INSOMNIUM

Across the Dark

2009 - Candlelight Records

A CURA DI
EMANUELE RIVIERA
20/11/2016
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Si spalancano le porte dell'autunno, le giornate si accorciano inesorabilmente un dì dopo l'altro; e quale momento migliore, se non questo, per un nuovo appuntamento con la discografia dei finlandesi Insomnium, band da sempre caratterizzata da un sound elegiaco e melanconico che ben si confà alle interminabili e nebbiose ore che, probabilmente, ci attenderanno nelle prossime settimane, (soprattutto nel regno delle tenebre d'Italia per eccellenza, quale è la natia Pianura Padana)? Abbiamo lasciato il prode capitano Sevanen ed i suoi fidi scudieri FrimanVanni ed Hirvonen alle prese con la pubblicazione del loro primo ep ufficiale, Where The Last Wave Broke, (avvenuta, come ricorderete, solamente in formato digitale), e li ritroviamo solamente una quindicina di giorni dopo con un nuovo studio album fresco di stampa, fuoriuscito ancora una volta dalla casa madre britannica della Candlelight Records che segnerà un ulteriore passo in avanti, da un punto di vista qualitativo e di songwriting, nel corso della carriera discografica del quartetto originario di Joensuu. Il piccolo lavoro, poc'anzi citato, ebbe infatti una funzione preparatoria nei confronti dell'imminente nuovo lp: i due prodotti vennero registrati in un'unica sessione di registrazione, senza soluzione di continuità, nella primavera del 2009. Vennero scelti, nello specifico, i Fantom Studios di Tampere per incidere le sezioni di chitarra e di batteria ed i Noiseworks Studios di Helsinki per gli arrangiamenti elettronici aggiuntivi. L'album fu anche l'ultimo che la band registrò sotto l'attenta supervisione della label londinese, che ne aveva curato tutte le precedenti relaese, fungendo anche da valida promotrice dell'attività live del gruppo che, a partire dal successivo lavoro, passò sotto la maestosa ala protettrice, anche ben più remunerativa, (il ché non guasta mai), del colosso discografico che risponde al nome di Century Media Records, andando così a riunirsi, anche da un punto di vista strettamente contrattuale, con i loro "cugini" più grandi, gli svedesi Dark Tranquillity. Già si erano evidenziate alcune delle peculiarità stilistiche che erano state inserite in Where The Last Wave Broke: pertanto, in questa sede ci limiteremo a ricordarle, dal momento che saranno mantenute pressoché invariate all'interno dell'album oggetto della presente recensione, soltanto dilatate all'interno di un più ampio minutaggio complessivo. La title track dell'ep aveva visto l'inserimento di una seconda voce, pulita, a fare da contraltare al growl baritonale e profondo di Sevanen: l'intento principale, sia della band che della casa discografica, era quello di riuscire a mettere in risalto le singole tracce con una maggiore energia ed uno spessore più consistente; secondariamente tale soluzione era volta anche ad offrire una alternativa al vocalist che, pur svolgendo con dedizione ed impegno il proprio lavoro, non ha mai fatto dell'originalità stilistica il suo cavallo di battaglia predominante. Certamente corroborati dalle critiche positive ricevute, gli Insomnium decisero, pertanto, di riproporre il sodalizio con il bravo Jules Naveri in altre due canzoni contenute nel presente album, (oltre alla stessa Where The Last Wave Broke che troverà, anch'essa, spazio nella tracklist). Le tastiere di Aleksi Munter avevano inoltre aggiunto una briosa vena di modernità al sound tipicamente nordico ed oscuro della formazione finnica ed anche qui si ritaglieranno un discreto spazio di manovra, pur mantenendosi con discrezione sullo sfondo e quasi mai prevaricando il resto della strumentazione tradizionale. Per il resto la proposta musicale del combo finlandese muterà solamente in minima parte, anche se il sound apparirà più maturo ed omogeneo nel complesso e, se possibile, velato da un alone di commozione ed appassionata tristezza d'animo ancora maggiore che nei tre full length già descritti. Su quali premesse artistiche di fondo si basasse il quarto full length degli Insomnium risulta evidente fin dal titolo scelto: "Across the Dark (Attraverso l'oscurità)", ci fa intuire immediatamente quali saranno gli stati d'animo dominanti e le coordinate stilistiche attorno alle quali il sound del gruppo si muoverà nel corso dei prossimi tre quarti d'ora e se, ciò non bastasse, un ulteriore indizio di cosa ci apprestiamo ad ascoltare ci viene offerto dall'artwork di copertina. L'autore dello scatto è lo stesso Wille Naukkarinen, (anche chitarrista di formazioni poco note ai più), che, in seguito, collaborò con la band anche per Shadows Of The Dying Sun. Non vi è un solo sprazzo di luminosità nell'istantanea che fa da corollario all'lp: un cielo plumbeo e grigio, nella sua vastità sconfinata, un paesaggio tipico delle propaggini più settentrionali del Vecchio Continente, laddove lo sguardo umano può allungarsi per decine e decine di chilometri senza mai scorgere nulla in grado di modificare questa apparente staticità; i rami degli alberi, in procinto di perdere le ultime foglie, sono sferzati da un vento fragoroso di bufera, piccole goccioline d'acqua fanno capolino sull'obiettivo e sembrano avere l'intenzione di emergere dal contesto in cui sono poste per venirci incontro ed infilarsi nelle nostre ossa in tutta la loro umidità, un villaggio buio e senza vita si intravvede sullo sfondo con gli edifici più alti che paiono solleticare appena le pesanti nuvole cariche di pioggia e di tempesta. In primo piano si staglia una gentile figura femminile, i capelli, non eccessivamente lunghi, seguono anch'essi l'andamento del vento, i piedi sono immersi nell'acqua gelida e cristallina, ella sembra essere in cammino, incurante della solitudine circostante e dell'inclemenza del tempo. Per i più attenti osservatori qualche rimando, a livello di colorazioni e di ambientazioni paesaggistiche, può essere individuato con la copertina dell'album dei connazionali KalmahThe Black Waltz, uscito tre anni prima in cui, però, il soggetto principale era di sesso maschile e di età decisamente avanzata. Non a caso anche per il gruppo capitanato dai fratelli Kokko si trattava del quarto full length e non possiamo ignorare neppure una certa affinità per quanto riguarda il sound e le tematiche trattate, spesso incentrate sulla purezza ancestrale della natura, dalle due band, storicamente considerate affini l'una all'altra. Le atmosfere malinconiche che traspirano dall'artwork, il soggetto scarno e minimalista rappresentato e le stesse tinte adoperate sono, inoltre, facilmente riconducibili pure a certi lavori degli svedesi Katatonia che, abbandonati gli esordi caratterizzati da un death intriso di contaminazioni doom e venature black, si sono, nel corso degli anni, spostati verso sonorità gothic, arricchite da venature prog di grande fascino ed anch'essi assimilabili agli Insomnium per quanto riguarda l'utilizzo di cadenze decisamente lente e per la capacità di disegnare atmosfere cupe ed ombrose, straordinariamente ricche di contenuti altamente evocativi. Across The Dark seguì a distanza di oltre tre anni il precedente lpAbove The Weeping World e ciò contribuì in maniera importante a fare assumere connotati sempre più professionali e personali alla proposta sonora dei nostri, (tutti i membri della band ed, in modo particolare, il primo chitarrista Ville Friman collaborarono con Sami Oittinen alla produzione del disco stesso); la già ricordata pubblicazione intermedia di un piccolo ep accrebbe ulteriormente l'autostima all'interno dell'ensemble finlandese che ricambiò la fiducia riposta in loro dai fan con una serie di ottime esibizioni live in giro per l'Europa che fecero da gustoso antipasto per la conquista del suolo americano, mercato assolutamente strategico per ogni formazione che si rispetti. L'album, nella sua versione standard, consta di otto tracce alquanto eterogenee quanto a minutaggio complessivo: la durata dei singoli pezzi varierà, infatti dai tre agli oltre nove minuti totali. Una edizione speciale, per collezionisti accaniti, è stata immessa sul mercato lo stesso giorno di quella standard con l'aggiunta delle altre due canzoni che facevano parte dell'ep Where The Last Wave Broke.

Equivalence

Il lotto delle canzoni si apre, dunque, con la più breve delle otto tracce che andremo ad analizzare: "Equivalence (Equivalenza)" si configura come una delicata e soffusa opener di poco più di tre minuti tutta incentrata sulla ricerca della giusta atmosfera, come del resto già fatto, con successo, dalla band nel recente passato. L'intento principale degli Insomnium è quello di catalizzare subito l'attenzione e l'interesse dell'ascoltatore con un brano breve e di facile lettura, sia lirica che ritmica, e di contestualizzare con una certa precisione quale sarà il modus operandi del gruppo nel corso dei successivi quaranta minuti. Tuttavia è innegabile notare un ulteriore appesantimento complessivo del sound: lo percepiamo già nell'iniziale arpeggio acustico che si protrae, languido e commovente, per circa un minuto. Lungi da noi l'intenzione di limitarci ad un mero ed inutile esercizio classificatorio di stile, è pur sempre palese evidenziare come una introduzione di questo tipo rientri in pieno nella sfera di influenza del cosiddetto doom-gothic metal britannico, (Anthema e Paradise Lost solo per citare il non plus ultra del genere), tale e tanta è la tristezza che si percepisce in queste prime, drammatiche note presentateci. A poco a poco il suono delle due chitarre cresce di tono, (e non poteva essere altrimenti, in fondo), e pure la batteria fa la sua comparsa sulle scene con l'intento di movimentare un poco lo scenario pre-apocalittico che ci aveva accolto nei precedenti sessanta secondi. Il frontman Sevanen si affida, in prima battuta, ad una flebile e quasi impercettibile narrazione parlata per scandire le fugaci due strofe di cui la canzone si compone. Come facilmente intuibile dal titolo scelto vengono descritti due scenari quasi diametralmente opposti, il primo dominato dal buio e dall'oscurità più impenetrabile, il secondo squarciato da una luce sfavillante, in grado di illuminare a giorno il cielo, anche nel cuore della notte. Il comparto lirico è da sempre stato uno dei punti di forzi della formazione finlandese ed anche in questo caso, facilitati dalla breve durata del brano, il risultato complessivo che la band ottiene è veramente stupefacente. La prima stanza, come dicevamo poc'anzi, è in perfetto stile Insomnium: la malinconia in noi viene alimentata e nutrita senza sosta dall'aridità dell'animo delle persone che ci circondano, incapaci, (e nemmeno desiderosi), di provare qualsiasi sentimento di gioia e di benessere, preferiamo di gran lunga ubriacarci di una disperazione profonda, proviamo una gioia intima, tutta personale ed incomprensibile agli occhi degli altri, nel nostro fallimento, ci sentiamo liberati, sollevati nel provare dolore. Dopo averci condotto fino al nadir dell'orizzonte, gli Insomnium invertono di colpo la direzione di marcia e ci conducono, con fare spedito e sicuro, verso lo zenit astronomico, il punto immaginario che sta esattamente e perpendicolarmente sopra le nostre teste, (e ciò sorprende abbastanza per quelle che sono le ambientazioni tipicamente descritte dai quattro). Vivere, imparare ed amare, assaporare a fondo ogni esperienza che la vita è in grado di offrirci, giorno dopo giorno,  godere senza fine di un tesoro iridescente che non smette di brillare e di pulsare, nemmeno nel cuore della notte più buia. E' il trionfo della luce sulle tenebre, l'apoteosi del bene sul male, la vittoria definitiva ed ultima della vita sulla morte. L'urlo a perdifiato di Niilo del minuto 01:50 ci fa calare, definitivamente, al centro della contesa e ci ricorda come pure sempre di melodic death metal stiamo parlando. Le atmosfere risultano ora leggermente più distese e si respira una ventata di ritrovata fiducia nell'immediato futuro. Nella seconda porzione del pezzo vengono ripetute le precedenti due strofe, ma in questo frangente Sevanen si affida al suo tradizionale growl cavernoso che, nel corso degli anni, è divenuto ancora più aspro e gutturale. Il comparto strumentale si affida a pochi, semplici riff dalla resa garantita, mentre non vi è ancora traccia dei sintetizzatori e delle tastiere. A livello di atmosfere evocate, gli Insomnium sembrano, dunque, riportare indietro le lancette fino al 2002, anno del loro affascinante ed altrettanto magniloquente debut album, In The Halls of Awaiting.

Down With The Sun

In seconda posizione troviamo, poi, "Down With The Sun (Giù con il sole)", traccia scelta come primo singolo promozionale dell'album e di cui è stato girato pure un videoclip, (piuttosto debole e scontato), che riprende, ampliandoli, i concetti espressi nella precedente opener e li arricchisce di qualche pregevole sfumatura di tonalità più accese, tipiche del timido tepore primaverile. Il suono delle due chitarre appare decisamente più aggressivo ed incalzante, di conseguenza, meno rinunciataria è pure la batteria di Hirvonen, stimolata dai compagni ad innalzare verso l'alto il livello di tensione. Il vocalist sembra scavare ancora più a fondo nello spettro di tonalità espressive a sua disposizione e pare prendere a modello di riferimento il fenomenale Fernando Ribeiro dei portoghesi Moonspell, (ancora il meglio del gothic metal europeo di metà anni novanta). Ben riuscite sono, in questo caso, le transizioni dal ringhioso growl al soffuso parlato delle sezioni più lente, (eccezionale, in modo particolare, l'ultimo sospirante bisbiglio con il quale egli issa la bandiera bianca della resa, augurando la buonanotte al mondo intero). La melodia guida che i quattro scandiscono è dotata di un'andatura discretamente serrata in cui non mancano, certamente, delicati intermezzi riservati alla melodia più romantica. Il primo cambio di ritmo significativo, nel dettaglio, lo incontriamo al minuto 01:56: il binomio Friman - Vanni allunga sensibilmente i propri giri di chitarra e sciorina un sound rotondo, materico nella sua consistenza, mentre la batteria si posiziona, con sicurezza, su di un tradizionale mid tempo controllato e vigile. Difficile scorgere un contribuito significato da parte del basso: come spesso accade in band in cui tale strumento ricade nelle mani del vocalist le linee ritmiche utilizzate risultano piuttosto scevre di tecnicismi, "giuste" per essere udite sporadicamente con chiarezza e nulla più. Ciò non di meno i riff che si susseguono sono decisamente coinvolgenti, le accelerazioni che la band intraprende, dopo i doverosi momenti più pacati, sono dirompenti, trascinante è anche lo sviluppo dinamico della traccia nei suoi cinque minuti scarsi di durata, riteniamo particolarmente indicata per un headbanging selvaggio in sede live. Possiamo, indubbiamente, annoverare Down With The Sun come uno degli episodi meglio riusciti di questo lp. Una squisita sezione lirica fa da corredo ad un registro stilistico certamente interessante, anche se non troppo originale. Sevanen si misura una volta di più con il grande Edgar Allan Poe e ci schiude le porte dell'autunno che l'artwork di copertina, così abilmente, ha immortalato per noi. Per immergerci appieno nel clima umido, mesto e sofferto della stagione delle foglie morte, il frontman della band si rivolge direttamente alle tenebre chiedendo loro di cullare gentilmente il nostro riposo tra le braccia, il nostro desiderio impellente è quello di vedere il sorriso dell'oscurità con occhi mortali, terreni. La nostra invocazione, una vera e propria supplica disperata alla morte prosegue: che tu, o notte eterna, possa lenire il fardello dell'ennesima giornata vuota per me, innalza, dunque, la luna sopra la volta celeste affinché ella possa vegliare sul mio sonno profondo. Le stelle si fanno ora più oscure, il vento accresce di intensità nei pressi del maniero isolato ed in rovina in cui io giaccio, esanime, le foglie di una maestosa betulla sono sferzate da forti fremiti e paiono sul punto di cadere al suolo. Dopo le tenebre il nuovo interlocutore, cui Sevanen rivolge il suo accorato appello, diviene il silenzio: lasciami ondeggiare liberamente in questa assenza completa di suoni, simile ad un bambino in una culla mi trovo a mio agio ascoltando questa canzone perfettamente ovattata, fatta di niente, desidero udire solo i miei flebili sospiri, nel cuore della notte più nera. Fammi bere, fino all'ultimo sorso, il narcotico e dolce elisir dei sogni, l'eco della notte eterna è così straordinariamente immenso, così seducente per me, per compiere il passaggio estremo è necessario saper cogliere l'attimo giusto per perdermi, finalmente, in un oceano di oscura serenità, un barlume nero, eterno davanti ai miei occhi. Se vane sono le tribolazioni quotidiane, inutili gli spasmi del cuore e del tutto superflui i patimenti dell'animo, allora troverò la mia consolazione ultima in una fredda culla sotto terra. Per questo vi auguro la buonanotte.

Where The Last Wave Broke

Segue, in terza posizione all'interno della tracklist, "Where The Last Wave Broke (Dove ruppe l'ultima ondata)", brano che, non vi sarà certamente sfuggito, aveva dato il titolo al piccolo ep rilasciato un paio di settimane prima dell'album, in qualità di veicolo promozionale dello stesso. Se all'interno di un prodotto breve e transitorio come un extended play è per sua stessa natura, il brano era risultato, probabilmente, il migliore del lotto, inserito in un contesto più ampio ed espanso quale quello di un long playing esso perde, piuttosto inspiegabilmente, parecchio in termini di resa globale e finisce per essere superato da buona parte dei pezzi qui proposti. L'apporto da parte del secondo vocalist Jules Naveri che su ep ci era apparso tutto sommato positivo finisce così per apparirci fin troppo all'acqua di rose e quasi fuori luogo, all'interno di un quadro sonoro costituito da riff di chitarra pesanti ed austeri come non mai. Curiosamente l'ospite esterno assomiglia parecchio quanto a tonalità utilizzate e ad impostazione vocale al primo chitarrista della band, quel Ville Friman che, a partire dal successivo album, accompagnerà Sevanen nel cantato in pulito, con risultati, specie in One For Sorrow, decisamente migliori. Elegante è peraltro l'assolo che lo stesso lead guitarist ci regala poco prima dell'ingresso sulle scene da parte del singer principale Niilo. In linea di massima i toni risultano essere fin troppo dimessi, quasi come se la band fosse già a corto di energie, pur essendo solo alla terza traccia in scaletta. Un contesto generale di sciattezza cui non giova neppure il contributo del batterista Hirvonen, abbastanza monotono nel suo drumming, senza riuscire ad esplodere mai in una folgorante tempesta di fuoco, un qualcosa che ci lasci realmente stupefatti e a bocca aperta. Per dovere di cronaca va comunque segnalato che il pezzo in oggetto risulta decisamente più curato e definito in questa release, piuttosto che nel precedente lavoro e ciò lo si nota con maggiore evidenza nei momenti dedicati all'introspezione e alla intima meditazione. I suoni emergono in maniera cristallina e, anche grazie ad un bilanciamento generale più che buono, la prestazione maschia e potente del vocalist, in grado di ergersi in maniera granitica e muscolosa sopra al tappeto sonoro intessuto dalla strumentazione, risulta essere la nota di gran lunga più lieta contenuta nel pezzo stesso. Le corpose porzioni strumentali in testa ed in coda al brano, (quasi identiche quanto a durata e ad andamento complessivo), risultano assai affascinanti e sono utili per circoscrivere e per definire con esattezza i contorni entro i quali il brano si snoda: splendida, in modo particolare, l'outro finale di una quarantina di secondi che, a partire dal minuto 04:20, ci conduce fino al termine. Non è la prima volta che la band di Joensuu si segnala per la sua egregia capacità di sfumare con eleganza e raffinatezza le canzoni, riuscendo, d'altro canto a mantenere inalterata la tensione in chi ascolta fino all'ultima nota emessa. La natura è la protagonista assoluta del corredo lirico, (in questo caso steso per la maggior parte dallo stesso Friman): una natura deturpata della sua sconfinata bellezza ancestrale, maggiormente amplificata alle latitudini più estreme dove, storicamente, il deleterio impatto antropico è minore; una naturale purezza messa definitivamente in pericolo dagli interventi sciagurati dell'essere umano, vorace ed ingordo divoratore di suoli e di terre coltivate per far fronte a sempre maggiori necessità di sfruttamento edilizio ed, in ultima analisi, sensibile solo al tintinnio sonante del Dio denaro. Ecco, pertanto, che il brillante colore verde delle chiome degli alberi che un tempo brulicavano di vita, dell'odoroso manto erboso sopra cui eravamo soliti camminare, viene soppiantato da tonalità pallide e spente come il grigio della cenere degli incendi che divorano, senza sosta, quegli stessi alberi, della polvere che si leva da un suolo divenuto, nel frattempo, arido e desolato. Come si sentiranno i nostri figli ed i nostri nipoti di fronte allo sfacelo che lasceremo loro in eredità se continueremo di questo passo? Nuove carestie e nuove guerre sorgeranno, allorquando i pozzi saranno avvelenati irrimediabilmente e la terra sarà resa definitivamente sterile dalla mano avida ed insensibile dell'uomo. Anche l'acqua, elemento da sempre associato al candore ed alla purezza ed al fiorire della vita, ora è costretta a scorrere in letti artificiali e privata di quei terreni che, un tempo, ne costituivano naturale cassa di espansione in caso di piene. A seguito di piogge incessanti e durature anch'essa mostra, involontariamente, la sua anima più cattiva, si ribella ai nuovi equilibri imposti e reagisce nell'unico modo che le è consentito. L'acqua rompe, così, con violenza i nuovi argini entro cui l'uomo l'ha costretta ad incanalarsi per dare un naturale sfogo al suo corso, finendo, fatalmente, per seminare distruzione, panico e morte tra la popolazione. Le sue acque torbide, oscure come mai ci erano apparse in passato, si velano, anche, di sfumature color rosso sangue. Tutte le prospettive future che l'uomo andava vaneggiando, con opportunismo e senza farsi scrupolo alcuno, affogano, ora, nelle acque tumultuose della corrente, come il più fragile dei castelli di sabbia.

The Harrowing Years

Il quarto capitolo di Across The Dark è rappresentato dalla parimenti malinconica ed angosciosa, (fin dal titolo scelto), "The Harrowing Years (Gli anni strazianti)", il primo brano del lotto in cui evidente è l'influenza delle tastiere e dell'elettronica. Un ritrovato dinamismo strumentale ci accoglie fin dalle prime battute, le due chitarre si muovono con una più spiccata attitudine thrash/death e la batteria torna a pestare con una certa decisione i piatti a propria disposizione. Classico ed inconfondibile urlo animalesco di Niilo allo scoccare del trentesimo secondo, fondamentale per aprirci uno spiraglio nella pesante coltre di oscurità che ci stava attanagliando in una morsa sempre più avvinghiante, il pezzo appare concepito in chiave decisamente moderna. Aleksi Munter fa ben presto la sua comparsa presentando un affascinante corredo elettronico che affonda le sue radici principalmente nei fondamentali lavori dei connazionali Amorphis dell'accoppiata Tales From The Thousand Lakes - Elegy, il tutto corroborato da una brillante venatura folk squisitamente finlandese. Tuttavia quanto presentato nei primi sessanta secondi è destinato a rimanere un episodio isolato, simile al miraggio di una verde oasi rinfrescante in un mare di sabbia nel deserto, in quanto, ben presto, le cose cambiano in maniera repentina. Sorprende infatti che l'inizio della narrazione lirica sia affidato ad un parlato tenue, sofferto benché di grande impatto e ben accompagnato da una sezione strumentale fattasi, improvvisamente lenta e solenne a rimarcare la drammaticità del momento. Sopra di noi il cielo torna a farsi minacciosamente scuro, velato da un alone beffardo di luminosità, tipico degli istanti immediatamente antecedenti lo scatenarsi di un violento temporale. La funzione di metronomo, (ed è la prima volta che accade dall'inizio dell'album), è svolta sempre dai synth e dalle tastiere che si ritagliano il ruolo di protagonisti principali, relegando sullo sfondo le due chitarre che, a loro volta, si ancorano con ostinatezza, (perfino eccessiva), attorno a pochi, basilari riff, quasi stucchevoli a lungo andare. L'ingresso sulle scene del vocalist Naveri, chiamato ad affiancare Sevanen nel discreto refrain centrale, accentua ulteriormente il velo di malinconia e di tristezza generale, l'illusione di una ritrovata esplosione della luce del sole, che avevamo cullato un paio di minuti prima, pare svanire inevitabilmente. Migliore, a nostro avviso, questa seconda performance dell'ospite esterno: riusciamo ad apprezzare meglio il suo caldo e rotondo registro vocale e a percepire in lui un maggior coinvolgimento all'interno delle vicende descritte, quasi come se il buon Jules avesse vinto le timidezze iniziali e si fosse pienamente reso conto di far parte, anche se non in vesti ufficiali, di una delle migliori formazioni europee del momento. Dopo lo scoccare del secondo minuto, anche Sevanen si libera del chiavistello che lo teneva imbrigliato, lasciandosi andare a qualche breve e salutare sfuriata scandita dal suo growl selvaggio, peraltro subito edulcorata da più cospicui passaggi ritmati da un parlato appena accennato. Una formula già consolidata nel recente passato da parte degli Insomnium che, alquanto restii a qualsiasi rivoluzione copernicana di stile, viene riproposta anche in questa circostanza con i risultati più che discreti, (ma non trascendentali), che la preparazione e l'esperienza acquisite sul campo garantivano fin dalla partenza, senza che ciò possa essere sostanzialmente scalfito da un refrain portante di certo migliorabile. A partire dal minuto 04:18 i toni divengono alqaunto più sfumati e gentili per quello che si configura come un lungo intermezzo strumentale di oltre un minuto in cui compare anche una mesta chitarra acustica, utile anch'essa ad apporre il suo piccolo mattoncino alla causa comune. È ancora il valido Munter a guidare il resto del gruppo verso la conclusione del brano, con le sue briose aperture di tastiera, che avvicinano gli Insomnium alle migliori realtà finlandesi contemporanee in ambito melodic death metal (Eternal Tears of Sorrow, Mors Principium Est ed Omnium Gatherum in primis). Un brano di quasi sette minuti che, probabilmente, avrebbe giovato di una certa capacità di sintesi che, invece, non sempre è stata perseguita fino in fondo. Un Sevanen mai così maturo e sicuro di sé è quello cui il fido compagno Friman cede nuovamente la penna di narratore del gruppo. Quello che egli ha imparato, e di cui desidera farci partecipi, è che ogni forza di questo mondo finirà, prima o dopo, con lo schiacciarci verso il basso, gli anni passati a fuggire gravano come pesanti macigni sulle nostre spalle, l'amore striscia nei cuori in una forma indefinita, troppo vaga per essere circoscritta con precisione. I nostri sospiri divengono sempre più affannosi ogni giorno che passa, malediciamo tutti i passi che abbiamo percorso sopra a questo sentiero sventurato, l'anima è rigida, il viso perennemente imbronciato, la volontà è quella di perire a questa vita. Invano cerchiamo di dimenticare, inutilmente proviamo a perdonare, speriamo soltanto che il nero corvo, (ancora Poe quale riferimento letterario principe), che dimora nelle fitte brughiere di erica, colui il quale veglia sul cielo oscuro della sera, possa venire a prendere le nostre preoccupazioni, portare via per sempre le tribolazioni, desideriamo che lui ci faccia oltrepassare i laghi più profondi, fino a raggiungere le rive del cielo stellato. Anche il vino più buono e dolce, del resto, si tramuta in aceto con il passare del tempo, questo lo sappiamo con certezza, ogni sforzo che compiamo in vita è, quindi, del tutto inutile; sulla Terra siamo niente più che ospiti di passaggio, in perenne travaglio, le nostre voci risuonano flebilmente come echi lontani che, a poco a poco, si smarriscono nel crepuscolo della sera. Solo la morte porterà conforto ai nostri giorni, ho sentito dire da altri che tutto finisce con un sonno leggero, quasi consolatorio, ogni dolore viene meno nell'ora del distacco fatale, la nostra scadenza ultima sarà decretata nel cuore della notte. Ma so che tutto ciò è una bugia. E che noi saremo costretti a ben più gravose e sofferte tribolazioni, anche nel momento del distacco terreno.

Against The Stream

A condurci oltre la metà dell'album troviamo, quindi, la più aggressiva "Against The Stream (Contro corrente)", che mostra una band anche in grado di graffiare e di mordere la preda alla giugulare con determinazione e ferocia. E' con uno sferzante assalto di batteria in blast beats che la band ci accoglie all'interno della quinta traccia presentata, si percepisce un piacevole retrogusto old school nei confronti di quelli che furono gli autentici maestri del melodic death  di inizio anni novanta, (At the Gates ed In Flames più ancora che Dark Tranquillity, nel caso specifico). Hirvonen, finora piuttosto defilato, si erge quale protagonista principale di questa prima porzione di pezzo: il suo è un drumming scolastico, non particolarmente tecnico ma comunque in grado di trascinare verso l'alto il tiro della canzone stessa. Dopo una ventina di minuti in cui a dominare la scena sono state la malinconia e la tristezza, la band imposta nuove coordinate nel proprio navigatore interno e punta nella direzione di un approccio più diretto ed essenziale. Il singer scompiglia ulteriormente le carte in tavola proponendo una sorta di scream appena abbozzato, ovviamente ribassato nei toni, che risulta peraltro piuttosto efficace nel conferire la giusta dose di tensione alla narrazione lirica. Si rientra, almeno fino a metà pezzo, in quelli che sono gli stilemi tipici del fronte più melodico del metallo della morte: i riff eseguiti dalle due chitarre sono energici e ricchi di reminescenze thrash, la batteria prosegue spedita per la sua strada incalzando con un furore ed una determinazione mai avvertita prima d'ora nel corso dell'album. Sevanen prosegue poi la sua interpretazione riportandosi verso un più convenzionale growl e la traccia assume i connotati dell'epicità a partire dal minuto 03:05: qui parte un fenomenale intermezzo di una cinquantina di secondi dove ad essere in prima linea sono ancora la batteria di Markus e le tastiere di Aleksi che disegnano una melodia incantatrice di assoluto valore, (ancora una volta sono gli Amorphis del post debutto ad essere presi a modello di riferimento). I successivi novanta secondi assumono le sembianze di una irrefrenabile cavalcata a perdifiato verso l'orizzonte, verso quella sottile linea ideale di demarcazione tra il cielo e la terra, che, da sempre, rappresenta per l'uomo una meravigliosa metafora di libertà e di salvezza. Dal minuto 05:33 i toni si fanno nuovamente sfumati e fa capolino anche un sensuale pianoforte cui sono affidate le ultime, languide e commoventi note contenute in questa Against The Stream. Mirabile il contributo di tutta la sezione strumentale: dal primo all'ultimo istante chitarre, batteria e tastiere sanno miscelare nelle giuste dosi rabbia ed eleganza, brutalità e melodia, eccitazione e rilassamento. Il brano probabilmente più tirato dal punto di vista strumentale è anche uno di quelli in cui la coltre di oscurità che staziona sopra di noi si fa maggiormente spessa e minacciosa, per quanto concerne il comparto lirico, affidato nuovamente a Ville Friman per l'occasione. Cominciamo, così, la nostra discesa verso il basso, in un oceano di dolore e di angoscia, solcando il mare della disperazione, attraversando i boschi più fitti e bui della Terra, la corrente impetuosa di un torrente di alta montagna ci scuote senza sosta da una parte e dall'altra. Come la sabbia scivola via dalle nostre mani, così ogni cosa è destinata a finire un giorno, niente è deputato a rimanere per l'eternità. Ammaliante è il ritornello centrale che pare offrirci un qualche appiglio di speranza nell'altruismo e nella generosità del cuore. Per conferire l'eleganza che ogni essere vivente meriterebbe è necessario sperimentare la grandezza del donarsi con cuore sincero, la felicità sta nello spendersi per il prossimo, la tranquillità può essere raggiunta solo attraverso la semplicità d'animo. Noi però preferiamo proseguire la nostra discesa verso le tenebre, finendo per essere travolti sotto ad alte onde implacabili, scossi senza sosta tra i fragorosi cavalloni dell'oceano, affondati inesorabilmente nella palude fangosa dei sogni dimenticati. Veniamo a patti con i giorni che ancora ci restano da vivere, accettiamo, con rassegnazione, la nostra condizione attuale, accelerare o mutare il corso del tempo non ci salverà da un destino già scritto. Questo fiume, che scorre senza sosta e diviene sempre più profondo, ci condurrà, infine, verso l'oceano del dolore, il mare della disperazione ci accoglie tra le sue acque placide. La direzione è tracciata ed è una sola, inutile sperare di invertire la rotta per ritornare indietro, ormai.

Lay of The Autumn

Arriviamo, così, alla summa massima contenuta in questo album: "Lay of The Autumn (La disposizione dell'autunno)" è infatti una lunga traccia di oltre nove minuti che contiene al suo interno tutti i tratti distintivi tipici del sound degli Insomnium. Le chitarre ci accolgono con una iniziale sequela di riff dolorosi, toccanti fino alle lacrime, ma i cui toni crescono di intensità dopo una quarantina di secondi. Come se fossimo impegnati in una impegnativa corsa contro il tempo e sentissimo il nostro cuore battere all'impazzata, così anche il livello dell'epicità di questo pezzo cresce in maniera irrefrenabile, l'intenzione della band finlandese è chiara fin da principio: essi desiderano pungolarci, stuzzicarci affabilmente tra le corde della nostra anima, laddove, cioè, le emozioni sono più intense e palpabili. Il leader del gruppo, Sevanen, si cala alla perfezione in un simile scenario di magniloquenza gloriosa ed estremizza il suo cantato grazie ad una ulteriore enfatizzazione dei toni, di stampo lirico e teatrale. La coppia Friman - Vanni ha, nel frattempo, raggiunto un notevole livello di pesantezza del suono con le due sei corde che, partite da una distorsione piuttosto palese, progressivamente si fanno più pulite e cristalline. Proprio in direzione di un certo orientamento prog possiamo ascrivere questa prima porzione di brano in cui melodia raffinata ed oscurantismo potente si miscelano sapientemente in egual misura. Al minuto 02:06 ritroviamo Jules Naveri al cantato pulito: dopo un esordio balbettante, egli prosegue sulla buona direzione intrapresa in precedenza, accentuando ancora di più i toni melodrammatici e solenni della canzone. Cresce, di pari passo, anche l'intesa con il collega Niilo che, da par suo, scava sempre più in profondità nel proprio registro vocale. Il risultato così conseguito è un piacevole ed affascinante contrasto dinamico che offre uno spessore ben maggiore al comparto lirico, nella sua globalità. Il contributo della batteria non è così significativo, il grosso del lavoro è affidato agli strumenti a corda che, magistralmente, si disimpegnano con riff puntuali e vigorosi, senza mai cadere nella banalità da un lato e, d'altro canto, risultando anche sgombri di una eccessiva tecnica cervellotica fine a sé stessa. Dipanando la propria matassa su di un minutaggio più ampio, la band finisce per avvicinarsi abbastanza alla maestosità delle lunghe suite dei primi Opeth, ma lo fa con il garbo ed il rispetto necessari per non apparire eccessivamente ambiziosi o addirittura superbi: del resto la formazione nativa di Joensuu è perfettamente consapevole di dover pagare un pesante gap quanto a perizia stilistica e ad originalità compositiva nei confronti del gruppo capitanato da Akerfeldt ed inoltre diventare una delle innumerevoli band clone non è mai stata intenzione di Friman e soci. Così, sopra ad una base musicale che si arricchisce sempre più di elementi progressivi, vengono inserite anche piacevoli aperture folk che omaggiano la cultura finnica legata ad antiche tradizioni popolari tramandate oralmente, di generazione in generazione. Dal minuto 05:48 torna a regnare una calma disperata, quasi funerea, i toni si fanno nuovamente dimessi e smorzati. Nel momento in cui chitarristi e singer si concedono qualche istante di meritato riposo, a dirigere le operazioni sale in cattedra il secondo ospite esterno: sono, infatti, le tastiere di Munter a ritagliarsi una piccola porzione di gloria tutta per sé e a consentire al brano di risultare alquanto omogeneo, senza inappropriati cali di tensione e senza incorrere nel rischio di scemare in maniera troppo brusca verso il proprio epilogo. A differenza di Naveri, probabilmente dotato di un maggiore carisma personale e capace di correggere il tiro dopo un inizio non troppo convincente, va detto che Aleksi non riesce ad emergere in maniera altrettanto lampante con un contributo elettronico sempre troppo riconducibile ai connazionali Amorphis. Le sue tastiere, strumento tradizionalmente freddo e poco adatto a scatenare passioni travolgenti, non sempre riescono a toccare il nostro cuore fino in profondità, fermandosi, piuttosto ad un livello solo superficiale del substrato emozionale insito in ognuno di noi. L'ultimo spezzone di brano risuona intenso e serrato con un Sevanen davvero in grande spolvero, interprete eccellente delle vicende da lui stesso composte. Viene confermata la tradizione, valida soprattutto per la prima porzione di carriera, che la band finlandese riesca ad offrire il proprio meglio su pezzi dal minutaggio corposo, in cui minori sono i vincoli di sorta cui attenersi; peraltro va detto che gli Insomnium hanno quasi sempre preferito reinterpretare in chiave libera e personale la forma canzone piuttosto che attenersi alla canonica struttura strofa - pre chorus - chorus centrale. Il brano è scandito dall'alternarsi delle quattro stagioni, ognuna delle quali caratterizzata da stati d'animo differenti, diverse sono anche le colorazioni che la band propone, a seconda della stagione in cui ci troveremo calati. La voce è in frantumi, il cuore è pesante, sono questi gli stati d'animo che fanno da preambolo alla narrazione proposta. All'interno di un pozzo senza fondo risuona l'eco di una remota canzone soffusa che agita e turba il mio sonno irrequieto. Attraverso una terra arida è giunto fino a me il dolce aroma della primavera che ora colora di verde i prati. In me risplende una luce nuova, destinata però a spegnersi nel breve volgere di qualche mese, di illusoria speranza. I sogni cullati durante la tiepida estate ambrata si piegano di colpo come il grano battuto e percosso dalla falce, i ricordi dei giorni lieti appena trascorsi cadono come le foglie travolte dal vento. Le note che scandiscono il sopraggiungere del grigio dell'autunno sono intrise di nostalgia e di rimpianti, vengono pronunciate con tono amaro e con il cuore appesantito. E' una storia fatta di anime corrotte quella che io narro, e piango per i cuori che non sono più in grado di provare alcuna passione, la luce del sole e di tutte le stelle finirà con l'offuscarsi, la luna mostrerà soltanto la sua faccia oscura, ogni brano si placherà a poco a poco, fino a morire definitivamente. Il mio cuore è ridotto alla miseria, la bocca è arida, compromessa dalla sporcizia e dal troppo veleno che è stata costretta ad ingoiare. Ricordo di un tempo in cui potevo camminare gioiosamente al tuo fianco, fremevo e tremavo d'amore guardando i tuoi occhi, così belli e profondi. Ora che te ne sei andata per sempre sento solamente il grido straziante del vento, percepisco con timore il sospiro languido del dolore, il freddo si insinua subdolo dentro di me, lunghe sono le serate trascorse in solitudine, pure le stelle paiono essere mie complici gridando il loro strazio, all'interno di un cielo mai così oscuro. Tutto il mio mondo attuale inizia e finisce di fronte al cumulo delle tue ossa avvolte in un sobrio lenzuolo bianco. Ci avviciniamo così alla conclusione dell'album, non prima però di aver analizzato quella che, come altre canzoni già analizzate nel corso della carriera degli Insomnium, si configura come una vera e propria esperienza sensoriale a 360 gradi.

Into The Woods

E' il secondo chitarrista della band, Ville Vanni, in questo caso a farci da guida ideale tra le impenetrabili e rigogliose foreste che ammantano il territorio nazionale finlandese: il pezzo in questione è, per l'appunto, "Into The Woods (Nei boschi)". Per cogliere appieno ogni sfumatura ed ogni risvolto chiudiamo, pertanto, gli occhi, e apriamo i nostri cuori stanchi, sofferenti, è necessario concedere al nostro cicerone d'eccezione il lasciapassare per penetrare nella nostra sfera più intima, dobbiamo entrare in un'ottica ancestrale minimalista e quanto più possibile sobria, spogliata di tutto ciò che è superfluo. Ciò di cui abbiamo bisogno è che qualcuno lenisca i nostri patimenti interiori, dolori causati da un mondo esterno diabolico, infido. Sole e luna continueranno a rincorrersi senza sosta, il primo utile a scaldare la terra dalla quale estrarre prodotti vitali per la nostra esistenza e la seconda fondamentale per guidare i nostri passi in sicurezza anche al buio. In un mondo sempre più disordinato e tumultuoso il vento sibila flebilmente la sua triste nenia insinuandosi tra alberi spogli. Per me è giunto il momento di voltare le spalle al passato, mai più desidero mostrarmi agli altri come uno spaventapasseri informe, un anatema per il mondo intero, le acque calme, che pure mi hanno ristorato per un breve momento, non fanno per me troppo a lungo, desidero, viceversa, camminare fuori dai sentieri battuti, cercare il conforto nella solitudine, addentrarmi laddove i boschi si fanno più fitti ed arcani sono i sentieri da percorrere. L'arco del cielo fa da tetto alla mia casa, una pioggerellina leggera è l'unica musica che rinfranca il mio spirito, la sola che non mi tedia mai, il letto sopra a cui mi sdraio la sera è costituito da rami di ginepro profumato, una miscela di muschio e fango mi fa da cuscino. L'autunno vela con la sua brina la cima degli alberi più alti, i rami sono ancora troppo fragili per potermi accogliere lassù, solo alcuni leggiadri uccelli cinguettanti vi dimorano tra le fronde che vanno spogliandosi completamente. Da un punto di vista musicale la traccia mostra nuovamente l'anima più aggressiva e bellicosa del gruppo. I riff di chitarra esplodono nell'atmosfera con tutto il loro vigore fin dai primi istanti e pure la batteria di Hirvonen appare disposta ad alzare i toni della disfida. L'aurea di epicità che, da sempre ha circondato tutta la produzione principale degli Insomnium, questa volta sembra riportarci alla mente le gloriose cavalcate vichinghe degli svedesi Amon Amarth, anche se non mancano certe assonanze pure con un'altra delle migliori formazioni attualmente sul mercato per quanto concerne il cosiddetto modern melodic death metal, e cioè quella degli australiani Be'lakor. Improvvisi e repentini rallentamenti fanno da corollario ad una incredibile sequela di riff maschi e grintosi, il sound è permeato da una notevole pesantezza e da una maestosa potenza, possiamo sentire il boato dei tuoni che, inizialmente distanti e remoti, si avvicinano rapidamente e ci segnalano l'imminente arrivo del temporale. L'affiatamento tra i due omonimi chitarristi è pressoché totale e la loro perizia tecnica indiscutibile. L'intento dei quattro cavalieri di Joensuu è quello di riequilibrare in parte le forze messe in campo all'interno dell'album. A fronte di una maggioranza di pezzi in cui a farla da padrone sono languide atmosfere malinconiche e nostalgiche, inserire un paio di episodi incentrati su di un approccio diretto, "in your face", risulta certamente di fondamentale importanza per offrire una benefica scarica di adrenalina nelle vene degli ascoltatori che, con tutte le distinzioni del caso, stanno pur sempre ascoltando una band di death metal. Le tastiere svolgono diligentemente il loro lavoro e si ritagliano la loro discreta porzione di lavoro, nei momenti in cui il resto della strumentazione affievolisce un poco la tensione generale. Dopo lo scoccare del terzo minuto, qualche breve istante è concesso per la melodia, ma ben presto le chitarre tornano ad essere protagoniste con il loro martellante incedere, che ben si presta per una mirabolante resa live, dall'impatto devastatore garantito. Sevanen appare rinfrancato nello spirito e, rimasto ormai unico cantante per gli ultimi due episodi dell'album, sprigiona una discreta potenza di fuoco con il suo growl proverbialmente basso, perfetto per il sound della band. Alla luce di quanto asserito possiamo parlare, senza ombra di dubbio, di un altro pezzo davvero convincente, possente nel comparto ritmico e seducente per quanto riguarda la parte lirica, che conferma lo stato di salute ottimale della band e che ben ci predispone all'ascolto dell'ultimo pezzo del lotto.

Weighed Down With Sorrow

Con un autentico, disperato e sincero colpo di coda gli Insomnium ci regalano, in chiusura di album, una sensazionale gemma sfavillante di luce propria quale è "Weighed Down With Sorrow (Oppresso dal dolore)", pezzo che si candida di diritto a salire su una delle tre posizioni del podio ideale di questo Across The Dark. Bastano pochi secondi per capire la gravità e la solennità del momento: la melodia che incontriamo nei primi istanti è desolante, ci colpisce in pieno petto facendoci quasi perdere i sensi, le sfumature ossessive e claustrofobiche di grigio su cui eravamo stati collocati una quarantina di minuti prima lasciano, ora, il posto al nero della disperazione, del lutto, dello sconforto massimo. La schietta sofferenza che viene estrinsecata nei primi sessanta secondi del brano è paragonabile solamente ad alcuni pezzi dei già citati Katatonia, ma in questo caso assume una connotazione ancora superiore, che sa quasi di misticismo spirituale, i nostri occhi si ammantano di un sottile velo di lacrime quando ripensiamo pure al nefasto destino dell'indimenticato chitarrista Miika Tenkula, principale mente creativa dei prodigiosi connazionali Sentenced, tragicamente perito qualche mese prima della pubblicazione di quest'album ed anch'egli in grado di disegnare simili melodie struggenti, toccanti fino al più profondo anfratto dell'animo umano. Con discrezione, quasi in punta di piedi per non disturbare il nostro stato di commozione, le chitarre si fanno coraggio ed iniziano a crescere di intensità, sempre conservando attorno al esse un alone di aulicità magico, non facilmente descrivibile con umane parole. Anche la narrazione del testo, che fa da corredo alla sezione strumentale, si adatta all'importanza delle circostanze: le parole vengono pronunciate da Sevanen con attenzione e pacatezza ed echeggiano nell'aria con una nitidezza davvero invidiabile, (ottimo il lavoro in fase di produzione), l'ultimo appassionato messaggio che la band lancia vuole essere il più cristallino e limpido possibile, esso esula da qualsiasi dimensione temporale conosciuta per stagliarsi, con fierezza, nell'eternità. Il tempo delle illusioni è terminato, l'ora fatale ultima è sopraggiunta in tutta la sua gravità, è il momento di raccogliersi nella contemplazione e nel silenzio. Dal minuto 03:08 la melodia che viene scandita, davvero accattivante lungo tutti i sei minuti scarsi di durata, assume una connotazione vagamente progressiva, gli inserti delle tastiere fungono da preziosi ornamenti che fanno da corredo al più prezioso dei gioielli cesellati a mano. Gli Insomnium si esibiscono, dunque, in una superba suite conclusiva in cui i riferimenti gloriosi del passato si miscelano l'un l'altro in un connubio incantevole di melodia e di drammaticità, (possiamo scorgere anche accenni di Ensiferum, Opeth e Paradise Lost). Una così ampia schiera di modelli di riferimento è da intendere però non come un facile stratagemma per ovviare ad una carenza di originalità, piuttosto come un mirabile tentativo di far coesistere, con sorprendente omogeneità, in un unico pezzo correnti artistiche, influenze e stili musicali anche molto diversi tra loro. La personalità della band finlandese non viene minimamente inficiata da un così ricco background culturale cui attingere, viceversa essa appare accresciuta nelle dimensioni e meglio definita nel suoi termini, Weighed Down With Sorrow è un pezzo che solamente una band matura e consapevole della propria forza come gli Insomnium del 2009 potevano realizzare. Menzione d'onore, infine, va spesa per il formidabile lavoro dei due chitarristi, in grado di coinvolgere l'ascoltatore e di calarlo fisicamente al centro della melodia portante del brano, quanto realizzato dal binomio Friman - Vanni fuoriesce letteralmente dal nostro impianto stereo e si palesa, in tutto il suo splendore e la sua consistenza, alle nostre orecchie, quasi come se fossimo noi stessi presenti in studio di registrazione, accanto ai nostri adorati beniamini. Ciò che sorprende, piuttosto, è l'insolita decisione della band di collocare il brano in chiusura dell'album, quando, in genere, si tende a piazzare le canzoni ritenute migliori in apertura: possiamo intendere che tale scelta sia stata una sorta di ringraziamento nei confronti della Candlelight Records, trampolino di lancio ideale per la band stessa ed ormai prossima a veder partire gli Insomnium verso più redditizi lidi, ed una quanto mai gustosa anteprima verso l'apoteosi massima della band che sarà raggiunta un paio di anni dopo. Niente è in grado di riempire il nostro vuoto, nulla potrà mai alleviare né far svanire il dolore, ognuno nasce per sopportare al proprio interno la sofferenza. E' questo il significato, che mortifica fin da subito ogni nostra residua speranza, della prima stanza proposta. Il vostro mondo vi ha riservato sfide difficili, improbe ma per cui valeva ugualmente la pena battersi, il mio mondo, viceversa, è solamente una fredda landa desolata, nessuna possibilità di cambiare il corso del mio destino, non una speranza, nemmeno l'ombra di un'illusione, solo nel momento in cui sarò giunto alla fine del mio cammino tutto ciò avrà termine. Un uomo oppresso dal dolore, questo sono io, angosciato dalla solitudine, destinato a portare avanti la propria esistenza con disagio, in un mondo ogni giorno sempre più duro e spigoloso. Il mondo degli esclusi, il mio mondo, è arido e freddo, oscuro è il percorso per quanti non sono nella luce, costretti a custodire la bellezza in nostalgici ed utopici desideri, disposti ad aggrapparsi solamente all'amore in mezzo a così tanta sofferenza. Nessuna possibilità di disillusione, non in questo mondo almeno, per costui, un uomo oppresso dal dolore che solo alla fine della sua strada, con la morte, troverà pace.

Conclusioni

Giunti alla loro quarta fatica su lunga distanza, gli Insomnium alzano nuovamente il tiro mostrando una maturità stilistica ormai consolidata ed innalzando ulteriormente il livello del proprio songwriting. Gli otto pezzi contenuti in questo Across The Dark suonano in una maniera incredibilmente coesa l'uno all'altro, quasi a voler dipanare un'unica, formidabile matassa dove a dominare la scena sono atmosfere addirittura funeree e tragiche. Se provassimo ad azzardare la definizione di concept album per descrivere il contenuto dei questo lp non andremmo molto distanti dal dire un'esattezza: ci troviamo di fronte, infatti, a pochi, fondamentali argomenti chiave ripetuti ed ampliati, di volta in volta, con la consueta classe e con lo stile proprio tipico della formazione finlandese. A fare da cornice esterna al tutto troviamo, pertanto, l'inesorabile trascorrere del tempo scandito dal periodico ed eterno rincorrersi delle quattro stagioni, ognuna con i suoi colori, i suoi odori ed i suoi stati d'animo caratteristici, (esemplificativo, in questo senso, è il pezzo Lay Of The Autumn); ad un livello più interno ed in stretta correlazione a ciò si parla anche del lento, (ma del tutto naturale), deperimento del corpo, un tempo arzillo e dinamico, pur se già parzialmente disilluso, ed ora solcato da profonde rughe e ridotto in uno stato pietoso, ed in ultima istanza, nel livello più interno di questa affascinante matrioska, che per l'occasione è stata esportata oltre i 1340 km di confine che dividono la Russia dalla Finlandia, non manca il classico, magnifico elogio della morte, intesa quale momento fatale, topico in cui ogni patimento, ogni tormento sopportato durante la vita terrena avrà finalmente fine. Non mancano, come detto più sopra, anche momenti tirati ed aggressivi, il tutto confluisce però in un'unica direzione, volta cioè a dare ancor maggior trasporto e disperazione agli episodi più sofferti e drammatici dell'album. Tra i migliori episodi contenuti nell'lp possiamo, certamente, annoverare il singolo Down With The Sun con i suoi cambi di tempo azzeccati e con il suo drumming corposo e robusto, la lunga, struggente e ricca di contaminazioni progressive Lay Of The Autumn e la conclusiva Weighed Down With Sorrow in cui ogni speranza, ciascuna illusione è ormai svanita per sempre e le malinconiche note che vengono scandite ci trasportano, soavemente, nel silenzio che ogni situazione luttuosa, di gravoso distacco comporta. Semplicemente sensazionale è il lavoro svolto dalla coppia di chitarre, sempre precise nei loro riff e capaci di trasportare l'ascoltatore in una dimensione onirica, quasi irreale nella quale anche vicende così oscure e tetre paiono non essere eccessivamente pesanti da reggere, ma piuttosto risultano essere semplici passaggi intermedi sulla via che condurrà alla salvezza eterna che si conseguirà con la morte naturale. Buona è anche la prova del vocalist Sevanen che, grazie ad un growl cupo e profondo, riesce ad offrire un certo spessore di fondo, una volumetria tridimensionale alle vicende narrate; certo i mostri sacri del genere sono e restano su di un altro livello ma il buon Niilo svolge egregiamente la sua parte dietro al microfono ed è inoltre, (e non è cosa di poco conto), eccezionale scrittore lirico e penna assai ispirata al punto da ricevere nominations e premi in patria, (sfrutterà il suo talento qualche anno dopo come avremo modo di scoprire). Il contributo degli altri tre membri che hanno preso parte a questo lavoro non sposta più di tanto gli equilibri in gioco: il batterista Hirvonen, se si fa eccezione per il già citato riuscito episodio di Down With The Sun, preferisce rimanere sullo sfondo ed affida il grosso del lavoro ai due chitarristi. Il suo è un classico incedere in mid tempo, certamente ben eseguito e difficilmente criticabile, ma pochi sono gli affondi belluini in blast beats degni di essere menzionati. Il singer Naveri, unico ospite effettivamente esterno alla band, partito inizialmente in sordina nel primo pezzo, riesce a convincere maggiormente nel corso delle successive due songs in cui è chiamato in causa, anche se non sempre tali inserimenti in clean vocals paiono essere stati collocati nei momenti giusti, (il ché, in ogni caso, non è da attribuire a lui). Discorso similare può essere fatto pure per quanto riguarda il contributo di Aleksi Munter, ospite esterno solo sulla carta, ma di fatto membro aggiunto del gruppo, le cui tastiere suonano si briose e moderne, ma a volte fin troppo estranee a quello che è il modus operandi standard degli Insomnium, come a voler dire che poco o nulla sarebbe cambiato se ci fossero state o, viceversa, se fossero state assenti. L'ultimo album della band rilasciato sotto l'egida della Candlelight Records, (che compie un lavoro egregio quanto a produzione e a nitidezza dei suoni emessi), è anche quello che maggiormente si avvicina al primo, sia per qualità complessivamente espressa sia per atmosfere e pathos emozionale raggiunto. Un'ultima osservazione per concludere il nostro lavoro circa il presente album: non possiamo ancora scomodare il termine capolavoro per descrivere con un'unica parola questo Across The Dark, ma possiamo certamente parlare di un nuovo, ulteriore passo in avanti compiuto da Sevanen e soci sulla strada che li condurrà, di lì ad un paio di anni, al loro prodigioso One For Sorrow. Il trono più alto e prestigioso del melodic death metal moderno è ambitissimo e la concorrenza è quanto mai agguerrita: il guanto di sfida è stato lanciato e certamente gli Insomnium hanno tutte le carte in regola per partecipare al gran ballo che eleggerà il nuovo re.

1) Equivalence
2) Down With The Sun
3) Where The Last Wave Broke
4) The Harrowing Years
5) Against The Stream
6) Lay of The Autumn
7) Into The Woods
8) Weighed Down With Sorrow
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