JETHRO TULL
Aqualung
1971 - Chrysalis
SANDRO PISTOLESI
08/04/2017
Introduzione recensione
Come sosteneva Giuseppe De Santis nella pellicola da lui diretta nel 1950, "Non c'è pace tra gli ulivi". Dopo aver superato il momento critico dovuto all'estenuante tour americano che teneva i Jethro Tull troppo a lungo lontano da casa, i nostri sembravano aver trovato la giusta quadratura con l'ingresso in squadra di John Evans, il quale con le sue tastiere aveva portato nuove opportunità per favorire la fioritura l'estro compositivo di Ian Anderson, che iniziava sempre più a rendersi conto delle sue enormi potenzialità sotto il profilo del songwriting. L'album "Benefit" si rilevò un successo, consacrando la band definitivamente sia in patria, ma soprattutto negli Stati Uniti. Ma proprio quando tutto sembrava essersi sistemato al meglio, nuove minacciose crepe iniziarono a manifestarsi sulle mura di casa Tull, crepe che di lì a poco si sarebbero trasformate in voragini, portando un nuovo clamoroso avvicendamento di formazione. L'epicentro portava il nome di Glen Cornick, pittoresco bassista in formazione sin dal primo album. Stilisticamente, il Bassista di Barrow sembrava faticare a seguire l'evoluzione musicale di Ian Anderson, rimanendo ancorato ai vecchi riff dei primi album, senza portare innovative ventate di freschezza alle soluzioni ritmiche. Inoltre, amava correre sul palco durante i concerti, ma le nuove composizioni, assai più complesse del blues degli esordi, non permettevano cali di concentrazione, e spesso le sue scorribande lo portavano a commettere errori, mandando su tutte le furie Re Anderson. Ma i problemi non erano ovviamente solo di qualità tecnica, a cui si può sempre ovviare con qualche piccolo sacrificio. A perplimere Ian Anderson era soprattutto lo stile di vita condotto ultimamente da Cornick. In primis, nonostante si fosse sposato da poco con Judy Wong, spesso era immoralmente alla ricerca di altre donne con cui spassarsela. Aveva abbracciato perfettamente il classico stile di vita da rock star, a differenza degli altri membri del gruppo. In tour, amava suonare sul palco con la chiave dell'albergo che gli penzolava dalla tasca, in modo che le ragazze più "vispe" potessero leggere il nome dell'albergo ed il numero della sua stanza, raggiungendolo poi a fine concerto per spassarsela. Un altro problema che non deponeva certo a suo favore era l'uso di droghe. Sin dagli esordi, Ian Anderson ha sempre ostentato la sua avversità verso l'uso di sostanze stupefacenti, non tanto per questioni morali, quanto perché non voleva assolutamente che nessun tipo di agente esterno potesse influenzare la sua personalità o pregiudicare le sue prestazioni sul palco. E questa rigida regola valeva ovviamente anche per il resto della band. In maniera alquanto provocatoria, in una intervista dichiarò che non ammetteva affatto che nessun "sidemen" sballato dividesse il palco con lui, mettendo a rischio la performance di tutta il gruppo. Il fatto che avesse usato il termine "sidemen", ovvero "turnista" metteva bene in luce che lo scopo della sua dichiarazione non era del tutto pacifico. Infatti, nonostante negasse di fare uso di sostanze stupefacenti, il "sidemen sballato" in questione a cui era diretto il messaggio era proprio Glen Cornick. Morale della favola, dopo la conclusione del tour che terminò il 15 Novembre del 1970 a New York, Ian Anderson incaricò Terry Ellis di licenziare Glen Cornick, precisamente al JFK Airport di New York, poco prima di partire per il sospirato ritorno a casa, con la motivazione che lo stile di vita da lui condotto non era più in sintonia con le esigenze della band. Dopo aver bevuto un caffè con Terry Ellis in un bar dell'aeroporto, gli fu dato il ben servito e venne a sapere che a sua insaputa, il suo volo era stato cancellato, sostituito con un altro con partenza per l'Inghilterra il giorno successivo. Glen accettò suo malgrado la decisione, ma non ha mai digerito il fatto che Ian non abbia avuto il coraggio di dirglielo direttamente in faccia, ma abbia mandato un emissario. Subito dopo, fondò una sua band, i Wild Turkey, e come in tutte i gruppi musicali, ci furono dei momenti in cui dovette licenziare qualche membro, ma lo fece lui, in prima persona, e sinceramente non possiamo certo biasimarlo se nel corso degli anni ha continuato a portare rancore nei confronti di Ian Anderson per non essersi preso la briga di licenziarlo di persona. Quindi, si conclude qui la storia dei Jethro Tull e Glen Cornick, che purtroppo ci ha abbandonato il 29 Agosto del 2014, stroncato da un letale attacco di cuore all'età di 67 anni a Hilo, nelle isole Hawaii. R.I.P. Glenn. Con un nuovo tour alle porte, per il combo albionico era fondamentale trovare un degno sostituto quanto prima possibile. Martin Barre conosceva un bassista, ma non riuscì a mettersi in contatto con lui (penso si stia ancora mangiando le mani NDR). Il caso volle che proprio in quel periodo, il miglior amico di Ian Anderson, Jeffrey Hammond, stava imbiancando le pareti di casa Anderson, e fu cosa naturale chiedergli se fosse interessato a sostituire Glen Cornick nella band. Jeffrey aveva da poco abbandonato l'istituto d'arte, perché non vedeva un futuro roseo come grafico. Quindi gli si prospettò davanti uno di qui treni che ti passano davanti velocemente una sola volta nella vita, e Jeffrey ci salì sopra al volo. Per raggiungere il livello tecnico della band, Hammond fu sottoposto ad un duro corso intensivo sulle quattro corde di due settimane. Nato il 30 Luglio del 1946 a Blackpool, Jeffrey fu invitato nel mondo della musica all'età di 17 anni, proprio da un Ian Anderson in cerca di gente per metter su una band e che in lui vedeva "uno con l'aria da musicista". Partendo assolutamente da zero, scelse di suonare il basso perché lo reputava lo strumento più facile da suonare (???), poi nel 1963, insieme a Ian e John Evans, dette vita ai Blades, che possono considerarsi il Big Bang dei Jethro Tull. Ora, dopo otto anni, i loro destini che si erano separati, come cantava Anderson nella bellissima "We Used to Know" si sono nuovamente incrociati. Oltre ad un incremento del bagaglio tecnico, i Jethro Tull chiesero a Jeffrey di cambiare il suo nome in Jeffrey Hammond-Hammond, perché lo ritenevano più esotico come nome d'arte. Niente di più naturale, visto che per uno strano gioco del destino, i genitori di Jeffrey portavano il medesimo cognome, Hammond, cosa che ci crediate o no, ai tempi era sconosciuta al resto della band. Successivamente, a Jeffrey nelle interviste piaceva scherzare sul fatto che sua madre, sposò il Signor Hammond perché con aria di sfida era intenzionata a portare avanti il suo cognome da nubile come Eleanor Roosevelt. Una volta finito l'intenso corso musicale, il Doppio Hammond fu gettato subito nella mischia, e a Dicembre del 1970 si ritrovò negli Island Studios di Londra a registrare materiale per il nuovo disco, insieme ad Ian Anderson, l'altro produttore Terry Ellis e l'ingegnere del suono John Burns. Il nuovo arrivato si sentiva spaesato di fronte alle nuove complesse sonorità delle composizioni Andersoniane, ma con una buona dose di umiltà si mise a lavorare sui pezzi alacremente, seguendo alla lettera ogni singola istruzione impartitagli da Ian Anderson. In origine il nuovo disco avrebbe dovuto intitolarsi "My God", prendendo il titolo da una composizione risalente ai tempi di "Benefit", ma che non finì sul disco perché giudicata ancora incompleta. Poi, la sorprendente uscita di un bootleg live che conteneva materiale inedito ed intitolato proprio "My God", cancellò bruscamente questa opzione. Anderson si ritrovò improvvisamente ad avere finalmente l'occasione di scegliere un nuovo titolo senza influssi esterni. In quel momento, sua moglie Jennie stava portando avanti un progetto fotografico che ritraeva strambi personaggi bazzicanti sulle rive nebbiose del Tamigi e nei verdi parchi limitrofi. Dietro le foto annotava abitualmente particolari e caratteristiche significativi di ogni singolo personaggio. Il più folcloristico della collezione era un barbone dallo sguardo luciferino, che produceva un inquietante rantolo roco durante il respiro, che a Ian Anderson ricordava il rumore di un respiratore subacqueo, da qui il soprannome "Aqualung" che dette il titolo ad un brano ispirato al sinistro barbone e conseguentemente all'album. Quindi il famigerato "Aqualung" era un respiratore per attività subacquee commercializzato dalla ditta American Aqualung Corporation, creata da Jacques-Yves Cousteau e Émile Gagnan nel 1943, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale. I due inventarono il primo erogatore di ossigeno per attività subacquee denominato appunto Aqua-lung. Ben presto, il termine venne usato per identificare in maniera generica qualsiasi tipo di autorespiratore. Ovviamente, una volta uscito l'album, i legali dell'azienda in questione fece notare ai Jethro Tull che stavano vendendo un album che portava il nome di una loro invenzione, senza averne chiesta l'autorizzazione. Ma per fortuna dei nostri la questione si risolse a tarallucci e vino, con un accordo altamente vantaggioso per la band, con la compagnia diretta da Jacques Cousteau che acconsentì ai Jethro Tull di riscuotere integralmente i diritti della canzone e dell'album, accontentandosi di sola e mera pubblicità. Incredibilmente, sembra che né fra gli avvocati che nella compagnia, militasse un fan sfegatato dei Jethro Tull. Ma quello che ad oggi è il capolavoro assoluto della band non è stato senza ombra di dubbio il più facile da portare a termine. I nostri, cresciuti molto sotto il profilo professionale e tecnico, vennero colpiti da una mania di perfezionismo che li portò ad ore ed ore di registrazioni fini a se stesse, in cerca del prodotto perfetto. Si parla di una cifra che si aggira intorno alle duecento ore di registrazione. Ogni piccolo ostacolo incontrato su un brano, portava Ian a riregistrare, modificare ed in alcuni riscrivere ex novo la canzone. Quando l'album sembrava finalmente giunto al termine, dopo essere stati in studio dalla mezzanotte alle dieci del mattino, Ian Anderson e John Evans si ritrovarono a far colazione ad un bar vicino agli Island Studios. Fra uova al bacon e qualche salsiccia, i due si interrogarono a vicenda sulle potenzialità dell'album, esponendo le loro impressioni e su quanto potessero funzionare i nuovi brani. Il risultato fu che i nostri misero nuovamente mano su ogni singola traccia e l'album fu registrato nuovamente da capo. Quindi, visto che di tempo ne è stato perso fin troppo, inseriamo il nostro "Aqualung" nel lettore CD e apprestiamoci ad assaporarne tutte le essenze.
Aqualung
Alzi la mano chi non ha sgranato gli occhi con sorpresa la prima volta che ha sentito il leggendario riff di "Aqualung (Respiratore)", uno di qui riff semplici quanto geniali, capace di scrivere una pagina indelebile nel grande libro della storia del rock, al pari di quello di "Smoke On The Water" e di quelli partoriti dal genio dei riff, Mr. Tony Iommi, che fra l'altro è stata una effimera meteora che ha transitato nei Jethro Tull. Sei semplici plettrate sulle corde della Gibson Les Paul Junior del 1958 che lavorano sulle fondamentali di una scala basilare, ma che messe insieme con una genialità disarmante hanno un impatto a dir poco devastante. E' così che i Jethro Tull aprono uno degli album più significativi della storia del rock. Gran parte della musica fu scritta dai nostri in una stanza d'albergo di Los Angeles, precisamente il 18 Ottobre del 1970, registrata con una sei corde giapponese di marca "Aria". L'agghiacciante riff, viene intervallato da due lunghissimi secondi di silenzio assordante che ne aumentano ulteriormente il pathos. Dopo due passaggi in completa solitudine, Martin Barre viene affiancato dal nuovo arrivato Jeffrey Hammond-Hammond, che con le quattro corde pompa in sottofondo, lavorando intorno all'azzeccatissima progressione di note sparate dalla chitarra. Clive Bunker ci lascia presagire di essere in gran spolvero, ricamando con una ritmica incisiva ricca di maestosi filler, anticipando di pochi istanti l'ingresso in scena di Ian Anderson. Con una linea vocale carica di tensione, in pieno stile anni '70 il nostro segue la strada melodica aperta dalla sei corde, presentandoci "Aqualung, un clochard dall'aria viscida, invaso dal terribile morbo della pedofilia, che se ne sta seduto su una panchina del verdissimo parco londinese di Hampstead Heath, con il suo sguardo mefistofelico a fissare le ragazzine non certo con le migliori intenzioni. Le liriche, cosa più unica che rara, sono firmate a quattro mani dai novelli sposi Anderson, infatti, lo Scrittore Scozzese si è basato sugli appunti presi dalla moglie Jennie Anderson durante i suoi set fotografici, per poter dipingere alla perfezione l'identikit dello spregevole reietto Aqualung, un individuo lercio e malato, con le mani unte che sporcano i suoi vestiti logori, con il muco che li cola giù dal naso, che vivacchia nei pressi del parco, trovando rifugi e sostenti occasionali. Sputando frasi deplorevoli con la sua inquietante voce rantolante, il terrificante barbone aspetta l'occasione giusta per poter scorgere le mutandine sotto le gonne svolazzanti delle ignare ragazzine che attraversano i verdi pascoli del parco. Al minuto 01:03 il brano cambia completamente atmosfera e ritmica, andando ad abbracciare il progressive rock che in quegli anni stava vivendo il momento più roseo (basta pensare al considerevole numero di capolavori del genere usciti nel 1971, "Nursery Cryme", "Tarkus" e "Fragile", tanto per fare tre nomi). In questo prolungato inciso, Martin Barre guida con uno stanco strumming con la chitarra acustica, accompagnando Ian Anderson, che con una voce effettata che sembra provenire dall'oltretomba, continua a descriverci "Aqualung", uno uomo macilento e malaticcio, che vaga solitario nel parco in cerca della sua prossima vittima da potersi divorare con gli occhi, è questo l'unico passatempo che conosce. Se durante il suo cammino vede un mozzicone per terra, lottando contro i dolori che gli attanagliano la gamba, lo raccoglie, aspirando gli ultimi residui di fumo rimasti. Quando va al cesso, lo fa per scaldarsi i piedi tormentati dal freddo. La seconda parte del ritornello viene rafforzata da una pastosa ragnatela di note sparate dal basso. Nel secondo passaggio del chorus con grazia entra in scena la batteria, ma a spiccare sono i preziosi ricami di pianoforte di Mr. Evans. Brividi. Non manca un attacco alla società britannica, che se ne infischia delle guerre che tormentano il resto del Pianeta o dei disadattati che popolano i parchi inglesi, affamati e attanagliati dal ghiaccio e dalle intemperie, loro pensano solo a consumare il loro tradizionale tè delle cinque, che li mette in pace con il Mondo. Il pianoforte ci guida verso un'ulteriore cambio di tempo. Un tagliente strumming in levare della chitarra accompagna il Cantastorie Scozzese, che in una versione del ritornello dove aumentano vistosamente i BPM, sottolinea quanto sia duro l'inverno per un homeless, a cui si gela perfino la sporca barba incolta, dipingendo il vecchio Aqualung come un povero diavolo malato, tormentato dalla solitudine e dalla indifferenza dei passanti, che lo ignorano ricordandolo per quello che è stato in passato. La sezione ritmica rafforza con incisivi colpi stoppati, per poi lascarsi andare in un'epica cavalcata guidata dal basso di Hammond-Hammond, il quale sembra aver beneficiato in maniera particolare del corso intensivo a cui l'ha obbligato l'amico Anderson, che torna al suo inconfondibile timbro di voce naturale per terminare il trascinante inciso, giustificando il soprannome affibbiato al luciferino clochard, ovvero il suo respiro rantolante che ricorda il rumore emesso del respiratore di un sommozzatore. Giunto a metà il brano viene spezzato in due da una serie di pregevoli e caldi fraseggi della chitarra, utili a smorzare la tensione accumulata fino ad ora. Con classe Martin Barre passa ad un assolo destinato a diventare fra i più memorabili della storia del rock. Il nostro deve districarsi fra la ragnatela di note tesa dal basso e fra i martellanti accordi del pianoforte, e lo fa con una serie di scale eseguite con velocità e tecnica disarmanti. La leggenda narra che durante la registrazione dell'assolo, i nostri ricevettero una visita illustre, quella di sua maestà Jimmy Page, che si era preso una breve pausa durante le registrazioni che stava effettuando nei medesimi studi con i Led Zeppelin. Ma il buon Martin, completamente rapito dalla magia dell'assolo continuò imperterrito la registrazione, ignorando l'inatteso ospite, la cui presenza avrebbe potuto distoglierlo dalla concentrazione, pregiudicando il risultato finale. A Page, rimane l'onere di aver assistito alla registrazione ufficiale di uno degli assoli più belli della storia del rock. Dopo questo turbinio di note e scale, torna l'inciso a portare la calma, guidato dal blando strumming con la sei corde acustica. Ian Anderson prima riprende la linea vocale con dei vocalizzi, per poi andare a chiudere con un ultimo passaggio del chorus. Proprio quando il brano sembra dirigersi verso un naturale epilogo, come un ciclone torna il terrificante riff portante, anticipando gli ultimi passaggi di strofa. In chiusura il micidiale riff, dopo un passaggio in solitario, viene affiancato prima dall'organo e poi dal basso, il tutto ricamato da pregevoli filler sulle pelli che ci accompagnano verso il gran finale. La canzone, oltre a non essere mai mancata in sede live, nel corso del tempo è comparsa in molte pellicole cinematografiche e serie TV. Ancora una piccola curiosità, le fattezze del personaggio "Icarus" del gioco "God Of War II", sono ispirate al mefistofelico clochard di copertina, mentre, rimanendo nell'ambito dei videogames, la storica traccia non poteva mancare in un paio di capitoli di Guitar Hero. Suona strano che il brano più famoso dei Jethro Tull non preveda la benché minima traccia del flauto.
Cross-Eyed Mary
Si continua con un altro personaggio emarginato che popola il parco, "Cross-Eyed Mary (Maria La Strabica)" una ragazza con un forte difetto di strabismo, come si evince facilmente dal titolo. Mary proviene da una famiglia povera, e per guadagnarsi da vivere si prostituisce, ma lo fa in un maniera del tutto particolare, ovvero concedendosi soltanto a uomini che versano nelle sue stesse condizioni economiche, se non peggiori, tanto da essere definita la Robin Hood of Highgate. Ian Anderson torna ad impugnare il flauto, stranamente assente nella traccia precedente. Dopo una avvolgente introduzione dai sentori ambient, dove i rilassanti sospiri del flauto si intrecciano con gli spaziali pad del mellotron, il basso inizia a guidare uno zoppicante climax che fa crescere lentamente il brano fino alla strofa. Gli strumenti viaggiano all'unisono con colpi stoppati, mettendo in mostra la cavalcata zoppicante di Mr. Bunker. Nella strofa ossessiva, il Cantastorie Scozzese continua a parlare dei reietti che popolano il parco, immaginandosi quale potrebbe essere il loro futuro se un riccone si prendesse cura di loro. Nell'inciso, l'organo si fa sentire, annunciando la protagonista, una giovane prostituta di nome Mary, per tutti Cross-Eyed Mary a causa di un pronunciato difetto di strabismo. Con i pochi spiccioli racimolati concedendosi a chi, come lei non è stato baciato dalla fortuna, ogni tanto va a saldare il conto delle cene offerte da una associazione a scopo benefico che si occupa dei senza tetto che popolano Hampstead Heath. Durante il giorno frequenta una scuola, dove ad accompagnarla in cambio dei suoi servizi è un viscido barbiere. La seconda strofa vien impreziosita da efficaci fraseggi del basso, lampante esempio di ciò che pretendeva il gruppo dal precedente bassista. Anderson continua a descriverci Mary La Strabica. Lei ama giocare con i suoi coetanei, ma non osa farci del sesso, preferisce farlo con i poveri vecchi bavosi che popolano il parco. Forse prova una attrazione fisica nei confronti di Aqualung, che con il suo sguardo mefistofelico osserva i ragazzini dall'altra parte della cancellata. Dopo un secondo passaggio del chorus incontriamo un intermezzo strumentale dove inizialmente il protagonista è un isterico flauto ricamato dall'ossessivo unisono degli strumenti, che continua a perdurare durante l'assolo di chitarra. Nella strofa successiva scopriamo un ulteriore nickname di Mary. La sua propensione a soddisfare per pochi spiccioli i bisogni dei reietti che popolano il palco, ha fatto sì che venisse ribattezzata la Robin Hood di Highgate, sobborgo di Londra confinante a nord-est con il parco di Hampstead Heath. In coda al brano tornano nuovamente il flauto e i caldi fraseggi di chitarra, quasi offuscati dalle prepotenti corse sulle pelli dei tom tom di un ispiratissimo Clive Bunker, che ci guidano verso il gran finale. Il brano è stato brillantemente rivisitato dagli Iron Maiden ed inserito come b-side nel singolo "The Trooper" nel 1983.
Cheap Day Return
Andando avanti incontriamo "Cheap Day Return (Andata E Ritorno)", un piccolo gioiello acustico che in soli 83 secondi esprime tutta la classe e l'estro dei nostri. La canzone è stata scritta da Ian Anderson nella stazione di Preston, mentre aspettava il treno che lo avrebbe portato all'Ospedale di Blackpool, dove si trovava ricoverato il padre malato. Il titolo deve il nome al "cheap day return", un tipo di biglietto ferroviario che va consumato nell'arco delle 24 ore. Due chitarre acustiche danno vita ad un magico intreccio, ricamato da delicati aliti di flauto. Durante l'introduzione si respira l'affascinante aria folk rock tanto cara al Menestrello Scozzese. La strofa viene aperta da un vigoroso strumming con la chitarra acustica, impreziosito dai preziosi contrappunti, sempre rigorosamente acustici di Mr. Barre. All'interno di questa fantastica cornice folk, Ian Anderson dipinge perfettamente un quadretto che lo ritrae sotto la stazione di Preston, assolto nei suoi pensieri durante l'attesa del treno. Il nostro non aveva conseguito la patente, ergo il treno era il suo mezzo di locomozione preferito, e sovente sarà fonte di ispirazione per le sue composizioni. Mentre spazzola via alcuni residui di cenere dai pantaloni, i suoi pensieri sono rivolti a suo padre James, ricoverato in ospedale. L'ansia lo porta a pensare se l'infermiera di turno tratti nel migliore dei modi suo padre, e pensieri ancor più neri lo tengono in ansia, sperando che ogni volta che si reca al suo capezzale non sia l'ultima. Ma una volta in ospedale scopre che suo padre non poteva trovare un'infermiera migliore, visto che era una fans dei Jethro Tull, ricompensata con un gradito autografo. Per la cronaca, la degenza del padre nell'ospedale di Blackpool si risorse nel migliore dei modi. Le poche righe delle liriche sono seguite da una bellissima coda strumentale, dove le due chitarre acustiche continuano ad inseguirsi fino al finale.
Mother Goose
Si continua con un brano folk acustico dall'aria barocca, leggermente sporcato da delicati accordi distorti. Con "Mother Goose (Mamma Oca)" Ian Anderson ci porta ancora a fare una rilassante passeggiata nel verde in cui è immerso il parco di Hampstead Heath, anche se stavolta le liriche sono un vero e proprio puzzle di immagini raccolte durante la passeggiata, messe assieme senza un apparente filo conduttore, tecnica che il Cantastorie Di Dunfermline userà in futuro in altre canzoni. Immagini che Anderson ha raccolto durante una passeggiata a Hampstead Heath. Le chitarre acustiche si intrecciano con un flauto che rievoca atmosfere medievali, rimarcate dall'insolito accompagnamento con le percussioni dell'estroso Clive Bunker, rafforzate da sorde pennate di basso. Il titolo del brano è dovuto al primo incontro che Ian Anderson fa durante una visita alla tradizionale Fiera di Hampstead, una candida oca che starnazza felice in mezzo al laghetto, scortando il suo esercito di paffuti e pelosi anatroccoli. La calda giornata estiva, lo invita ad adagiarsi sulla riva del lago, rilassandosi prendendo un po' di Sole. Almeno un centinaio di scolarette in divisa rompono la tranquillità del parco, con i loro schiamazzi all'unisono, portando Ian Anderson indietro nel tempo, quando anche lui era uno scolaretto felice e spensierato. Le affascinati trame folk dall'aria medievale continuano a far da colonna sonora alla gita nel parco, i vari quadretti dipinti da Anderson vengono separati da un bridge dove una manciata di accordi distorti sparata da Martin Barre portano una piacevole ventata di brio. Andando avanti incontriamo altri strambi personaggi, che vanno da una signora barbuta che predica le buone maniere, ad un pazzo con una lunga barba rossa che ha una strana sorella, che di professione fa la camionista. Un manipolo di operai al lavoro in uno scavo, lo portano a fantasticare fra le pagine del libro "L'Isola Del Tesoro" di Robert Louis Stevenson, dove il nostro si immedesima nel mitico Long John Silver. Uno strano figuro che indossa un lungo impermeabile trasandato color ebano rubato ad un pupazzo di neve, viene ribattezzato Jonny lo Spaventapasseri, presumo in onore di Jonathan Crane the Scarecrow, uno dei tanti criminali con cui deve vedersela Batman. Un prezioso fraseggio con la chitarra acustica pone fine a questo simpatico collage, lasciando l'ultima parola ad un impercettibile alito di flauto.
Wond'ring Aloud
I nostri ci propongono "Wond'ring Aloud (Pensando A Voce Alta)", un'altra breve ma intensa ballata acustica, in cui l'intreccio armonico fra la chitarra ed il pianoforte è in perfetta sintonia con la dolcezza delle liriche, dove la parola d'ordine è "giving (dare)". Il Poeta Scozzese vuole trasmettere quanto sia importante il gesto del donare, chi dona con il cuore, trae i medesimi benefici di chi riceve, quello che dai, ci dice chi sei è la profonda frase con cui si chiudono le romantiche liriche. Bellissimi fraseggi sulla sei corde acustica si fondono con un caldo strumming che ci porta magicamente intorno ad un falò sulla spiaggia, a sorseggiare un buon vino e ad ammirare le stelle che brillano nel cielo nero. Ian Anderson si dimostra ancora una volta abile a dipingere quadretti romantici all'interno di una cornice fatta di dolci melodie e magici intrecci armonici fra gli strumenti. Stavolta il nostro ci racconta con dolcezza di un romantico tramonto che lentamente sfuma lasciando il posto alle tenebre, diffondendo un'aura di magia in cui lui e la sua dolce metà creano un loro regno, fondato all'insegna dell'amore, con i due cuori pulsanti a fare da colonna sonora allo splendido spettacolo offerto da Madre Natura. Un paio di energiche plettrate con la sei corde acustica annunciano la seconda strofa, impreziosita dalla melliflua partitura di pianoforte di Mr. Evans e dai fiabeschi archi diretti magistralmente da David Palmer, ormai un habitué nella discografia Tulliana. Accompagnato dolcemente dai lamenti dei violini, Anderson dipinge un altro romantico quadretto, che racchiude tutto il calore e la magia dell'alcova di una coppia di giovani sposi con la moglie giù in cucina a preparare la colazione, e lui che assapora l'odore dei toast al burro, che di lì a poco mangeranno nel loro nido, quel letto che si riempirà inevitabilmente di briciole.
Up To Me
Il flauto torna protagonista nella successiva "Up To Me (Tocca A Me)", brano folk rock dove Ian Anderson con un collage di immagini e situazioni ridisegna gli stereotipi della vita della lower class, la classe operaia britannica. Una risata ubriaca anticipa uno spensierato riff guidato dal flauto e seguito in maniera omofona dagli altri strumenti. La chitarra ricama con lisergici fraseggi ancora attaccati al cordone ombelicale della musica psichedelica, anticipando l'ingresso in scena del Cantastorie Di Dunfermline, che accompagnato da uno solare strumming di chitarra e dai ricami dai sentori medievali del flauto, ci canta dei classici cliché che contraddistinguono la vita di un operaio medio britannico. Il cinema era lo svago più ricorrente per il proletario inglese, e se il denaro lo permetteva, dopo il film ci si poteva concedere una capatina al Wimpy Bar, famoso marchio di una catena multinazionale di fast food a stelle e strisce, che nel 1954 era sbarcato anche nella terra di Albione, per la precisione in Coventry Street. Altrimenti, ci si dove accontentare di un classico bar inglese molto più accessibile, aspettando l'ora di chiusura. Il sogno di tutti gli operai era comprarsi una fiammante Silver Cloud, punta di diamante della Rolls-Royce negli anni '60, magari caricarci sopra l'attrezzatura per andare a fare una partita a golf o a tennis, gli svaghi principali della borghesia capitalista dell'epoca. Ma la realtà era ben diversa, e si riduceva a girare con una bicicletta scarcassata lottando con le gelide temperature invernali che ti trasformavano il naso ad una sorta di ghiacciolo. A metà brano incontriamo un breve bridge strumentale dove il flauto è il protagonista assoluto. Da buon pifferaio magico, Ian Anderson si tira dietro tutti gli strumenti, accompagnato da un esotico lavoro alle percussioni da parte di Mr. Bunker. Al minuto 01:46 scatta il momento riflessivo del brano, pochi accordi di chitarra e frivoli sospiri del flauto sono la giusta colonna sonora per trarre le conclusioni. Non ci sono né Rolls-Royce e ne lussuosi ristoranti nella vita di un operaio britannico, ma solo una pinta di birra e un panino con la marmellata accompagnati però da un prezioso cuore d'oro. Finché lo permetteranno gli spiccioli, ci sarà sempre una birra per gli amici. Un raffinato climax fa crescere il brano, il tema portante del flauto viene rafforzato dal pianoforte e ricamato da acidi fraseggi di chitarra che ci portano verso la strofa conclusiva. Sempre in compagnia dalla sei corde acustica in strumming e dai fiabeschi aliti del flauto Ian Anderson alimenta la speranza per la classe proletaria britannica con i significativi versi "The rainy season comes to pass (La stagione delle piogge viene per poi andarsene)" anticipando di ben ventitré anni il compianto Brandon Lee, che con la celebre frase "non può piovere per sempre" diffondeva il verbo della speranza, l'unica cosa concessa a qualsiasi essere umano, indipendentemente dal ceto a cui appartiene e alle condizioni in cui vive. In contrapposizione, sposando in pieno la teoria che prima o poi la ruota gira, Ian fa notare ai benestanti che allo stesso tempo il Sole non può splendere per sempre, ed improvvisamente ci potrebbero essere tempi bui per chi ha sempre vissuto nel lusso e nel benessere. Il nostro lo fa con una licenza poetica che ha fatto breccia nel cuore dei fans, "The day-glo pirate sinks at last (Il pirata arancione fosforescente alla fine affonda)", infatti nel 1997, a Brighton una tribute band Tulliana ha scelto di chiamarsi proprio "The Dayglo Pirates". La Day-Glo Color Corp. è un'azienda americana produttrice di vernici e pigmenti fluorescenti con sede a Cleveland, nell' Ohio. Nella lingua inglese il termine "day-glo" è però traducibile anche in "chiarore del giorno", ergo il fantomatico Pirata Fluorescente è facilmente identificabile con il Sole, che illumina la vita dei benestanti, ma che improvvisamente può oscurarsi, a quel punto, forse sarà la lower class a ridere.
My God
Siamo arrivati a "My God (Il Mio Dio)", a mio avviso una delle migliori composizioni di tutta la magnifica carriera dei Jethro Tull, un brano che con i suoi cambi di tempo, i molteplici sbalzi atmosferici ed interludi strumentali da brividi, giustifica l'accostamento dei nostri al ramo del progressive rock. Naturalmente il brano non ha nulla contro l'Onnipotente, anzi, in una intervista Anderson ha tenuto a precisare il probabile equivoco definendo "My God" "un blues per Dio". Ian Anderson non gira di certo con la Bibbia sotto braccio, ma a suo modo è comunque cattolico. Lo scopo della canzone non è certo quello di convertire nuovi fedeli, semplicemente non gli piace molto il modo in cui spesso in maniera forzata si approccia un bambino alla religione e dubbi atteggiamenti dal parte del clero che con il tempo lo hanno fuorviato. Quindi a finire ne mirino è il come l'uomo ha inteso di adorare Dio, ma anche l'incomprensibile varietà di Dei sparsi nelle varie parti del Globo, dove ognuno ha il suo Dio, che non può essere il tuo. Il Dio cattolico non può essere lo stesso dei musulmani o dei buddisti, e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare delle incomprensibili guerre a sfondo religioso che nel corso della storia hanno cosparso di sangue tutto il Pianeta. Non manca un attacco senza veli alla Chiesa D'Inghilterra, definita dal nostro "lorda di sangue", macchiata di spregevoli sanguinose stragi ed incomprensibili persecuzioni nel corso della storia. Martin Barre si dimostra un chitarrista di prim'ordine, aprendo il brano con pregiati fraseggi con la sei corde acustica, che lentamente si tramutano nel riff portante, ripreso dopo circa un minuto dal pianoforte, che con i suoi accordi lugubri ne aumenta l'inquietudine. Ian Anderson inizia il suo monologo contro chi ha racchiuso il proprio Dio in una gabbia dorata, usandolo per diffondere il verbo della propria religione solo ed esclusivamente per trarne dei vantaggi. Improvvisamente al minuto 02:09 basso e chitarra elettrica si impadroniscono del riff portante, spazzando via le cristalline trame della sei corde acustiche, lasciandosi dietro una scia di terrore. L'ossessiva ritmica di Mr. Bunker accentua le atmosfere Sabbathiane diffuse dalle minacciose note che compongono il riff portante. Senza peli sulla lingua, il Cantastorie Scozzese invita il clero ad accostarsi a Dio con gentilezza e in ogni momento, non soltanto quando hanno bisogno di lui per essere salvati dai loro peccati. Questo momento energico del brano sembra fatto apposta per lanciare un duro attacco alla Chiesa D'Inghilterra, che nel corso della storia troppo spessa si è macchiata di sangue, nel nome ma contro il volere del loro Dio. Andando avanti troviamo un interludio strumentale, dove acidi fraseggi di chitarra, massacrati da letali colpi all'unisono della sezione ritmica, aprono la strada al Pifferaio Magico, che saltellando ci porta verso una memorabile partitura di flauto, che lentamente prende il sopravvento, lasciato in solitudine dal resto degli strumenti. Il Madman Flautist eccede in autocelebratismo, confermandosi in assoluto uno dei migliori interpreti del flauto. Inquietanti canti gregoriani seguono le orme del flauto, come i ratti della città di Hamelin. Lentamente rientra in gioco il resto della banda, ma dei sinistri accordi di pianoforte, riprendendo il tema portante, fanno calare nuovamente il brano. Nella prima parte della strofa, Anderson, accompagnato dal pianoforte e da blandi accordi con la chitarra acustica, solleva seri dubbi sul clero, che con troppa facilità spesso si nasconde dietro un crocifisso di plastica, dimenticandosi di chi realmente su quel crocifisso ci si è trovato inchiodato. Con il ritorno del tetro riff Sabbathiano si toglie l'ultimo sassolino dalla scarpa, rimarcando l'assurdità di un numero imprecisato di Dei da adorare sparsi nel Mondo. Dopo alcuni acidi fraseggi di chitarra, i volume cala lentamente, il riff portante, inseguito da frivoli aliti del flauto, ci accompagna verso il soffuso finale. Chapeau.
Hymn 43
"Hymn 43 (Inno 43)" fu lanciata come singolo il 19 Marzo del1971, senza però riuscire a raggiungere posizioni dignitose. Nonostante il titolo, le liriche proseguono, in maniera più accentuata il personale attacco di Ian Anderson nei confronti della Chiesa. La prima strofa, considerata oltraggiosa, costò a i nostri una pesante censura in Spagna, durante l'interregno di Francisco Franco. Il nostro spara letterarmente a zero sulla Chiesa, che si nasconde dietro al proprio Dio per commettere atti alquanto deprecabili con i pesanti quanto espliciti versi che recitano "Our Father high in Heaven, smile down upon your son who's busy with his money games, his women and his gun. Oh Jesus save me! (Oh Padre alto nei Cieli, sorridi giù a tuo figlio che è impegnato nei suoi traffici di denaro, le sue donne e il suo fucile. Oh Gesù salvami!)". Ma non è tutto, trasportato dal brioso rock 'n' roll dalle tinte blue, il Menestrello Scozzese si prende le difese dei nativi americani, accusando gli occidentali di aver rubato le terre del Nuovo Continente. Dopo un paio di strofe troviamo un bridge strumentale, dove chitarra e flauto si dividono la posta a suon di taglienti fraseggi. Nell'inciso ad emergere sono i filler di Clive Bunker che fanno legante fra i potenti accordi all'unisono. A seguire incontriamo un rockeggiante assolo di chitarra che evidenzia la grande vena di Martin Barre. Nel secondo inciso, senza peli sulla lingua, Anderson si rivolge direttamente a Gesù, esortandolo a salvare se stesso anzichenò quegli pseudo cristiani, che predicano bene e razzolano male, e si rivolgono al signore solamente in punto di morte. Pianoforte e strumenti a corda ci trascinano energicamente verso il gran finale, con il Menestrello Di Dunfermline che continua a lanciare frecciatine verso l'ipocrisia di tutti quei credenti che ostentano il verbo di Dio, comportandosi poi in maniera del tutto incompatibile con le ferree regole della religione cristiana.
Slipstream
La successiva "Slipstream (Flusso)" è un raffinato ed effimero interludio acustico, dove il Poeta Scozzese, trasportato dai preziosi fraseggi con la sei corde acustica di Martin Barre e i fiabeschi archi di Mr. Palmer, disegna un breve quadretto che, con una serie di profonde licenze poetiche, ci illustra quanto sia breve e misera la vita dell'essere umano, che una volta nato, si costruisce a fatica una strada tortuosa verso una dignitosa esistenza, circondandosi di tutti quei beni materiali che danno un senso di soddisfazione alla vita, poi proprio sul più bello, dopo una vita fatta di sacrifici, l'uomo si trova a dover presentare il conto al "cameriere di Dio", ovvero a San Pietro, che detiene le chiavi del Regno dei Cieli. Nella cultura popolare, San Pietro viene rappresentato come un uomo anziano con una folta barba bianca che presiede le porte dell'Eden, interrogando le anime dei morti e accompagnandole all'interno del Paradiso o dirottandole verso le porte dell'Inferno, a seconda del Giudizio Divino, che esaminerà tutto quanto fatto durante la vita terrena. Nella parte finale del brano, David Palmer, dopo una manciata di fiabeschi lamenti dei violini, ci porta verso le porte del Paradiso a bordodi un'eterea e disorientante trama orchestrale che sfuma lentamente in fader.
Locomotive Breath
E siamo arrivati ad un altro classicissimo della band, la sempiterna "Locomotive Breath (Lo Sbuffo Della Locomotiva)", brano che non ha certo bisogno di presentazioni. Da sempre è la canzone con cui i nostri salutano i fans, chiudendo immancabilmente ogni loro concerto. Il brano riscontrò notevoli difficoltà in fase di registrazione, in quanto Ian Anderson non riusciva a trasmettere ai colleghi le proprie idee musicali. Per ovviare in parte la problema, i nostri si affidarono alla tecnica dell'overdubbing, registrando in separata sede le varie partiture strumentali, per poi sovrapporle l'una all'altra. Per differenziare il brano dall'altra hit "Aqualung", che inizia in modo sconvolgente con il riff portante, John Evans creò una soffusa introduzione con il pianoforte, che lentamente prende le sembianze del riff portante con martellanti accordi di pianoforte ricamati da caldi fraseggi di chitarra. Il pregiato climax ci porta verso l'esplosione del riff portante di Martin Barre, ricamato da sinuosi fraseggi di basso e da fumanti aliti di flauto che ricordano l'incessante sbuffare di una locomotiva a vapore. Le liriche sono fra le più interessanti partorite dalla geniale mente di Ian Anderson. Il treno che corre veloce ricreato dagli strumenti non è altro che il treno della vita, dove l'essere umano si trova improvvisamente a bordo, tentando di rimanere in piedi durante il tortuoso percorso delle rotaie, che porta inesorabilmente verso il capolinea. Nel breve inciso, il brano accelera, la locomotiva sbuffante fa salire a bordo il vecchio Charlie, quel Charles Darwin che è stato il primo uomo a mettere in nero su bianco una valida alternativa scientifica alla credenza religiosa della creazione della vita spiegata nella Bibbia. Il buon vecchio Charlie si è rubato i freni del treno che per secoli hanno condizionato la vita dell'essere umano, e ora il treno è inarrestabile. Nelle strofe successive, i binari del treno e la locomotiva sbuffante prendono le sembianze di una metafora sulla vita. I binari sono il percorso che ci ha riservato il destino, dal quale non si può prescindere. La locomotiva che corre veloce simboleggia la nostra vita. Con il tempo, le liriche criptiche hanno fatto affiorare una seconda teoria su chi possa essere il vecchio Charlie. Secondo la tradizione popolare scozzese "Old Charlie" è uno dei mille nomi del Diavolo, che avendo rubato la leva del freno, porta il treno verso un inevitabile disastro che si conclude con la morte dell'essere umano. Dopo un secondo passaggio dell'inciso incontriamo uno dei momenti più significativi della lunghissima carriera tulliana, uno strabiliante e interminabile assolo di flauto dove il Madman Flautist si supera, facendoci venire la pelle d'oca. Il nostro mette in atto tutti gli insegnamenti appresi dalla sua musa, Rahsaan Roland Kirk, dando vita ad una delle migliori performance con il flauto della storia del rock. Le note scorrono via agilmente come durante un assolo di chitarra. Brividi. Nelle strofe successive, la locomotiva continua a correre veloce, Ian Anderson va a scomodare addirittura Gedeone, significativo personaggio biblico, giudice della Tribù di Manasse. Nell'ultimo inciso, a sorpresa non troviamo il vecchio Charlie, Diavolo e Darwin che sia, ma il nostro lo rimpiazza con Dio in persona. Stavolta è l'Onnipotente a rubare la maniglia del freno. Con il semplice cambio di una sola parola, il brano assume un significato pessimistico, l'uomo si trova a bordo del treno della vita che corre veloce, dal quale non si può scendere, uno spettatore inerme del proprio destino, nelle mani dell'eterno vincitore (Dio), che assolutamente non consente nessuna modifica del percorso predesignato all'eterno perdente (l'uomo). La folle corsa del treno della vita continua inesorabilmente fino al capolinea (la morte), senza mai rallentare un attimo. Il brano fu pubblicato come singolo, ed insieme alla title track è diventato ben presto un classico imprescindibile della band. Nel corso degli anni, il classicissimo tulliano è stato rivisitato da svariate band metal, fra cui gli W.A.S.P e gli Helloween. Non sono mancate svariate comparse in film e in alcune serie TV, fra cui la mia preferita, Supernatural.
Wind Up
La veloce locomotiva sbuffante ci ha portato al capolinea del platter, che si conclude con "Wind Up (Caricare)", uno dei miei brani preferiti dell'album. Si tratta di una canzone ricca di sbalzi atmosferici, che dopo una malinconica prima parte acustica esplode in un travolgente hard rock pieno di energia, dove Ian Anderson si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Se ben vi ricordate, in occasione della recensione del primo album dei nostri, citai un simpatico aneddoto sull'infanzia di Ian Anderson, il quale, giunto alla tenera età di otto anni, fu obbligato dalla famiglia a frequentare la scuola domenicale di istruzione religiosa. Vuoi perché odiava indossare il tradizionale kilt scozzese, vuoi perché non si sentiva dentro nessuna vocazione religiosa al momento, dopo un paio di sedute domenicali, il birbantello ebbe la brillante idea di "fare buca" alle messe domenicali, nascondendosi fra la vegetazione antistante la chiesa, per poi uscire tranquillamente a funzione finita, mescolandosi come se niente fosse ai fedeli che beati rientravano nelle loro case. Bene, il fatto che la famiglia lo spingesse forzatamente verso la religione, fu un trauma che Ian si è portato dietro per tutta l'adolescenza, segnando profondamente il suo rapporto con Dio. Nelle liriche, lo Scrittore Scozzese esprime tutto il suo disappunto sul fatto che i figli debbano seguire per forza le convinzioni religiose (ma talvolta anche politiche, aggiungerei) dei genitori. Secondo Ian, ogni bambino, indipendentemente dall'età, deve trarre da solo le proprie conclusioni religiose, quando il cuore e l'anima lo comandano, senza alcun tipo di spinta esterna, che spesso riesce ad avere l'effetto contrario. Ian, se pur alla sua maniera, è un uomo religioso ed è convinto che la religione è qualcosa che ognuno deve scoprire da solo man mano che cresce. Non ci sono limiti di età per iniziare ad intraprendere un percorso religioso. Un uomo non deve per forza andare a trovare Dio in una chiesa alla domenica, ma in qualunque luogo e momento lo ritenga opportuno. Il brano si apre con una breve solenne partitura di pianoforte, seguita a ruota da una manciata di semplici accordi con la sei corde acustica. Con una melanconica linea vocale colma di disappunto, Ian Anderson fa un viaggio a ritroso nel tempo, fino alla sua infanzia, andando a ritrovare la rigida educazione che gli impartivano i genitori, ma lui, immagazzinava e continuava però dritto per la sua strada. Con una velata dose di sarcasmo cita l'aneddoto di cui vi ho parlato precedentemente, quando, a messa conclusa, si mescolava tra i credenti con la bibbia sotto braccio ed un sorriso idiota impresso in viso, facendo credere di essere appena uscito di chiesa. Accompagnato dal magico intreccio del pianoforte con la chitarra, il piccolo Ian mette in luce un concetto molto significativo, Dio non è il tipo che devi caricare a molla la Domenica, Come dire, troppo facile andare a trovare Dio la Domenica mattina, con una buona dose di ipocrisia, per poi comportarsi in maniera inadeguata il resto della settimana. Se si ama veramente Dio, lo si fa in ogni singolo momento della nostra vita, a prescindere dal luogo ed il momento in cui ci troviamo. Nella strofa successiva, con grazia entra in scena la sezione ritmica, badando bene a non rompere la fragile atmosfera ricreata dai compagni. Al minuto 02:30 il brano cambia completamente veste. Due chitarre sparano all'unisono dei taglienti fraseggi che aprono le porte al ritornello, caratterizzato da un massiccio riff all'unisono scandito dai pesanti colpi inferti sul drum set da Mr. Bunker. La linea vocale del Menestrello Di Dunfermline abbandona i sentori melanconici, assumendo un tono energico e recitando alcuni significativi versi che mi permetto di citare per intero: "How do you dare tell me that I'm my Father's son, when that was just an accident of Birth. (Come osate dirmi che sono figlio di mio Padre, quando quello fu solo un incidente di Nascita.)", sottolineando la sua teoria che sostiene che la scelta della religione non deve essere determinata solo dal luogo in cui si nasce e si cresce e dall'ambiente sociale in cui si vive, ma da una propria profonda convinzione trovata liberamente, senza l'intervento di nessun agente esterno. Preso dalla foga, il nostro senza peli sulla lingua spara a zero su quei religiosi che si sentono superiori, circondati da una gloria priva di senso, ma che hanno sbagliato tutto, perché il loro modo di professare la religione non è affatto in linea con il volere dell'Onnipotente. Alcuni schiamazzi e bizzarre percussioni annunciano l'assolo di chitarra. Martin Barre, accompagnato dalla travolgente ed ossessiva cavalcata dei colleghi, tira fuori un assolo che urla hard rock da tutti i pori che ci ricongiunge ad un ultimo trascinate ritornello. Quando il brano sembra concluso, John Evans riprende in maniera più articolata la strofa inziale. Trasportato dalla magica partitura di pianoforte, Ian Anderson recita nuovamente le prime strofe, andando a rimarcare quel momento della sua infanzia che ha segnato profondamente il suo rapporto con la religione. La premiata ditta Bunker & Hammond-Hammond dona un tocco di brillantezza alla strofa successiva, accompagnandoci verso l'epilogo, dove Ian Anderson recita con sarcasmo un ultimo ritornello, accompagnato da una manciata di accordi di chitarra acustica. Perfettamente in linea con i pensieri di Ian Anderson era Marjoe Gortner, dipinto dai genitori come un futuro predicatore a soli quattro anni, a causa della sua straordinaria proprietà di linguaggio. Ma nonostante con il passare degli anni Marjoe Gortner si fosse arricchito "salvando" le anime dei fedeli sotto le vesti di predicatore, nel 1972 con il documentario "Marjoe" denunciò se stesso e tutta l'ipocrisia che regna dietro al movimento evangelico dei predicatori. La vittoria dell'Oscar come Miglior documentario del 1972, spinse l'ormai ex predicatore ad intraprendere una brillante carriera di attore. Il nostro nel medesimo anno pubblicò anche un disco intitolato "Bad But Not Evil", dove nella track list compare anche la rivisitazione di "Wind Up", a sottolineare quanto il controverso ex predicatore e Ian Anderson fossero in perfetta sintonia.
Conclusioni
"Aqualung" è uno dei cosiddetti "album storici", un disco che ha lasciato un'impronta indelebile nella storia della musica rock. Un album nel quale la band non si è posta né limiti né barriere, spaziando con classe fra il folk, l'hard rock, il blues ed il progressive. Una grande prova di maturità per il combo albionico sotto ogni aspetto. Le quattro granitiche colonne portanti sorreggono in maniere ineccepibile un paio di brani leggermente sottotono e gli intelligenti preziosi intermezzi acustici, dando vita ad un prodotto a dir poco strabiliante. Ian Anderson si conferma leader indiscusso e anima dei Jethro Tull mettendo insieme una serie di composizioni geniali, interpretate in maniera magistrale dal medesimo e dal resto della banda. Se pur il nostro non ha mai amato il termine "concept album", a detta sua in linea con chi fa musica progressive, le liriche girano tutte intorno a due tematiche, gli strambi personaggi che popolano il parco di Hampstead Heath scovati da sua moglie, e il suo particolare rapporto con la religione. Sia sotto il profilo lirico che del songwriting, il nostro è maturato in maniera vistosa, grazie anche all'ingresso in pianta stabile di John Evans, che con le tastiere e pianoforte ha offerto molte soluzioni in più in fase compositiva, donando ai brani quel tocco di classe in più che mancava. Nell'album si registra una grande prova di Martin Barre, il riff portante e l'assolo della title track sono diventati strameritatamene leggendari. Memorabili anche le molteplici escursioni con la chitarra acustica. Ottima la performance del nuovo arrivato Jeffrey Hammond-Hammond, che dopo essere stato citato più volte nei testi, si ritrova ad essere improvvisamente il bassista di una delle band più in forma del momento. Come per il collega, notevole il lavoro alle quattro corde nella traccia di apertura. Per Clive Bunker sarà ultimo album con i Jethro Tull, ma questo è un argomento che affronteremo nella prossima recensione. Il nostro se ne va comunque da vincitore, lasciando il suo indelebile marchio su uno dei dischi più significativi della storia del rock. "Aqualung" è stato registrato presso gli Island Studios di Londra fra il Dicembre del 1970 ed il Febbraio del 1971, senza non poche difficoltà a causa della complessità delle nuove composizioni di Anderson. I certosini arrangiamenti in fase di produzione sono opera del factotum Ian Anderson e di Terry Ellis. Pubblicato il 19 Marzo del 1971 in tutto il Globo, è stato distribuito in Europa dalla Island Records, mentre la Reprise Records si è occupata del mercato americano. La celebrità dell'album non è dovuta però solo alla musica, anche la copertina ha dato un forte contributo a rendere "Aqualung" uno degli album più famosi della storia del rock. In origine, Anderson intendeva inserire in copertina una delle foto che ritraevano Aqualung scattate dalla moglie, poi Terry Ellis spinse per affidare l'artwork al pittore americano Burton Silverman. Il dipinto, un acquarello a tinte tenui che sfumano dal verde, al grigio e al marrone, raffigura un barbone dai capelli lunghi con indosso abiti trasandati e dall'aspetto mefistofelico, che con il suo sguardo luciferino sembra puntare una giovane preda. Sullo sfondo spicca un manifesto pubblicitario di color giallo che pubblicizza eleganti e dispendiose vacanze natalizie in una località sciistica delle Highlands meridionali. Il messaggio critico alla società britannica è lampante. Stranamente, il senzatetto presente nel front di copertina ricorda molto da vicino Ian Anderson, ma l'autore ha smentito, affermando di non aver mai visto né la foto originale scattata da Jennie Anderson né di aver ritratto il Menestrello Scozzese, ma che si tratta semplicemente di un autoritratto. Nel retro di copertina ritroviamo l'homeless, in compagnia di un cane e con un'aria più rilassata e provata, nemmeno lontano parente dell'inquietante barbone descritto precedentemente, quasi da farci pensare che si tratti di una sorta di Dottor Jekyll e Mister Hyde. Attualmente entrambi i dipinti fanno aprte di una collezione privata sconosciuta. L'accordo iniziale fra i Jethro Tull e Burton Silverman prevedeva la licenza di usare il dipinto per la sola copertina e non per le operazioni di merchandising. Una volta scoperto che l'immagine del dipinto venne usata per magliette e gadget vari, l'Artista Di Brooklyn fece causa alla band per ottenere ulteriori entrate dovute allo sfruttamento del suo dipinto. In conclusione ci sono poche parole da aggiungere, "Aqualung" è un album iconico della musica rock, da avere e basta.
2) Cross-Eyed Mary
3) Cheap Day Return
4) Mother Goose
5) Wond'ring Aloud
6) Up To Me
7) My God
8) Hymn 43
9) Slipstream
10) Locomotive Breath
11) Wind Up