aperta. Il brano si apre infatti con una festosa fisarmonica da sagra paesana, suonata con maestria da John Evans. Ma quando entra in scena la graffiante chitarra distorta di Martin Barre, ci accorgiamo di assistere all'ennesima genialata di Mr. Anderson, il connubio chitarra elettrica-fisarmonica ha il suo fascino e non suona poi così male. Il Cantastorie Di Dunfermline impreziosisce l'insolito wall of sound con una ammaliante linea vocale, raccontandoci le gesta dei coraggiosi marinai fedeli alla corona e alla patria. E' dalla notte dei tempi che l'Inghilterra ha esteso il suo impero grazie alla potenza della propria flotta navale, la quale portava gran parte degli introiti che arricchivano le tasche delle istituzioni albioniche. Salpando di porto in porto, i marinai trovavano sollievo nelle disponibili signore locali, sempre pronte ad accoglierli al loro arrivo, ricoprendoli di sospiri setati e pregandoli di non andare via. Le svolazzanti sinfonie orchestrali di David Palmer annunciano l'inciso, dove scopriamo che anche i Jethro Tull in fondo si sentono come i marinai. Gli eroi del mare hanno firmato un contratto con la Royal Navy giurando amore eterno verso la Corona e la Patria, come i nostri lo hanno firmato con la casa discografica. Da cinque anni a questa parte, ergo da quando è iniziata la loro carriera musicale, i nostri saltano da una città all'altra per fare concerti, come i marinai salpavano di porto in porto, e come loro anche i nostri si svagano con delle ammalianti prostitute e arricchiscono con i loro spettacoli le casse dello stato, come i marinai le arricchivano portando dai loro viaggi oro, perle e diamanti. Nella strofa successiva, la presenza dell'orchestra diretta da Palmer si fa più sostanziosa con taglienti sviolinate, facendosi largo fra il grande lavoro del duo ritmico Barlow-Hammond. Anche questo brano segue la canonica struttura strofa-ritornello, dove stavolta apprendiamo che come Faust vendette l'anima al Diavolo, i nostri hanno venduto l'anima alla musica rock. A seguire incontriamo un bellissimo assolo di chitarra. Martin Barre di forte matrice hard rock. Seguendo la zoppicante andatura della sezione ritmica, il Chitarrista di Birmingham confeziona uno dei suoi assolo più interessanti, mixando l'acidità dell'hard rock con il fascino del folk. I nostri continuano con l'accattivante ritornello, carico di vetriolo nei confronti delle istituzioni inglesi, che come in passato continuano ad arricchirsi con gli introiti degli artisti, costruendo fabbriche per poter arricchirsi ulteriormente e controllare l'operaio medio britannico.

Ladies

Con la seguente "Ladies (Signore)" si smorzano i toni, si passa da un energico pezzo hard rock ad una delicata ballata folk che ci riserva una sorpresa nel finale. Nelle liriche ritroviamo le signore dai facili costumi conosciute nella canzone precedente, quelle che con grazia e malizia ammaliavano i giovani marinai, regalandogli qualche minuto (o qualche ora) di sollievo. Ma anche in questa canzone, il discorso si può allargare alla dura vita dei tour che sfinisce i nostri, tenendoli a lungo lontano da casa, costretti a distrarsi con prostitute o groupies di turno. Il brano si apre con un brusio di voci, forse proveniente da un bordello, poi un improvviso "sshhhh" ammutolisce tutti, aprendo le porte ad un magico intreccio di chitarre acustiche. Qualche battuta dopo si unisce una trama di flauto dall'aria fatata, che riporta a galla le origini folk rock della band. Con una linea vocale carica di tristezza, il cantastorie scozzese, accompagnato da barocche trame di chitarra acustica e suggestive percussioni che seguono i passi felpati del basso, ci dipinge uno dei suoi straordinari quadretti, dove le protagoniste sono le prostitute, disegnate con i caratteristici affascinanti abiti di seta ottocenteschi. Alla ricerca di forestieri bisognosi di piacere, lasciando intravedere le loro grazie, ammaliano gli uomini con un sorriso a cui è impossibile sfuggire. Nell'effimero ritornello il sax ed il sassofono si alternano, accompagnando un sospirato "Ladies (Signore)" carico di mestizia. La strofa successiva viene impreziosita da una hollywoodiana trama orchestrale diretta magistralmente da Mr. Palmer. Il nostro alimenta l'alone di tristezza che traspare chiaramente per tutto il brano. Ian Anderson cerca di mettere in luce la tristezza e lo squallore di un rapporto sessuale a pagamento, con i marinai che per qualche minuto o al massimo qualche ora, diventano gli eroi personali delle prostitute, come del resto le rockstar sono gli eroi delle fans, disposte a tutto per accaparrarsi qualche minuto con i propri idoli.L'orchestra domina anche nel breve ritornello finale, lasciando poi il campo ad una sorprendente coda "ragtime", ovvero la caratteristica forma musicale strumentale incentrata su un martellante pianoforte old Texas e da un ritmo sincopato, definita appunto "musica da bordello". In questo brioso finale, Ian Anderson tenta di scacciare la malinconia che ha pervaso per tutto il brano, con un brillante assolo di sax, che sfuma lentamente in fader.

Back Door Angels

In "Back Door Angels (Angeli Della Porta Di Servizio)" Ian Anderson torna ad affrontare alla sua maniera lo scottante tema della religione e della fede. Per farlo, il nostro va a scomodare una figura spesso cara anche a chi non è religioso: l'Angelo, che sovente entra di soppiatto nella nostra vita passando dalla porta di servizio, aiutandoci nelle situazioni che spesso ci appaiono disperate, ma che poi si risolvono magicamente nel migliore dei modi. Il brano parte in maniera soffusa con una dolce partitura di flauto accompagnata da un delicato arabesco dipinto dal formidabile duo Barlow-Hammond. Il brano raggiunge subito il suo apice con l'ingresso della chitarra e del fantastico mix di tastiere ed orchestra. Sicuramente, in questi primi secondi di brano riusciamo a respirare il progressive rock dei precedenti album. Con un riferimento prettamente evangelico, gli angeli descritti dal Paroliere di Dunfermline sono dodici. Con i loro capelli biondo cenere, pare cha abbiano poteri soprannaturali, sono capaci di far dormire un essere umano con un semplice sussurro o di prolungare la vita di un cane agonizzante toccandogli semplicemente la testa. Con le loro candele inesauribili illuminano i periodi bui e tolgono le scorie dalla negative dalla Terra, cospargendole con una miscela di fiori di campo dal profumo intenso. Una lisergica partitura di organo tipicamente settantiana spalanca i cancelli ad un minaccioso riff di chitarra, di puro stampo hard rock, seguito da un micidiale assolo di Mr. Barre, accompagnato splendidamente dalla sezione ritmica e da un vincente tappeto di organo Hammond. Questo piacevole interludio progressive rock si protrae fino al minuto 02:10, dove dopo due secondi di assordante silenzio parte la seconda strofa, che come la prima parte in maniera soffusa, per poi decollare con l'ingresso della sei corde. Qui Ian Anderson si interroga sul mistero della fede. Gli Angeli hanno molti poteri, fanno spuntare rose rosse e dipingono i cieli di blu, ma allo stesso tempo fanno cadere l'elemosina un piatto sì e uno no, rovinando la metà dei mendicanti. Il Cantastorie Scozzese ha il coraggio di mettere in dubbio la fede umana nei confronti di qualsiasi entità superiore, indipendentemente dalla tipologia di religione. Come fa l'essere umano ad avere una così forte volontà di credere in un Dio superiore, se questi permette allo stesso tempo morti ed ingiustizie incomprensibili? Irrompe nuovamente John Evans, con un riff di organo dai poteri allucinogeni, annunciando nuovamente il grintoso tema di chitarra. Anche stavolta è Martin Barre a fare le veci dell'inciso con un rockeggiante assolo di chitarra, tempestato da energici filler di batteria, orde di note sparate dal basso ed un ossessivo tappeto di organo. Gli accordi di chitarra sfumano molto lentamente in fader, ma poi ecco che spunta una sorprendente outro dal sapore barocco. Le cristalline note della Martin D-28 suonata con il plettro accompagnano il Menestrello Scozzese negli ultimi versi, dove apprendiamo che gli angeli, se pur entrando dalla porta di servizio, sono padroni del nostro destino. I versi conclusivi sono recitati a cappella, Ian Anderson, mediante l'utilizzo degli aggettivo possessivo "her (suoi)" ed il pronome personale "she (lei)" ci svela che gli angeli che ha incontrato sono di sesso femminile, e se ne volano via di soppiatto come sono arrivati, salutandolo con un sorriso ed un ammaliante occhiolino.

Sealion

Molte allegorie e doppi sensi nella successiva "Sealion (Leone Marino)", brano dalle liriche impenetrabili, sottoposte a mille interpretazioni. Musicalmente parlando si tratta di una trascinante cavalcata ritmica settantiana dettata dal basso e ricamata dalla chitarra e dall'organo. Dopo una intro con un tagliente flauto protagonista che si incrocia con i lamenti della sei corde arriva la strofa. Seguendo l'epica cavalcata degli strumenti, con una linea vocale ammaliante il Cantastorie Di Dunfermline recita dei versi che nel corso degli anni sono stati interpretati in maniera contrastante dagli addetti ai lavori. C'è chi ci vede riferimenti alle dittature o alla ricerca del potere in generale. Io penso che invece Ian Anderson abbia usato allegoricamente il carnevale per definire la vita degli artisti, sempre sul filo del rasoio a fare voli pindarici per far divertire il pubblico. In particolare, la figura del leone marino che riesce a tenere in equilibrio una palla sul naso è l'immagine perfetta per rappresentare il precario equilibrio in cui vivono costantemente le star della musica, oggi alle stelle, domani alle stalle, magari a causa di alcune recensioni negative che affossano un lavoro in cui avevano creduto molto. Nello scanzonato inciso, che Ian Anderson recita con una buona dose di ironia sfiorando il parlato, le gioiose trame orchestrali e la fisarmonica di John Evans diffondono una allegra atmosfera circense. Torna la strofa, con basso e chitarra che viaggiano all'unisono seguendo la forsennata ritmica di Barriemore Barlow e i rintocchi di campana che fuoriescono dal castello di tastiere. Incontriamo un misterioso "Domatore Supremo", che per molti è un dittatore, per altri Dio, visto il forte rapporto con la religione che Andersonda sempre vive alla sua maniera, ma ritornando al mondo della musica, potrebbe essere anche l'impero delle case discografiche e della carta stampata, che tiene sempre in bilico gli artisti, come i nostri rimarcano nel secondo ritornello. A spezzare in due il brano ritroviamo il tema dell'introduzione, con i lamenti della chitarra che inseguono le trame orchestrali e i taglienti venti del flauto. Successivamente calano i BPM, i nostri confezionano un wall of sound che ci porta all'interno del tendone di un circo di altri tempi, per poi ripartire con l'epica cavalcata della strofa, dove Ian Anderson fa un'auto citazione con "A Passion Play (Mistero Sacro)". Negli ultimi versi della strofa si rafforza la teoria da me sposata per interpretare le liriche, con la frase "So we'll shoot the Moon (Così spareremo alla Luna)", che nel gioco di carte Hearts significa accumulare tutte le carte perdenti, che se messe tutte insieme in una sola mano, hanno però il potere di ribaltare completamente il loro valore, diventando appunto vincenti. Alcune idee di questo album appartengono al vecchio repertorio della band, abbandonate perché ritenute canzoni perdenti. Ora i nostri le hanno rispolverate e rielaborate, sperando di tirarci fuori canzoni vincenti capaci di far volare in alto gli enormi palloni che da sempre i nostri lanciano verso il pubblico a fine concerto, sperando che non finiscano sopra la punta di uno spillo. Nell'ultimo inciso, il nostro non parla più in generale ma a nome della band, che è determinata a tenere in equilibrio il Mondo sui loro nasi, infischiandosi delle critiche negative e continuando a diffondere il loro messaggio musicale che gli viene dal profondo del cuore.

Skating Away On The Thin Ice Of A New Day

"Skating Away On The Thin Ice Of A New Day (Pattinare Sul Ghiaccio Sottile Di Un Nuovo Giorno)" semplicemente "Skating Away" per gli amici, è la prima delle tre tracce che risalgono alle sciagurate registrazioni effettuate al Château D'Herouville, denominate ironicamente da Ian Anderson "The Chateau D'Isaster Tapes" Il brano è stato opportunamente remixato, ma la struttura è rimasta invariata, in quanto le operazioni di remixaggio sono state effettuate sulla registrazione originale risalente all'Agosto del 1972. Si tratta di una calorosa ballata folk rock, pubblicata come singolo solamente in patria il 3 Marzo del 1975. Nei primi quaranta secondi del brano possiamo udire Ian Anderson che canticchiando si prepara il classico tè pomeridiano, icona della cultura britannica che soventemente abbiamo trovato all'interno delle liriche tulliane. Finite le operazione di rito irrompe il Cantastorie Scozzese, in compagnia della sua fida Martin D-28, cantandoci dell'alba della vita dell'essere umano, quando doveva combattere solo contro Madre Natura e non apparteneva a nessun'altro che a se stesso, prima che dopo milioni di generazioni, venisse venduto alla società. La fragilità della vita dell'essere umano, che ogni giorno pattina su una sottile lastra di ghiaccio e la storia senza la quale l'uomo non sarebbe nessuno,sono i fili conduttori delle liriche. Il bridge viene annunciato da un'ammaliante stop della chitarra acustica, Ian Anderson, accompagnato dalle barocche trame della sei corde acustica, fa un balzo temporale nel tempo, portando l'uomo ai giorni nostri, dopo un milione di generazioni, dove scopre di essere lontano anni luce dalle proprie aspirazioni. Un veloce passaggio sul glockenspiel da parte di Barriemore Barlow apre le porte all'inciso, dove Ian Anderson ci conquista all'istante pronunciando semplicemente due volte le parole "Skating Away (Pattinare)" seguite dal titolo completo del brano, con una linea vocale che si imprime prepotentemente nella nostra mente. Nella strofa successiva, gli angelici rintocchi del glockenspiel donano un'atmosfera fiabesca, mentre la triste fisarmonica suonata da John Evans va a rispolverare le origini folk della band. Il Paroliere Scozzese ci rimanda nuovamente all'album "A Passion Play", usando la spiaggia come sinonimo di espiazione dei peccati. Nel bridge, si manifestano gli accordi gracchianti della sei corde di Martin Barre. L'uomo sin dalla notte dei tempi, se spaesato, ha sempre trovato conforto rivolgendosi ad alcune entità superiori, pregando in cerca di un segnale che gli indichi la strada da percorrere, fino ad arrivare all'inspiegabile "Mistero Sacro". Quindi un'altra autocitazione, dovuta la fatto che le stesure originali del brano risalgono ai tempi di "A Passion Play". Dopo il successivo ritornello, il flauto e la fisarmonica duellano a lungo intrecciandosi con la voce del Cantastorie Di Dunfermline. Con delicatezza entra a pieno regime la sezione ritmica, Barriemore Barlow suona in punta di piedi usando le spazzole, mentre Hammond Hammond dipinge sinuosi serpenti di note che si sposano alla perfezione con gli acidi accordi distorti sparati da Martin Barre. Nell'ultima strofa, viene sottolineata l'importanza della storia per l'essere umano, senza la quale sarebbe costantemente a rischio camminando su di una sottilissima e fragile lastra di ghiaccio. Senza la storia l'uomo sarebbe l'unico spettatore di fronte al magnifico palcoscenico che vede come protagonista Madre Natura. I nostri ci salutano con l'ammaliante ritornello, che rimarrà a lungo impresso nella nostra mente.

Bungle In The Jungle

Anche l'idea di "Bungle In The Jungle (Pasticcio Nella Giungla)" risale ai tempi del soggiorno presso il suggestivo maniero francese di proprietà del compositore musicale Michel Magne, ma in questo caso le registrazioni si sono tenute nella primavera del 1974 presso i Morgan Studios. E' stato il primo singolo estratto dall'album, pubblicato dalla Chrysalis il 15 Novembre del 1974 in patria ed il 23 Settembre del medesimo anno negli Stati Uniti, dove raggiunse una più che dignitosa posizione numero 12. Pero onor di cronaca è giusto sottolineare che il brano raggiunse la prestigiosa posizione numero 4 dei singoli più venduti in Canada. Fra i minacciosi rumori della giungla si fa largo una spensierata trama di flauto, che ci accompagna dolcemente verso la prima strofa, dove troviamo un interessante tema musicale dettato dal pianoforte e accompagnato da una aritmica dai sentori jazz. Ian Anderson dipinge in maniera burlesca la caotica vita occidentale come la pericolosa vita nella giungla, dove belve assetate di sangue sono sempre dietro l'angolo, pronte a farti la festa. Nella seconda strofa la chitarra elettrica di Martin Barre dona verve al brano con una serie di acidi accordi distorti, ma ad emergere sono i geniali contrappunti con cui il Chitarrista Di Birmingham ricama la linea vocale. Il nostro non le manda a dire neanche alle nuove generazioni che sposano l'ideologia hippies, con cui non è mai stato in sintonia. Le nuove generazioni amano ubriacarsi in massa ogni venerdì sera, lasciando che lo spirito animale prevalga su quello umano, spinto dall'ebbrezza dell'alcol e delle sostanze stupefacenti. Nell'energico ritornello, il Cantastorie Scozzese tira fuori dal cilindro l'ennesima linea vocale vincente, dichiarandosi pronto a combattere nella giungla, letale come una tigre quando cerca l'amore, perfido come un serpente quando le cose non vanno bene. Con l'avvento della strofa il brano cala nuovamente, Ian Anderson, ricamato dalle sviolinate dirette da David Palmer, mette nero su bianco altre allegorie che identificano l'essere umano in un animale. Dopo il secondo inciso incontriamo un bellissimo interludio strumentale dove strumenti e orchestra danno vita ad una emozionate babele di suoni che mette in mostra il gusto e classe del combo albionico. Le tristi trame dei violini si sposano alla perfezione con gli spensierati sospiri del flauto, dando vita ad un contrasto che ci fa sognare. Nella strofa finale, Ian Anderson riprende la teoria lanciata nel brano dedicato agli angeli, non comprendendo come un eventuale Dio possa essere padrone del male e del bene allo stesso tempo, in questo caso il nostro usa due figure animali in netto contrasto fra di loro. Dio ha messo sulla Terra degli adorabili gattini, a cui è impossibile resistere, ma allo stesso tempo a nascosto fra la flora dei pericolosissimi serpenti velenosi, guardando dall'alto la nascita di un nuovo giorno, scommettendo sulla vita delle proprie creature. Le scimmie sembrano comunque felici di intonare il bellissimo ritornello, con il quale i nostri ci accompagnano verso l'epilogo, fra taglienti sviolinate e acidi ricami di chitarra che sfumano lentamente in fader.

Only Solitaire

"Only Solitaire (Solo Solitario)" è una vecchia idea risalente ai tempi del capolavoro "Aqualung", che per qualche motivo da me ignorato, non finì nella track list finale dell'album. Il brano con il titolo "Solitaire" fu comunque ripreso durante il soggiorno al Château D'Herouville nell'Estate del 1972, finendo però ancora una volta nel dimenticatoio, per poi essere ripreso e finalmente pubblicato sul settimo album dei Jethro Tull. Si tratta di una breve e calorosa ballata acustica dai sentori folk, perfettamente in linea con i fantastici intermezzi acustici di "Aqualung". Le cristalline note della Martin D-28 suonata rigorosamente da Ian Anderson con il plettro rievocano atmosfere che ci proiettano su una spiaggia deserta al chiaro di Luna, davanti ad un falò e una buona bottiglia di vino. Con una linea vocale molto sobria, il Cantastorie Di Dunfermline ci illustra se stesso visto dagli occhi di un critico musicale, nella fattispecie il reporter musicale Steve Peacock, citato proprio nei versi conclusivi. Secondo il critico musicale britannico, Ian Anderson non ha proprio tutti i requisiti e gli stereotipi della classica rock star. Troppo attento all'igiene tanto da non sedersi nemmeno sulla tazza del water, è una delle poche star della musica a non aver mai contratto nessuna delle moltissime malattie veneree che all'epoca erano solite contagiare i musicisti più oltraggiosi. Un altro aspetto contrastante con la maggior parte dei musicisti degli anni '70 è quello di non aver mai abusato di sostanze stupefacenti, e non solo, ma il nostro, sempre lucido e professionale sul palco, non amava neanche contornarsi di musicisti che facevano uso di droghe, temendo che potessero rovinare lo spettacolo con errori marchiani dovuti ad uno stato confusionale, chiedere a Glen Cornick per credere. Un vigoroso strumming di chitarra acustica fa da bridge spalancando le porte all'inciso, dove precipitano i BPM. La linea vocale si fa più calda, facendosi largo fra la ragnatela di note che scendono giù come luccicanti glitter. Nonostante tutto, Ian Anderson viene comunque dipinto da Peacock come un attore affascinante, capace di incantare le platee grazie alla sua abilità oratoria, alle linee vocali ammalianti e ai voli pindarici che fa sul palco. Il brano precipita velocemente verso l'epilogo, dove con una voce cavernosa, Anderson svela il nome del critico musicale.

Third Hoorah

I leggiadri sospiri del flauto e la trascinate marcia dai sentori militari sul rullante ci lasciano presagire che in "Third Hoorah (Il Terzo Urrà)" la guerra torna ad essere ancora protagonista, ricollegandosi alle liriche della title track. Dopo la breve introduzione, John Evans ci porta indietro nel tempo con una festosa trama di tastiera, catapultandoci nel bel mezzo di una festa medievale, con donzelle danzanti e calici di birra al cielo. La sezione ritmica tempesta di colpi stoppati le barocche trame che fuoriescono dal castello di tastiere, mentre Martin Barre ricama con festosi fraseggi di chitarra. Dopo circa un minuto entra in scena il Cantastorie Scozzese, che sottolinea come troppo spesso i bambini siano vittime sacrificali in un conflitto bellico. Ma il nostro paragona la guerra alla vita quotidiana dell'essere umano, sempre piena di ostacoli e che talvolta richiede una buona dose di cattiveria per poter andare avanti. Hammond Hammond fa pompare il basso nell'inciso dove ritroviamo il titolo del platter, seguito da un laconico e sarcastico "urrà". A seguire ritroviamo il festoso riff di tastiera dai sentori medievali che apre i cancelli al ritorno della caotica strofa dove il nostro ci invita di vivere fino alla morte, come se non ci fosse un domani, rimarcando poi nel finale l'assurdità delle guerre che vedono bambini innocenti come vittime indirette. In un brano caotico e pieno di suoni non proprio canonici non poteva mancare David Palmer, a dirigere il quartetto d'archi, che si prende un momento di gloria sparando taglienti sviolinate. Flauto e orchestra si alternano seguendo l'ossessiva marcia della sezione ritmica, lasciando poi il campo a nostalgiche cornamuse che portano venti di guerrariprendendo la melodia del main theme di tastiera. I nostri continuano con questo letale mix di melodie medievali e belliche fino al ritorno della strofa e del chorus, che liricamente non ci dicono nulla di nuovo. L'insolito wall of sound sfuma lentamente in fader ponendo fine a quello che è il brano più sottotono del platter.

Two Fingers

La traccia conclusiva del platter "Two Fingers (Due Dita)" risale ai tempi di "Aqualung", quando la band stava attraversando un fantastico momento a livello compositivo. La versione primordiale del brano, assai più breve, si intitolava "Lick Your Fingers Clean". I nostri lo hanno rivisitato donandogli un nuovo abito grazie all'uso di strumenti diversi rispetto alla versione originale, dove era il pianoforte lo strumento portante. La canzone poi si faceva più energica grazie ad una manciata di graffianti accordi distorti di chitarra, e sfoggiava un folleggiante assolo di flauto. In questa nuova versione,John Evans stende un alieno pad di tastiera, al quale va a fondersi una lontana e triste trama di fisarmonica. Dopo questo timido tentativo di introduzione pochi accordi di chitarra acustica accompagnano il Cantastorie di Dunfermline, che con mestizia ci porta di fronte al tribunale per eccellenza, quello del Giudizio Universale, dove tutti vengono giudicati dall'Onnipotente, in base al comportamento tenuto durante la permanenza sul pianeta Terra. Dopo questo breve ammonente sermone, un energico strumming con la sei corde acustica tira su il pezzo, accompagnato da uno squillante piattello suonato energicamente. Successivamente, Ian Anderson e Martin Barre si mettono a duellare con le rispettive chitarre, mentre il basso di Jeffrey Hammond inizia a ruggire minaccioso. Per tenere testa al Chitarrista Di Birmingham, il Polistrumentista Scozzese depone la chitarra acustica in virtù di un più chiassoso sax, continuando il duello. Al minuto 01:33 arriva la strofa, dove emerge un basso mixato assai più alto rispetto agli altri strumenti. Le raffiche di note sparate da Hammond Hammond oscurano gli acidi riff di chitarra, trascinando il Menestrello Scozzese che ci invita ad espiare i peccati minori con delle piccole penitenze divine, in modo da arrivare più leggeri di fronte al Giudice Supremo, definito ironicamente nell'inciso "l'ostinato autore di miracoli". Con una festosa fisarmonica da sagra paesana John Evans riesce tenere testa all'aggressivo basso di Jeffrey Hammond durante il chiassoso ritornello, dove troviamo oscure licenze poetiche a sfondo religioso. Durante l'ultimo sonno, Dio ci accoglierà, ricoprendoci con del fango, il fango che rappresenta tutti i peccati che hanno macchiato la nostra anima durante la vita terrena. L'inciso si conclude con la criptica frase "Well, you'd better lick two fingers clean He'll thank you all for that. (Beh, dovreste leccarvi bene due dita.  Vi ringrazierà tutti per questo.)".Il gesto di leccarsi due dita potrebbe richiamare il classico gesto che facciamo per sapere da che parte tira il vento. Nella strofa successiva chi sta dietro al mix alza prepotentemente i canali dedicati alla sezione ritmica. Gli energici filler di Barriemore Barlow e il graffiante giro di basso mettono a dura prova le nostre orecchie, oscurando il resto degli strumenti. Ian Anderson recita i versi con una linea vocale carica di sarcasmo. Ritroviamo due icone care ai nostri, il treno e la locomotiva, già in passato usate in maniera metaforica per rappresentare il cammino della vita dell'essere umano. Dopo un breve interludio strumentale dove le chitarre ed il sax riprendono la battaglia interrotta precedentemente troviamo l'ultimo chorus. Accompagnato da un vigoroso strumming di chitarra acustica il nostro ci porta fino al capolinea, invitandoci a lasciare i nostri averi a chi ci ama. Nella seconda parte dell'inciso rientrano tutti in gioco, fisarmonica compresa. Dio viene rappresentato come un vecchio che da lontano osserva con il telescopio il nostro cammino. Una volta giunti a destinazione, ricordatevi di leccarvi due dita prima di stringergli la mano, in modo da sapere da che parte soffia il vento. I nostri ci salutano con una coda strumentale, dove Ian Anderson si prodiga con un nevrotico assolo di sax, il tutto sempre ad un volume che sfiora il fastidioso.

Conclusioni

Oscurato dai capolavori del passato, "War Child" è considerata un'opera minore della imponente discografia Tulliana. Invero, mea culpa, anche il sottoscritto lo aveva lasciato lì a prender polvere, poi riascoltandolo con attenzione per motivi di lavoro, ho scoperto con piacere che non è poi così male, rivalutandolo, aggiungerei meritatamente. E' evidente che la magia e l'ispirazione di Ian Anderson stavano lentamente sfumando, lo dimostra il fatto che gran parte delle tracce sono rielaborazioni di vecchie idee, ma il nostro ha saputo renderle speciali con l'innesto di strumenti inusuali per il rock, come la fisarmonica. Nonostante "Aqualung" e "Thick As A Brick" siano lontani anni luce, nell'album non vi è comunque traccia di un solo brano che inviti allo "skipping". Scottati dalla ingiuste critiche negative del precedente "A Passion Play", i nostri hanno deciso di abbandonare le lunghe composizioni articolate tanto care al progressive rock, in virtù di brani dalla struttura canonica e di breve durata, andando a riscoprire le origini folk rock dalle quali comunque la band non si è mai separata in maniera definitiva, rendendole più attuali con una buona dose di elettronica. Ian Anderson è comunque riuscito a non rendere banali le nuove canzoni, grazie ad un intelligente e certosino lavoro in fase di produzione. Geniali, come da un po' di tempo a questa parte, le liriche, mai banali, spesso impenetrabili e aperte a varie interpretazioni.  Linee vocali vincenti e bellissime trame con la sei corde acustica dominano nel platter, senza dimenticare ovviamente l'inseparabile flauto ed il sax. John Evans fa un grande lavoro sull'album, valorizzando al meglio le nuove composizioni, ormai il suo arsenale non pone limiti alla fantasia del Compositore Di Dunfermline, lo dimostra il geniale uso della fisarmonica in un contesto rock. Riuscitissimi gli intrecci con le sinfonie orchestrali di David Palmer, sempre più presente nelle composizioni. Notevole anche l'apporto della granitica sezione ritmica. Barriemore Barlow è capace di trovare la soluzione giusta al momento giusto, Jeffrey Hammond non si limita ai soli compiti ritmici con le quattro corde. Martin Barre è colui che dona un'anima rock al disco, con una serie di assolo mozzafiato e acidi accordi distorti, dando vita a magici intrecci con la chitarra acustica di Anderson e la fisarmonica. "War Child" è stato rilasciato dalla Chrysalis il 14 Ottobre del 1974 per quanto riguarda il mercato a stelle e strisce, mentre in patria è uscito il 26 Ottobre del medesimo anno. Fatta eccezione dei brani rispolverati dalla mitiche registrazioni denominate "The Chateau D'Isaster Tapes", che vi ricordo sono state effettuate nell'Agosto del 1972 al Château D'Herouvillein Francia, il resto delle registrazioni ed il remixaggio è stato effettuato presso i Morgan Studios di Londra fra l'Inverno del 1973 e la primavera del 1974. Negli Stati Uniti l'album raggiunse la prestigiosa posizione numero due in classifica, mentre in patria ottenne una pur dignitosa quattordicesima posizione. Ben quattro furono i dischi d'oro certificati, rispettivamente in patria, Stati Uniti, Canada e Australia. Il grande lavoro in fase di produzione è opera di Ian Anderson, mentre Terry Ellis è il produttore esecutivo. Il fatto chea differenza del passato l'album sia stato rilasciato prima negli Stati Uniti, dimostra come i nostri puntassero molto al mercato americano ma anche a quello australiano. Infatti l'artwork mette in mostra una bellissima foto di Melbourne by night con in primo piano una inquietante foto in negativo del Menestrello Scozzese. Anche il logo ed il titolo dell'album abbracciati da una maestosa aquila, rievocano il tradizionale stemma degli Stati Uniti d'America. Tirando le somme, "War Child" è sì un album cosiddetto "minore" ma che se ascoltato con attenzione rivela diverse liete sorprese. Per chi ha intenzione di avvicinarsi per la prima volta al combo albionico, meglio iniziare dal capolavoro datato 1971. Per chi invece come me, non lo aveva apprezzato in passatolasciandolo cadere ingiustamente nel dimenticatoio, questa è l'occasione giusta per rivalutarlo.

1) War Child
2) Queen And Country
3) Ladies
4) Back Door Angels
5) Sealion
6) Skating Away On The Thin Ice Of A New Day
7) Bungle In The Jungle
8) Only Solitaire
9) Third Hoorah
10) Two Fingers
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