JETHRO TULL

Living In The Past

1972 - Chrysalis

A CURA DI
SANDRO PISTOLESI
19/06/2017
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione recensione

Nel breve spazio di neanche un anno, i Jethro Tull hanno messo a segno due colpi da novanta con "Aqualung" e "Thick As a Brick", due album che si sono immediatamente candidati (giustamente) come pietre miliari del rock ma allo stesso tempo così diversi. Il primo dei due, contiene al suo interno classici come la title track e "Locomotive Breath" che non sono mai stati esentati dalle scalette live, due brani con i quali anche i meno esperti riescono ad identificare il combo albionico capitanato dal Menestrello Di Dunfermline. Il secondo, come lo ho definito nella precedente recensione è un album semplicemente geniale, a partire dalla struttura, una unica traccia divisa per motivi prettamente logistici in due segmenti di oltre venti minuti ciascuno, le ingegnose liriche che si appoggiano su una poesia di un giovanissimo poeta, partorito dalla leonardiana mente di Anderson e per concludere l'artwork, confezionato a mo' di quotidiano nazionale di dodici pagine. Un album che iscrive definitivamente la band al prestigioso albo del progressive rock a cui si erano timidamente affacciati con il suo predecessore. Nel bel mezzo, un improvviso cambio della guardia dietro alla batteria, con l'inattesa dipartita di Clive Bunker proprio nel fulcro del tour americano, a causa motivi affettivo-familiari e l'ingresso in scena del vecchi amico Barriemore Barlow, che con il suo stile e la sua tecnica riuscì a collocare il tassello mancante per valorizzare al meglio l'innaturale talento nel songwriting di Ian Anderson. La band seppe incassare un duro colpo che avrebbe affondato la maggior parte dei gruppi, uscendone ancora più forte, grazie ovviamente anche al forte carisma del Madman Flautist, determinato a portare avanti la causa Tull, sempre pronto a superare qualsiasi ostacolo gli si paventasse davanti. Il nuovo arrivato, appena arruolato fu messo subito alla prova e gettato in studio per l'incisione dell'EP "Life Is A Long Song" pubblicato il 3 Settembre del 1971. Nel loro breve ma intenso primo scorcio di carriera, i Jethro Tull avevano l'abitudine di pubblicare singoli, o come nel caso dell'avvento di Barlow EP, contenenti brani che insolitamente non finivano nelle track list degli album immediatamente successivi. Alla Chrysalis avevano l'occhi lungo, e consci di avere fra le mani una gallina dalle uova d'oro, decisero di sfruttare al meglio il momento fiorente della band, racchiudendo tutto il materiale rimasto fuori dai primi cinque full lenght in una lussuosa doppia antologia, intitolata non a caso "Living In The Past (Vivendo Nel Passato)", prendendo il nome da uno dei tanti singoli pubblicati per strada dalla band. L'album si rivelò una sorta di vaso di pandora per i fans, dove all'interno potevano trovare in una nuova versione stereo tutti quanti i singoli pubblicati (comprensivi di b-side) persi per strada, oltre ad altre chicche inedite che i Jethro Tull non avevano pubblicato per svariati motivi ed interessanti versioni live. Le uniche canzoni che rimasero fuori, forse perché non ritenute all'altezza, furono i primi due brani in assoluto pubblicato dalla band "Sunshine Day" e "Aeroplane", "One For John Gee" (la b-side di "A Song For Jeffrey") e "17", brano rimasto fuori dalla track list di "Stand Up" nonché b-side di "Sweet Dream". Sinceramente, solo a livello affettivo, sarebbe stato giusto includere perlomeno le due prime tracce storiche incise dalla band, anche se vi ricordo, che a causa di un grossolano errore della casa discografica MGM, furono pubblicate sotto il moniker di Jethro Toe. Comunque sia, i pochi brani esclusi, in futuro avranno giustizia, venendo inseriti all'interno del mastodontico box set "20 Years Of Jethro Tull" pubblicato nel 1988. Tuttavia, la durata del brano "17" fu ridotta da sei a tre minuti, pertanto la versione originale del pezzo non è disponibile ufficialmente in nessun CD. Nel mezzo alle varie chicche, troviamo una manciata di brani editi già comparsi sui cinque primi long playing della band, alcuni proposti in una nuova veste, altri semplicemente remixati. Ovviamente, essendo una raccolta di canzoni composte tra l'anno di grazia 1968 in cui nacque la band e il 1972 che ha visto dare alla luce il capolavoro "Thick As A Brick", sono presenti tutti i membri che hanno fatto parte del gruppo nell'arco di questi cinque anni, ovvero sua maestà Ian Anderson, i chitarristi Martin Barre e Mick Abrahams, il tastierista John Evan, i bassisti Glenn Cornick e Jeffrey Hammond, i batteristi Clive Bunker e Barriemore Barlow e naturalmente quello che era considerato come il sesto membro della band (ancora per qualche anno non ufficiale) David Palmer. Sin dall'anno della sua prima pubblicazione, nel corso degli anni sono state pubblicate svariate versioni di "Living In The Past", dove talvolta sono state sostituite o aggiunte canzoni. Le differenze più significative che si sono manifestate nel corso del tempo sono fra le versioni inglesi e quelle americane, dove a parte una irrisoria inversione di posizione fra "Teacher" e "Witch's Promise", le canzoni "Inside" e "Locomotive Breath" presenti sulla versione inglese sono state sostituite rispettivamente con "Alive and Well and Living In" e "Hymn 43".Noi abbiamo deciso di scrivere una recensione che va a raccogliere sia i brani dell'una che dell'altra, mettendo tutti d'accordo. Non mi chiedete il perché, ma in questa ricca compilation, come potete notare, le tracce "Song For Jeffrey" e "Christmas Song" si son perse l'articolo per strada. La prima lussuosa versione in vinile conteneva un libretto con oltre cinquanta foto a colori, nonché. Lo smagliante momento di forma della band e l'ammaliante confezione, fecero balzare l'album nelle parti alte di tutte le classifiche mondiali, dove spicca una prestigiosa posizione numero 3 nella Billboard 200 americana. Saliamo tutti ora a bordo sulla macchina del tempo guidata dal comandante Anderson e andiamo a riscoprire tutto quello che ci eravamo persi durante queste prime cinque recensioni della mastodontica discografia tulliana.

A Song For Jeffrey

Nonostante "Living In The Past" sia composto per la stragrande maggioranza di brani che in passato non hanno trovato spazio nei primi cinque full lenght, si apre con "A Song For Jeffrey (Una Canzone Per Jeffrey)", brano per l'occasione remixato e tratto dall'album d'esordio "This Was (Questo Era)", risalente al 1968, un album dove i nostri erano ancora attaccati alle ataviche influenze del blues americano, ma come recita il titolo, sonorità appartenenti al recente passato, in vista di un suntuoso e sorprendente cambio stilistico. Ian Anderson dedica il brano a Jeffrey Hammond, vecchio amico conosciuto a Blackpool con cui aveva condiviso i palchi e le cantine sia con i Blades che con i The John Evan Band, e che qualche anno più avanti sarà abilmente arruolato all'interno del plotone tulliano. Rispetto alla versione originale, l'unica sostanziale differenza riguarda la brillantezza del sound, migliorata di gran lunga durante il nuovo mixaggio, per il resto, liriche e musica rimangono invariati. Il brano inizia con esotici sospiri del flauto, accompagnati dai passi felpati disegnati da Clive Bunker. Successivamente, basso, chitarra e flauto si fondono insieme dando vita ad un suggestivo intreccio che si segnala come uno dei momenti migliori del platter d'esordio, che però purtroppo non viene sfruttato a dovere. Come un ciclone irrompe l'armonica a bocca, anticipando di qualche istante l'ingresso in scena del Vocalist Di Dunfermline, la cui voce sembra provenire da un'altra dimensione, a causa degli effetti speciali. Con una linea vocale epica quanto inquietante e con le parole difficili da decifrare, il nostro ci canta di quanto sia stato doloroso separare il percorso musicale con Jeffrey Hammond. Ma se il destino era stato crudele da far sì che le vite professionali di Ian e Jeffrey proseguissero verso lidi opposti, allo stesso tempo le farà nuovamente congiungere, in quanto il Bassista di Blackpool, nel 1971 entrerà in pianta stabile nei Jethro Tull dopo la dipartita di Glenn Cornick, dando vita poi ad uno dei più importanti album della storia del rock. La strofa mette in mostra un originale wall of sound che mixa la musica psichedelica con il blues ed il folk, delineando quelle che saranno le future sonorità a venire della band. Nell'inciso il brano cala notevolmente d'intensità, Clive Bunker si limita ad accompagnare solamente con il charleston, lasciando il compitoci accompagnare la voce effettata di Anderson agli strumenti a corda. Una corsa sulla pelle del rullante annuncia il ritorno dell'armonica, seguita dalla strofa che emana sentori Old Texas. Al minuto 01:32 il brano cala nuovamente, è il momento dell'assolo del Pifferai Magico con il flauto traverso. Dopo una prima parte in solitario, il nostro viene raggiunto da tutta la band. Il classico accompagnamento ritmico sessantiano e un'acida trama di chitarra accompagnano gli esotici sospiri del flauto, poi Ian Anderson eseguendo un rapido cambio di strumento va riprendere la linea melodica del solo con l'armonica a bocca. Tornano strofa e ritornello seguite da un secondo assolo di armonica e da un finale assolo con il flauto traverso, dove il Menestrello Scozzese disegna rilassanti trame che sfumano lentamente verso l'estinzione, seguite da un improvviso ed effimero ritorno degli strumenti che suggellano il brano all'unisono. "A Song For Jeffrey", oltre ad esser uno dei migliori brani dell'album d'esordio, fu il primo singolo dei Jethro Tull ad essere pubblicato per la Island Records, ottenendo un soddisfacente successo nel Regno Unito.

Love Story

La seconda traccia "Love Story (Storia d'Amore)" è il terzo singolo pubblicato dai Jethro Tull, precisamente nel Dicembre del 1968, ergo la formazione è la medesima dell'album d'esordio, con il bluesman Mick Abrahams alla sei corde. La versione rilasciata in Gran Bretagna comprendeva come B-side il brano "Christmas Song", e raggiunse una dignitosa posizione numero 29 nella classifica dei singoli più venduti nel Regno Unito, rimanendo in classifica per ben otto settimane. La versione a stelle e strisce invece fu rilasciata a Marzo del 1969 e prevedeva come B-side "A Song for Jeffrey". Si tratta della prima nuova composizione Andersoniana dopo l'album d'esordio, e se pur appartenendo al repertorio del primo periodo della band, è marcatamente orientata verso le affascinanti sonorità del folk rock, piuttosto che verso il blues, che comunque si manifesta in maniera velata. Il brano si apre con un articolato arpeggio con la sei corde, ricamato da esotiche percussioni, e successivamente da fiabesche trame di flauto, che anticipano un'epica cavalcata rock blues che accompagna il Cantastorie Di Dunfermline. Le liriche sono lontane anni luce dalle complicate scritture che hanno caratterizzato i capolavori "Aqualung" e Thick As A Brick". Si tratta di pochi versi amorosi dedicati ad una fiamma che in quel periodo accendeva il cuore di Ian Anderson. Le cose pare non andassero per il verso giusto, e seguendo la lisergica cavalcata degli strumenti, il nostro con la mente va a ritroso nel tempo, rivivendo una soleggiata mattinata in cui la sua amata, per distrarsi dai problemi relativi alla complicata relazione amorosa con il nostro, si rilassa cogliendo rose in giardino, azione evidenziata da un importante salto tonale degli strumenti. Breve stacco strumentale che ci ripropone il magico intreccio fra la chitarra, le percussioni ed il flauto, sentito ad inizio brano, ed i nostri ripartono con la seconda strofa, sempre caratterizzata dalla lisergica cavalcata degli strumenti. Successivamente, acidi fraseggi della sei corde fanno salire il brano, accompagnando una serie di profonde licenze poetiche, con le quali il nostro esterna tutta la sua ammirazione verso la misteriosa donna. Altro stacco, con il flauto in evidenza che annuncia una serie di acidi fraseggi di chitarra, prima di annunciare un'ultima cavalcata degli strumenti, dove il nostro torna di nuovo indietro nel tempo, in cerca di risposte dalla sua amata, e sperando che ella possa tornare fra le sue braccia prima del prossimo Inverno.

Christmas Song

La precedente traccia si era conclusa con la parola "Inverno", e in maniera natura le i nostri continuano con un brano dedicato al punto focale della più fredda delle quattro stagioni, il magico periodo natalizio. "Christmas Song (Canzone di Natale)" è un brano particolare, in quanto è opera del solo Ian Anderson, dove suona tutti quanti gli strumenti. In questa maniera alimentò i già numerosi dubbi del pubblico, che si chiedevano se i Jethro Tull fossero una band o un manipolo di valenti musicisti alla corte dei Re Anderson. Oltre al tecnico del suono Andy Johns, con il quale Anderson ha inciso il brano, l'altro unico "intruso" è David Palmer, chiamato ad abbellire con le sue pompose trame orchestrali. Il brano nacque durante la prima apparizione fuori dall'Inghilterra, quando i nostri sconfinarono a Copenaghen, dove Anderson acquistò un mandolino, tediando un irritatissimo Mick Abrahams con il quale condivideva la stanza. E' proprio strimpellando il mandolino che nacque il brano a sfondo natalizio. Con la solita abilità, il Cantastorie Scozzese dipinge uno dei suoi magici quadretti, dove stavolta al centro vi è un presepe, simbolo per eccellenza del Santo Natale. Si idea di Terry Ellis il brano si apre con gli squillanti campanelli da slitta che annunciano l'arrivo di Santa Claus, seguito da una fiabesca trama di flauto e dalle barocche trame del mandolino. Da sempre il Natale fa rima con regali, abbuffate e fiumi di vino, ma Ian ci ricorda l'origini umili del Santo Natale, origini che ogni credente dovrebbe rispolverare durante gli interminabili, pranzi natalizi dove ci si abbuffa all'ingrasso. Lo spirito del Natale non è certo quello che vi state bevendo, ammonisce Anderson, accompagnato dalle magia dell'orchestra tipicamente britannica diretta sapientemente da David Palmer. A causa dell'assenza di un batterista di ruolo, durante il mixaggio ci furono diversi problemi per mettere a tempo tutte le varie parti registrate separatamente da Anderson, il quale ovviò al problema aggiungendo una sottile marcia sul rullante, che insieme ai festosi violini dell'orchestra ci accompagna verso l'epilogo di questa breve ballata natalizia. Dopo un secondo di silenzio, Anderson mette il sigillo finale con la sarcastica frase "Hey, Santa... pass us that bottle, will you? "hey, Babbo Natale, passaci sta bottiglia, ti va'?)", rimarcando lo spirito sbagliato con cui i Gran Bretagna viene affrontato il periodo natalizio.

Living in the Past

E' il turno del brano che dà il titolo alla raccolta. Ian Anderson e Terry Ellis scrissero "Living In The Past (Vivendo Nel Passato)" a Boston, durante il soggiorno relativo alle tre serate al Tea Party. L'insolita composizione in 5/4 fu registrata il 17 Febbraio del 1969 nel New Jersey, precisamente a West Orange, nel piccolissimo Vantone Studio. Arrangiamenti e produzione furono opera del duo Ellis-Anderson, con la collaborazione di Lou Toby che si occupò degli arrangiamenti orchestrali eseguiti da alcuni elementi della New York Sympony Orchestra. Per quanto riguarda le linee vocali, furono registrate successivamente a Los Angeles, ai Western Recorders, verso la fine di Marzo. Rilasciato il 25 Aprile del 1969, il nuovo singolo non fece faville negli Stati Uniti, ma consacrò definitivamente la band in patria con un dignitosissimo terzo posto, con la conseguente prestigiosa partecipazione al programma televisivo Top Of The Pops. Fu il primo gradino della ripida scala che portava la band fuori dall'inferno dell'underground. Il brano viene aperto da Glenn Cornick con uno zoppicante giro di basso in 5/4, seguito subito dal compagno di sezione ritmica e da un'esotica partitura di flauto, flauto che prende il sopravvento in maniera definitiva dopo circa trenta secondi, con l'avvento dell'inciso, stranamente strumentale, dove domina una ammaliante melodia che ci entra prepotentemente in testa, pronta ad essere fischiettata sotto una gelata doccia che stempera la calura estiva. Alla sua prima apparizione ufficiale, forse vinto dalla timidezza, Martin Barre si limita ad una manciata di vigorosi accordi in strumming che accentuano l'insolita ritmica dispari. La linea vocale di Ian Anderson viene annunciata da un improvviso lampo orchestrale e segue lo zoppicante 5/4 del valente duo Cornick- Bunker, osannando una delle sue innumerevoli fiamme, per lui preziosa come una fontana di acqua fresca, elemento essenziale per la sopravvivenza dell'essere umano. Lei viene messa al disopra di qualsiasi altra cosa, la loro unione è talmente forte che va oltre ai venti di guerra che aleggiano minacciosi in ogni notiziario del paese. Il repentino cambiamento dello stile di vita che sconvolse la prima parte degli anni '70 non era facile da accettare, tanto che il Cantastorie Di Dunfermline preferisce tornare indietro nel tempo e rivivere il passato, quando l'amicizia e l'armonia regnavano al posto di futili rivoluzioni, dove gran parte delle persone non ha neanche la benché minima idea per cui sta combattendo. Dopo un leggero calo di atmosfera dove le percussioni e i soffusi aliti del flauto ci fanno respirare le calde temperature di una spiaggia del Sud America, nel successivo inciso il Pifferaio Magico torna ad incantarci con l'ammaliante tema di flauto, che a me ricorda vagamente il jingle di un vecchio videogames da sala giochi di cui però non riesco a mettere a fuoco il nome. Strofe e ritornello si alternano in maniera naturale, portando avanti la voglia di Ian Anderson di rivivere il passato. Un nevrotico assolo di flauto ci accompagna lentamente verso l'epilogo del brano, che sfuma anonimamente in fader, con le taglienti trame del flauto che lasciano il segno, ricamate dagli svolazzanti lamenti dei violini. 

Driving Song

Il precedente singolo appena ascoltato per essere pubblicato necessitava di una b-side, e Ian Anderson pescò dal suo fornitissimo arsenale "Driving Song (La Canzone Della Guida)". Il brano fu registrato il 18 Marzo del 1969 presso i Western Recorders di Los Angeles, ma ascoltandolo si capisce chiaramente che si tratta di una vecchia idea di Anderson, dove sono ancora ben radicate le matrici blues dell'album d'esordio. Basso e chitarra si intrecciano delineando un lisergica ragnatela di note che mixa il blues con la musica psichedelica anni '60. Una seconda acida traccia di chitarra, suonata sempre dal nuovo arrivato, apre le porte alla calda voce del Cantastorie Scozzese, che ne segue passo per passo la strada melodica, cantando tutto il suo disappunto per chi manovra i fili della sua vita. Lui è stufo di essere guidato, di essere costretto a lavorare duramente. In mezzo al brano c'è posto anche per un assolo di chitarra. Martin Barre, trascinato dalla ritmica piena di note bleu, tesse un'acida ragnatela di note che si mantiene ancora legata al cordone ombelicale della musica psichedelica, che proprio in quegli anni stava lasciando il campo al progressive rock che avanzava prepotentemente. Nella strofa successiva, Ian Anderson continua ad esternare le sue perplessità dovute ad uno stile di vita che non ha scelto, il suo spirito ribelle da artista lo spinge ad imboccare una nuova strada, quella de musicista. Lui è intenzionato a fare della musica la ragione della sua vita, infischiandosene della famiglia che lo spinge verso uno stile di vita canonico, con un lavoro ordinario, uno stile di vita che non si addice per niente ai suoi ideali, e che lo sta lentamente uccidendo sia fisicamente ma soprattutto mentalmente. Ian Anderson si sente uno spirito libero che non ha bisogno di essere guidato dall'alto, non sopporta che gli venga detto quello che deve fare. Sente fortemente il bisogno di dare un taglio netto, se continuasse ancora con la dura vita dell'operaio medio britannico, l'unica strada certa sarebbe quella della morte. Nella parte finale del brano, la chitarra ed il flauto si sfidano a duello, alternandosi sotto gli attenti occhi della sezione ritmica, sfumando ancora una volta lentamente in fader. Si sente lontano un miglio che questa non è una delle migliori composizioni partorite dalla geniale mente di Ian Anderson, è la classica b-side messa lì perché deve starci, sicuramente un pezzo che non lascia il segno e destinato a finire nel dimenticatoio.

Bourée

Dopo questo poker di singoli e inediti che non avevano trovato spazio sui long playing, troviamo "Bourée", il brano che ha consacrato Ian Anderson come il più importante interprete del flauto in ambito rock. Il brano appartiene all'album della svolta stilistica dei Jethro Tull, "Stand Up", rilasciato il primo Agosto del 1969. Si tratta della rivisitazione della "Bourrée" di Johann Sebastian Bach, dove la lettera "R" in meno rispetto al titolo originale è un fatto voluto e non un errore,  un errore invece fu quello della casa discografica che attribuì a Ian Anderson la paternità della canzone. La composizione originale è parte della "Suite n° 1 per liuto in Mi minore" catalogata come "BMV 996". Ad oggi, si tratta della più antica composizione per liuto firmata Bach. L'estrema difficoltà della diteggiatura fece sì che molti interpreti usassero la chitarra classica anziché il liuto durante le esecuzioni. Dalla notte dei tempi, è un classico con cui i chitarristi amano ostentare tutta la loro abilità con la sei corde.  La versione rielaborata dalla geniale mente di Anderson vede però il flauto ed il basso elettrico protagonisti assoluti, fondendo la musica classica con il jazz ed il rock. Con il tempo, oltre ad essere diventato un classico imprescindibile della band, è divenuto il pezzo per eccellenza con cui identificare il flauto in un contesto di musica rock. Curiosamente, Ian Anderson ha più volte ammesso di non aver mai sentito la versione originale durante la sua rielaborazione del brano, basandosi su quello che aveva sentito strimpellare dal suo vicino di casa. Infatti, uno studente che abitava al piano di sotto della sua abitazione durante il soggiorno a Londra, tentava disperatamente di imparare con la chitarra (con scarsi risultati, invero) la "Bourrée" di Bach, suonando imperterrito per ore ed ore la complicata partitura. Sentendo il brano praticamente in loop, Ian Anderson lo memorizzò con estrema facilità, rielaborando una sua versione con il flauto, mettendo poi il tutto nel cassetto che conteneva le idee per i nuovi brani dei Jethro Tull, ignaro che con il tempo sarebbe diventato una delle canzoni simbolo della band. Ma veniamo al sodo, Pifferaio Magico replica alla perfezione con il flauto le trame che in origine venivano eseguito non senza difficoltà con il liuto. Accompagnato dai cadenzati passi lunghi del basso, le note del flauto sembrano svolazzare come leggiadre farfalle variopinte in una frizzante e colorata mattinata primaverile. Possiamo individuare due tracce ben distinte di flauto, ma dai crediti dell'album ci risulta che siano eseguite entrambe dal Flautista Di Dunfermline. Dopo circa trenta secondi, annunciato da un flebile lamento che si fonde alla trame del flauto, entra in scena anche Clive Bunker, che con una ritmica prettamente jazz segue le orme lasciate da Glenn Cornick. Ian Anderson, dopo alcune battute eseguite in tranquillità, inizia un virtuoso assolo con il flauto che diventa sempre più nevrotico con il passare dei secondi, discostandosi dalla versione originale, dove regnavano affascinanti atmosfere barocche, e aggiungerei giustificando l'azzeccato soprannome di "Madman Flautist". A questo punto la versione originale del brano si sarebbe conclusa, ma i nostri ne hanno ancora, dimostrando tecnica ed inventiva da vendere e continuando ad improvvisare. Dopo i nevrotici aliti del flauto è il basso a diventare il protagonista assoluto. Glenn Cornick va a riprendere le trame del liuto con un virtuoso arpeggio di basso che repentinamente si trasforma in un funambolico assolo. Sul finale della scorribanda solista eseguita in completa solitudine, vien affiancato da un delicato sospiro del flauto che sembra evidenziare il gran finale. Ma il brano non è ancora finito, il basso risorge dalla ceneri come una fenice, riprendendo il giro dell'introduzione, affiancato poi da Ian Anderson con il flauto che ci ripropone il main theme sentito ad inizio brano. Un lamento in pieno stile "Roland Kirk" annuncia il ritorno della batteria. I nostri sfruttando al meglio il tema portante e ci trasportano dolcemente verso il classicheggiante finale del brano. Nonostante la natura strumentale, la canzone fu pubblicata come singolo balzando alla prima posizione della classifica dei singoli più venduti in Inghilterra, diventando ben presto un'icona con la quale veniva identificata la band.

Sweet Dream

E' il turno di "Sweet Dream (Dolce Sogno)", singolo registrato il 31 Agosto del 1969 presso i Morgan Studios, prodotto dall'affiatato duo Anderson-Ellis e pubblicato dalla Chrysalis il 3 Ottobre del 1969, con la povera "17" come b-side, traccia addirittura odiata dal Menestrello Scozzese nonché uno dei pochi pezzi rimasti al di fuori di questa affascinante doppia raccolta. Il singolo raggiunse una prestigiosa posizione numero 7 in patria. Successivamente, la Reprise lanciò il brano sul mercato a stelle e strisce, precisamente il 26 Novembre del 1969, con la b-side "Reasons For Waiting", brano presente su "Stand Up". Curiosamente, a causa di un marchiano errore della casa discografica, l'etichetta del lato B recita però "Back To The Family" Si tratta di un brano interessantissimo che rievoca arcane atmosfere, stilisticamente vicino alle nuove sonorità del secondo album "Stand Up" e orientata verso quel rock sinfonico che stava prepotentemente prendendo piede in quel periodo. Basso, batteria, chitarra acustica a dodici corde suonata da Ian Anderson e le pompose trame orchestrali sapientemente dirette da Mr. David Palmer assestano decisi colpi all'unisono tempestando un oscuro riff di chitarra che si lascia dietro una scia di terrore, riff ovviamente sparato da Martin Barre. Con una linea vocale carica di mistero, il Cantastorie Di Dunfermline ci presenta una subdola figura maschile che tenta di convincere una ingenua ragazzina a seguirlo, abbandonando la propria famiglia che con le rigide regole morali mette a freno i suoi sogni adolescenziali, sogni che si realizzeranno immediatamente se compirà il grande passo di seguirlo. Le liriche permeano di una buona dose di perbenismo fortemente in contrasto con la tendenza culturale giovanile dell'epoca, che vedeva le nuove generazioni in rivolta con le rigide convenzioni sociali. Ian Anderson cerca alla sua maniera di esortare i giovani più deboli a non cascare negli innumerevoli tranelli che gli si paventeranno davanti durante il lungo cammino della vita. Nel bridge la musica cresce, il viscido uomo si fa ancora più convincente, lanciando ammalianti messaggi. Successivamente, a culmine di un bel climax, un vigoroso stacco con la dodici corde acustica annuncia l'inciso, dove il losco figuro esorta la ragazza a fuggire di casa nottetempo, quando la famiglia è assorta fra le braccia di Morfeo. Il loro sarà un brutto risveglio, con il sorgere del Sole si accorgeranno di aver perso quello che pensavano di tenere ancora a lungo. Breve stacco strumentale con le hollywoodiane trame orchestrali in evidenza e torna la strofa, l'affabulatore ha raggiunto il suo scopo, e nascondendo la ragazza sotto il suo scuro mantello si allontana dalla casa, all'insaputa degli ignari genitori. Durante i concerti, Ian Anderson era solito interpretare sul palco il losco figuro, avvolto da uno scuro mantello e con una mimica che ne evidenzia la natura subdola. Nel simpatico videoclip il messaggio veniva ulteriormente evidenziato, in modo da mettere in guardia le nuove generazioni dallo stare lontano da certe viscide persone. Fra affascinanti spezzoni di vecchi film horror in bianco e nero, Ian Anderson si presenta nelle vesti di un Vampiro in cerca di giovani vittime, evidenziando gli scopi non del tutto benefici che certe figure hanno in mente quando tentano di abbindolare ingenui adolescenti. Bridge e ritornello tornano nuovamente, seguiti da una dirompente cavalcata della granitica sezione ritmica composta da Glen Cornick e Clive Bunker che accompagna un acido assolo di chitarra di Martin Barre. Gli squillanti ottoni diretti da Mr. Palmer annunciano un'ultima comparsa dell'inciso, seguito da un gran finale orchestrale impreziosito da svolazzanti aliti di flauto che lentamente sfumano in fader.

Singing All Day

"Singing All Day (Cantando Tutto Il Giorno)" è il primo "vero" inedito che incontriamo in questa ricchissima raccolta, ovvero un brano che non è mai stato pubblicato né su un album né su un singolo. La line-up è la medesima di "Stand Up", con Ian Anderson che si diletta anche con la balalaika e l'organo Hammond. Anche Glenn Cornick, oltre alle quattro corde, stende qualche tappeto con l'affascinante strumento elettrico progettato da Laurens Hammond. La canzone è stata registrata il 31 Agosto del 1969 presso i Morgan Studios di Londra. Si tratta di una suffusa ballata dalle marcate venature jazz che punta tutto su un ritornello "tormentone" di beatlesiane memorie che ti entra subito in testa, strano che i nostri non lo abbiano sfruttato a dovere pubblicando il brano come singolo. Ad aprire le danze è Glen Cornick con un sinuoso giro di basso di forte matrice jazz che sembra uscito da una composizione di sua maestà Henry Mancini. Martin Barre ricama con un blando strumming di chitarra, aprendo le porte all'ammaliante inciso. Ian Anderson ci cattura all'istante con una facile melodia recitando "Singing all day, singing `bout nothing (Cantando tutto il giorno, ma cantando niente)". Il nostro sembra voler stemperare la tensione dovuta ad un appuntamento andato in bianco, cantando in maniera maniacale una improvvisata canzone che pare non abbia né capo né coda. L'inciso si conclude con un paio di sconsolati ma pur sempre ammalianti "Oh, my, my, my (Oh mia, mia mia)" che hanno la funzione di fare da bridge con la strofa, dove il tema musicale rimane pressoché invariato, se non per il mutamento del riff di chitarra e impercettibili aliti di flauto che svolazzano di tanto in tanto come piccoli moscerini intorno ad una luce notturna. Il Cantastorie Scozzese inizia a narrarci la sua tormentata giornata. Arrivato alla stazione, una volta sceso dal treno, con il cuore in gola cerca di scorgere i folti capelli della sua amata fra la marea di persone che popolano la stazione, molte delle quali sembravano provare interesse per lo strano atteggiamento del nostro. Breve stacco del solenne bridge e si continua con la strofa, dove la chitarra si fa ancora più presente. Martin Barre dona un tocco psichedelico premendo delicatamente il pedale dello wah-wah, ma della donna ancora nessuna della traccia. Una avvenente signora in pelliccia sembra confondere Anderson, ma poi capisce che si tratta di una mera somiglianza, in quanto la donna che cerca, non indosserebbe mai una pelliccia fuori stagione. Stavolta il bridge annuncia un assolo di flauto, stranamente calmo e tranquillizzante, seguito da una versione soft dell'inciso. Gli strumenti cessano la zoppicante cavalcata jazzata, calano i BPM, un soffuso tappetto di organo viene quasi coperto da pastose pennate di basso e da acidi fraseggi di chitarra tipicamente psichedelici. La voce di Ian Anderson trasuda di disperazione e pare venire da un'altra dimensione, ricamata da esotici contrappunti di flauto. Dopo questo momento riflessivo si riparte con la strofa, il nostro, ormai rassegnato fa ritorno a casa, sperando che il telefono rompa la tensione squillando improvvisamente. Nella solitudine delle sue quattro mura, sconsolato continua a cantare, ma in maniera più soft, in modo da non coprire un eventuale e gradito squillo del telefono. Dopo un 'ultima apparizione del ritornello, il brano si avvia verso l'epilogo attraverso una coda strumentale, dove gli strumenti creano una certa suspense stoppandosi ciclicamente, mentre Ian Anderson, aspettando invano una telefonata, ci accompagna verso la conclusione con una fatata partitura di flauto che sfuma lentamente in fader. Il brano si conclude qui, ma state pur certi che il tartassante ritornello riecheggerà nella vostra mente ancora a lungo.

Teacher

A Dicembre del 1969 i Jethro Tull si chiudono nei familiari Morgan Studio, dando vita a due brani di egual potenzialità, decidendo di pubblicar un inconsueto singolo con due facciate A. Il primo dei due brani del singolo registrato il 19 Dicembre del 1969 e pubblicato dalla Chrysalis il 16 Gennaio del 1970, ergo con la formazione del terzo album "Benefit" è "Teacher (Insegnante)" (su alcune copie con il titolo "The Teacher (L'Insegnante)"), brano che vede per la prima volta la collaborazione del futuro tastierista John Evans. Successivamente fu ristampata una seconda versione del doppio singolo, registrata fra il 12 ed il 13 Gennaio del 1970 e pubblicata per il mercato americano dalla Reprise l'11 Marzo del medesimo anno, con alcune lievi differenze nelle parti musicali. Curiosamente, il brano compare sulla versione americana di "Benefit", al posto di "Alive and Well and Living In". La versione presente su questa doppia raccolta è stata remixata. Si tratta di una canzone lontana dall'affasciante e caratteristico folk rock Andersoniano, di forte matrice hard rock ed incentrata sui granitici riff di Martin Barre che dominano sin dai primi istanti, ricamati da un articolato giro di basso dove spiccano profonde note glissate. Come sempre, la genialità di Ian Anderson emerge nelle liriche, il nostro trova un modo del tutto originale per lanciare il suo messaggio a vivere al meglio ogni singolo istante della vita, come se non ci fosse un domani, e lo fa attraverso un misterioso insegnante che gli si paventa alla porta di casa, presentandosi e dicendogli che ha una importante lezione da impartirgli, si tratta di una sorta di regola che vige dalla notte dei tempi, ma senza alcuna ombra di dubbio veritiera. L'argomento principale della lezione viene a galla nell'inciso, dove la musica si fa più vivace, grazie anche ai frizzanti fraseggi con l'organo Hammond dell'illustre ospite nonché amico di lunga data John Evans. Il misterioso insegnante invita il nostro ad uscire di casa, non ha senso stare rinchiuso fra le quattro mura, portando odio e rancore verso tutti. Non esiste nessun uomo che possa identificarsi in un'isola e che possa fare della propria casa il suo inespugnabile castello. Il nido non ha più senso quando i piccoli uccelli hanno spiccato il volo. Queste sono le profonde licenze poetiche che il Cantastorie Scozzese usa per invitare le nuove generazioni al divertimento, qualunque esso sia. A fare da bridge troviamo il grintoso riff di chitarra sparato da Martin Barre, ricamato da taglienti trame di flauto che annunciano il ritorno della strofa. Ian Anderson ha deciso di uscire dal suo guscio intraprendendo un affascinante viaggio in mezzo al mare, dove disperderà tutti i suoi rancori. Il suo compagno di viaggio è il misterioso insegnante, assai più divertito del nostro, che si trova un po' spaesato di fronte a questa surreale situazione. Il viaggio doveva servire a far uscire dal guscio la vitalità nascosta di Anderson, ma stranamente, quello che pare divertirsi davvero è l'insegnante. Nel successivo ritornello, le perplessità di Ian Anderson aumentano notevolmente, che sembrava aver capito lo scopo principale dell'insegnante, spaparanzato al sole con una birra in mano, ma purtroppo i risultati sperati tardano ad arrivare. Andando avanti troviamo un altro interludio strumentale che vede il flauto protagonista assoluto. I nevrotici fraseggi del Pifferaio Magico si intrecciano con i voli pindarici della sezione ritmica, facendoci respirare un'allucinogena aria psichedelica tipica degli anni '70. A seguire è il turno di Martin Barre, che abbandona i graffianti accordi per dare vita ad un intreccio magico di escursioni soliste inseguendo gli aliti impazziti del flauto. Nella strofa finale, l'insegnante ringrazia Anderson per lo splendido viaggio insieme, sperando di essere riuscito a far brillare nuovamente la vitalità all'interno del Madman Flautist. Un ultimo chorus ci accompagna verso il finale, dove dominano flauto ed il granitico riff portante di chitarra, che lentamente se ne vanno a braccetto verso una lenta conclusione in fader.

Witch's Promise

E' il turno dell'altro lato A del singolo pubblicato il 16 Gennaio del 1970, "Witch's Promise (La Promessa Della Strega)", una raffinata composizione assai molto più vicina all'inconfondibile folk rock verso il quale si erano ormai indirizzati la band. Anche in questo caso, furono stampate alcune copie con il titolo "The Witch's Promise (La Promessa Della Strega)", in ogni caso non vi è traccia di nessuna copia che porti la variante dell'articolo determinativo su entrambi i brani. Il Pifferaio Magico ci incanta sin dai primi secondi con una esotica serie di trilli dall'aria malefica che si intrecciano con una cristallina trama di chitarra acustica, stavolta suonata da Martin Barre. Flauto e chitarra assumono una veste barocca, introducendoci alla prima strofa, dove il Cantastorie Di Dunfermline fa una insolita escursione nel mondo dell'occulto, portandoci nel magico mondo dei druidi e delle streghe che dalla notte dei tempi sono protagonisti delle leggende della Terra di Albione. La chitarra e l'insolito accompagnamento ritmico rievocano atmosfere folk che ci catapultano nel bel mezzo di un fitto bosco oscurato dalle tenebre. Il protagonista della storie è un viandante di rientro verso casa, dove lo attende l'anima gemella. Durante il  tortuoso cammino nell'oscura foresta, viene ammaliato dall'inquietante richiamo di una strega. Il richiamo era talmente forte che il frastornato viandante invece che continuare il cammino che lo portava verso casa, finì con il trovarsi di fronte alla decadente dimora della strega, la quale, nonostante la forza di volontà dell'uomo, che rivendicava l'amore per un'altra donna, riuscì a baciarlo, lanciandogli un tremendo incantesimo chiamato appunto "la promessa della strega". Un breve intermezzo dall'aria barocca, dove flauto e chitarra si intrecciano magicamente, ci divide dalla seconda strofa. Mentre l'autunno fa il suo corso, colorando il bosco con una lenta pioggia di foglie rosse, gialle e marroni, il viandante si trova combattuto. La promessa della strega sta lavando via il suo primo amore come una fitta pioggia lava le scorie, aumentando notevolmente il tagliente dolore che gli sta lacerando il cuore. John Evans impreziosisce le strofe con una delicata partitura di pianoforte che si sposa alla perfezione con la notevole escursione sulla sei corde acustica di Mr. Barre. Un meraviglioso interludio strumentale spezza in due il brano. Ai magici sospiri del flauto e la fatata pioggia di note che piovono dalla chitarra acustica come luccicanti glitter, si aggiunge uno spaziale tappeto di mellotron che apre i cancelli al chorus. La linea vocale si fa più avvincente, trasportata dall'affascinante scia di note lasciata dal mellotron. Il viandante è in mezzo a due forze, l'amore nei confronti dell'anima gemella che si contrappone al forte maleficio della strega. Mentre le foglie secche continua a cadere colorando il sottobosco, il viandante continua a sprecare il suo tempo, senza saper prendere una decisione. Nella strofa conclusiva, tornano le atmosfere folk, e finalmente riusciamo a scoprire la direzione presa dal viandante. Lui ha fatto la sua scelta, la promessa della strega sta facendo il suo corso, mentre la povera innamorata aspetta invano l'amante, preoccupatamene in ritardo. Il brano si avvia verso la conclusione attraverso una affascinante coda strumentale, dove i malefici trilli del flauto svolazzano insieme alle cristalline trame della chitarra acustica attorno al magico tappeto di mellotron. Il doppio singolo si comportò egregiamente, raggiungendo una più che dignitosa posizione numero 4 in patria.

Inside (Solo versione UK)

Dopo questo insolito singolo dalla doppia facciata A, passiamo ad un altro singolo, "Inside (Dentro)" pubblicato dalla Chrysalis il 25 Maggio del 1970, brano presente su "Benefit". La Reprise successivamente pubblicò il singolo anche oltre oceano, precisamente il 10 Giugno del medesimo anno. "Inside" è una calorosa ballata folk che vede il flauto protagonista assoluto, una ballata che ha il potere di trasportarci indietro nel tempo, precisamente nel bel mezzo di una festa medievale. Le liriche esternano la grande voglia di ritornare a casa dopo gli interminabili ed estenuanti tour americani che solitamente vedevano impegnati i Jethro Tull, dopo l'uscita di un nuovo album. E non parlo solo della voglia di tornare in patria, ma di quella di tornare dentro al proprio nido, lasciato incustodito per troppo tempo. Il Cantastorie Scozzese descrive l'emozioni che prova una volta rientrato all'interno delle quattro mura domestiche. Il brano si presenta con quello che sarà il tema portante, ovvero una armonia che rievoca atmosfere medievali grazie agli spensierati sospiri del flauto. Lo stanco accompagnamento ritmico viene ravvivato dalle pastose note del basso, che vibrano quasi oscurando le delicate partiture della chitarra. Clive Bunker accentua l'atmosfera medievale stendendo un delicato tappeto con il glockenspiel, atavico strumento a percussione antenato dello xilofono. Con una linea vocala da menestrello, Ian Anderson descrive tutta la sua gioia nel ritornare finalmente a casa, dove torna a godersi la vita, assaporando le magiche essenze dei gesti quotidiani. Nell'inciso, la sezione ritmica accelera, dando un po' di brio al brano, nella linea vocale di Anderson si respira una gioia primaverile, lui si sente felice stando semplicemente seduto in un angolo della sua amata casa. Home Sweet Home. Se pur il suo caffè non sia dei migliori, bevuto nel suo soggiorno ha un sapore speciale. Dopo un breve stacco con il tema portante guidato dal flauto, torna la seconda strofa, dove la gioia aumenta quando Ian invita vecchi amici a bere il caratteristico the delle cinque, dove ovviamente non può mancare il suo migliore amico, Jeffrey Hammond, che per l'ennesima volta viene citato in un testo. Un altro suggestivo aspetto del ritorno a casa sono le passeggiate serali nel parco, con i sospiri del vento che nelle tenebre suonano come una dolce e rilassante musica. A seguire troviamo un intermezzo strumentale, dove Ian Anderson replica le melodie del flauto con vocalizzi d'altri tempi. Nella strofa successiva il Cantastorie Di Dunfermline ci canta tutta la magia di una cena fra amici, dove non importa essere cuochi eccellenti, l'importante è passare una serata insieme, a mangiare e bere buon vino. Con l'ultima strofa si conclude anche la giornata, con i nostri che si addormentano beatamente contando le pecore, svegliandosi il mattino successivo per affrontare un'altra fantastica giornata.

Alive and Well and Living In (Solo versione US)

La b-side di "Inside" era "Alive And Well And Living In (Viva E Vegeta E In Casa)", brano presente sulla versione inglese di "Benefit" ma non su quella americana, dove era sostituito da "Teacher". E' doveroso precisare che la versione di "Inside" pubblicata il 10 Giugno 1970 in America dalla Reprise, sul alto B conteneva "A Time for Everything?". "Alive And Well And Living In" è un breve pezzo rock folk che mixa dolcezza ed energia, aperto da John Evans con una dolce ed articolata partitura di pianoforte che sarà l'ossatura della prima strofa. La sezione ritmica accompagna in maniera delicata, mentre decisi contrappunti di flauto sottolineano i versi d'amore dedicati dal Poeta Scozzese nei confronti una figura femminile. Istintivamente è facile pensare che le poetiche liriche siano rivolte a Jennie Franks, prima moglie di Anderson, ma alcuni versi ci portano nella direzione di un'altra figura femminile ben cara a Ian Anderson, la madre. Nel inciso, gli strumenti suonano più energicamente, grazie ai caustici riff di chitarra seguiti all'unisono dal basso che rimpiazzano il pianoforte. E' proprio nel ritornello che l'indizi ci portano verso la madre di Anderson, le liriche dipingono una donna stanca e provata dalla routine familiare, che ha bisogno di riposare, tanto da mettere un cuscino sopra il telefono per attutirne gli squilli, una donna sempre pronta ad ascoltare e a consolare chi ha voglia di piangere. L'inciso si chiude con un brillante fraseggio di puro folk rock che apre le porte ad un breve interludio strumentale dove il brano cala nuovamente d'intensità. Sull'onda della delicata ritmica dai sentori jazz, uno svolazzante flauto introduce nuovamente la strofa, dove torna protagonista il pianoforte di John Evans. Chorus e strofe continuano ad alternarsi fino al minuto 01.50, dove ha inizio una raffinata coda strumentale dai sentori progressive. Sempre sulle orme della ritmica jazzata, Mr. Evans fa centro con un classicheggiante assolo di pianoforte, ricamato da preziosi intarsi con la sei corde acustica e da leggiadri aliti di flauto. A seguire ritroviamo il folkeggiante tema all'unisono che ci accompagna verso un dolce finale lasciato nelle delicate mani del Tastierista Di Blackpool.

Just Trying to Be

Siamo giunti alla conclusione del primo disco che compone l'affascinante "Living In The Past", la brevissima ballata acustica intitolata "Just Trying To Be (Semplicemente Cercando Di Essere)", un brano inedito registrato presso i Morgan Studio di Londra nel Giugno del 1970. Si tratta di un dolce duetto fra Ian Anderson con la sua inseparabile Martin D-28 acustica e John Evans con un'affascinante escursione con la celesta, un antico strumento che possiamo considerare un ibrido fra un piccolo pianoforte verticale ed uno xilofono. L'atavico idiofono a percussione fu inventato nel 1886 dal costruttore di strumenti musicali parigino August Mustel, che sviluppò il progetto sulla base di uno strumento ideato da suo padre Victor Mustel nel 1860, il dulcitone. Le cristalline note arpeggiate con il plettro da Ian Anderson si fondono con le dolcissime trame della celesta, dando vita ad un fatato e cullante intreccio armonico. Il Cantastorie Scozzese, trasportato dalle tintinnati note della celesta, con una cantilenante linea vocale torna indietro nel tempo, quando, camminando a testa alta, era convinto di intraprendere la strada del musicista, contro il volere dei propri genitori, che per il suo bene lo spingevano verso professioni più canoniche e meno rischiose. Ma ora lui fiero canta questa canzone, dimostrando con estrema soddisfazione che al tempo, seguendo il suo istinto, imboccò la giusta via, una strada che lo ha reso ricco e famoso. Nel bridge, l'intreccio fra la chitarra acustica e l'atavico strumento idiofono abbandonano le melliflue atmosfere da carillon assumendo un tono più deciso, che riesce a trasmetterci un senso di inquietudine. La linea vocale ora assume un tono saccente, agli occhi di Ian Anderson, l'ostruzionismo da parte die genitori verso una sua possibile carriera da musicista sembra un gesto colmo di insensibilità, dettato da una mentalità vetusta che spinge i suoi vecchi ad insistere a decidere per lui, nonostante siano in errore. Con l'avvento del chorus le atmosfere tornano brillanti, guidate da un vigoroso strumming con la sei corde acustica, sempre ricamata delle dolcissime note della celesta. Ian Anderson in fondo comprende l'atteggiamento dei genitori, che sembrano non capire che il figlio sta solamente cercando di essere se stesso, imperterrito a far sì che i suoi sogni possano un giorno realizzarsi. John Evans pone il sigillo al brano con la celesta, suggellando questo prima parte di "Living In The Past" con una dolcissima e cullante melodia che sembra uscita da un piccolo carillon.

By Kind Permission Of (live)

Voci, fischi e applausi ci lasciano facilmente presagire che il secondo disco si apre con una traccia live che ha la peculiarità di essere stata composta dal solo John Evans, una notizia per i Jethro Tull. Si tratta di un brano registrato alla prestigiosa Carnegie Hall di New York City il 4 Novembre del 1970. La data era verso il termine del tour americano di "Benefit", pertanto la formazione è la medesima dell'album. A quaranta anni di distanza, il leggendario concerto tenuto nella Città Della Grande Mela è stato pubblicato dalla Parlophone in occasione del Record Store Day, precisamente il 18 Aprile del 2015, sotto forma di un invitante vinile intitolato "Live at Carnegie Hall 1970". Già dall'esplicito titolo "By Kind Of Permission (Per Gentile Permesso)" si capisce che John Evans intende rubare la scena per alcuni minuti, chiedendo garbatamente il permesso ai colleghi per presentare un suo brano inedito, incentrato su di una pregevole escursione al piano forte, ricamata nei punti cruciali da raffinati contrappunti di flauto, in poche parole una vera e propria chicca che mette in mostra tutto il talento del Tastierista Di Blackpool. Un presentatore annuncia i Jethro Tull, l'annuncio è seguito da un boato assordante del pubblico, che si infiamma ancora di più quando i nostri fanno la comparsa sul palco. Poche divertenti parole di presentazione e poi il Talentuoso Tastierista che da poco si era unito ufficialmente alla band sale in cattedra. Gli accordi di Emersoniane-Wakemaniane memorie danno vita ad un affascinante climax che rievoca passaggi di musica classica, sfociando poi in un vero e proprio assolo di pianoforte che ammutolisce la platea. Lentamente la partitura di pianoforte si fa più vivace, affiancata da esotiche trame di flauto. Al minuto 03:13 il brano sembra sfumare verso l'epilogo, per poi rinascere prepotentemente, con la vivace escursione al pianoforte affiancata ancora una volta dal Ian Anderson, che ipnotizza il pubblico con una esotica partitura di flauto dal piacevole retrogusto blues. Aumentano i BPM, John Evans trascina tutti verso un altro falso finale, per poi riprendere la pregevole escursione al pianoforte, tornando ad esplorare sentieri classicheggianti, per poi tornare nuovamente ai più vivaci accordi alla Keith Emerson. Il nostro riprende a più riprese l'assolo, dopo svariati falsi finali, passando magicamente da uno stile all'altro. Dopo un momento dalle atmosfere fiabesche, i nevrotici fraseggi di flauto e i folleggianti accordi di pianoforte ci portano dritti al minuto 09:00, dove una energica manciata di accordi di piano richiama all'ordine tutta la band, donando l'energia necessaria per il gran finale, seguito da un assordante tripudio di una delle più importanti sale da concerto del Mondo. Escludendo la rivisitazione di "Bourée", "By Kind Of Permission" è l'unico brano di questa affascinante antologia che non porta la firma di Ian Anderson.

Dharma For One (live)

Si continua con un altro brano estratto dalla serata tenuta nella mitica Carnegie Hall, si tratta di una bellissima versione alternativa di "Dharma For One (Dharma Per Uno)", brano in origine firmato dal duo Anderson/Bunker e appartenente all'album d'esordio "This Was" (1969). A differenza della versione originale, vengono aggiunte sorprendentemente poche righe di testo. Il titolo lascerebbe pensare ad un tributo a Ritchie Dharma, una delle numerose meteore passate per la John Evan Band, ma invero trae ispirazione dal libro "The Dharma Bums (I Vagabondi Del Dharma)", scritto dallo scrittore statunitense Jack Kerouac nel 1958, dove vengono condensate vaste meditazioni sul buddhismo, tanto da far sì che il libro venisse inteso come una sorta di bibbia del misticismo dalla beat generation. Chissà se anche gli autori della splendida serie Tv "Lost" si sono ispirati al libro (o magari alla canzone in questione) per il misterioso "Progetto DHARMA". Il brano si apre con una inquietante partitura di organo Hammond, tempestata da colpi di batteria e da una funambolica partitura di basso che ne segue fedelmente i passi. Le note di Mr. Evans che sembrano uscire dalle canne dell'organo dell'Abominevole Dr. Phibes, spalancano le porte alla strofa, annunciata da un funambolico break di batteria che mette sugli scudi uno scatenatissimo Clive Bunker. Chitarra, basso, organo e flauto viaggiano all'unisono presentandoci il main theme del brano, dopo pochi secondi, arriva la sorpresa, Ian Anderson recita pochi versi ispirati al libro scritto da Jack Kerouac. La cantilenante linea vocale lancia messaggi mistici che ci invitano a cercare la verità all'interno della nostra mente, nella medesima maniera che facevano i protagonisti del libro, che seguendo il flusso della scuola Zen di San Francisco e gli insegnamenti della scuola buddhista, andavano alla ricerca della verità, attraverso un percorso spirituale caratterizzato da epiche bevute consumate nei ritrovi fumosi del quartiere cinese di San Francisco, alternate con esaltanti e pericolose scalate fra le montagne inviolate della California e meditazioni notturne nei boschi o sulle affascinanti spiagge deserte, mettevando i discepoli del Dharma a stretto contatto con la natura. Seguendo la scia lasciata dai più oscuri colleghi amanti dei culti satanisti, non si facevano mancare momenti di sfrenata sessualità. L'incredibile lavoro della sezione ritmica e l'acido intreccio fra la chitarra e l'organo ci portano verso la seconda strofa, dove Ian Anderson sostiene che se ognuno insisterà a proseguire per la propria strada non otterrà un bel nulla, finendo con il portare fuori strada tutti quanti. Dopo neanche due minuti incontriamo un breve interludio strumentale con il flauto protagonista, che fa da bridge con la strofa successiva, dove la folleggiante linea vocale duella con le nevrotiche trame degli strumenti, andando alla ricerca della verità, che molto spesso può essere ingannevole quanto la libertà. Le liriche si chiudono con una ferrea legge dei discepoli del Dharma, che impone di essere fedeli a se stessi, senza mai pensare di avere la completa libertà, solo così si potrà raggiungere l'agognata verità. Al minuto 02:11 l'organo annuncia un incisivo giro di basso, ricamato da inquietanti cori che sembrano essere usciti da un inquietante culto pagano. Esotiche percussioni si intrecciano con la disorientante babele di voci, trasportata da un imponente tappeto di organo e dall'incisivo giro di basso. Nevrotici aliti di flauto si aggiungono alla pazza cavalcata degli strumenti, dando vita ad un climax costante, che ci porta dritti ad un acido assolo di chitarra. Le lisergiche tram di Martin Barre, tempestate dall'organo e dai caratteristici colpi settantiani della sezione ritmica proseguono a lungo, riconducendoci alla ripetizione della prima strofa. Un breve secondo di silenzio annuncia una ripresa del brano, ancora più caotica delle precedenti. Un indemoniato Ian Anderson farnetica per l'ultima volta i pochi versi delle liriche, lasciando poi il campo a Clive Bunker, che come nella versione originale si esalta in un prolungato e funambolico assolo di batteria. Il nostro ipnotizza la platea massacrando il set delle pelli e dei piatti. Chapeau. Calano bruscamente i BPM, quando il brano sembra volgere al termine, Mr. Bunker riprende a tempestare la batteria in maniera decisa, annunciando un travolgente ritorno degli strumenti. Organo e chitarra viaggiano minacciosamente all'unisono, trasportando un delirante Anderson che recita per l'ultima volta la parola "Dharma", prima di portarci verso l'epilogo con una esotica escursione con il flauto, che lascia poi il campo ad un instancabile Clive Bunker che con classe ci accompagna verso il gran finale, sovrastato da un caloroso entusiasmo del pubblico della Carnegie Hall.

Wond'ring Again

Dopo questo piacevole intermezzo live, si prosegue con un'altra chicca inedita intitolata "Wond' Ring Again (Chiedendomi Di Nuovo)", brano da cui successivamente è nata la dolcissima "Wond' Ring Aloud (Pensando A Voce Alta)" ballata acustica presente sul capolavoro "Aqualung" (1970). Il brano, registrato a Giugno del 1970 presso i Morgan Studios di Londra, viene aperto dalle cristalline note della Martin D-28 suonata con il plettro da Ian Anderson, ricamata dai fatati tintinni del glockenspiel suonato da Clive Bunker. A seguire arrivano Martin Barre, ricamare con calorosi fraseggi con la sei corde elettrica e la premiata ditta Bunker-Cornick ad accompagnare con una interessante ritmica che mette in evidenza un sinuoso giro di basso. Il Cantastorie Scozzese dipinge un quadretto dai toni grigi e macabri che ritrae la nuova società malata inglese dei primi anni '70. La magia degli anni passati è stata definitivamente annientata da una nuova marea mortale, priva degli atavici valori che dalla notte dei tempi hanno contraddistinto la Terra Di Albione. Forse si tratta della conseguenza del peccato originale, che con il passare degli anni ha portato al collasso il genere umano. Nel breve bridge rimangono solo la chitarra acustica ed il pianoforte ad accompagnare il Menestrello Di Dunfermline, che nell'inciso sottolinea tutto il suo disappunto nei confronti della nuova società britannica, incantata dai farciti sandwich del Nuovo Continente. Le critiche si fanno ancor più pesanti nella seconda strofa, dove il lavaggio del cervello da parte del governo genera un mare di escrementi che affonda definitivamente i vecchi valori dell'Inghilterra. Come già sottolineato anche nel capolavoro assoluto "Thick As A Brick", nel bridge il nostro evidenzia come lo stato faccia di tutto per generare mostri, crescendo i nuovi nascituri con pane e quiz televisivi di chiara impronta americana, infischiandosene di chi muore di fame e di chi non ha una casa in cui andare, pregandoli cinicamente di scavarsi la fossa con le proprie mani. Nel ritornello c'è posto anche per una lieve nota ambientalista, le risorse naturali si stanno pericolosamente esaurendo, lasciando presagire un futuro nero per l'umanità. Un bel climax dettato dal pianoforte ci porta verso un momento riflessivo del brano, dove possiamo facilmente riconoscere la futura "Wond' Ring Aloud". Chitarra acustica e pianoforte si intrecciano magicamente, accompagnando un Ian Anderson sempre più polemico, che stavolta si avvale di impenetrabili licenze poetiche. Clive Bunker entra in scena annunciato da una vigorosa corsa sulla pelle del rullante. L'ingresso deciso della sezione ritmica ravviva l'atmosfera, basso e pianoforte si inseguono come rondini che librano nel cielo terso in cerca di insetti, mentre Ian Anderson scrive un profondo epitaffio sulla tomba che ha seppellito i virtuosi valori morali ormai andati dispersi. Nell'ultimo ritornello, il nostro si chiede se mai un giorno il Sole si annoierà di scaldare la Terra, spazzando via l'umanità e tutti i suoi affascinanti ricordi di una spensierata infanzia, lasciando il pianeta ad un solitario e deprimente invecchiamento. Solo allora forse, quel che resta dell'umanità tornerà ad aprire gli occhi e a piangere sul latte versato.

Locomotive Breath (Solo versione UK)

Nella versione inglese di questa prestigiosa doppia raccolta, il precedente brano è stato rimpiazzato da un'altra canzone pescata da "Aqualung". Ci sono brani che nel corso della storia si sono meritatamente ritagliati uno spazio importante nel prestigioso libro della storia del rock, brani con i quali anche i meno esperti riescono ad identificare una determinata band, come "Smoke On The Water", "Paranoid", o la sempiterna "Starway To Heaven". Anche i Jethro Tull hanno il loro cavallo di battaglia, con il quale tutti identificano la band, un brano rivisitato più volte da svariati artisti nel corso dei tempi, un brano che non avrebbe bisogno di essere presentato, ma il cui titolo devo per forza scrivere per esigenze editoriali. Come avete già capito, il classico che i nostri hanno scelto per impreziosire questa già ricca raccolta è la mitica "Locomotive Breath (Lo Sbuffo Della Locomotiva)". Da sempre è la canzone con cui i nostri salutano i fans, chiudendo immancabilmente ogni loro concerto. Il brano riscontrò notevoli difficoltà in fase di registrazione, in quanto Ian Anderson non riusciva a trasmettere ai colleghi le proprie idee musicali. Per ovviare in parte la problema, i nostri si affidarono alla tecnica dell'overdubbing, registrando in separata sede le varie partiture strumentali, per poi sovrapporle l'una all'altra. Per differenziare il brano dall'altra hit "Aqualung", che inizia in modo sconvolgente con il riff portante, John Evans creò una soffusa introduzione con il pianoforte, che lentamente prende le sembianze del main theme con martellanti accordi di pianoforte ricamati da caldi fraseggi di chitarra. Il pregiato climax ci porta verso l'esplosione del riff portante sparato dalla chitarra di Martin Barre, ricamato da sinuosi fraseggi di basso e da fumanti aliti di flauto che ricordano l'incessante sbuffare di una locomotiva a vapore. Le liriche sono fra le più interessanti partorite dalla geniale mente di Ian Anderson. Il treno che corre veloce ricreato dagli strumenti non è altro che il treno della vita, dove l'essere umano si trova improvvisamente a bordo, tentando di rimanere in piedi durante il tortuoso percorso delle rotaie, che porta inesorabilmente verso il capolinea. Nel breve inciso, il brano accelera, la locomotiva sbuffante rallenta, facendo salire a bordo il vecchio Charlie, quel Charles Darwin che è stato il primo uomo a mettere in nero su bianco una valida alternativa scientifica alla credenza religiosa della creazione della vita spiegata nella Bibbia. Il buon vecchio Charlie si è rubato i freni del treno che per secoli hanno condizionato la vita dell'essere umano, e ora il treno è inarrestabile. Nelle strofe successive, i binari del treno e la locomotiva sbuffante prendono le sembianze di una metafora sulla vita. I binari sono il percorso che ci ha riservato il destino, dal quale non si può prescindere. La locomotiva che corre veloce simboleggia la nostra vita. Con il tempo, le liriche criptiche hanno fatto affiorare una seconda teoria su chi possa essere il vecchio Charlie. Secondo la tradizione popolare scozzese "Old Charlie" è uno dei mille nomi del Diavolo, che avendo rubato la leva del freno, porta il treno verso un inevitabile disastro che si conclude con la morte dell'essere umano. Dopo un secondo passaggio dell'inciso incontriamo uno dei momenti più significativi della lunghissima carriera tulliana, uno strabiliante e interminabile assolo di flauto dove il Madman Flautist si supera, facendoci venire la pelle d'oca. Il nostro mette in atto tutti gli insegnamenti appresi dalla sua musa, Rahsaan Roland Kirk, dando vita ad una delle migliori performance con il flauto della storia del rock. Le note scorrono via agilmente come se stessimo ascoltando un assolo di chitarra. Brividi. Nelle strofe successive, la locomotiva continua a correre veloce, Ian Anderson va a scomodare addirittura Gedeone, significativo personaggio biblico, giudice della Tribù di Manasse. Nell'ultimo inciso, a sorpresa non troviamo il vecchio Charlie, Diavolo e Darwin che sia, ma il nostro lo rimpiazza con Dio in persona. Stavolta è l'Onnipotente a rubare la maniglia del freno. Con il semplice cambio di una sola parola, il brano assume un significato pessimistico, l'uomo si trova a bordo del treno della vita che corre veloce, dal quale non si può scendere, uno spettatore inerme nei confronti del proprio destino, sempre più fortemente nelle mani dell'eterno vincitore (Dio), che assolutamente non consente nessuna modifica del percorso predesignato all'eterno perdente (l'uomo). La folle corsa del treno della vita continua inesorabilmente fino al capolinea (la morte), senza mai rallentare un attimo. Il brano fu pubblicato come singolo dalla Reprise il 17 Novembre del 1971 con "Wind-Up" come B-side. Dopo aver ottenuto un meritatissimo successo, insieme ad "Aqualung" è diventata ben presto un classico imprescindibile della band. Nel corso degli anni, il classicissimo tulliano è stato rivisitato da svariate band metal, fra cui gli W.A.S.P e gli Helloween. Non sono mancate svariate comparse in film e in alcune serie TV, fra cui la mia preferita, Supernatural.

Hymn 43 (Solo versione US)

Dopo una buona dose di vere e proprie chicche che hanno fatto felici i fans più incalliti, troviamo "Hymn 43 (Inno 43)", brano dai sentori Beatlesggianti presente solamente sulla versione americana di "Living In The Past". Si tratta di una delle tante perle presenti sul capolavoro "Aqualung" datato 1970. "Hymn 43" fu lanciato come singolo il 19 Marzo del 1971, senza però riuscire a raggiungere posizioni dignitose. Nonostante il titolo, che lasciano presagire ad un inno liturgico, le liriche sono un vero e proprio attacco da parte di Ian Anderson nei confronti della Chiesa. La prima strofa, considerata alquanto oltraggiosa, costò ai nostri una pesante censura in Spagna, durante l'interregno di Francisco Franco. Il nostro spara letterarmente a zero sulla Chiesa, che secondo lui si nasconde dietro al proprio Dio per commettere atti alquanto deprecabili, evidenziati con i pesanti ed espliciti versi che recitano "Our Father high in Heaven, smile down upon your son who's busy with his money games, his women and his gun. Oh Jesus save me! (Oh Padre alto nei Cieli, sorridi giù a tuo figlio che è impegnato nei suoi traffici di denaro, le sue donne e il suo fucile. Oh Gesù salvami!)". Ma non è tutto, trasportato dal brioso rock 'n' roll dalle tinte blue, il Menestrello Scozzese si prende le difese dei nativi americani, accusando gli occidentali di aver rubato le terre del Nuovo Continente, cacciando via i legittimi proprietari e confinandoli in tristi riserve. Dopo un paio di strofe troviamo un bridge strumentale, dove chitarra e flauto si dividono la posta a suon di taglienti fraseggi. Nell'inciso ad emergere sono i filler di Clive Bunker che fanno legante fra i potenti accordi all'unisono. A seguire incontriamo un rockeggiante assolo di chitarra che evidenzia la grande vena di Martin Barre. Nel secondo inciso, senza peli sulla lingua, Anderson si rivolge direttamente a Gesù, esortandolo a salvare se stesso anzichenò quegli pseudo cristiani, che predicano bene e razzolano male, e si rivolgono al Signore solamente in punto di morte. Pianoforte e strumenti a corda ci trascinano energicamente verso il gran finale, con il Menestrello Di Dunfermline che continua a lanciare frecciatine verso l'ipocrisia di tutti quei credenti che ostentano il verbo di Dio, comportandosi poi in maniera del tutto incompatibile con le ferree regole della religione cristiana.

Life Is a Long Song

Gli ultimi cinque brani che chiudono il disco fanno tutti parte dell'EP "Life Is A Long Song", registrato in due sessioni a Maggio del 1971 presso i Sound Techniques Studio, ubicati nell'esclusivo quartiere di Chelsea a Londra, (gli studio dove fu registrato l'album d'esordio "This Was"), sotto la supervisione degli ingegneri del suono Victor Gamm e John Wood e prodotto da Ian Anderson. L'EP fu pubblicato il 17 Settembre del 1971, distribuito dalla Chrysalis Records in Inghilterra ed in altre poche nazioni europee, fra cui Spagna e Italia. Si tratta di un lavoro interessante in quanto si trova a metà fra i due capolavori assoluti della band, "Aqualung" e "Thick As A Brick", e che soprattutto vede il battesimo del nuovo batterista Barriemore Barlow, appena arruolato e gettato subito in studio. La formazione è dunque quella di "Thick", con l'aggiunta di David Palmer ad impreziosire il tutto con le sue raffinate trame orchestrali. Si inizia con la title track, "Life Is A Long Song (La Vita è Un Lungo Brano)", un delicato intreccio fra due chitarre acustiche ed il flauto che rievoca il folk tanto caro ai nostri. Le cristalline note della Martin D-28 suonata con il plettro si intrecciano con le più calde trame della sei corde di Martin Barre, accompagnando il Cantastorie Di Dunfermline che si libera dalla vischiosa ragnatela di note arpeggiate, cantandoci versi che sprizzano positività da tutti i pori e colmi di licenze poetiche. Se il risveglio come spesso capita non è dei migliori, il nostro ci invita a non preoccuparci, sarà lui a darci il buon umore necessario per affrontare la giornata, passando con dolcezza all'inciso, che si limita alla ripetizione del titolo del brano attraverso versi pieni di positività; con la dovuta pazienza ed il passare del tempo, il piatto prima o poi si riempirà. La strofa successiva viene impreziosita da un'elegante partitura di pianoforte. Le note John Evans vanno ad incastonarsi perfettamente fra i pochi spazi lasciati liberi dalle due chitarre acustiche, trasportando un sempre più positivo Ian Anderson che sprona i più pessimisti a fare conto delle proprie forze per poter raddrizzare una giornata non iniziata nel migliore dei modi. Il pianoforte fa un egregio lavoro anche nel successivo inciso, dove con grazia entra anche la sezione ritmica. Barriemore Barlow sembra accarezzare il drum set, attento a non rompere l'idilliaca atmosfera generata dalle chitarre e dal pianoforte, ma presentandosi con una serie di filler di gran classe ed effetto. Nella strofa successiva entra in scena anche David Palmer. I violini vibrano gioiosi, conferendo un tocco di magia la brano. Le pennate di Jeffrey Hammond Hammond e i filler senza una fine di continuità del nuovo batterista danno una piacevole spruzzata di verve al brano, che ora sembra aver spiccato il volo verso il cielo, trasportato delle fiabesche trame orchestrali ben dirette dal Maestro Palmer. Successivamente Ian Anderson ci fa salire a bordo del treno di Baker Street, forse omaggiando il celebre investigatore ideato dalla geniale mente di sir Arthur Conan Doyle, le nostre compagne di viaggio sono impenetrabili licenze poetiche che ancora una volta lasciano trasparire una buona dose di ottimismo, accompagnandoci verso l'ultimo ritornello, dove Anderson sembra quasi rammaricato di recitare l'ultimo verso. In chiusura, il Pifferaio Magico ci delizia con una bellissima partitura di flauto dai toni fiabeschi, per recitare poi ancora una volta la parte finale del chorus.

Up The 'Pool

La traccia numero sette è intitolata "Up The 'Pool (In Piscina)", ma non fatevi trarre in inganno dal titolo e soprattutto dalla traduzione letteraria, non si tratta di un rinfrescante tuffo in piscina durante una assolata giornata estiva, "'pool" non è altro che l'abbreviazione di Blackpool, la ridente cittadina di mare che si affaccia sul Mare d'Irlanda, ubicata nella pittoresca contea inglese del Lancashire, non molto distante da Liverpool e Manchester. Si tratta della città dove una volta che il piccolo Ian finì le scuole elementari, si trasferì la famiglia Anderson. E' dunque una cittadina alla quale Ian Anderson è molto affezionato, in quanto è lì che ha vissuto i momenti migliori della vita, e soprattutto è a Blackpool che sono nati i Blades, ovvero la band che con il tempo, dopo innumerevoli metamorfosi e avvicendamenti di formazione si sarebbe trasformata magicamente nei Jethro Tull. Si tratta di una calorosa ballata folk rock che anche stavolta vede protagonista la chitarra acustica di Ian Anderson, il quale per l'occasione, confermandosi un polistrumentista eccezionale, oltre al flauto suona anche il violino. Ma il nostro è abile anche con la penna, e come già è accaduto in passato, in queste liriche è riuscito a dipingere splendidamente un colorato quadretto che ci trasporta magicamente nella città di Blackpool, con la sua piacevole brezza marina e i caratteristici rumori e mille profumi di una città di mare. A fare da colonna sonora a questo ridente dipinto è il magico intreccio fra le chitarre e l'organo, Jeffrey Hammond ricama con un sinuoso serpente di note, mentre Barriemore Barlow suona delicatamente le percussioni. Tutti suonano tutti in maniera delicata, mettendo in risalto le cristalline note della Martin D-28. Con una linea vocale colma di passione e dolcezza, Ian Anderson sin dalla prima strofa ci accompagna alle porte di Blackpool, che deve il nome al colore delle acque di un canale di scolo che, collegando le vicine torbiere al mare, presentavano un colore scuro che ricordava una piscina nera. Tutte le volte che ritorna nella ridente cittadina di mare, Ian Anderson rievoca i ricordi ed i profumi dell'infanzia, come il sentore emanato dolciastro della marmellata fatta dalla mamma o i colori e i sapori dell'invitante negozio che vendeva caramelle e altre leccornie varie. Ma l'aspetto più affascinante di Blackpool è il lungo mare, con le sue profumate spiagge, l'imponenza della Blackpool Tower, che dal lontano 14 Maggio del 1894 sorveglia il mare d'argento dall'alto dei sui 158 metri. Il vanto di Blackpool è però l'esclusivo Golden Mile (Il Miglio D'Oro), oltre due chilometri e mezzo di lungomare che unisce i vari moli da nord a sud, ricco di svaghi e divertimenti, che deve il suo nome ad una alta concentrazione di sale giochi e slot machine, dove bazzicano i ricconi ed i politici della zona, mentre i giornali parlano dei guai del capo del partito dei conservatori  Edward Heath, deciso a portare avanti la sua causa che prevedeva di tassare le persone più ricche del Regno Unito. Nell'inciso, la sezione ritmica si fa più incisiva, Ian Anderson, accompagnato dai lamenti del suo violino che si intrecciano con quelli della chitarra di Martin Barre ci fa assaporare i profumi del mare, con i ristoranti che cucinano prelibati piatti a base di cozze e fasolari, con le onde che portano a riva profumate alghe verdi, mentre in spiaggia, fra le sedie a sdraio c'è chi gioca a bingo e chi si diverte a scavare buche nella sabbia. Nell'ultimo verso del chorus, a rendere ancor più suggestivo il quadretto troviamo un'affascinante stella marina che esce dalla tana per godersi lo spettacolo offerto dalle spiagge dorate di Blackpool. Di qui in avanti le strofe e i ritornelli si ripresentano in copia, sia musicalmente che liricamente, con l'aggiunta di qualche controcanto scanzonato. Nel finale Anderson osanna la città di Blackpool, pronunciando il nome nella sua interezza, inseguito dai minacciosi ruggiti dell'organo Hammond di John Evans.

Dr. Bogenbroom

"Dr. Bogenbroom" è una delle mie tracce preferite dell'album, un magico intreccio fra armonie selezionate con cura ed una melanconica linea vocale che ci conquista all'istante. Dopo una raffinatissima introduzione, dove un pregevole fraseggio di Martin Barre si fonde con un caloroso strumming da spiaggia, Ian Anderson ci conquista all'istante con una ammaliante linea vocale dai sentori melanconici, raccontandoci una delle ultime giornate di un misterioso uomo che ha già praticamente un piede nella fossa, l'altro lo ha messo su uno dei classici bus britannici, diretto allo studio medico del Dr. Bogenbroom. Spettacolari i fraseggi di chitarra e i contrappunti con i quali Martin Barre ricama la decadente linea vocale del Cantastorie Di Dunfermline. L'uomo è debole e a fatica riesce a sopravvivere alla ressa che ha preso possesso del bus. Nel bridge John Evans riempie con minacciosi accordi di pianoforte che si fondono con gli acidi fraseggi di Mr. Barre, lo strumming di chitarra si fa più vigoroso, come si fa sempre più travolgente l'orda dei passeggeri, fra i quali ci sono poliziotti e avvocati, tutti quanti diretti allo studio del Dr. Bogenbroom, in attesa della prescrizione di una super pillola che scaccerà via tutti i loro malanni. L'inciso è un bellissimo saliscendi di volumi e climax che ci accompagnano dritti allo studio del Dr, Bogenbroom. A fare da ponte con la strofa successiva ritroviamo il breve ma efficace intro, poi Ian Anderson riparte con la sua melanconica linea vocale, sempre ricamata alla perfezione dalla chitarra, entrando nella mente del misterioso uomo con la destinazione cimitero. Mille pensieri passano nella sua testa, una sorta di resoconto della sua vita, dove ritiene di aver provato ad amare al meglio tutti coloro che hanno fatto parte della sua vita, compresi gli elementi peggiori, che senza peli sulla lingua definisce ipocriti e puttane. Nel bridge il pover'uomo ha qualcosa da dire anche nei confronti del padre Onnipotente, che lo ha annegato nella fontana della vita, facendolo vivere mentre stava morendo. Lui come del resto tutti gli esseri umani, è solo una meteora di passaggio, solo che il suo passaggio è stato assai più effimero rispetto ad altri. In questi ultimi giorni di vita, l'unico che può dare sollievo e prolungare la sua esistenza è il gentilissimo Dr. Bogenbroom. Nel finale c'è lo spazio per un rockeggiante assolo di chitarra elettrica, dove le calde note sparate da Martin Barre duellano con le barocche note del clavicembalo di John Evans ed il vigoroso strumming con la sei corde acustica, con l'ossessiva cavalcata della sezione ritmica a fare da spettatore.

For Later

Con i suoi soli 02:10 minuti, "For Later (Per Dopo)" (sulla versione originale dell'EP datato 1971 curiosamente accreditata con il titolo "From Later") si può definire un concentrato di musica progressive, contaminato da acide venature fusion. Ritmiche dispari e spettacolari voli pindarici da parte di tutti gli strumentisti si susseguono dal primo all'ultimo secondo facendoci fare uno splendido viaggio lisergico in pieno stile anni settanta. I nostri partono subito in quarta con il ruggente organo di Mr. Evans, seguito all'unisono dal resto della banda, rievocando inevitabilmente le sonorità degli Yes. Con una brillante corsa sulla pelle del rullante, Barriemore Barlow annuncia la strofa, che mette in mostra un tipico wall of sound settantiano con gli strumenti che eseguono una serie di scale in maniera omofona per poi sfociare nel ritornello, dove troviamo un bellissimo dialogo fra la chitarra e l'organo, accompagnato dall' ottimo duo Hammond-Barlow con una zoppicante ritmica fusion-jazz. Andando avanti, si intromette nel discorso Ian Anderson con taglienti trame di flauto che lentamente prendono la forma di un vero e proprio assolo, dove in alcuni frangenti il Madman Flautist sembra far parlare il proprio strumento. Al minuto 01.16 si prende un momento di gloria il bassista Jeffrey Hammond Hammond, con un breve assolo condito da una buona dose di effetti a pedale, dove va a riprendere il tema portante, accompagnato con esotiche percussioni da Mr. Barlow. Una violenta spifferata richiama tutti all'appello e i nostri tornano a ipnotizzarci con la strofa e la sua vorticosa serie di scale eseguite con una precisione disarmante, per poi salutarci con un ultimo passaggio del chorus. Breve ma intensa.

Nursie

Se vi ricordate, "Cheap Day Return", presente sul capolavoro "Aqualung" era una canzona acustica scritta da Ian Anderson sulle banchine della stazione di Preston, mentre stava aspettando il treno che lo avrebbe portato all'Ospedale di Blackpool, dove si trovava ricoverato il padre malato. Bene, in quel periodo, il nostro scrisse un'altra breve canzone analoga, che rimase fuori dalla track list del capolavoro datato 1971, intitolata "Nursie (Infermierina)", omaggiando quella giovane infermiera, nonché fans dei Tull, che si prendeva cura di suo padre. Si tratta di una escursione solitaria di Ian Anderson con la fida Marin D-28 acustica e la sua inconfondibile e ammaliante voce. Le cristalline note della chitarra acustica suonata con il plettro ci aprono scenari paradisiaci di fronte agli occhi; il nostro si  identifica nel padre malato, costretto nel letto di un ospedale, che ammira con stima la giovane infermiera che quotidianamente si prende cura di lui, arrivando sempre silenziosa in punta di piedi, facendo attenzione a non svegliarlo, bagnandogli dolcemente la fronte con acqua fresca per abbassare la temperatura corporea. Ma è il suo perenne sorriso smagliante la vera cura che gli fa abbassare la febbre. Nell'effimero inciso, lo strumming si fa più vigoroso, le note squillanti della sei corde acustica fanno da cornice ad un ultimo omaggio alla giovane infermiera che ogni giorno si reca al capezzale del signor Anderson, cercando di alleviare i suoi dolori e rendendo più solare ogni santissimo giorno. Per la cronaca, la degenza del padre di Anderson nell'ospedale di Blackpool si risorse nel migliore dei modi. E con classe siamo arrivati alla conclusione di questo affascinante viaggio nel passato nell'Universo Tulliano.

Conclusioni

Cavalcare l'onda, battere il ferro quando è caldo, sfruttare la gallina dalle uova d'oro, scegliete un termine qualunque fra questi per definire la lungimiranza dei vertici della Chrysalis Records, che sfruttando il periodo d'oro che stavano attraversando i Jethro Tull, hanno avuto la brillante idea di mettere sul mercato questo affascinante "Living In The Past", una magnifica antologia che va dal 1968 al 1972, una miscellanea   che esula da tutti gli stereotipi di gratest hits, spesso fini a se stessi, che si limitano ad una mera raccolta di brani già sentiti, e fatemi aggiungere, spesso scontentando gran parte dei fans omettendo canzoni memorabili.  Andando a ritroso nel tempo abbiamo riscoperto tutti quei brani pubblicati sui vetusti 45 giri, ripresentati per l'occasione in versione stereo rispetto agli originali, oltre a numerosi ed allettanti inediti, nuove versioni di vecchi brani, e ovviamente qualche immancabile cavallo di battaglia. Se proprio devo andare a cercare il pelo nell'uovo, io avrei gradito nella track list la monumentale "Aqualung" assieme ad un estratto, magari live, di "Thick As A Brick", ma diciamo tranquillamente che va bene ugualmente. L'accattivante "Sweet Dream" e il raro EP "Life Is a Long Song" in tutta la sua interezza sono il fiore all'occhiello, non dimenticando la spettacolare nuova versione live di "Dharma For One", la title track e gli interessantissimi inediti dal valore inestimabile. In questo affascinante viaggio nel passato possiamo ammirare ogni singolo membro che in questo breve scorcio di carriera ha militato nei Jethro Tull. Ovviamente, in maniera del tutto scontata, a salire sul gradino più alto del podio non poteva essere che sua maestà Ian Anderson, anima indiscussa e leader della band, abile oltre che con la voce anche con la penna e con qualsiasi strumento gli si paventi davanti. "Living In The Past" è venuto alla luce il 23 Giugno del 1972, solamente tre mesi e venti giorni dopo il capolavoro "Thick As A Brick". E' il primo album dei Jethro Tull ad essere distribuito in tutto il Mondo dalla Chrysalis Records. In America, raggiunse la prestigiosa posizione numero 3 della Billboard 200, mentre in patria i nostri si sono dovuti "accontentare" dell'ottava posizione. La prestigiosa antologia ha portato in casa Tull ben tre dischi d'oro (Regno Unito, Australia e Canada) e un disco di platino (Stati Uniti). Il duplice paltter è stato remixato presso i Morgan Studios di Londra dall'ingegnere del suono Robin Black, sotto la supervisione e le direttive di Ian Anderson. Il produttore esecutivo è l'immancabile Terry Ellis. A rendere ancora più prestigiosa ed allettante l'offerta è l'artwork, un affascinate disegno antichizzato di colore giallo oro su sfondo rosso scuro che ricorda un prezioso intarsio su pelle. All'interno di una bellissima cornice d'altri tempi che rievoca un antico araldo scozzese, il soggetto del disegno non poteva che essere Ian Anderson, immortalato mentre suona il flauto traverso nella sua inconfondibile posa su una sola gamba, che ricorda una elegante cicogna. Sopra di lui, logo e titolo dell'album. La lussuosa copertina è opera della CCS, che ha agito sotto il volere e le direttive della casa discografica. Allettante anche il bellissimo libretto contenente oltre 50 foto a colori e una incredibile quantità di dettagli per ognuna delle canzoni presenti nell'album. Le foto sono opera dei fotografi Sam Emerson e Tony Loew, Brian Ward, Ed Caraeff, Ruan e Jackie O'Lochlainn, Michael Graber. Purtroppo, per motivi logistici, le future versioni su CD hanno perso tutto il fascino della versione primordiale in vinile. Tirando le somme, si tratta del classico album che i fans di ogni band sognano, dove anche i brani meno attraenti risultano vincenti grazie alla loro rarità, ergo non può mancare nelle discografie dei Tulliani D.O.P. Valida alternativa anche per chi vuole avvicinarsi per la prima volta alla band. Da avere assolutamente.

1) A Song For Jeffrey
2) Love Story
3) Christmas Song
4) Living in the Past
5) Driving Song
6) Bourée
7) Sweet Dream
8) Singing All Day
9) Teacher
10) Witch's Promise
11) Inside (Solo versione UK)
12) Alive and Well and Living In (Solo versione US)
13) Just Trying to Be
14) By Kind Permission Of (live)
15) Dharma For One (live)
16) Wond'ring Again
17) Locomotive Breath (Solo versione UK)
18) Hymn 43 (Solo versione US)
19) Life Is a Long Song
20) Up The 'Pool
21) Dr. Bogenbroom
22) For Later
23) Nursie
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