JETHRO TULL
A Passion Play
1973 - Chrysalis
SANDRO PISTOLESI
03/07/2017
Introduzione recensione
Dopo il successo del precedente "Thick As A Brick" e la scorpacciata di singoli ed inediti messa a disposizione dei fans dalla Chrysalis con la bellissima doppia antologia "Living In the Past", pur mantenendo l'estenuante ritmo del tour, i Jethro Tull decisero di soggiornare per un anno in Svizzera, in modo da poter acquisire il diritto di residenza nella Patria Elvetica, unica via di fuga dalle attanaglianti spire del fisco britannico. Ma proprio nel giorno in cui ai nostri furono consegnati i documenti riguardanti la loro residenza svizzera, la "saudade tulliana" che da sempre accompagna il combo albionico, alimentò un clamoroso ritorno in patria. Una volta tornati a casa, Ian Anderson affittò due stanze ubicate nella suggestiva strada di Baker Street, ricavate da antiche scuderie ristrutturate ad uopo. Oltre che a viverci, il compositore di Dunfermline poteva lavorare a del nuovo materiale e alimentare tutte le brillanti idee in fase di produzione. Sempre per sfuggire dalle grinfie degli aguzzini del fisco, seguendo le orme di molti colleghi connazionali, decisero di affittare uno studio all'estero per lavorare sul nuovo disco. La scelta ricadde sui suggestivi studio ubicati nell'affascinante Château D'Herouville, un castello risalente al 1740 costruito da Gaudot, che rimise in piedi i resti di un vecchio maniero del sedicesimo secolo ormai in dimora. Nel 1962 il compositore musicale Michel Magne, noto autore di svariate colonne sonore di pellicole francesi, acquistò il castello ubicato nell'accogliente villaggio di Herouville, nel bel mezzo della Val d'Oise, non lontano da Parigi. Dopo un devastante incendio che colpì il maniero nel 1969, il compositore transalpino ricavò dai meandri del castello un'affascinante studio di registrazione che poteva offrire ai musicisti un suggestivo soggiorno residenziale. Nel corso degli anni, molte stars della musica rock hanno soggiornato nell'antico castello, fra i quali spiccano i Pink Floyd e gli Uriah Heep, tanto per rimanere nel genere. Ad Agosto del 1972, i Jethro Tull iniziarono il loro soggiorno all'interno del castello risalente al diciottesimo secolo, ma la scelta non si rivelò affatto azzeccata. Le atmosfere non erano poi così suggestive da alimentare l'ispirazione come si aspettavano, ma soprattutto le attrezzature non si erano rivelate all'altezza delle loro esigenze. Dopo aver registrato ben tre quarti per un futuro doppio album ancora senza un titolo, i nostri tornarono in Inghilterra. Con ironia, Ian Anderson ribattezzò i fallimentari nastri di registrazione "The Chateau D'Isaster Tapes". Due tracce opportunamente rivisitate finiranno poi in "War Child" pubblicato nel 1974. Il resto del materiale, dopo essere finito nel dimenticatoio per moltissimi anni, fu rispolverato e pubblicato nel doppio album "Nightcap" rilasciato nel 1993, anche se alcune tracce, considerate semplicemente "imbarazzanti" da Ian Anderson, rimasero fuori dal platter. Le poche idee valide della fallimentare esperienza francese furono usate per dar vita a del nuovo materiale che avrebbe dato vita al sesto album in studio della band. L'idea era quella di continuare seguendo il cliché di "Thick As A Brick", ovvero un concept album articolato su due lunghe canzoni e legato da una unica trama narrante. In quel periodo, Ian Anderson stava attraversando un periodo spirituale molto particolare e per le liriche tirò fuori dal cilindro l'ennesima genialata. Il protagonista della storia è un certo Ronnie Pilgrim il quale in maniera dantesca, dopo la morte prematura, sperimenta il giudizio e l'aldilà, visitando Paradiso e Inferno. Indeciso in quale dei due mondi ultraterreni stabilirsi, optò per tornare dove si trovava meglio, sulla Terra, per poi rinascere nuovamente. Si tratta di una unica storia e come per il suo predecessore, musicalmente l'album si sviluppa su di un unico movimento. Il testo, se pur privo del classico humor albionico che a sprazzi tingeva l'album precedente, nasconde una miriade di allegorie e allusioni, spesso criptiche che hanno reso le liriche alquanto impenetrabili e di difficile apprendimento. Viste le tematiche a sfondo religioso, Ian Anderson vide bene di scegliere un titolo in linea con le liriche. A spuntarla fu il pretestuoso titolo "A Passion Play" alla lettera "Una Rappresentazione della Passione Di Cristo" ma all'epoca tradotto dagli addetti ai lavori con il più consono "Mistero Sacro". Ma se le liriche erano di difficile interpretazione, la musica non era da meno. John Evans per la prima volta fece uso dei sintetizzatori, offrendo a Ian Anderson molteplici soluzioni in più in fase di arrangiamento. Ovviamente prese parte alla partita anche colui che ormai era considerato il sesto membro della band, David Palmer, a decorare il tutto con le sue hollywoodiane trame orchestrali. La monumentale opera rock, fu divisa per ovvi motivi logistici in due tracce di oltre venti minuti, a sua volta suddivise in due atti ciascuna, intervallati da un simpatico quanto sorprendente interludio. Ma nonostante la fatica impiegata da Anderson e compagni, per dar vita ad un album memorabile lontano dai banali cliché del pop rock, l'elevata complessità del prodotto portò per la prima volta la band a confrontarsi con critiche negative da parte della stampa, che piovevano copiose da destra e da manca. Perfino Chris Welch, un giornalista che non aveva mai nascosto la propria ammirazione nei confronti dei Tull non fu affatto tenero nel parlare del controverso "A Passion Play". Sulla "bibbia" Melody Maker, infatti, il giornalista prima stroncò il disco con una recensione che definire negativa suona come un eufemismo, per poi rafforzare la dose sparando a zero sulla serata dell'Empire Pool di Wembley, dove i Tull presentarono il loro nuovo disco con una complessa scenografia teatrale. Un'altra icona del giornalismo britannico, Robert Hilburn, stroncò il nuovo lavoro dei Tull con una recensione sfavorevole. Le recensioni negative si espandevano in patria come un virus letale, riducendo le vendite di "A Passion Play" ai minimi termini. Come spesso accade, piove sempre sul bagnato, ed una serie di incomprensioni con il giornalismo musicale britannico creò una spessa coltre di acredine fra i nostri e la stampa che stava rischiando di ridurre in bricioli la reputazione della band. Il pomo della discordia fu l'annullamento di due date alla suggestiva Wembley Arena di Londra, a causa di problemi di salute di Ian Anderson. Ma gli 007 della stampa britannica scoprirono che i nostri erano in Canada a provare il nuovo show, e scoppiò il putiferio. La colpa ovviamente era solo ed esclusivamente dell'entourage della band, che non specificò che le date sarebbero state solamente rimandate e non cancellate. Come se non bastasse ci si mise anche Terry Ellis a gettare benzina sul fuoco. All'insaputa della band, il produttore dell' Hertfordshire si accordò con la direzione del Melody Maker per pubblicare un articolo che annunciava una clamorosa interruzione dell'attività live dei Jethro Tull. Quando Ian Anderson e compagnia cantante lessero l'articolo, caddero dalle nuvole, inalberandosi non poco. L'obbiettivo primario fu quello di identificare quanto prima la fonte del mendace articolo. Una volta scoperto il colpevole, era più che evidente che oltre all'insanabile rottura fra i Tull e la stampa, anche i rapporti con la Chrysalis Records non erano più forti come in passato, ma stavano iniziando ad incrinarsi in maniera preoccupante. Ovviamente, Ian Anderson ci tenne a precisare che la band era estranea ai fatti, ma il danno ormai era stato fatto, ed era un danno quasi irreparabile. Il nostro vide un orizzonte funesto per la sua band, tutto quanto fatto di buono nei primi cinque anni di carriera sembrava andare in fumo a causa di una serie di sfortunati eventi. I nostri ovviamente ripresero l'attività live, sfoggiando uno spettacolo teatrale che in quanto a complessità si sposava perfettamente con l'intero contesto del nuovo platter. Per fortuna, dall'altra parte dell'Oceano l'album ebbe un grande successo, catapultando "A Passion Play" al primo posto delle classifiche di Canada e Stati Uniti. Furono pubblicati anche due singoli, due brevi estratti della suite intitolati semplicemente "A Passion Play Edit #8" pubblicato il 30 Aprile del 1973 avente come b-side la parte "#9" della suite e "A Passion Play Edit #10", rilasciato il 3 Settembre del 1973, con la parte "#6" a farle da compagnia. Entrambi i singolo non ebbero grande fortuna, le migliori posizioni registrate furono rispettivamente la numero 80 e la numero 105 nella classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti. E' dunque giunto il momento di ascoltare l'album più controverso mai pubblicato dai Jethro Tull, cercando di scoprire da che parte sta la verità, preannunciandovi che chi come me ama il progressive rock, di certo non storcerà il naso.
A Passion Play Part I
"A Passion Play Part 1 (Mistero Sacro Parte 1)" è divisa in due atti, il primo dei quali è intitolato "Act 1 -Ronnie Pilgrim's Funeral - A Winter's Morning In The Cemetery. (Atto Primo - Il Funerale Di Ronnie Pilgrim - Una Mattina d'Inverno Nel Cimitero)". I nostri iniziano in sordina, con una quasi impercettibile babele di suoni che cresce molto lentamente d'intensità. Ad emergere sono sorde percussioni, che ricordano molto da vicino il battito del cuore, mescolandosi ad acidi fraseggi di chitarra e a spaziali tappeti di synth. Dopo circa un minuto, due colpi stoppati all'unisono annunciano un wall of sound dall'aria burlesca, che per i più esperti rievoca le commedie musicali che hanno reso celebri i Genesis. Barriemore Barlow e Jeffrey Hammond Hammond con una divertente marcia trascinano la banda che si prodiga con un riff all'unisono dai sentori circensi. Immediatamente dopo è l'organo di John Evans a farla da padrona, ricamato da squillanti colpi omofoni che annunciano l'ingresso in scena del Madman Flautist, che sposa in pieno il tema musicale, ricamando con giulivi fraseggi di flauto. Gli strumenti continuano ad intrecciarsi emanando atmosfere festose fino per oltre tre minuti, quando rimane il solo organo con un tema irridente, immediatamente imitato dai compagni con un fischiettare spensierato, affiancato in maniera omofona poi dalla chitarra acustica. Tornano le percussioni, i battiti del cuore rallentano precipitosamente ed improvvisamente la musica si spenge, come prematuramente si è spenta la vita di Ronnie Pilgrim, il protagonista della nostra storia. Al minuto 03:29 entra in scena il Cantastorie Di Dunfermline, che con una linea vocale solenne e dall'aria funesta entra nelle vesti del defunto Ronnie Pilgrim, il quale si domanda se tutti le persone accorse al suo funerale possono ancora vederlo, mentre abbandona il suo corpo, lasciando la corda d'argento a terra, vicino alla suo corpo privo di vita. Nel linguaggio paranormale, la corda d'argento è quel filo sottile che ci lega alla vita, l'anello di congiunzione fra l'anima ed il corpo. Alcuni sensitivi sostengono di aver visto più volte la corda d'argento, non solo in punto di morte, quando lo spirito si separa lentamente dal corpo fisico, ma addirittura in numerosi casi di bilocazione, nei quali è stata notata dal soggetto stesso. Comunque sia, finché la corda non si spezza in maniera definitiva, l'individuo, secondo gli spiritisti, non può essere considerato morto anche se sono cessate in lui tutte le funzioni vitali. Ritornando a noi, con la corda d'argento a terra, è fin troppo evidente che il nostro Ronnie Pilgrim può considerarsi morto a tutti gli effetti, ora si trova dall'altra parte della collina, riprendendo le gesta dei vecchi pellerossa che in fin di vita se ne andavano a morire in solitudine sulle montagne, solo che il povero Ronnie non era un pellerossa, ma soprattutto non era affatto vecchio. Contornato da barocche trame di chitarra acustica, Ian Anderson aka Ronnie Pilgrim continua il suo monologo, ammirando dall'alto i suoi vecchi amici, giunti al funerale in taxi nonostante un marcato ritardo a causa di un trambusto sulla Fulham Road, una delle strade più importanti del centro di Londra, dove sono ubicati i Maison Rouge Recording Studios, in cui saltuariamente i Jethro Tull andavano a lavorare sulle nuove composizioni. Il fatto che il nostro menzioni la famosa strada londinese, potrebbe essere un indizio che ci riconduce ad una papabile identificazione fra Pilgrim e lo stesso Ian Anderson. Per fare un esempio calzante Pilgrim sta a Anderson come Rael era l'identificazione di Peter Gabriel nel capolavoro "The Lamb Lies Down on Broadway". Il taxi, oltre a portare i vecchi amici al capezzale di Pilgrim, potrebbe essere una metafora facilmente identificabile nella barca di Caronte che traghetta le anime. Nella seconda strofa, le cristalline trame della Martin D-28 vengono affiancate da una una dolcissima partitura di pianoforte, dal trambusto di Fulham Road si passa al solenne silenzio della funzione che sancisce il Sacro Mistero. Minuto 04:27, Ian Anderson ci incanta con un magico intreccio di note con la sei corde acustica, per poi riprendere la strofa, accompagnato dalla classicheggiante partitura di pianoforte di Mr. Evans. Sinuosi fraseggi di basso donano un senso ritmico alla strofa, mentre Martin Barre esegue preziosi ricami con la chitarra elettrica. Ormai trapassato, Ronnie Pilgrim è giunto in una dimensione dove regna una strana e tetra atmosfera. Il primo regno soprannaturale visitato dal nostro protagonista è l'Inferno, anche se si tratta di un Inferno molto alternativo. Pilgrim è stupito come stupito era Dante durante l'affascinante cammino descritto nella Divina Commedia. Per rimanere vicino al Sommo Poeta, il Paroliere Di Dunfermline abusa di criptiche licenze poetiche, allitterazioni e termini desueti. Ian Anderson batte tre colpi sulla cassa della chitarra acustica, dando il tempo a John Evans, che al minuto 05:51 irrompe con un oscuro riff di organo, ricamato da potenti pennate di basso che crescono in maniera esponenziale. Basso e organo si inseguono all'impazzata, annunciando una delle tante sorprese che si celano all'interno del platter. Ian Anderson irrompe con un folleggiante assolo di sax, seguendo la forsennata ritmica di Barriemore Barlow, che costringe Jeffrey Hammond a fare gli straordinari. Martin Barre tesse una vischiosa ragnatela di note cercando di riprendere la pazza corsa del sax, mentre di tanto in tanto si odono i minacciosi ruggiti dell'organo Hammond. La folleggiante partitura di sax dona a questo interludio una delirante atmosfera non molto lontana dal pazzo dark progressive dei Van Der Graaf Generator. Dopo un secondo di assordante silenzio, il brano muta nuovamente. Al minuto 06:51 una dolce partitura di pianoforte ci libera dalle scorie maligne lasciate dal precedente interludio, annunciando la prossima strofa. Le fiabesche trame del pianoforte ricamate dagli strumenti a corda rievocano il folk rock dall'aria barocca tanto caro ai nostri. Troviamo un'altra similitudine con la Divina Commedia, che senza ombra di dubbio ha ispirato Ian Anderson durante la stesura delle liriche. Ronnie Pilgrim viene accolto da una creatura angelica, splendida e profumata, facilmente identificabile in Beatrice, che nel secondo canto dell'Inferno accoglie Dante e Virgilio. Il sorriso infinito del bellissimo angelo dona vitalità e sicurezza ad uno spaesato ed incredulo Pilgrim. Immediatamente dopo, il nostro protagonista viene affiancato da una banda di gentiluomini vestiti di pelle nera (questa metafora potrebbe essere identificata con i componenti di una rock band), che lo accompagnano spaventato e preoccupato verso una distesa di sabbia. Anche la spiaggia è un chiaro riferimento al poema dantesco. Sul finire della strofa troviamo una parola stranamente scritta in maiuscolo "NO-ONE (NESSUNO)", seguita da una frase messa fra parentesi che recita "(but someone to be found) [(ma qualcuno da trovare)]". Non è facile dare una interpretazione corretta alla parola nessuno, che immagino sia stata scritta in maiuscolo perché ha un ruolo significativo all'interno delle liriche. A me sono venute in mente due strade, quella che porta alla ricerca di una essere divino, o quella che porta alla ricerca di se stesso. A voi la scelta. Un raffinato ed effimero intermezzo acustico annuncia un breve interludio strumentale dove il protagonista è l'organo Hammond, ricamato da infiniti filler di batteria e scale di basso. Per un attimo torna anche il sax, ma in maniera assai più sobria rispetto alla sua prima comparsa. Successivamente incontriamo una spagnoleggiante chitarra acustica ricamata da graffianti fraseggi di organo. Al minuto 09:06 le calde trame arpeggiate improvvisamente si tramutano in un vigoroso strumming che annuncia il secondo atto, intitolato "Act 2 -The Memory Bank - A Small But Comfortable Theatre With A Cinema-Screen (The Next Morning) [ Atto Secondo - La Banca Della Memoria - Un Teatro Piccolo Ma Comodo Con Uno Schermo Cinematografico (La Mattina Successiva)]", dove i nostri esternano tutta la loro vena progressive, alternando lo strumming ad alianti interludi con l'organo ancora protagonista ed un grande lavoro da parte della sezione ritmica. Pilgrim continua il suo viaggio, giungendo in un luogo formato da desolate distese di ghiaccio, altro riferimento dantesco, in quanto i traditori venivano immersi in un immenso lago ghiacciato situato nel nono cerchio dell'Inferno. Ad accentuare le pene dei dannati ci pensava Lucifero, che sbattendo le sue enormi ali colpiva i traditori con gelide raffiche di vento. Fra le desolate lande di ghiaccio, Pilgrim rivede in un attimo tutta la sua vita terrena, riavvolgendo velocemente il nastro rivive i suoi trascorsi, quasi come se fosse il protagonista di un film proiettato al cinema. Ma chi è il regista del film? Dalle liriche apprendiamo che nell'Aldilà esiste un'entità soprannaturale che ha il compito di registrare le vite di ogni singolo essere vivente, per poi poterne valutare la destinazione a seconda dei peccati commessi e dal comportamento tenuto durante la vita terrena. Nella parte conclusiva della strofa lo strumming con la sei corde acustica diventa il protagonista assoluto, un effetto speciale dona un aspetto inquietante alla voce di Anderson, che impersona un'entità che consegna la nuova carta di identità a Ronnie Pilgrim, invitandolo ad investire nella banca della propria memoria, in quanto gli interessi se li sono già intascati. Pare che anche nei cinema dell'Aldilà ci sia una signora che vende i gelati, che distraendosi per guardare il film che vedeva Pilgrim protagonista, ha fatto sciogliere tutta la sua merce. Successivamente il brano cala d'intensità, è ancora l'organo a farla da padrone, con irridenti fraseggi dai sentori circensi. A suggellare un bel climax che riporta in alto il brano arriva il sax, sempre però in maniera soffusa. Intorno al minuto 11:43 un tetro fraseggio di organo e basso annuncia il Madman Flautist. Seguendo una funambolica ritmica prettamente settantiana, il nostro ci graffia con fraseggi di flauto taglienti come rasoi, che con il tempo indossano abiti mistici prevalendo sull'incredibile lavoro della premiata ditta Barlow-Hammond che cala lentamente d'intensità. A rendere il tutto più affascinate arriva una seconda partitura di flauto, dando vita ad un magico intreccio da brividi. Proprio quando stiamo per essere ipnotizzati dal flauto e dalla lisergica partitura di basso arriva un ruggito del vetusto organo Hammond a dettare l'ennesimo cambio. Organo e sax danno vita ad un bellissimo duello che rievoca ancora una volta atmosfere VanDerGraafiane. Al minuto numero 13 calano i BPM. Barriemore Barlow guida tutti con una irridente marcia, organo, basso e chitarra confezionano un wall of sound che non ha nulla da invidiare a quelli memorabili di Yes, Genesis ed ELP. Il film trasmette alcuni momenti cruciali della vita di Ronnie Pilgrim, si va dal ritiro di un ambito premio alle partite di cricket dove indossava la prestigiosa fascia da capitano, al discorso della Regina, insomma tutti elementi prettamente britannici che caratterizzano la vita dell'albionico medio. Subito dopo, organo e chitarra guidano un cadenzato interludio dove rivediamo aspetti secondari della vita di Pilgrim, difficili da interpretare, come un vecchio ombrello bucato, che riesce a trattenere in qualche maniera la pioggia, ma non può nulla contro il Sole. Successivamente il film perde d'interesse e troviamo altri aspetti della vita di Pilgrim apparentemente insignificanti come tredici cavalli non piazzati che hanno mandato all'aria una scommessa. Sicuramente, musicalmente parlando è il momento più energico del brano, che mette in evidenza i preziosi contrappunti di Mr. Barre che ricama l'alienante linea vocale di Anderson. Dopo una coda strumentale dove gli strumenti sembrano riflettere sul film appena visto, il classico gran finale ci lascia presagire che siamo giunti alla conclusione di questa prima parte, ma dando un'occhiata al timer, ci accorgiamo che non è così. Minuto 15:25. Una serie di potenti ed oscuri accordi all'unisono aumenta in maniera vertiginosa, i BPM salgono all'impazzata, l'organo Hammond sembra gridare aiuto, quando tutto sembra che stia per esplodere, i battiti per minuto scendono bruscamente. Un pianoforte martellante tiene testa agli urli nevrotici del sax, sotto gli ossessivi colpi della sezione ritmica. E' l'avvento di una nuova strofa, dove la chitarra elettrica e l'organo sono protagonisti, insieme alla misteriosa entità che presenta a Pilgrim il film della propria vita, rigorosamente in bianco e nero. Le immagini scorrono via velocemente, fra ruggiti di organo, acide trame della chitarra e martellanti accordi di pianoforte. Il nostro rivive alcuni momenti dell'infanzia, storie d'amore ed un cane dall'aria triste che ulula. Se non forse per l'aggettivo "triste", visti i molti riferimenti danteschi, il cane potrebbe anche essere l'infernale fiera di nome Cerbero, custode del terzo cerchio dell'Inferno. Il possente duo Barlow-Hammond continua con la massacrante ritmica dai sentori doom. Chitarra, pianoforte, organo ed inquietanti urli di sax continuano anche nella strofa successiva, dove a rendere il tutto ancor più lisergico troviamo a sorpresa Jeffrey Hammond Hammond, che con una inquietante voce effettata recita in maniera scanzonata alcuni versi, che ricordano a Pilgrim come la sua amata sorellina perse la verginità, con un aitante atleta di nome George, durante i ripassi della lezione di geografia. Nella strofa successiva, dietro al microfono torna Ian Anderson, che si presenta con la sibillina frase "Actor of the low-high Q (Attore dell'alta-bassa Q", che in quanto a pronuncia suona come "Actor of the low I.Q. (Attore dal basso quoziente intellettivo)". Ora stabilire con esattezza chi era finito nel mirino di Ian Anderson non è impresa facile. Se l'album fosse uscito dopo il 1986, la fatidica "Q" potrebbe essere stata la famosa rivista musicale britannica, ma noi ora siamo nel 1973. Comunque sia, i versi successivi, con una buona dose di polemica, sembrano essere indirizzati verso qualche critico che non era stato affatto benevolo con i Tull. Se vi ricordate, anche nelle geniali liriche di "Thick As A Brick", il nostro si era tolto più di un sassolino dalla scarpa, lanciando pungenti frecciate alla carta stampata. A seguire incontriamo un interludio strumentale, dove ad emergere fra alienanti lamenti del sax, tetre partiture di organo, graffianti accordi di chitarra è uno stratosferico Barriemore Barlow, con una serie interminabile di filler di grande effetto. L'ossessivo main theme all'unisono si alterna un paio di volte con una sibillina partitura di organo, annunciando la strofa successiva, che si apre in maniera sobria con un vigoroso strumming di chitarra acustica, per poi lasciare nuovamente il campo ai voli pindarici degli strumenti. Pilgrim ha purtroppo perso quella che per un gatto è la settima vita, ovvero l'ultima. Ora si trova in un nuovo mondo ultraterreno, a vedere un film che come protagonista ha lui stesso. Nella strofa successiva il pianoforte si fa più ossessivo e troviamo chiari riferimenti religiosi, con il verso "Man of Passion rise again (Uomo della Passione risorgi di nuovo)". A Pilgrim vengono poste preoccupanti domande: l'entità che gli sta mostrando il film della sua vita gli chiede se è giunto per far divertire il pubblico con il film della sua vita, o è venuto per la gloria, o magari per sapere quanto sia stata orrenda la sua vita? In attesa di un giudizio, il brano con un finale cadenzato sembra concludersi qui, ma riesce nuovamente a risorgere come una fenice dalle proprie ceneri. Il main theme viene riproposto in maniera ciclica, i BPM aumentano in maniera esponenziale, siamo come risucchiati da una lisergica spirale che ci trascina verso il fondo. Quando la nostra testa sta per esplodere, dopo neanche un secondo di assordante silenzio, torna Ian Anderson, che accompagnato da barocchi fraseggi di pianoforte recita i versi portanti dell'album: "There was a rush along the Fulham Road. There was a hush in the Passion Play. (C'era trambusto lungo Fulham Road. C'era silenzio nel Mistero Sacro)". I nostri ci salutano con una bellissima coda strumentale, che funge anche da sigla iniziale al simpatico interludio che scopriremo nella seconda parte del platter. Mistici suoni emanati dal synth si fondono con un angelico strumming di chitarra acustica, portandoci con la mente in una dimensione sovrannaturale, prima che un brusco ed effimero ritorno dell'acido main theme ci desti, quasi come se fosse un errore in fase di mixaggio. Finisce qui la prima parte del viaggio ultraterreno di Ronnie Pilgrim, di sorprese ce ne sono state molte, sia liriche e musicali, chissà cosa ci aspetta nella seconda parte. Sembra che i Jethro Tull siano ben consci di aver messo a dura prova l'ascoltatore, con liriche impegnative e complicatissime sinfonie musicali non proprio facili da assimilare. Ecco che a stemperare gli animi troviamo un simpatico interludio intitolato "The Story Of The Hare Who Lost His Spectacles (La Storia Della Lepre Che Ha Perso Gli Occhiali)". Un gradito momento di relax che lava via le scorie lasciate dai precedenti ventuno minuti ed oltre di puro progressive rock. Si tratta di una storiella per bambini in pieno stile Winnie The Pooh presentata in maniera esilarante da John Evans che ha come protagonisti gli animali, a metà fra i teatrini per ragazzi medievali e la comicità dei Monty Python, che in quel momento stavano spopolando in Inghilterra. Ovviamente dietro ad ogni personaggio rappresentato dai vari animali, si nascondono le debolezze ed i vizi dell'essere umano. La voce narrante è di Jeffrey Hammond Hammond, che si cala perfettamente nelle vesti di un narratore di storielle per bambini, con un tono a metà fra il misterioso e il comico, unendo suoni e parole in maniera geniale, che perdono gran parte del fascino nella traduzione in italiano. A fare da colonna sonora è una geniale partitura di pianoforte, ricamata da mille suoni emanati dal synth e da disneyane sinfonie orchestrali. Il duo David Palmer-John Evans si trova perfettamente a proprio agio nel suonare una colonna sonora, mettendo geniali contrappunti al posto giusto e dispensando mille atmosfere a seconda delle esigenze della storia. Il primo personaggio che incontriamo è il gufo, che se ne sta appollaiato sullo steccato, accompagnato da una buffa trama di pianoforte e gli angelici tintinni del glockenspiel suonato da Barriemore Barlow. Il riposo del gufo un giorno fu turbato da una cangura, che improvvisamente gli sfrecciò vicino, bisbigliando che una lepre aveva perso i suoi occhiali. Successivamente, il pianoforte di Evans assume toni più drammatici, ricamato da una bellissima trama orchestrale dai sentori fiabeschi, magistralmente diretta da David Palmer. Questo importante cambio di atmosfera coincide con il calare delle tenebre. La luna spunta fuori da dietro una nuvola, illuminando la lepre distesa sull'erba. Nell'adiacente ruscello, un curioso tritone sia affaccia, mentre un'ape trova riposo sopra un rametto fiorito, ricamata da un simpatico contrappunto orchestrale. Cala il sipario su questo primo movimento. Dopo un secondo di silenzio, Jeffrey Hammond torna a narrarci la storia. La lepre stava tremando per la tensione, aveva perso i suoi occhiali. Dove erano finiti? Forse qualcuno li aveva rubati? Oppure li aveva semplicemente persi? Tutti gli animali presenti cercavano di dare una mano. John Evans e David Palmer ricreano atmosfere fiabesche, ora divertenti, ora più cupe a seconda del momento. La prima fu l'ape che ipotizzò in maniera surreale che la lepre se avesse mangiato gli occhiali scambiandoli per una carota. Dall'alto della sua saggezza intervenne il gufo, aborrendo la surreale ipotesi dell'ape. La cangura iniziò a saltellare all'impazzata. Si credeva di gran lunga l'animale più intelligente del circondario, si sentiva il leader della banda. In maniera saccente, la cangura invitò la lepre ad andare dall'ottico di fiducia a farsi fare un nuovo paio di occhiali. Ma l'atteggiamento inequivocabile della lepre, faceva presagire che senza i suoi occhiali era veramente allo sbando. Di conseguenza, la cangura a voce alta sentenziò: "Non posso mandare la lepre in cerca di nulla!" Il tritone rese pubblica la propria idea, quella di far accompagnare la lepre dal gufo, ma questi se ne era già volato verso la sua tana a dormire. Indomito, il tritone esternò un'altra brillante idea, ovvero quella di far trasportare la lepre dalla cangura nel proprio marsupio, ma purtroppo, la lepre era troppo grande per entrarvi. Il crescendo della musica ci lascia presagire che ci stiamo avvicinando al finale della storiella. Seguendo una brillante partitura di pianoforte, Jeffrey Hammond prova dare una parvenza di intonazione alla narrazione, sfiorando il cantato. Una fugace apparizione della sezione ritmica ci porta vivacemente verso l'epilogo. Apprezzando tutti i tentativi degli amici per ritrovare i suoi occhiali, la lepre si rassegnò, ormai i suoi occhiali erano andati persi. Per fortuna che ne aveva un paio di scorta! La simpatica storiella ha anche una sigla di chiusura, che va a riprendere le rilassanti atmosfere sentite in coda al brano precedente. Il vigoroso strumming di chitarra si intreccia con spaziali trame di synth e frivoli aliti di flauto, dando vita ad un mistico wall of sound che ha il potere di trasportarci all'interno di un rilassante tempio buddista. In chiusura, troviamo un rocambolesco finale in pieno stile cartoon che va a mettere il suggello definitivo al simpatico quanto insolito siparietto, che non fa altro che confermare la genialità della band, che è riuscita ad inserire in un contesto rock una storiella per bambini.
A Passion Play Part II
Dopo un secondo di silenzio assoluto, al minuto 05:32 ha inizio "A Passion Play Part II (Mistero Sacro Parte 2)", la seconda parte del fantastico viaggio di Ronnie Pilgrim. Il primo dei due atti è intitolato "Act 3 - The Business Office Of G. Oddie & Son (Two Days Later) [Atto Terzo - L'Ufficio Commerciale Di G. Oddie & Son (Due Giorni Dopo)]" "G.Oddie" è un brillante neologismo ideato da Ian Anderson identificabile in "Goddie", ovvero con simpatia "piccolo Dio", quindi possiamo dedurre che Ronnie Pilgrim si trova in un ufficio che vede proprietari l'Onnipotente e Gesù. Stando agli indizi, non dovremmo essere ancora giunti al Paradiso, visto che la prima strofa, caratterizzata da una barocca trama con la sei corde acustica, non ci dipinge di certo uno scenario idilliaco. Piuttosto, il nostro protagonista sembra essere stato rinchiuso in una prigione, in completa solitudine, sdraiato sul pavimento, costretto a mangiare in uno scomodo angolo in compagnia di ragni, che però sono educati (!!) Tornando alla Divina Commedia, possiamo ipotizzare che l'ufficio del signor G.Oddie sia l'anticamera del Paradiso, ergo il Purgatorio, che Dante raffigurava in una montagna piramidale suddivisa in sette strati, dove i dannati espiavano i sette peccati capitali. Pilgrim infatti si trova ai piedi di una lunga scalinata, dove incontra personaggi che nella vita terrena hanno ceduto alla lussuria, padri di figli illegittimi e "dandies" che amavano vestirsi da donna. Nel frattempo, John Evans torna ad essere protagonista con acide trame di organo, mentre la sezione ritmica ci fa sobbalzare con potenti colpi stoppati. Il lisergico accompagnamento degli strumenti ci porta in prossimità di una imponente cattedrale profumata, con la guglia all'ingiù. Nel poema Dantesco, il Purgatorio ed il Paradiso erano capovolti rispetto all'Inferno, quindi è facile dedurre che la cattedrale sia il Paradiso secondo la visione di Ian Anderson. Vigorose pennate sulla chitarra acustica sostituiscono nuovamente l'organo, Pilgrim si trova circondato da presunte divinità fluttuanti, che augurano del bene e promettono felicità, spalancando le porte del Paradiso. Accompagnato da un cristallino strumming di chitarra acustica, Pilgrim giustifica di fronte a Dio la sua legittimità dello sbagliare, rivendicando gli errori commessi in vita, errori commessi solo ed esclusivamente in maniera autonoma. Il nostro protagonista non è il solo a trovarsi al cospetto di Dio, altre anime sono in cerca della pace, fra le quali spicca un personaggio di fantasia di nome Jack Rabbit (Jack il Coniglio), che guida una stirpe di pellegrini affamati d'amore. Difficile entrare nella mente di Ian Anderson e stabilire se dietro Jack Il Coniglio si celi qualche personaggio reale. Al minuto 07:22 troviamo un interludio strumentale. Un settantiano riff all'unisono apre i cancelli al sax, che stavolta si presenta in punta di piedi. Il raffinato lavoro della sezione ritmica e le piacevoli trame di sax emanano sentori di jazz, che si tingono di rock quando anche Martin Barre inizia un vorticoso assolo di chitarra. Spesso gli strumenti si muovono sulla stessa lunghezza d'onda, dando vita a momenti da brividi. Molteplici cambi di tempo e sbalzi d'atmosfera si alternano fino ad arrivare ad un ruggente assolo di organo. In questa catena di escursioni soliste è difficile stabilire cosa è più bello fra gli assolo e l'accompagnamento. Chapeau. Al minuto 09.28 torna il vigoroso strumming di chitarra acustica. Pilgrim sembra indeciso se proseguire o tornare indietro, verso quel desolato paradiso chiamato Inferno, con la parola "Hell" pronunciata da una inquietante voce luciferina a confermare il certosino lavoro in fase di arrangiamento. Andando avanti la chitarra acustica suona in maniera più rilassata, c'è spazio anche per una citazione evangelica, "pick up thy bed and rise up from your gloom smiling (prendi il tuo giaciglio ed alzati dalla tua oscurità sorridendo)". Il minuto 10:24 ce lo ricorderemo per un improvviso e potente colpo all'unisono che ci fa sobbalzare, aprendo le porte ad un fiume di suoni alieni che fuoriesce dal castello di tastiere. Accompagnato dal solo John Evans, Ian Anderson interpreta pochi versi in maniera magistrale, a mio avviso raggiungendo il suo apice. Il Tastierista Di Blackpool è in gran spolvero e sfoggiando le sue nuove attrezzature tira fuori dal cilindro partiture che tengono testa a due Dei come Rick Wakeman e Tony Banks. Ritornano in gioco anche Martin Barre e la possente sezione ritmica. Stiamo ascoltando del progressive rock di gran classe, con il quale i nostri ci presentano un oscuro personaggio, Lucifero. Dipinto con immense licenze poetiche, l'Angelo Ribelle tenta di portare a se Pilgrim ed alcuni dei pellegrini, invitandoli ad aggregarsi al ballo intorno al palo della cuccagna o Paolo di Maggio, che durante le feste pagane dell'area celtica veniva venerato come simbolo della nuova stagione in cambio di un fiorente raccolto. Al minuto 11:47 ha inizio l'ultimo atto dell'opera, intitolato "Act 4 - Magus Perdé's Drawing Room At Midnight. (Atto 4 - Nel Salotto di Magus Perdé A Mezzanotte.)" Chi sia questo fantomatico Magus Perdè è senza ombra di dubbio il più grande mistero di queste liriche soventemente impenetrabili. Fonti poco attendibili sostengono che il Mago Perdè fosse uno scrittore di opere sacre che nel Medio Evo aveva affrontato l'argomento della Passione. Andando a ritroso nel tempo, scopriamo che Magus Perdè nel Medio Evo era traducibile in "Mago Supremo". Scavando più a fondo, da sempre la parola "Mago" ha avuto a che fare con l'alchimia ed il soprannaturale, mentre analizzando l'etimologia della parola "Perdè" si va dall'inglese "perdition (dannazione)" al francese "perdue (perduto)" fino al latino "perdit (distruggere)". Tutti termini negativi che ci portano dritti ad un eccellente sospettato, il Diavolo, nonostante durante il viaggio abbiamo già incontrato Lucifero. Ma visto che in precedenza siamo stati ospitati negli uffici dell'Onnipotente, nulla vieta di essere ospiti del Re Delle Tenebre, teoria confermata dall'inquietante wall fo sound. Strofe ammalianti e funamboliche escursioni soliste si alternano dando vita ad una formidabile colonna sonora. Dopo l'ennesimo falso finale, dopo una lisergica escursione solista di Mr. Evans con l'organo, ritroviamo il nostro Ronnie Pilgrim, che proprio mentre stava per essere convinto dalle ammalianti proposte di Lucifero, viene avvicinato una creatura angelica che lo esorta a diffidarsi del Tenebroso Angelo Caduto. L'aggettivo "gelido" accostato alla figura di Lucifero è l'ennesimo rimando alla Divina Commedia, dove l'Angelo Ribelle veniva disegnato come una creatura infernale, con del ghiaccio che gli fuoriusciva dal petto. La misteriosa creatura angelica, che potrebbe essere la medesima incontrata nella prima parte dell'opera rock, giura di non avere nulla in comune con Lucifero. Qui viene a galla l'atavica lotta fra il bene ed il male, tra le tenebre e la luce, tra l'aureola ed il corno, un chiaro riferimento al manicheismo tanto caro a sua maestà Stephen King, che sovente ha basato i suoi racconti sulla lotta tra il bene ed il male, come ad esempio nel bellissimo "L'Ombra Dello Scorpione (The Stand)", riportato in maniera convincente su video con l'omonima miniserie diretta da Mick Garris nel 1994, con la sempiterna "(Don't Fear) The Reaper" dei Blue Öyster Cult a fare da sigla di apertura. Ritmiche dispari, ruggiti di organo, martellanti accordi di pianoforte e nevrotici urli del sax fanno da colonna sonora. Ronnie Pilgrim è sempre più confuso sulla strada da intraprendere. Baratterebbe due tre giorni della sua nuova vita in cambio di una delle tante giornate apparentemente apatiche e piatte durante la sua vita terrena, invidiando anche i fallimentari umani in vita che sovente "prendono un granchio". Durante l'epica cavalcata degli strumenti, c'è spazio anche per un classico della vita quotidiana britannica, l'immancabile tè delle cinque, che mette sempre tutti d'accordo. Con l'avvento dell'ora del tè, la musica cala vistosamente d'intensità, per poi ripartire in quarta con una serie di escursione soliste, dove prima domina il sorprendente John Evans, per poi lasciare il campo a Martin Barre e al Pifferaio Magico. Breve stacco dai sentori barocchi e si riparte. Torna il treno tanto caro a Ian Anderson che spesso ha ispirato brani a dir poco storici come l'intramontabile "Locomotive Breath". Stavolta le rotaie portano al definitivo capolinea, ma esiste sempre una speranza per poter ripartire, alimentata dalla campana del capostazione. Calano nuovamente i BPM, Pilgrim ringrazia tutti per il caloroso benvenuto, ma nonostante le sue ali siano spezzate è determinato a ripartire verso altri lidi. Ancora una volta il brano sembra sfumare velocemente verso l'epilogo, ma prontamente rinasce, guidato da uno stanco strumming di chitarra, ricamato da raffinati fraseggi con la sei corde acustica. Si respira una piacevole e rilassante aria barocca molto simile a quelle proposte dagli Yes. I sonnolenti fraseggi di Martin Barre ci catapultano su una spiaggia deserta delle isole Hawaii. Improvvisamente un acido riff di chitarra rompe l'idilliaca atmosfera annunciando una marcia militare rafforzata da un flauto folk che rievoca l'inno della guerra civile americana "Southern Soldier". Siamo giunti finalmente nel famigerato salotto del misterioso Magus Perdè, che saluta Ronnie Pilgrim con un convincente "Hail!", invitandolo a fare un macabro "segno della morte eterna", e salutare con un benevolo "segno della croce" tutti coloro che stanno per "ESSERE", scritto volutamente in maiuscolo. Ovviamente, coloro che "stano per ESSERE" sono i fortunati che hanno beneficiato del dono della resurrezione. Gli strumenti continuano a fare evoluzioni strabilianti, confermando chiaramente l'anima progressive della band. Pilgrim invoca Magus Perdè a rompere la catena che lo tiene ancorato nell'Aldilà. Dalle barocche trame dai sentori folk i nostri passano ad una strofa energica dalla chiara anima rock che vede la chitarra distorta di Martin Barre protagonista. Con il tagliente verso "Tough are the soles that tread the knife's edge. (Dure sono le suole che calcano la lama del coltello)" Anderson va a scomodare il leggendario Lancillotto narrato Chrétien de Troyes, per poi dipingere con profonde licenze poetiche l'atavico duello fra il bene ed il male. Un breve stacco dove la chitarra acustica duella alla pari con quella elettrica ci porta sulle rive di un fiume (lo Stige?), dove le anime attendono di essere traghettate. Qui, accompagnata da squillanti fraseggi di chitarra di Hackettiane memorie, troviamo non solo esseri umani, ma anche numerosi animali in attesa di intraprendere una nuova vita. Un breve stacco all'unisono dall'aria orientaleggiante, annuncia un sassofono che stranamente ricorda le cornamuse irlandesi, rievocando l'inestinguibile anima folk della banda. Acidi stacchi di chitarra e filler di batteria duellano a lungo per poi lasciare il campo ad uno brillante stacco di basso che suggella la grande prova di Jeffrey Hammond Hammond alle quattro corde, il quale ci guida verso la strofa finale, dove Anderson azzarda una frase dai sentori pagani dichiarando apertamente che l'uomo è figlio di un uomo, non di un Dio, e che l'uomo è determinato a compare la fiamma della vita eterna, in quanto la vita è la cosa più importante che esiste. Dopo molta indecisione Ronnie Pilgrim ha fatto la sua scelta, né l'Inferno né il Paradiso sono riusciti a convincerlo, molto meglio tornarsene sulla Terra e sfruttare nel migliore dei modi una nuova occasione. Una militaresca marcia dettata dal flauto ci accompagna verso il gran finale, dove a confermare la ciclicità dell'opera ritroviamo una delle frasi ricorrenti del platter, accompagnata da decadenti accordi di pianoforte: "There was a rush along the Fulham Road. There was a hush in the Passion Play. (C'era trambusto lungo Fulham Road. C'era silenzio nel Mistero Sacro)". Ronnie Pilgrim, dalla pace surreale dell'Aldilà torna al caotico trambusto di Fulham Road.
Conclusioni
Se in molti (me compreso) avevano lanciato timide critiche nei confronti della seconda parte del monumentale "Thick As A Brick", critiche che peraltro non hanno intaccato minimamente l'eccellente valutazione finale, questo controverso "A Passion Play", dopo il simpatico interludio della lepre che ha perso gli occhiali, decolla prepotentemente nella seconda parte, cancellando la pioggia di recensioni negative da parte della stampa britannica che al tempo stroncò questa fantastica opera rock. L'unica cosa in cui concordo con Chris Welch e colleghi è la cripticità delle liriche. Chiaramente ispirato dalla Divina Commedia, Ian Anderson scrive la sua moderna visione del Paradiso e dell'Inferno, affrontando il controverso argomento della resurrezione e giocando molto su allitterazioni, citazioni e doppi sensi. A fatica sono riuscito a districarmi dalla vischiosa ragnatela delle liriche di "A Passion Play", lasciando comunque irrisolti alcuni passaggi, come la misteriosa identità dell'enigmatico Magus Perdè. Come sempre, Ian Anderson giganteggia anche in questo album, oltre alle pretenziose liriche, il nostro ci incanta con la sei corde acustica ed il flauto e ci sorprende con interessanti partiture di sax. Juggernaut. Sul secondo gradino del podio si piazza saldamente John Evans. Ian Anderson sfrutta al massimo l'estro e la tecnica del Tastierista Di Blackpool affidandogli l'ossatura di questa monumentale opera rock. Uomo ovunque. Al terzo posto si piazza uno stratosferico Barriemore Barlow, un batterista che picchia quando deve picchiare e sa essere raffinato quando la situazione lo richiede. Se sua maestà John Bonham arrivò a definirlo come il miglior batterista rock inglese di tutti i tempi, un motivo ci sarà. Granitico. Subito dietro troviamo Martin Barre, spesso oscurato dalla Martin D-28 di Re Anderson, fa comunque un grande lavoro alla sei corde, mettendo preziosi contrappunti e sfornando funamboliche escursioni soliste. Certosino. Infine, non per demeriti ma per le strabilianti performance dei colleghi, troviamo Jeffrey Hammond Hammond, costretto a fare gli straordinari dal compagno di sezione ritmica. Spesso ci incanta con lisergici giri di basso. Ipnotizzante. Rispetto al sua predecessore, le liriche impenetrabili, la mancanza di ammalianti linee vocali e di ritornelli facilmente immagazzinabili rendono "A Passion Play" un album difficile da apprendere, un album che per essere apprezzato a fondo richiede molti ascolti ed una profonda lettura delle liriche. Resta comunque un grande disco che non ha niente a che vedere con le critiche negative della stampa britannica, che infangò l'album al momento dell'uscita, ovvero il 13 Luglio del 1973. Registrato nel Marzo del 1973 presso i Morgan Studios di Londra, l'album è stato distribuito in tutto il globo dalla Chrysalis Records. La certosina e geniale produzione è opera di Ian Anderson, anche se fra i collaboratori addizionali, insieme all'immancabile David Palmer, all'ingegnere del suono Robin Black e al fotografo Brian Ward, troviamo Terry Ellis nelle vesti di produttore. Un altro aspetto significativo dell'album è l'inquietante copertina, che mostra una ballerina morta che perde sangue dalla bocca, distesa sul palco di un teatro dopo essersi sparata. Difficile stabilire il motivo di tale scelta, se non per il tetro, l'unico comun denominatore fra il platter e l'artwork, visto che l'album durante la presentazione live, veniva accompagnato da una elaborata scenografia teatrale. In alto, al centro della volta del teatro, il logo della band ed il titolo dell'album. L'angosciante immagine in bianco e nero è stata impressa su pellicola dal fotografo Brian Ward. Nonostante la maestosità del suo predecessore, le critiche negative della stampa britannica e l'uscita quasi contemporanea di capolavori come "Dark Side of the Moon" e "Larks' Tongues in Aspic", il flop casalingo fu compensato dall'espluà nel Nuovo Continente. Per quanto mi riguarda, se pur un gradino al di sotto del monumentale "Thick As A Brick", "A Passion Play" è un notevole album di progressive rock, consigliato solo ed esclusivamente ai veri intenditori del genere. A, dimenticavo, se incontrate Ian Anderson, chiedetegli chi diavolo sia Magus Perdè, e se si dimostra disponibile a chi è riferito il personaggio di fantasia Jack Rabbit. Aspetto notizie.
2) A Passion Play Part II