JETHRO TULL

Thick As A Brick

1972 - Chrysalis

A CURA DI
SANDRO PISTOLESI
14/05/2017
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione recensione

Il precedente "Aqualung" si è rivelato con una buona dose di incredulità da parte dei Jethro Tull stessi uno degli album più significativi non solo della loro lunghissima e suntuosa carriera, ma della musica rock in generale. Un letale mix fra musica e copertina che ha reso l'album una vera e propria icona della musica rock. Ma nonostante il successo che come un virus si stava spargendo a macchia d'olio per tutto il Globo, i Jethro Tull non riescono a mantenere la medesima formazione per più di un album, fra new entry e clamorosi avvicendamenti. Durante il tour americano di "Aqualung", lo storico batterista Clive Bunker iniziò a manifestare alcuni dissapori che non lasciavano presagire a nulla di buono. Da sempre, forse scherzando o forse no, aveva dichiarato che una volta trovata la donna della vita avrebbe chiuso con la band. Ovviamente, Ian e compagni non avevano mai preso sul serio le dichiarazioni dell'estroso Batterista Di Luton. Ma durante il tour del 1972, che diffondeva nel Mondo il verbo di "Aqualung", Clive mise al corrente la band che si era innamorato perdutamente di una ragazza inglese, e che non ce la faceva a restargli lontano per lunghi periodi a causa degli estenuanti tour mondiali. Clive era in ottimi rapporti con ogni singolo membro dei Tull, e mettere il gruppo in difficoltà era l'ultima cosa che voleva fare. Infatti, convinto che i nostri avrebbero puntato ancora una volta su un vecchio amico con il quale avevano già suonato in passato, si era preventivamente informato sulla disponibilità di Barrie Barlow per la sua sostituzione, non lasciando nulla al caso e pianificando una uscita di classe dalla band cercando di recare il minor numero di danni possibile. L'ultima data di Clive Bunker con i Jethro Tull si tenne il 5 Maggio del 1971 a New York, precisamente al Fillmore East. Il tour si dovette ovviamente stoppare per circa un mese, in modo da dare alla band la possibilità di trovare un degno sostituto. Una volta lasciata la band all'apice del successo, il nostro convolò finalmente a nozze, dedicando tutto il suo tempo a sua moglie e ad un'altra sua grande passione, i cani. Ma lasciare i Jethro Tull non significò affatto appendere le bacchette al chiodo. Clive continuò a suonare in progetti assai meno impegnativi che potessero concedere una lineare vita familiare. La prima esperienza post Tull fu con i Blodwyn Pig del vecchio amico Mick Abrahams. Con il tempo il nostro divenne un ambito session man, e lo è tutt'ora, suonando su svariati album, fra i quali spicca il primo album solista di Steve Howe. Nel 1998 pubblica "Awakening", un album tutto suo, in cui possiamo apprezzarlo anche nelle vesti di cantante e dove, confermando il legame di amicizia rimasto, suonano Ian Anderson e Martin Barre. Ora, della formazione iniziale dei Jethro Tull, l'unico superstite rimasto, non a caso era Ian Anderson, a confermare, se ci fosse qualche dubbio, chi fosse il vero leader e l'anima del gruppo. In maniera del tutto naturale, i nostri, prima di cercare altrove, guardarono fra i vecchi amici, andando a riscovare Barrie Barlow, che già messo in preallarme da Clive, accettò immediatamente di entrare nella band. Per prepararsi all'imminente audizione, si comprò tutti gli album dei Tull in un negozio di dischi. Il giorno esatto dell'ingaggio di Barrie Barlow, coincise con la finale di F.A. Cup (Arsenal-Liverpool 2-1, giocata a Londra l'8 Aprile del 1971 NDR), e per un tifosissimo di calcio come Barrie fu una giornata del tutto particolare. Andiamo ora a conoscere più da vicino il nuovo arrivato. Barrie Barlow nasce a Birmingham il 10 Settembre del 1949. All'età di 14 anni, per motivi di lavoro la famiglia Barlow si trasferisce a Blackpool, dove i Blades, cercavano un batterista per poter far tornare alle tastiere John Evans. I candidati rimasti erano soltanto due, Barrie aveva suonato a livello scolastico la batteria ma mostrava una buona dose di talento naturale e fu ingaggiato rapidamente. Ora, a sei anni di distanza, magicamente si era riformato lo zoccolo duro della John Evans Band, da dove è partito tutto, con l'aggiunta di Martin Barre. Come accaduto con il compagno di sezione ritmica, gli fu chiesta una piccola modifica al nome, che in arte divenne Barriemore Barlow. Il provino fu praticamente una formalità, e dopo poco Barrie si mise al lavoro su nuove composizioni di Ian Anderson, pubblicate successivamente nell'EP "Life Is A Long Song" il 3 Settembre del 1971. Con la formazione nuovamente sull'assetto di guerra, riprese anche il tour americano. La prima data con la nuova formazione si tenne il 9 Giugno del 1971 al The Salt Palace di Salt Lake City, nello Utah. La seconda data del tour fu al Red Rocks Amphitheatre di Morrison, nel Colorado. Fu una serata per certi versi memorabile, ma i nostri non la ricordano per la loro performance musicale, bensì come una delle serate più turbolente della loro carriera. Il Red Rocks era un impianto che poteva contenere al massimo diecimila persone. Ma alla serata si presentarono oltre dodicimila fans accaniti, e per le forze dell'ordine di Denver ci fu molto da fare. I disordini iniziarono quando circa trecento persone facenti parte delle duemila rimaste senza biglietto, tentarono di entrare con la forza nell'arena ormai gremita in ogni ordine di posto. Alle persone sprovviste di biglietto più tranquille, fu proposto di accomodarsi sul alto di una montagna prospicente l'anfiteatro all'aperto, in modo da godersi ugualmente lo spettacolo. Ma ai più facinorosi la soluzione di ripiego non andava bene, e iniziò una fitta sassaiola verso i poliziotti, alcuni dei quali furono feriti in maniera seria. Gli agenti risposero con i lancio di lacrimogeni. Il bilancio fu catastrofico, con circa trenta persone finite all'ospedale, venti fermi e molti mezzi danneggiati, fra i quali uno dato alle fiamme. Quando i Tull salirono sul palco, in una atmosfera surreale, si respiravano ancora i residui dei gas lacrimogeni. In seguito ai disordini, il direttore della Divisione Teatri e Arene di Denver, chiuse le porte del Red Rocks per qualsiasi altro evento rock futuro. A fine concerto, temendo di essere arrestati come possibile capro espiatorio, i nostri si dileguarono velocemente a bordo di una station wagon di marca imprecisata. Il più scioccato di tutti dalla incredibile situazione fu il nuovo arrivato Barriemore Barlow, che nascosto sul sedile posteriore sotto una coperta, chiese a Ian Anderson se sarebbe stato sempre così. Quel buontempone di Ian rispose che di norma, quelle cose accadevano soltanto il martedì ed il giovedì. Ma se durante le vecchie composizioni il Batterista Di Birmingham cercava di attenersi il più possibile alle partiture di Clive Bunker, il nostro si rivelò un'arma in più a disposizione di Ian Anderson nelle nuove composizioni. Aveva uno stile tutto suo di interpretare i brani e tecnica da vendere. Fu uno dei primi batteristi a non confinare la batteria ai soli compiti ritmici, ritagliandosi spazi importanti all'interno delle nuove canzoni. In futuro, una leggenda del calibro di John Bonham arrivò a definirlo come il miglior batterista rock inglese di tutti i tempi. Superata l'ennesima crisi, nel bel mezzo del tour, il Menestrello Di Dunfermline si mise al lavoro su del nuovo materiale. L'album precedente era stato definito dagli addetti ai lavori un concept album, definizione che non era andata mai giù a Ian Anderson, che stuzzicato si mise al lavoro per un vero e proprio concept, di quelli con la "C" maiuscola. Contrariamente ai metodi compositivi adottati fino ad ora, l'idea si sviluppò intorno alle liriche, mentre la parte musicale venne in un secondo momento. In studio, i momenti salienti del brano furono sapientemente amalgamati fra loro con ulteriori interludi. Lo spunto venne preso da una delle lettere che sua moglie Jennie gli scriveva quando era in tour. Da tempo, l'estroso Compositore Scozzese aveva in mente di sviluppare delle liriche intorno ad un classico modo di dire in uso nel Nord dell'Inghilterra, "Thick As A Brick (Duro Come Un Mattone)", un termine usato per indicare persone "dure di comprendonio", l'equivalente al nostro "duro come il muro" o al toscanaccio "duro come le pine verdi". In quel periodo Ian Anderson era ispirato al massimo, e per esternare i suoi dissapori sulla società moderna britannica, lo fece attraverso un giovanissimo poeta di nome Gerald Bostock, che aveva vinto un premio letterario con una sua poesia, intitolata appunto "Thick As A Brick". Ma il poeta dodicenne, si vide revocare il premio a causa di uno "scandalo", conseguente all'uso di un linguaggio non consono alla sua figura durante la recita della sua opera in televisione alla B.B.C. Solo in seguito si venne a sapere che il personaggio Gerald Bostock era frutto della mente diabolica di Ian Anderson, che definire geniale suonerebbe come un eufemismo. A svelare i il clamoroso retroscena fu il giornalista Roy Eldridge che spifferò il segreto alla rivista Circus. Le prime linee musicali vennero buttate giù a Bermondsey, in una sala prove che i Rolling Stones usavano per il riscaldamento prima di intraprendere un tour. A Dicembre del 1971, il nostro affittò un studio, ma l'idea musicale che aveva in testa non riusciva a prendere la forma desiderata, mentre le liriche, che si riveleranno a dir poco sorprendenti, erano a buon punto. Il precedente album, andando contro i pensieri di Anderson venne da molti definito come un concept album e accostò notevolmente la band al progressive rock. Stuzzicato, il geniale Madman Flautist decise di dare vita la padre di tutti i concept album, sia liricamente che musicalmente, decidendo di fare una sorta di parodia dei lunghissimi brani dei colleghi ELP, Yes e King Crimson. L'idea iniziale era quella di comporre una canzone di gran lunga più lunga rispetto agli standard Tulliani ispirandosi alle lunghe suite allora in auge nell'ambito del progressive britannico. Quasi dimenticandosi di tenere a freno l'estro compositivo, arrivato intorno ai dieci minuti di musica, Anderson si rese conto che aveva composto musica che avrebbe riempito la metà della facciata di un album, quindi perché non proseguire e fare una canzone che durasse per una intera facciata, inseguendo il record di brano più lungo della storia del rock. Superati i venti minuti di musica, l'estroso Compositore Scozzese non aveva ancora finito il brano, da qui l'idea di dar vita ad una canzone unica che occupasse l'intera durata dell'album, divisa in due segmenti per ovvi motivi logistici. In conclusione all'album fece il suor ritorno David Palmer, ormai un habitué nella discografia Tulliana, a dare un ulteriore tocco di classe con le sue raffinate parti orchestrali. Ma le sorprese non si limitarono alla sproporzionata durata della canzone e alle geniali liriche, Ian Anderson aveva in mente di stupire ulteriormente il Mondo, realizzando un concept album più unico che raro. L'idea era quella di confezionare la copertina del disco come un quotidiano locale di dodici pagine, ma la Chrysalis si oppose, considerando l'operazione troppo costosa. Da parte sua, Anderson fornì una risposta del tutto convincente, sostenendo che da tempo i quotidiani venivano pubblicati regolarmente a costi ridotti, in più, il "giornale" di dodici pagine da lui progettato prevedeva un minore consumo di carta e di inchiostro rispetto agli standard dei quotidiani nazionali. Una volta ottenuta l'approvazione, l'assemblaggio dell'estroso artwork fu affidato al giornalista Roy Eldridge. Quello che ne uscì fuori fu il "The St.Cleve Chronicles & Linwell Advertise", numero di uscita 1003, datato Venerdì 7 Gennaio 1972, prezzo 3 pounds. Si trattava di una vera e propria parodia di un classico quotidiano locale britannico. I Jethro Tull si impegnarono a scrivere bizzarri articoli, inventati di sana pianta, divertendosi a scimmiottare le numerose notizie assurde e spesso insignificanti che sovente si trovavano nei quotidiani locali britannici (e non solo aggiungerei io). Il giornale conteneva tutto quello che può contenere il più classico giornale locale, vale a dire le previsioni meteorologiche, programmi TV, l'oroscopo, notizie a dir poco bizzarre, articoli sportivi che riguardavano gli sport più particolari e strani e addirittura un cruciverba ed altri giochi di enigmistica, mentre in prima pagina giganteggiava la notizia più importante del giorno, riguardante l'enfant prodige Gerald (Little Milton) Bostock e lo scandalo che gli aveva visto revocare il premio appena vinto con la sua straordinaria poesia a causa di una parolaccia, poesia e di conseguenza liriche dell'album che ovviamente troviamo all'interno del giornale, dove  è presente anche una recensione dell'album firmata da Julian Stone-Mason BA, che non è altro che uno pseudonimo di Ian Anderson. Nonostante il format particolare, l'album si rivelò un enorme successo mondiale. Per le stazione radiofoniche, fu realizzata una versione dell'album che conteneva le tracce divise in più segmenti, in modo da facilitarne il passaggio in radio. Credo di aver stuzzicato abbastanza la vostra curiosità, quindi è giunto il momento di ascoltare questo strabiliante album.

Thick As A Brick Part I

L'Opera Rock Andersoniana si apre con "Thick As A Brick Part I (Duro Come Un Mattone Parte 1)". Ian Anderson ci introduce verso questo magnifico viaggio con classe e grazia tramite una pregevole escursione con la sua fida Martin D-28, rigorosamente suonata con il plettro. Il nostro si dimostra un eccellente polistrumentista, suonando con classe sopraffina qualsiasi strumento gli si paventi davanti. Le note del flauto svolazzano come farfalle in primavera attorno alle fragili trame della chitarra, ricreando un'atmosfera d'altri tempi che rievoca sentori medievali. Il Menestrello Di Dunfermline si alterna con i leggiadri sospiri del flauto, immedesimandosi in Gerald Bostock, che si presenta in punta di piedi ma senza peli sulla lingua. I versi della sua poesia sembrano impercettibili sussurri al confronto del silenzio sordo della società borghese, che viene paragonato ad un "URLO", scritto volutamente in maiuscolo ed evidenziato da un improvviso sussulto degli strumenti per rafforzarne il senso. Durante lo svolgimento del concept, spesso la personalità di Ian Anderson si fonderà con quella di Gerald Bostock, permettendo al nostro di togliersi qualche sassolino dalle scarpe, nella fattispecie quando afferma che i versi della poesia possono essere emozionanti, ma non possono far pensare la borghesia britannica. Tra le righe si nasconde una pungente frecciatina diretta alla rivista "Disc&Music Echo", che in occasione dell'uscita di "Aqualung" scriveva con sarcasmo che oltre a fare musica, Ian Anderson voleva far anche pensare, riferendosi alle liriche complicate dell'album, non sapendo quello che gli avrebbe aspettati qualche mese più avanti. Le gioiose trame barocche degli strumenti celano un'altra tagliente stoccata verso l'alta borghesia inglese, definita una società sterile e priva di valori, usando la forte espressione "Il vostro sperma è nello scarico, il vostro amore è nel lavandino". Il timer segna 00:39 e arriva uno degli incisi più celebri dei nostri, uno strumming di chitarra dall'aria barocca e leggiadre note di flauto accompagnano il Cantastorie Scozzese, che trascinando in maniera ammaliante le parole che terminano con la lettera "I" (ovviamente mi riferisco alla pronuncia in inglese) continua a sparare a zero sulla società borghese albionica, la cui ottusità li riduce solo ad accoppiarsi in maniera animalesca, infischiandosene di ciò che accade nel resto del Mondo. Nel disegno sbiadito di Anderson che ritrae l'Inghilterra degli anni '70, c'è posto anche per qualche persona saggia, che sembra non essere in grado di apprezzare quanto sia bello essere duri come un mattone, ma come spesso accade, proprio quando siamo convinti di essere superiori, non ci accorgiamo di essere stupidi, ecco allora che anche le cosiddette persone sagge finiscono a far parte della enorme calderone di gente racchiusa nel significativo titolo del platter. Nella strofa successiva, le note del pianoforte di John Evans inseguono in maniera omofona i passi del flauto, rafforzando l'aria medievale che si respira in questo primo scorcio di brano. A finire nel mirino sono ancora i valori morali, un tempo vanto dell'Inghilterra, ma che ora si sgretolano meramente come castelli di sabbia spazzati via dalla forza della marea, innescando in irreparabile caos morale. Il progresso e l'avvento delle nuove generazioni hanno lo stesso effetto della marea, cancellano tutto quanto fatto di buon da chi c'era prima. Nell'inciso successivo entra in scena la sezione ritmica, il brano inizia lentamente a prendere corpo. Continuano le forti critiche verso le nuove generazioni, le cui scarpe nuove hanno i tacchi logori, e la loro attraente abbronzatura sfuma via con troppa rapidità. Viene ancora evidenziata la fragilità della nuova società britannica, sempre più lontana dagli atavici valori che un tempo contraddistinguevano la Terra Di Albione e destinata ad una durata effimera. Un breve dialogo fra il flauto e la chitarra annuncia un momento riflessivo, al giovanissimo poeta inizano a venire forti dubbi, non si riconosce nella nuova società ed esterna il forte desiderio di tornare indietro nel tempo, a rivivere gli spensierati giorni dell'adolescenza, quando non doveva confrontarsi con nessuno e l'unico pensiero era quello di divertirsi. Desidera che sia calato un sipario che metta in luce tutta la verità, in modo da far riaffiorare tutti quei valori morali persi per strada. Improvvisamente, al minuto 03:03 il brano abbandona le affascinati trame barocche, un paio di minacciosi colpi stoppati all'unisono annunciano un'epica cavalcata. Basso e chitarra si inseguono spinti dal Nuovo Batterista, Ian Anderson abbandona la linea vocale dai sentori fiabeschi, cantando con energia, ricamato da lisergici fraseggi di chitarra che seguono la melodia della linea vocale. La forte voglia di tornare indietro nel tempo porta Gerald Bostock a ripercorrere il percorso dell'essere umano, la cui vita è paragonata ad una dura ed interminabile battaglia. Al momento della nascita gli uomini sono tutti allo stesso pari, indifesi, pieni di paura e con il brutto vizio di farsi la pipì addosso. Sarà la società poi durante il corso della vita, a modellare l'uomo, iniziando a contaminare con la somministrazione degli stereotipi occidentali, ovvero giocare ad un gioco da tavola, nella fattispecie viene citato non a caso il Monopoli, dove potere e denaro portano verso la vittoria, ed infine procurando un lavoro ordinario. Per lo svago si punta tutto a ciò che proviene dal Nuovo Continente, con il lampante riferimento Hollywoodiano "Singing In The Rain". Tra le righe leggiamo che l'unico colpevole a generare "mostri" è proprio la società, alla nascita l'uomo è puro, sono le istituzioni a rovinarlo. Non poteva mancare un prolungato interludio strumentale, dove a dettare legge è John Evans con un funambolico assolo di organo, trasportato dall'ossessivo treno ritmico del duo Barlow-Hammond. A seguire è Martin Barre ad arrampicarsi sull'infinita scala di note sparate dal basso e delineare un graffiante assolo con la sei corde. Un improvviso calo di BPM farcito da calorosi fraseggi di chitarra pone file al set di pregevoli escursioni soliste, annunciando un cristallino strumming con la sei corde acustica. Delicati lamenti di organo anticipano una serie di violenti colpi stoppati che richiamano all'appello Barriemore Barlow. Il nuovo arrivato inizia a dimostrare tutto il suo valore ed il suo estro dando vita ad una travolgente marcia che si trascina dietro tutti gli altri strumenti. Da sottolineare è il successivo effimero dialogo all'unisono fra una magia sul charleston di Mr. Barlow e un flebile fraseggio di organo. La classe non è acqua. Un improvviso accordo che coinvolge tutti gli strumenti pone fine al tutto, lasciandoci con il fiato sospeso. Dalle ceneri dell'accordo nasce un caracollante giro di basso ricamato da un raffinato passaggio sul rullante che tenendoci sulle spine ci annuncia l'ennesimo cambio. Le poche note sparate dal Doppio Hammond rafforzano un'atmosfera epica. Accompagnato da una dolce partitura di pianoforte, il Pifferaio Magico ci delizia con un assolo di flauto. Con un climax di gran classe il brano cresce lentamente d'intensità. Il Batterista Di Birmingham e i suadenti sospiri del flauto ci ipnotizzano quasi fossimo un branco di topi, trasportandoci fino al minuto 06:07, dove Ian Anderson tira fuori dal cilindro l'ennesima linea vocale vincente. Quello che possiamo definire un secondo ritornello è uno dei miei momenti preferiti del disco. L'organo Hammond ruggisce, seguendo i passi del basso. Poche semplici note messe insieme creano un'atmosfera epica dove Gerald Bostock si prende alcune profonde licenze poetiche, mettendo in luce due fazioni ben distinte che caratterizzano la nuova società britannica: il pensiero e l'azione. Non ci sono altre scelte, o ci si schiera dalla parte dei poeti e dei pittori, o dalla parte del soldato, ovunque ricada la scelta, per il giovane poeta soprannominato Little Milton si tratta comunque di un credo mercenario, ma dovrà comunque fare la sua scelta. La chitarra di Martin Barre dona una note piccante alle strofe successive, dove troviamo un altro stereotipo della società britannica, il kettle, l'immancabile bollitore elettrico che troviamo in ogni singola casa dislocata nella Terra Di Albione. Con una velata dose di energia gli strumenti fanno crescere l'intensità del brano, sottolineando un passaggio importantissimo della poesia. Tramite un'altra bellissima licenza poetica, Gerald Bostock, che si trova confuso nel bel mezzo di una dura battaglia fra il pensiero e l'azione, ci fa capire da quale parte si è schierato. "Il poeta alza la penna mentre il soldato ripone la spada nella guaina" è la prova lampante che l'enfant prodige ha imboccato la strada del pensiero. Nonostante sia l'elemento più giovane della famiglia, con autorevolezza continuerà a costruire i suoi bellissimi castelli di sabbia, sfidando la forza della marea a spazzarli via. Dopo questa rivelazione, incontriamo un altro notevole intermezzo strumentale. In pieno stile anni '70, un serpente di note sparate dal basso e uno stormo di acidi fraseggi di chitarra si scontrano in un'epica battaglia, con svolazzanti sospiri del flauto a fare da spettatore. Spinti dal grande lavoro di Barriemore Barlow dietro alle pelli, la battaglia fra gli strumenti a corda cresce d'intensità, travolgendoci con una lisergica spirale di suoni che ci apre davanti agli occhi mondi onirici. Nella parte finale il flauto decide di buttarsi nella mischia, trascinandoci verso l'epilogo della battaglia. Una profonda nota glissata di basso e una irregolare corsa sulle pelli aprono le porte al ritorno dell'inciso, impreziosito da un'affascinante partitura di pianoforte. Gerald Bostock crescendo, non è più convinto della scelta fatta. Ad attirare la sua attenzione è una bella ragazza, che semplicemente mungendo una mucca, gli stuzzica calorosi appetiti sessuali. Nella sua mente i pensieri corrono troppo velocemente, creando una gran confusione che manda in subbuglio i suoi ormoni. Ora il poeta rinfodera la penna ed il soldato sguaina la spada. Il percorso della vita porta Gerald Bostock al fronte, seguendo i passi dei fratelli maggiori. Il fatto che da sempre l'Inghilterra impiegasse i propri giovani per sostenere le loro guerre, è una cosa che il Madman Flautist non ha mai digerito. Poi troviamo dei versi significativi in cui è impossibile non rivedere i trascorsi familiari di Ian Anderson, vale a dire un duro scontro fra il giovane Gerald ed il padre autoritario, che vede la vittoria del nuovo che avanza. Dei grintosi accordi distorti di chitarra e tintinnanti note di pianoforte impreziosiscono l'epico wall of sound dell'inciso, andando ad evidenziare un momento cruciale della vita di Gerald Bostock. Il cambio direzionale del giovane poeta annuncia un prezioso interludio strumentale. Flauto e tastiere, accompagnati da delicati tocchi della sezione ritmica ci aprono davanti agli occhi scenari medievali. Successivamente, una serie di funambolici fraseggi di organo giustificano la teoria del giovanissimo John Evans, il quale in gioventù non si sentiva a proprio agio dietro alle pelli, bramando di tornare quanto prima a suonare le sue amate tastiere. Tutti gli strumenti si muovono con una leggerezza innaturale, disegnando splendidi arabeschi di note che ci portano verso un altro momento cruciale della poesia. Una grintosa progressione di accordi all'unisono, trascinata da incredibili filler di batteria fa da colonna sonora ad un altro importante momento della vita di Gerald Bostock. Dopo lo scontro con il padre deve prendere una decisione definitiva per dare un senso alla propria vita. Una volta che il suo vecchio se ne sarà andato diventerà come lui, o continuare per la sua strada? Ma stavolta non ci sarà nessuno ad aiutarlo a raccogliere le forze necessarie per prendere tale decisione, dovrà farlo da solo. Al minuto 11:52 inizia un interludio strumentale, con la quale i nostri firmato in grassetto il prestigioso albo d'oro del progressive rock. John Evans domina dall'alto del castello di tastiere, graffiandoci con i vetusti ruggiti dell'organo Hammond. Dopo neanche un minuto, il nostro viene affiancato dal Pifferaio Magico, che seguendo gli ossessivi passi dalla sezione ritmica, ci porta verso le strofe successive, dove si respirano nuovamente atmosfere medievali. Nelle liriche un "Later (Più tardi") ci informa che è passato del tempo. Il giovane ragazzo è diventato uomo, e pare abbia ereditato tutta l'arroganza del suo vecchio. Suo padre era un uomo di potere, a cui tutti obbedivano e portavano rispetto senza batter ciglio. Ora lui pretende il medesimo rispetto, con le buone o con le cattive. Un frizzante interludio strumentale ci separa dalla strofa successiva. Trasportato dall'ossessiva cavalcata ritmica, Ian Anderson ci incanta con una melodica partitura di flauto, seguito da un virtuoso intreccio degli strumenti che apre le porte alla seconda strofa, dove tutti recitano un ruolo assai più energico. Con grinta, Ian Anderson sottolinea che, come tutti gli appartenenti all'alta borghesia, anche il nuovo padrone si sente autorizzato a poter giudicare chiunque, ma allo stesso tempo ha una forte paura di essere giudicato. In queste righe, in molti associano la paura nei confronti della critica da parte di Ian Anderson, ma vista l'eccellente qualità dei prodotti Andersoniani, mi sento di poter escludere tale teoria. Al minuto 15.50 il brano si spenge improvvisamente, per poi rinascere da una timida partitura di organo che riprendendo il main theme delle strofe precedenti, cresce lentamente di intensità. Improvvise e taglienti plettrate con la sei corde acustica donano un tocco di suspense, poi un tappeto di organo invita il Polistrumentista di Dunfermline a riprendere la barocca escursione con la chitarra acustica sentita in apertura di brano. Le tastiere squillano, riprendendo la medesima melodia di tutti gli strumenti, seguita in maniera omofona anche dal Cantastorie Scozzese. Il nuovo padrone sembra di non essere in grado di guidare il proprio impero come in passato aveva fatto suo padre. La nuova società ormai allo sbando viene dipinta come un fumetto, immagine evidenziata in maniera impeccabile dagli strumenti che danno vita ad una colonna sonora spensierata dai toni irridenti. Un inquietante tema di pianoforte detta un brusco cambio di atmosfera. La chitarra acustica annuncia un paradisiaco tema di flauto, seguito da squillanti tastiere che riportano in vita le affascinanti atmosfere medievaleggianti. Il brano cresce di intensità, trascinato da una sorta di marcia trionfale che trasmette un velato senso di ironia. Nascondendosi dietro frasi cariche di sarcasmo, il poeta in erba non le manda di certo a dire alla società moderna, che mette in mostra tutti i suoi vizi e i suoi mali, dimenticandosi dei valori di un tempo. Il Mondo decadente è ormai allo sfascio, l'unica soluzione per risanare il sistema sembra essere quella di consegnarlo nelle mani degli eroi dei fumetti, sognando un Superman presidente ed un Robin salvatore della patria. La marcetta giuliva dai sentori medievali ci accompagna sino al minuto 19:00, dove il brano cambia nuovamente veste. Ora la musica si fa più energica e cresce in maniera esponenziale grazie alla vincente linea vocale di Ian Anderson, che con grinta espone alcuni parallelismi in comune con Gerald Bostock. Infatti, andando contro i voleri del padre, in passato Anderson decise di puntare fortemente su una carriera musicale che in famiglia non era ben vista. Ma il tempo dette ragione al Musicista Di Dunfermline, che si tolse qualche sassolino dalle scarpe andando a prendere i genitori in limousine per accompagnarli a cena in un costosissimo ristorante. Ma il successo non ha tolto i molti dubbi nella testa di Anderson, come del resto non sono scomparsi dalla testa del giovane poeta. Un deciso stacco di basso annuncia l'ennesimo cambio. Il Pifferaio Magico ci incanta con una pregevole escursione con il suo fedelissimo flauto traverso, emanando fiumi di note dai sentori fiabeschi. Barrie Barrymore continua con la sua marcia d'altri tempi, tempestando di delicati colpi il set dei piatti. Dopo questo breve stacco strumentale, Gerald Bostock torna ad enunciare tutte le sue perplessità. Nella nuova società i valori principali che da sempre hanno contraddistinto la Terra Di Albione vanno scomparendo in maniera veloce e alquanto preoccupante. Nel momento del bisogno la gente sembra dimenticarsi di lui, nemmeno il suo affezionato Biggles corre in suo aiuto, addirittura sono scomparsi anche gli amici tifosi. In tutto il Mondo, ma soprattutto in Inghilterra, tifare per la stessa squadra ha sempre crea un forte legame inossidabile fra i tifosi che sovente va oltre lo sport. Ma ora che Gerald ha bisogno di aiuto, anche gli amici dello stadio sembrano aver smarrito quel forte legame di amicizia che un tempo sembrava a dir poco indistruttibile. Le liriche si chiudono con sarcasmo proprio prendendo di mira gli sportivi, che hanno ammainato la bandiera della squadra del cuore, raccogliendo le memorie delle loro leggendarie battaglie sui campi di calcio, per poi pubblicare nella prossima edizione del manuale dei Boy Scout. Lentamente, l'incessante marcia di Mr. Barlow cala di intensità, lasciando il campo ai sospiri del flauto e a squillanti ricami di tastiera e chitarra che ci accompagnano verso la chiusura di questa monumentale prima parte di "Thick As A Brick". Il brano si chiude con una serie di minacciosi colpi stoppati all'unisono che tempestano un graffiante riff di organo. I colpi continuano il suo incedere sfruttando i giochi di volumi, lasciando poi il campo ad inquietanti effetti sonori che sanciscono la fine del primo tempo. Nata quasi per scherzo come parodia alle interminabili suite del progressive britannico anni '70, questa prima parte di "Thick As A Brick" si è rivelata una favolosa testimonianza di progressive rock che non ha niente da invidiare a "Close To The Edge", "Supper's Ready" e "Tarkus". Chapeau.

Thick As A Brick Part II

Dopo questa incredibile prima parte, siamo ansiosi di scoprire cosa ci regala "Thick As A Brick Part II (Duro Come Un Mattone Parte 2)", consci che ascoltare di meglio sarà un'impresa veramente ardua. La seconda facciata del disco si apre con il minaccioso sibilo di un vento gelido, che si porta dietro una lontana melodia dai sentori orientaleggianti. Subito dopo, il vento spazza via le melodie da Mille e una Notte sostituendole con minacciosi colpi all'unisono, i quali aprono le porte ad un devastante wall of sound progressive perfettamente in linea con quelli proposti dagli illustri colleghi Yes, Genesis e ELP. Travolto da l'esplosivo intreccio degli strumenti, Ian Anderson ci introduce alla seconda parte di questa monumentale opera rock. E' passato molto tempo, nuove generazioni si affacciano al Mondo, Gerald Bostock ci annuncia la nascita di un uomo, ma a differenza, stavolta il nuovo arrivato è pronto per la pace. Ma già dal secondo rigo, la poesia alimenta seri dubbi sull'identità del nuovo nato, che viene dipinto come un bambino che si porta un grave fardello sulle spalle, paragonato ad una grave malattia. Difficile interpretare questo verso impenetrabile, possiamo azzardare una ipotesi che il grave fardello sia il peccato originale, ergo il nuovo bambino venuto al Mondo potrebbe essere nientemeno che Gesù Cristo, confermando il particolare legame che Ian Anderson ha con la religione. A prescindere dall'identità del nuovo nascituro, comunque la nuova società pensa bene di vaccinarlo a dovere, contaminandolo con uno dei nuovi mali che affliggono l'umanità: insegnargli come fregare il prossimo. L'organo ruggisce ferocemente, annunciando una interminabile corsa sulle pelli dei tom tom da parte di Barriemore Barlow, che giustifica l'appellativo di miglior batterista britannico affibbiatogli da una leggenda come Bonzo Bonham. Il nostro ci delizia con un filler sulle pelli di oltre venti secondi, ricamato da leggiadri aliti del flauto e da festosi rintocchi di campana. Dopo uno stacco di puro progressive rock dove organo, sezione ritmica e chitarra danno vita ad un impatto sonoro lisergico, il Batterista Di Birmingham riprende a massacrare il set delle pelli, aggiungendo il rullante fra le sue vittime. Stavolta l'assolo raggiunge i cinquanta secondi, con sbalzi di tempo mozzafiato e i soliti ricami festosi di flauto e campane, portandoci verso un acido interludio strumentale, dove stavolta è John Evan a dettar legge. I nostri si divertono a più riprese a fermarsi improvvisamente per un paio di secondi per poi riprendere il lisergico wall of sound settantiano, durante il quale Ian Anderson recita semplicemente parlando in maniera soffusa una manciata di licenze poetiche a dir poco criptiche ai confini con la demenzialità britannica del periodo, portata in auge dai mitici Monty Python. Si parte con 218 bambini con indosso calze di nylon visti in un reparto di maternità. Analizzando la scienza dei numeri, non riusciamo a trarre molti indizi sulla scelta del numero 218. Scomponendolo, possiamo identificare il numero 2 nella coppia e nella famiglia, andando oltre possiamo associarli i significati della vita privata e sociale. Mentre per il numero 1 si va direttamente agli antipodi, associandolo alla creatività, all'indipendenza, all'originalità, all'autonomia e la fiducia nel mondo. E 'il numero della natura individualista per eccellenza, che fa rima con l'ego e l'estro di Ian Anderson. Più interessante si fa l'analisi del numero 8, il segno dell'organizzazione, della perseveranza e delle conquiste spirituali. Questa analisi dettagliata non riesce però a darci una esatta spiegazione sulla scelta del numero e più che altro sulle calze di nylon indossate dai neonati. Andando avanti troviamo anche due insoliti cameo, il primo riguarda un vecchio compagno di scuola di Anderson chiamato "Hipgrave", tirato in ballo tramite un punto interrogativo solo perché il suo cognome è in rima con la parola "Upgrade (Aggiornamento, Crescita)", mentre "Mac" è il nome di uno dei tecnici del suono che hanno partecipato alla realizzazione dell'album, ma sinceramente ignoro perché sia stato chiamato in causa. Dopo quattro secondi di assordante silenzio, Barrie Barlow da "il quattro" sul charleston, e al minuto 04:04 ritroviamo l'articolato arpeggio acustico dall'aria barocca ascoltato agli inizi della traccia precedente. Il plettro dona un'anima cristallina alle magiche note emesse della Martin D-28. Con una linea vocale dai sentori medievali, il Cantastorie Scozzese sembra allontanarsi dalla tematica principale che ha caratterizzato la prima parte del brano, prendendosi una serie di licenze poetiche, ovviamente di non facile interpretazione. Abile come sempre a dipingere con le parole fantastici quadri che ritraggono i classici panorami britannici, ci porta nuovamente sulla strada dei soldati, che fanno ritorno a casa, mettendosi rigorosamente in fila per panino, tenendo lontana la testa da argomenti militari ed invischiandosi in banali chiacchiere da bar. Leggiadri sospiri del flauto svolazzano di tanto in tanto intorno alle fragili note della sei corde acustica, che successivamente dà vita ad un vigoroso strumming immediatamente ripreso all'unisono da tutti gli strumenti. Dopo un ritorno del main theme acustico, stavolta rinvigorito da pungenti note di basso, il brano cala d'intensità grazie ad un magico lavoro di Mr. Evans. Dal castello di tastiere si alza un'aura dai sentori mistici, fatta di raffinati tappeti e tintinnati campanelli che rievocano un'atmosfera clericale, sposata perfettamente da Anderson, che con una linea vocale liturgica recita alcuni criptici versi dai sentori pagani. Al minuto 06:30 incontriamo un breve bridge strumentale, che vede la chitarra acustica ancora protagonista. Subito dopo, il Pifferaio Magico fa vibrare il suo strumento come non lo si era mai sentito. Le magiche note del flauto sibilano come un serpente a sonagli, trasportandoci all'interno di un tempio buddista. Ora il saggio ed il poeta hanno imboccato la medesima strada, ammirando l'esercito che vede svanire lentamente il suo fascino e la sua rigidità. E' l'alba di un nuovo giorno, ora le persone sagge sostengono le teorie visionarie dei poeti. Un arcano e sottile tema di tastiera va ad interagire con la sei corde acustica, annunciando un ennesimo cambio. Una solenne marcia ci porta verso la strofa successiva, dove con una linea vocale cantilenante Il Cantastorie Scozzese lancia una serie di frecciate sarcastiche anti guerrafondaie. La musica ora avanza estrema lentezza, la solenne marcia di Mr. Barrow vien a mio avviso tirata troppo per le lunghe, John Evan tenta di ravvivare il brano con pregevoli escursioni con l'organo, ma i memorabili momenti della prima parte sono aimè lontani anni luce. E' fin troppo evidente che arrivato a questo punto, Ian Anderson stava esaurendo l'ispirazione. Qualitativamente, la parte strumentale sembra aver perso parte della magia. Finalmente al minuto 13:13 il brano esce dal suo torpore. La linea vocale si fa più grintosa e abbandona il tono cantilenante. Anche dal punto di vista della penna, l'ispirazione sembra affievolirsi. Le liriche sembrano non avere più un filo logico costante come nella prima parte, il sarcasmo prende addirittura una leggera forma scatologica con "il saggio che se ne va irritato scorreggiando, mentre un folle con la clessidra manda tutti i piani all'aria", rievocando il Sommo Poeta che nel verso 139 della Divina Commedia recita "ed elli avea del cul fatto trombetta" riferito al diavolo Barbariccia, facendo sorridere milioni di studenti. Andando avanti troviamo un interludio strumentale dove i nostri cedono al famigerato autocelebratismo che caratterizza le maggiori band progressive britanniche. Barriemore Barlow alza l'asticella dei BPM trascinando tutti in un vortice pieno zeppo di virtuosismi. Il flauto soffia forte come un gelido vento proveniente dal nord, intrecciandosi con starnazzanti fraseggi di chitarra e funambolici passaggi di tastiera. Con incisive orde di note Jeffrey Hammond dona un'anima alle ritmiche forsennate del Nuovo Drummer, alimentando un lisergico wall of sound disorientante con molteplici cambi di tempo. Al minuto 14:50 arriva la strofa, dove ad emergere ancora una volta è l'incredibile lavoro dietro alle pelli di Barriemore Barlow. Tutto d'un fiato, Anderson con una linea vocale dai sentori folk canta alcuni versi dove si denotano rimandi biblici, seguiti da un secondo interludio strumentale dove pullulano i virtuosismi da parte di tutti gli strumentisti. La marcia militare ci accompagna verso l'inciso, seguito da un ultimo passaggio della strofa. Dopo un brillante stacco di flauto, intorno al minuto 18:00 uno strano effetto sembra risucchiare il brano, che muta nuovamente forma. Trasportato da un'irridente marcia degli strumenti guidata da Mr. Barlow, le liriche ci ripropongono alcuni passaggi della prima parte, senza aggiungere nulla di nuovo. In mezzo a spezzare la marcia troviamo un funambolico assolo di organo che segue un repentino cambio di tempo dettato dall'estroso Batterista Di Birmingham. L'assolo di organo si ripropone, annunciando al minuto 19:50 l'entrata in scena di quello che possiamo ormai considerare il sesto membro della band, Mr. David Palmer, che con cinematografiche trame orchestrali ci prepara per il gran finale. Orchestra e taglienti riff di organo si alternano a più riprese, per poi far scatenare le veloci falangi di John Evan sui denti d'avorio dell'organo per un funambolico sciame di note seguito in maniera folleggiante dal resto della banda. Questo ultimo sussulto di virtuosismo ci accompagna verso un'ultima comparsa dell'inciso sentito ad inizio brano, a confermare una ridondante ciclicità espressamente voluta dal Cantastorie Di Dunfermline. Questa incredibile opera rock si conclude da dove è partito il tutto, ossia con le cristalline note della Martin D-28 che fanno da colonna sonora agli ultimi versi della poesia, che si chiude con il modo di dire britannico che ha innescato la geniale mente di Ian Anderson, che con una velata dose di sarcasmo pronuncia per un'ultima volta "Thick As A Brick (Duro Come Un Mattone)", ponendo la parola fine a questa monumentale opera rock.

Conclusioni

Se dovessi definire con una sola parola "Thick As A Brick" non avrei alcun dubbio: geniale. La magia della musica viene rafforzata dalla genialità delle liriche e dall'originalità della copertina primordiale, che aimè sì è persa nel tempo, non essendo logisticamente replicabile nel formato CD. In questo album, a mio avviso l'estro e la creatività di Ian Anderson raggiungono l'apice. Ci sono alcuni momenti che si sono meritatamente ritagliati un prezioso spazio nel grande libro della storia del rock. Il Cantastorie Di Dunfermline confeziona 43:50 minuti di puro progressive rock di gran classe, riproponendoci spesso i medesimi temi con piccole raffinate variazioni, vuoi un semplice cambio di tono, vuoi l'apporto del pianoforte o una modifica della linea vocale ed altre geniali trovate durante la fase di arrangiamento. Ogni singolo interludio viene legato sapientemente con ulteriori segmenti dando un naturale scorrimento al brano, che nonostante l'elevata durata ci tiene sempre sulle spine e non ci annoia mai. Memorabili alcune linee vocali vincenti, destinate a diventare leggendarie. Da brividi le escursioni acustiche con la sua fida Martin D-28, mentre per definire le scorribande con il flauto non ho più aggettivi. Nei momenti più concitati, il nostro si dimostra un ottimo polistrumentista, suonando altri strumenti come il violino, la tromba ed il sassofono. Le liriche? Semplicemente geniali. Un plauso particolare va dato al nuovo arrivato Barriemore Barlow, che dietro alle pelli riesce a farci dimenticare il suo predecessore suonando lo strumento con uno stile tutto suo, unendo l'originalità alla potenza, segnalandosi alla sua prima apparizione nella musica che conta, come uno dei più interessanti batteristi in circolazione. Memorabile il prolungato assolo nella seconda parte. E' il tassello che mancava per valorizzare al massimo il talento e l'estro compositivo di Ian Anderson. Nonostante si veda "rubare" le parti acustiche dall'amico, l'apporto di Martin Barre all'opera rock è a dir poco fondamentale. Memorabili alcuni contrappunti con la chitarra alle linee vocali, originale nelle escursioni soliste, ora taglienti, ora melodiche. Rispetto al precedente album, John Evan è molto più presente, raffinato con il pianoforte, semplicemente devastante con l'organo, sovente confeziona atmosfere da brividi. Jeffrey Hammond con il basso duella spesso con tastiere e chitarre, trovando sempre la giusta soluzione, sia quando eccede in virtuosismi che quando con semplici singole note dice tutto quel che c'è da dire. Nonostante il formato non propriamente radiofonico, grazie ad una buona dose di momenti melodici ammalianti, "Thick As A Brick" ha avuto un notevole successo in tutto il Globo, mantenendosi al disopra delle prime cinque posizioni praticamente in tutte le classifiche mondiali. La magnificenza della prima parte cancella prepotentemente alcune piccole perplessità dovute ad un inevitabile calo in alcuni momenti della seconda parte, consacrando l'album a punta di diamante della carriera tulliana e come uno dei migliori album di progressive rock. Questo capolavoro è venuto alla luce nell'anno di grazia 1972, precisamente il 3 Marzo, registrato a Dicembre del 1971 presso i Morgan Studios di Londra. Come di consuetudine, in Europa è stato distribuito dalla Chrysalis, mentre la Reprise si è occupata di America, Giappone e Oceania. La raffinata produzione è opera di Ian Anderson e Terry Ellis. Per quanto riguarda il geniale artwork abbiamo già detto quasi tutto nella prima parte della recensione, ad eccezione della foto che in prima pagina mostra la consegna del premio ad un timido Gerald Bostock da parte di un signore in carne. Sullo sfondo, nascosto da colui che consegna il premio, si intravede un altro signore e due donne che si godono il tutto, mentre sulla sinistra di Little Milton, che ricorda vagamente un giovane Harry Potter, troviamo una ragazza seduta, che maliziosamente si alza leggermente la gonna lasciandoci intravedere le sue grazie. In alto, il logo del giornale in carattere gotico e con un classico simbolo araldico inglese al centro, è preceduto da un evidente bollino rosso quadrato che recita Jethro Tull, che ci rimanda a pagina 7 (a pagina 3 nella versione in CD) dove troviamole liriche. Ian Anderson ha espressamente dichiarato che ci è voluto più tempo a confezionare l'artwork che a registrare il disco. Si tratta di un album storico, che non deve assolutamente mancare nelle discografie di chi ascolta buona musica. Una piccola parola per i più diffidenti, che vista l'elevata durata delle due tracce considerano "Thick As A Brick" una "mattonata" da ascoltare, tanto per restare in tema: non fatevi ingannare dagli oltre 20 minuti per traccia, il disco scorre via con una naturalezza a dir poco disarmante. Le prime emozionati note acustiche della Martin D-28 vi cattureranno all'istante, trasportandovi in un emozionante percorso musicale unico di oltre quarantatré minuti. Capolavoro.

1) Thick As A Brick Part I
2) Thick As A Brick Part II
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