IN MALICE'S WAKE

Eternal Nightfall

2088 - Punishment 18 Records

A CURA DI
NIMA TAYEBIAN
24/02/2016
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Si torna a parlare dei thrashers australiani In Malice's Wake, band il cui promettente esordio (l'Ep "Blackened Skies" del 2005) aveva fatto battere diversi cuori metallici grazie ad un thrash metal mai banale o scontato, capace di riportare alla memoria grandi maestri quali Testament e alcuni pilastri del thrash teutonico (Sodom, Destruction). Un prodotto, quello appena citato, che a parte la forte personalità palesata dal gruppo risulta capace di mantenere viva l'attenzione per tutta la durata della sua lunghezza. Una lunghezza non eccessiva, logicamente ci troviamo di fronte ad un Ep di quattro tracce della durata di neanche venti minuti. Tenere alta l'attenzione con un lotto esiguo di pezzi è solitamente molto più facile che intrattenere l'ascoltatore per quaranta/cinquanta minuti (se non oltre) proponendo il doppio dei brani, in un disco vero e proprio. Quindi è lecito domandarsi, in occasione di questa nuova recensione dedicata al loro primo full length -"Eternal Nightfall" del 2008 (ma di recentissimo ristampato dalla "Punishment 18 Records" con l'aggiunta del primissimo EP dei Nostri)- se i thrashers australiani siano riusciti nel compito di riversare tanta brillantezza, foga e lucidità artistica nel nuovo parto. La risposta è indubbiamente si. Il dischetto precedente, servito come antipasto a chi, nel thrash, cercava qualcosa di estremamente valido ed accattivante, viene in questo nuovo, compiuto parto (con quasi il triplo delle tracce rispetto all'Ep d'esordio: ne abbiamo undici) non solo a bissare quanto di buono era stato proposto su "Blackened Skies", ma anzi riesce a spingersi ancora più in là in quanto a maturità e a capacità di tenere calamitata l'attenzione. La violenza dell'esordio è ampiamente bissata anch'essa, ma i brani (se possibile), in certi frangenti risultano ancora più convincenti, più maturi, frutto di una band che nell'arco di pochissimo tempo ha decodificato un suo preciso linguaggio sino ad arrivare alla creazione di un personale modus operandi, avvicinabile solo per certi richiami ai propri numi tutelari. Chiaramente, per evitare fraintendimenti, ci tengo a specificare che non siamo di fronte a rivoluzioni epocali, dato che i linguaggi del thrash in questo prodotto seguono una linea standard, senza particolari evoluzioni, bizzarre traslazioni, nuovi metodi di sviluppo del linguaggio musicale. I nostri non giocano a fare i Coroner, non pretendono di creare nuove forme di thrash ma cercando di portare una ventata di aria fresca in una scena ancora una volta satura dopo l'esplosione del sottogenere "revival thrash", nuova ondata che cavalcando il fattore nostalgia ha riportato in auge un genere che dopo un incredibile sviluppo negli anni ottanta sembrava essere ormai surclassato da altri ben più estremi come black, death, ma anche da nuove forme collegate in maniera più diretta al thrash stesso, quali il groove (Pantera), post-thrash (Grip Inc)o  Djent (Meshuggah). Una "new wave of thrash" che già, solo nella stessa Australia, ha visto fiorire nomi di una certa caratura, dotati di un innegabile spessore (Envenomed, Damnations Day tanto per citarne un paio). Ci si mantiene dunque su un thrash canonico.. ma ragazzi, che thrash! Qualsiasi amante del suddetto genere nella sua accezione più classica non può che rimanere a bocca aperta dinnanzi a tanto splendore, considerando che il prodotto degli In Malice's Wake è un puro concentrato del più classico thrash venato qui e li di richiami "U.S. Metal" (in certe armonie). Ma non scomodo terminologie come "power/thrash" dato che l'asticella è più in direzione del secondo genere, mentre del primo si hanno pochi effluvi estetizzanti. Per la seconda volta abbiamo quindi un prodotto di altissimo livello, e non sarà neanche l'ultima, considerando che i nostri, mai latenti in quanto ad ispirazione, successivamente tirano fuori dal proverbiale cilindro altri due dischi assolutamente degni del loro nome: "The Thrashening" (nome che sa di dichiarazione di intenti) nel 2011 e il recentissimo "Light upon the Wicked" del 2015, entrambi ottimi, a testimonianza di una creatività mai destinata a scemare. Riguardo alla band ci sarebbe ben poco da dire avendo dato già uno spaccato biografico nella precedente recensione, ma considerando che molti potrebbero affrontare prima questa nuova disamina, è opportuno spendere almeno due righe su questo gruppo, rimandando a quest'ultima (e alle altre scritte dal resto della redazione) per eventuali info aggiuntive. La band nasce grazie agli sforzi di Shaun (Voce, chitarra) e Mark Farrugia (batteria) nel 2002. Nel corso degli anni, come visto in precedenza, gli In Malice's Wake danno alle stampe tre album, un'Ep, una demo (del 2003) e un live del 2014 ("Visions Of Live Destruction"). I nostri (il cui retaggio è da indicare nella prima schiera thrash), dotati di un'encomiabile serietà, raccolgono i frutti di tanti sforzi arrivando a suonare in sede live con Maestri incontrastati come i Destruction ed i Testament, che a loro tempo hanno giocato un ruolo fondamentale nella maturazione artistica del combo australiano. Ed arriviamo così all'analisi del loro secondo parto, quell "Eternal Nightfall" che come avrete capito dalle mie precedenti parole pregne di un certo entusiasmo rappresenta un nuovo vincente capitolo nella discografia degli australiani.

Intro

Si inizia con un'introduzione (chiamata semplicemente "Intro") che parte in fade in, costellata di rumori oscuri, inquietanti (un oscuro battito, un rumore che potrebbe essere quello del vento). Un inizio inquietante, sordido, brumoso, perfetto per avviare la nostra carneficina sonora. Solo venti secondi di pura atmosfera che fungono da degno preambolo a quanto sta per avvenire.

Pay The Price

La seguente "Pay The Price (Paga il Prezzo!)" inizia con un ricamo di chitarra elettrica maestoso, magniloquente, ancora pregno di una certa atmosfera (seppur in maniera completamente antitetica rispetto alla pillola "ambient" gustata nei primi secondi); in effetti, l'inizio sembra ricollegarsi a doppio filo all'introduzione, uscendo quasi dai meandri oscuri di quel tetro pantano brumoso per compiersi a tutti gli effetti in una melodica epifania. Oltrepassati i dieci secondi fa il suo ingresso anche la batteria, dapprima in maniera minimale, quindi, oltre i venti secondi, in maniera marziale, militaresca. Al termine di questa nuova consistente introduzione (un minuto scarso) che, come ripeto, potrebbe considerarsi a tutti gli effetti un appendice della prima, entriamo nel brano vero e proprio. Viene inanellato un riff compatto, reiterato, melodico, coadiuvato da una batteria indiavolata e precisa. A un minuto e venti subentra la voce di Shaun, forte di una notevole connotazione irosa, che si adagia sul tappeto ritmico strutturatosi precedentemente, non soggetto a variazioni particolari, almeno inizialmente. Via via la struttura, al contrario, sembra prestarsi a piccole variazioni negli accenti, piccole finezze nella ritmica che non incidono comunque sui tempi. A un minuto e quaranta si varia anche nelle ritmiche attraverso differenti accordi, stavolta con l'uso di note aperte, prolungate. A un minuto e cinquanta si torna allo stillicidio portante, fatto di ritmi affini a quanto sentito dal minuto in su. Quanto segue reitera uno schema già sentito (dal minuto e venti, quindi conseguente all'entrata in scena della voce di Shaun). Dal minuto e venti quindi un eco di quanto sentito in prossimità del minuto e quaranta (Shaun partorisce epiteti attraverso la sua ugola infuocata mentre la chitarra geme accordi destinati a spegnersi su note lunghe). Seguendo lo stesso schema la chitarra si diletta ora in note più stridule, sino a quando, arrivati a due minuti e quarantacinque, ci infiliamo in un bel cambio di tempo. I bpm calano, la struttura entra in un bel mid tempo. La chitarra si diletta in un rifferama molto evocativo destinato a spegnersi sempre su note allungate e a infilarsi in una parte (riproposta ciclicamente) molto pompata con basso e batteria in evidenza. La voce, che senza fare una piega, si mantiene pregna di astio, in questi frangenti sembra scivolare sul tappeto strumentale adagiandovisi con una certa armonia. Quasi slittando su quelle luciferine note di chitarra. A tre minuti e quaranta la chitarra si diletta in arzigogoli  riproposti un paio di volte. Verso i tre minuti e cinquanta è ancora la chitarra a giocare la parte del leone proponendo una parte melodica forte di una certa evocatività, reiterata più volte e presto raggiunta dai sapienti colpi di batteria. A quattro minuti e quindici circa torna la voce di Shaun, stavolta sorretta da una base più atonale, funzionale solo come sottofondo sonoro. A quattro minuti e trentacinque un bellissimo solo, serpeggiante e stridulo, che si incanala verso i quattro minuti e cinquantacinque ancora una volta in una parte serrata trainata dalla batteria, che echeggia la struttura principale sentita nelle prime battute. A livello testuale ci troviamo di fronte ad un testo che parla di oscuri scenari di rimembranza medioevale (o chissà, magari un Medioevo prossimo venturo, non ci è dato saperlo) in cui è la follia a dilagare. In un luogo che non ci è dato conoscere masse di persone si aggirano per le strade reclamando la morte dell'eretico. Si cerca chi ha peccato di apostasia per darlo in pasto alle fiamme, in un rogo purificatore che consumando le carni possa consegnare la sua anima al regno dei cieli. Ma la giustificazione religiosa è solo un pretesto per mascherare la follia (tematica molto attuale direi) di una massa ormai cieca. E il peccatore, il protagonista e personaggio narrante viene puntualmente preso e condannato ad una morte cieca. Ma ammonisce che "tutti dovranno pagare il loro prezzo", puntualizzando, nelle ultime battute di come la cecità del popolo impedisca di rendersi conto della violenza in atto e del sangue versato("La pazzia dilaga fra la massa,/ quelle disgraziate voci urlano in maniera isterica,/ vogliono la morte dell'eretico./ Non sorrideranno più,/ quando tutti dovranno pagare il loro prezzo../ Cala la notte, ci attende un silenzio tombale,/ "Liberaci dal male!!", cantano, assieme ai loro vicini./ Una processione di folli, chiunque vi marcia è un sadico./ Non sarò il primo ad essere arso vivo, non so se sarò l'ultimo.."). 

Eternal Nightfall

Ecco, ho usato in precedenza il termine "stillicidio sonoro". Questo termine si potrebbe adeguatamente usare per la successiva title track, "Eternal Nightfall (L'eterno crepuscolo)", in particolar modo per le prime battute introduttive. La parte iniziale di questo pezzo è davvero esplosiva, e non scherzo! Una rullata di batteria dà il via ad un riffing schizofrenico, malato, veloce! E' proprio la velocità a fare da leone per tutta questa prima parte, in un frangente che equivale ad una gragnola di baionettate provenienti da un agguerrito, implacabile battaglione. Il doppio pedale poi si adagia in maniera fantastica su quel terremotante riff facendoci balzare increduli dalle sedie. Pura violenza! E i nostri occhi iniziano a brillare di una luce malsana pregustandoci quel che verrà. A ventotto secondi forse l'apice di follia, grazie ad un nuovo riff ancora sparato ad una velocità pazzesca, con tutti i musicisti che sembrano fare a gara a chi si becca prima la tendinite. Meraviglioso! Se con il precedente pezzo si era iniziato bene qui i nostri sembrano essere in assoluto stato di grazia. A quaranta secondi circa si impone un "rallentamento" (rispetto a quanto sentito) ma non è un male, dato che a beneficiarne è una certa componente melodica, onnipresente nel sound dei nostri. In concomitanza col subentrare della voce la batteria si fa galoppante e il riffing si mantiene più "funzionale", adeguato a sostenere la performance del vocalist. A un minuto e cinque, dopo un paio di botta e risposta tra chitarra e batteria (nell'effettivo la chitarra non si stoppa mai, ma da ciclicamente spazio a forti accenti del drum kit di Mark, autentica "unstoppable force" della squadra) si ha un ottimo assolo bello veloce e melodico quanto basta. A un minuto e venticinque la voce si adagia sull'assolo e la batteria stempera i suoi colpi in battiti meno parossistici. A un minuto e trentazette per la nostra gioia si ritorna sui lidi di partenza, con ancora il riffing schizzato udito a partire dai primi secondi. Solo che stavolta, invece di tornare a quanto sentito dai ventotto secondi in su ci rincanaliamo in una parte più ragionata memore di quanto sentito dai quaranta secondi in su (con tanto di batteria galoppante). A due minuti e dieci ancora un botta e risposta tra chitarra e batteria (esattamente come in precedenza). A due minuti e venti ancora un bell'assolo la cui reminiscenza va cercata nell'assolo precedente. A due minuti e cinque tutto procede secondo schemi già rodati, con la voce che si va ad infilare nell'assolo. A due minuti e cinquantotto si impone un rallentamento "vero": dunque stavolta il rallentamento non è proporzionale ma effettivo, dato che entriamo in un frangente strutturato su tempi medi dettati dalla batteria e coadiuvati da tessiture melodiche di chitarra. Un frangente che attraverso certe atmosfere più meste ci porta dritti alla fine del brano. Testualmente ci troviamo ancora una volta d'innanzi ad un "orrore collettivo": dalla follia oscurantista del precedente brano si passa infatti ad una catastrofe nucleare destinata a cancellare la nostra umanità. Più precisamente si parla del fallout radioattivo causato dalla possibile esplosione di qualche ordigno (si rimane nell'ambito dei "forse" dato che la causa primaria non è minimamente specificata). Nel brano è specificato quel che avviene dopo il possibile disastro: ossia nubi tossiche che avanzano verso la folla inerme, fuoco e cenere all'orizzonte che testimoniano la fine del tutto. E i testimoni di questo orrore che si rendono conto di essere senza scampo, che le loro vite e peggio ancora, quelle dei loro figli, sono già segnate ("Lamenti straziati ancora riecheggiano, il silenzio divora la notte./ Una pioggia acida laverà via anche gli ultimi frammenti di questa vita./ L'incubo nucleare diviene realtà, la morte ci colpirà tutti, scendendo dal cielo./ Tutti guardano terrorizzati verso l'alto,/ nubi minacciose giungono a portarci la Fine./ La fine di tutto, la fine dei giorni../ la disgrazia incombe sulle nostre teste./ Il Crepuscolo eterno...").

Bitter Demise

Si continua alla grande con "Bitter Demise (Morte Amara)". Le prime battute sono affidate ad un'introduzione strumentale molto evocativa in cui la chitarra cesella un motivo tanto inquietante quanto trasognato. Inizialmente su toni bassi, cingolati, per poi passare, nella ripetizione dello stesso motivo, a toni più alti e "sibilanti". La batteria si inserisce in questo contesto in maniera puramente funzionale, come accompagnamento alla chitarra, senza particolari velleità. Si ha un'accelerazione del "motivo base" verso i quaranta secondi, imposto dalla batteria. Al minuto si ha un cambio nel riffing portante, stavolta su un mood spento, ribassato. Le ritmiche sono belle cariche, veloci, e la batteria ancora una volta detta egregiamente i tempi. A un minuto e dieci subentra anche la voce, seguendo il tappeto ritmico precedentemente forgiato. Non si hanno sostanziali variazioni di sorta. A un minuto e ventuno il tappeto ritmico si apre in un brevissimo svolazzo chitarristico che sfregia il tessuto sonoro sino ad ora molto compatto, mentre la batteria come sempre si dimostra molto varia accelerando in una fulminea mitragliata per poi ritornare su coordinate più standard, ma senza essere ripetitiva, monotona. Mark come sempre dimostra grande sapienza nell'uso del suo strumento, e la cosa si può notare in ogni singolo frangente. Il brano torna quindi sui suoi binari base, arrembante e aggressivo come uno stormo di caccia. A un minuto e cinquantasei un veloce stop, quindi una ripartenza in seno alle stesse coordinate. Le variazioni sino ad ora non sono macroscopiche, ma i passaggi riescono ad essere ugualmente vari grazie alla fantasiosa gestione dei vari frangenti da parte dei musicisti. Questo "secondo troncone" ripete in qualche maniera lo schema sentito prima dello stop evitando particolari cambi strutturali. A due minuti e quarantacinque, per deliziarci oltremodo Shaun piazza un bell'assolo di pregevolissima fattura, che, scortato dalla miracolosa batteria di Mark, ci conduce con una certa carica alla fine del brano. Il testo sembra ricollegarsi a doppio filo con il precedente brano, dato che stavolta si parla di oscuri personaggi emersi dalla distruzione ("Giungono lasciandosi indietro distruzione") subentrati per causare morte e dolore. Dunque possibilmente, dopo una catastrofe come la precedente sono emersi (non è specificato se la loro natura sia umana o demoniaca) determinati personaggi divenuti in qualche maniera dei signori della distruzione. Portatori di morte, si fanno strada tra i superstiti distruggendo quanto più possibile e portando alla follia le menti più deboli ("...si divertono causando dolore e distruzione./ Icone di malvagità, simboli di morte,/ sono destinati a governare./ Guerra e distruzione spianano la strada alla disperazione totale,/ l'odio genererà i suoi figli senza che nessuno lo fermi mai...").

To Run With the Darkness

Il quinto pezzo, "To Run With the Darkness (Correre con l'Oscurità)", inizia ancora una volta scortato da un preambolo strumentale, che con un po' di fantasia può ricordare certe cose dei Maiden (una versione aggiornata e ritmata dell'intro di "Remember Tomorrow"? Lo stesso titolo potrebbe anche ricordare la celebre "Can I Play With Madness"). Il pezzo, già apparso nell' "Ep Blackened Skies" ma con un titolo leggermente differente ("To Run With Darkness..." cambia di nuovo titolo in questa versione riproposta dalla "Punishment 18 Records". Non è solo il titolo a variare dalla versione EP a quella del full, dato che la parte "ambientale" con cui il pezzo aveva originariamente inizio viene del tutto tagliata e si inizia con quella parte strumentale evocativa di cui parlavo all'inizio della recensione. Dopo quasi una trentina di secondi (ventotto, per spaccare il capello), ci incanaliamo nel pezzo vero e proprio. Le prime battute sono affidate alla sola chitarra, che parte in quarta vergando un riff "circolare" che potrebbe rimandarci a un classico modus operandi del thrash "prima ondata". Pochi secondi dopo si aggiunge anche la batteria, dapprima essenziale (con pochi cronometrici rintocchi a scandire il tempo), quindi totalmente coprotagonista della tessitura, veloce, decisa, in perfetta sincronia con il deflagrante rifferama. La texture si fa dunque incalzante, con il riffing di base ripetuto cronometricamente sino al subentrare della voce (allo scoccare del cinquantunesimo secondo). Ci si assesta su ritmiche non eccessivamente dissimili rispetto a quanto sentito in precedenza (si echeggia il precedente lavoro alla chitarra e si mantiene la tensione) ma soggette a una certa variazione atta a rendere il riffing "quasi in sospeso" (il riff muta la sua circolarità, dunque, e si rimodella per avere maggiore adiacenza con il cantato). La voce di Shaun ancora una volta è un conglomerato di astio e cattiveria, cavernosa e ruvida, da pelle d'oca! Il suo apporto vocale risulta perfetto per queste trame davvero piene di energia e comunque non scevre da sapienti tocchi melodici. Al minuto e un quarto, in prossimità dell'urlo ferino di Shaun "To Run With The Darkness!!!!" si ritorna al rifferama di base. Al minuto e venticinque un cambio di tempo: la chitarra, superata questa soglia, mette in campo un giro di chitarra quadrato e vertiginoso. La batteria rimane in sordina i primi secondi, per poi fungere da deciso accompagnamento all"ascia". Dieci secondi dopo si cambia ancora. La chitarra si presta ad un cesellamento che ha come reminiscenza tanto metal classico, sfoggiando a più riprese un'enfasi ottantiana e retrò, e scivolando in accordi più lunghi nei frangenti cantati. A quasi due minuti vi è un reprise del rifferama udito dal minuto in poi, che ci porta ad un frangente la cui struttura del tutto simile a quanto ascoltato sino ai due minuti. Con una puntualità cronometrica ad un certo punto ritorniamo in seno al giro vertiginoso di chitarra sentito dai due minuti in poi, mantenendo la struttura in un'adiacenza totale con quello che potremmo definire "il troncone precedente". A due minuti e cinquantacinque fa di nuovo la sua comparsa quel giro ottantiano alternato alla voce rauca del singer. A tre minuti e venticinque fa la sua comparsa un solo guitar che ancora una volta subodora pesantemente di effluvi retrò (molto ottantiano, decisamente di reminiscenza classic metal). Finale affidato ad un ripescaggio del main riff. A livello testuale ci troviamo al cospetto di una song che parla di dannazione eterna, e, quasi sicuramente, come si evince da alcune parti del testo, di vampirismo ("Abbraccio il nero manto del cielo oscuro,/la coltre della notte, laddove la luce muore./Un'eterna sete brucia in me."). Il protagonista si trova emarginato dal giorno, confinato nella notte più nera, lontana da qualsiasi sprazzo di luce solare, destinato a vagare nell'ombra in eterno. Immortale - come tutti i vampiri, del resto - alla ricerca di vittime che possano sfamare la sua sempiterna sete, in un peregrinare continuo che lo porta ad isolarsi nella sua tetra maledizione ("La lussuria e la sete sorgono nel mentre il crepuscolo si tramuta in notte,/ e le ombre crescono, oscure e minacciose./ Ancora quello stimolo, cado in tentazione, non conosco controllo../ Sono consumato da questo desiderio, non v'è più luce../ Corro con l'oscurità, per sempre..").

Man-Made Death

Un interessante cesello di chitarra e batteria funge da introduzione strumentale alla successiva "Man-Made Death (Morte a misura d'Uomo)", al termine del quale, al trentatreesimo secondo si apre il brano vero e proprio. Entra in scena un riffing incalzante, forgiato su ritmi sostenuti, ripetuto più volte prima di un'accelerazione imposta dalla batteria. Al cinquantatreesimo secondo subentra la voce, che coincide con un cambio di riffing, meno evocativo del precedente (davvero interessante) e più funzionale. Un riffing soggetto a lievi cambiamenti nell'andamento generale, considerando le piccole variazioni a cui è soggetto già dal minuto e quindici. Ulteriore variazione ritmica in prossimità del refrain (dal minuto e ventidue, quindi si ricomincia su una struttura non troppo differente da quanto ascoltato dal trentesimo secondo (un minuto e trentadue). La parte procede speculare a quanto sentito in precedenza ricalcando il già sfruttato schema. Quindi abbiamo una riproposizione del cesellamento offerto nelle prime battute. A due minuti e trentasette si apre una parte più trasognata ed evocativa, acustica, sorretta da una batteria sapientemente dosata, che al terzo minuto collide con un ottimo, elettrico solo guitar, parecchio veloce e di assoluto pregio. La batteria gemella con la chitarra in maniera perfetta, offrendo un ulteriore spaccato delle doti innegabili di Mark. A tre minuti e ventitre ancora una volta viene riproposto il riffing usato dal trentaduesimo secondo, che si incanala a sua volta in un nuovo solo guitar, anch'esso particolarmente azzeccato, che, evaporando in fade out, ci porta dunque alla fine del brano. Testualmente, questo brano ripercorre gli scenari apocalittici della seconda e della terza traccia, con la differenza che stavolta il caos e la distruzione sono perpetrati da macchine costruite dall'uomo (Robot? Cyborg?) e a quest'ultimo ribellatesi. Inizialmente si parla di come l'uomo costruisca queste "macchine" con il fine ultimo di avere efficaci strumenti di morte; quindi si parla di come queste, sfuggite al controllo degli umani si siano rivoltate contro di loro seminando il caos. Uno scenario apocalittico alla "Matrix" ove comunque, al contrario del film citato non vi è nessun rifugio virtuale, solo una tremenda realtà in cui soccombere. Uno scenario questo che rispecchia le paure dell'uomo attuale in un epoca in cui la costruzione di macchine intelligenti potrebbe sottrarsi dall'ambito fantascientifico per divenire un preoccupante dato di fatto ("Menti deviate lavorano all'unisono per costruire macchine, macchine d'odio dispensatrici d'odio./ Sgorga la Morte dalle loro anime, spendono tutta la loro esistenza per raggiungere questo obbiettivo./ Una forza che non trova resistenza,/ le macchine si ribelleranno./ saremo schiacciati dalle nostre ambizioni./ Hanno perso il controllo delle loro creature, che ormai sono consapevoli di loro stesse...").

The Path Less Travelled

Si continua con la settima "The Path Less Travelled (Il sentiero meno percorso)", introdotta da una prima parte davvero egregia. Un introduzione strumentale evocativa, algida, dotata di una sottile malinconia, tutta giocata su fini arazzi chitarristici e un sapiente uso della batteria. Tale parte, inizialmente grigia ed autunnale, presto diviene ritmata (grazie al perfetto drum work), ma evitando assolutamente di velocizzarsi. A un minuto e quattro tale parte si incanala nel pezzo vero e proprio, introdotto da un bellissimo riffing, acre ma non estremamente aggressivo, coadiuvato da un gioco di batteria che ne aumenta la carica testosteronica. A un minuto e ventisette subentra anche la voce, sempre dotata di una invidiabile carica astiosa, e come da schema anche il riffing precedente cede il passo ad un nuovo rifferama, stavolta più compatto. Si prosegue su questa linea, con la batteria in sottofondo che come sempre si rivela una macchina di morte tanta è la precisione e la potenza sprigionata. A un minuto e trentanove ritorna il precedente riffing (quello sentito dal minuto e quattro), che a un minuto e cinquanta si muta nel secondo riffing. A due minuti un micro-stop decreta un momento di maggiore calma, eufemisticamente parlando, dato che si entra in una parte forgiata su tempi medi, Ancora un ottimo lavoro chitarristico a supporto del canto e una batteria più dosata. A due minuti e ventisette si ritorna alla carica, con un ulteriore utilizzo del primo riffing. Da qui un troncone non troppo dissimile da quanto sentito dal minuto e quattro. Prima il riffing di cui sopra, dunque il subentrare della voce e secondo, compattissimo riff. Quindi, nel proseguo, un alternanza dei due riff base. A tre minuti e dodici si rallenta di nuovo il tiro per una parte  più "morbida", melodica e lontana dal precedente attacco frontale. Dai tre minuti e quarantadue ha il via un bell'affresco acustico che successivamente si apre in un ottimo solo guitar venato di un innegabile epos. Introspettivo il testo, il cui argomento stavolta è focalizzato sul tempo che scorre e sulla volontà di andare avanti aldilà dei dubbi che gli altri insinuano nelle nostre menti, aldilà di ciò che le persone intorno a noi possano dire e pensare. La nostra permanenza in questa valle di lacrime, in questo mondo mortale è assai breve, e bisogna percorrere senza dubbio alcuno il proprio cammino non facendosi accecare da deleterie distrazioni ("Ci fermiamo in un punto preciso del sentiero che percorriamo,/ per riprendere fiato e riflettere./ Ci rendiamo conto che ogni cosa data per scontata è un'opportunità che perdiamo./ Ci sarà sempre qualcuno che ti dirà cosa non si deve fare.. dovrai dimostrargli che si sbaglia!/ Ci sarà sempre qualcuno che dubiterà di te.. non lasciarti scoraggiare e vai avanti./ Non ci sarà concesso di vivere per sempre,/ il tempo scorre via../ La Morte ce lo ricorda,/ non siamo qui per restare!").

As Dusk Covers Day

Si continua con la riproposizione di "As Dusk Covers Day (Il crepuscolo cala sul giorno)", stavolta ripresentata quasi del tutto uguale rispetto al brano contenuto nell'Ep, tranne che per una piccola variazione nell'introduzione. Subito dopo l'evocativo arpeggio iniziale infatti stavolta abbiamo dapprima un piccolo stop, quindi il brano che emerge gradualmente in fade in mentre nella versione precedente il brano non emerge in fade in ma è introdotto in maniera più diretta con una rullata alla batteria. Conseguentemente alla parte introduttiva, al quarantacinquesimo secondo si incomincia a correre. La trama si fa veloce, la chitarra impone un riff molto dinamico ben coadiuvata dalla batteria. Il rifferama viene reiterato ancora ed ancora, sino a mesmerizzare la mente dell'ascoltatore. A un minuto e otto subentra la voce, sempre dotata di una grinta sovrumana, mentre in sottofondo il rifferama rimane quasi il medesimo, con poche significative variazioni di sorta. A un minuto e trenta, con l'uscita di scena della sezione vocale, la batteria impone un'accelerazione, coadiuvata dalla chitarra, che saetta un nuovo incalzante riffing destinato a perdurare anche con il ritorno in scena della voce (1 minuto e 43). A un minuto e cinquantatre nuovo cambio di tempo e nuovo riffing a sostenere questo differente troncone. C'è quasi un botta e risposta tra un intarsio algido di chitarra e marziali mitragliate alla batteria. Il clima si fa maestoso, quasi epico e battagliero. Tale parte perdura sino ai due minuti e dodici, quando un nuovo gioco di chitarra e batteria si impone nella texture sonora. Ora la chitarra preferisce perdersi in giri meccanici culminanti con note allungate. La batteria esegue egregiamente il suo compito, non solo di supportare la chitarra e contribuire alla creazione di una buona base ritmica, ma esibendo una certa varietà. A due minuti e trentasette si ritorna in seno al riff di partenza (quello dal quarantacinquesimo secondo, che ora possiamo etichettare come "main riff"). E ci rincanaliamo in un frangente speculare a quanto sentito oltrepassata la soglia dei quaranta secondi, con cambi di tempo, di riff etc. Nulla da aggiungere su questa nuova parte, molto simile alla prima, tranne quel che possiamo udire dai quattro minuti e diciassette in su: abbiamo una lunga nota tirata allo spasmo supportata da un abile gioco di batteria, e qui (chi non avesse sentito il brano contenuto nell'Ep) potrebbe pensare ad una conclusione. Ma non è così, dato che è un ottimo assolo di chitarra a sigillare il commiato. Un assolo ancora una volta molto bello, ben riuscito, un ottima conclusione per questo superlativo brano riproposto ex-novo. Il testo del brano è tutto incentrato su una sorta di "amarcord" del protagonista, che rimembra su un passato altresì dolce, rispetto all'aspro presente (tematica questa che ci può ricordare non pochi prodotti "burzumiani"). E la memoria si perde in frangenti ancora vivi per il protagonista, ma ormai appartenenti ad un tempo che fu. Un passato quasi mitico ora soppiantato da un presente triste, spoglio. Forse l'apocalisse è ormai sopraggiunto, la disperazione ha coperto il mondo, la gioia ha smesso di baluginare dagli sguardi ormai assenti dei pochi sopravvissuti. Il presente, quel che rimane, è solo dolore, disperazione, ed andare avanti è sempre una sorta di sfida ("Ho guardato le stelle brillare nell'oscurità per tanto di quel tempo../ ho percepito la tristezza che proveniva dai ricordi di un dolce passato./ Un passato ancora vivo nella mia mente, ma morto per il resto del mondo./ Perso, ormai, coperto dalle sabbie del tempo./ La tristezza colma il vuoto di questi ricordi ormai bruciati,e un freddo Vuoto rimbomba, nel mentre che il crepuscolo abbraccia il giorno./ Sopravvivere, oggi, vuol dire morire ancora da vivi...").

Weakness In Numbers

A seguire un altro estratto dal precedente Ep (l'ultimo, dato che la title track non è stata inserita in scaletta), ossia "Weakness In Numbers (Debolezza nei numeri)", stavolta abbastanza fedele (osservare il minutaggio di entrambe per credere: la versione Ep dura 4 minuti e 35, la versione album 4 minuti e 34. La differenza, risibile è di un secondo). Tra le pochissime variazioni il non-utilizzo dello shriek da parte di Shaun dal minuto e ventinove alternato al suo normale registro vocale. Si preferisce stavolta adoperare una unica linea vocale. Il brano in questione inizia mettendo in campo un giro di chitarra elettrica ansiogeno, da colonna sonora di qualche bel filmetto dell'orrore, accompagnata da una batteria sicuramente essenziale, da accompagnamento. Quindi niente velocità o funambolismi, il tutto si riduce all'essenziale per permettere alla chitarra di esprimere al massimo il proprio mortifero suono. A circa trenta secondi pur restando la stessa traccia di base si impone un'accelerazione, che ci porta al cinquantesimo secondo ad una rullata di batteria e ad un cambio di riff. A subentrare è un giro ancora particolarmente ansiogeno, ma al contempo venato di epos, veloce, incalzante, coadiuvato da una batteria che ancora una volta sa mantenersi particolarmente varia. A un minuto e due secondi si cambia di misura: pur mantenendo lo stesso rifferama di base la velocità aumenta (l'incremento di bpm è dettato dalle pelli, ancora pregne di una invidiabile varietà ma capaci ora di accelerare considerevolmente il passo). Dopo un lungo frangente esclusivamente strumentale, al minuto e ventitre fa finalmente la sua comparsa Shaun, con la sua deflagrante voce. A un minuto e quarantasette variazione nel riff, capace di richiamare certe architetture heavy e melodeath. Tale riff viene ripetuto più volte (quattro) prima di un'ennesimo cambio (preceduto da un ricamo di basso). Il riff che si va a sostituire al precedente risulta lo stesso sentito dal minuto e tre secondi. La nuova parte, ne consegue, segue gli stessi schemi uditi da quel particolare momento in poi. Verso i tre minuti e cinque ancora un accordo prolungato di chitarra che potrebbe farci pensare ad una possibile chiusura del brano. Ma Dai tre minuti e un quarto siamo funestati (molto piacevolmente) da una gragnola marziale di colpi di batteria. Una appendice molto militaresca, ancora "disturbata" dal lungo accordo che fatica a spegnersi, trasformandosi invece cesellamento di chitarra che presupporrebbe nuove "invenzioni", ma che dopo poco entra nell'oblio. L'impostazione marziale dettata dalla batteria continua incessante, e ai tre minuti e quaranta si sviluppa un preambolo di chitarra che culmina con un grandioso, bellissimo solo accompagnata da una batteria che cambia il tempo ma mantiene la sua impostazione marziale, meccanica, con un eco post-thrash/groove. La batteria cessa il suo lavoro meccanico ai tre minuti e cinquantaquattro per tornare dunque entro coordinate più canoniche (ma la varietà non viene mai a mancare, nulla puzza di banale o trito. E già posso dire "magari tutti i gruppi thrash avessero un batterista come Mark!") mentre il solo si sviluppa lirico nel suo incedere volando libero nell'etere come uno stormo di fenici, con la stessa classe, bellezza e accecante luminosità. Ed è questo ultima grande prova (da brividi!) che ci porta al termine del brano. Il testo ha come fulcro il "j'accuse" del protagonista nei confronti di un subdolo personaggio capace di rubare fama, successo e personalità a molte persone dotate di un autentico valore, cosa che l'abbietto personaggio del brano non ha, essendo solo capace di parassitare l'"essenza vitale" dalle persone che lo circondano. Quindi riuscire ad avere gloria ed onori a discapito di molte altre persone che le avrebbero effettivamente meritate perché più valide, più dotate. La sua infida personalità fa si che questi si circondi di un nutrito gruppo di persone, che lo considerano una sorta di "leader naturale". Un uomo forte di una personalità deviata, ma magnetica, simulacro, rappresentazione di tanti politici, politicanti, santoni, guru (Hitler, Manson, Jim Jones) che si sono succeduti nel secolo scorso. E metafora di come l'uomo segua il "potere": gli scaltri sfruttandolo a proprio favore, i deboli facendosene assoggettare per essere guidati, avendo purtroppo una personalità fragile e latitante ("La tua coscienza è morta assieme alla tua umanità,/ non avevi abbastanza forza per lottare affinché i tuoi sogni si realizzassero../ così hai deciso di rubare a chi invece ci è riuscito!/ Stringi fra le tue braccia la codardia e la debolezza,/ proprio come quegli sciocchi codardi che ti vengono dietro./ Sei la condanna per le vite di molti../ tu e quelli come te siete tutti uguali!!/ Sei accecato dalla cupidigia,/ ma senza il tuo branco sei solo un povero e debole sciacallo!").

Where Silence Hides

Si continua con la strumentale "Where Silence Hides (Dove il silenzio di nasconde)", introdotta ancora una volta da un evocativo giro ambient (e ancora il mio sguardo si volge in direzione Maiden. Non che siano gli unici ad aver usato giri ambientali per introdurre o spezzare brani - "The Rime Of The Ancient Mariner" - ma il tocco, l'impronta risulta molto maideniana, o forse è qualche particolare alchimia che in questi frangenti me li riporta alla mente). Cosa dire a proposito di un tal pezzo, un capolavoro strumentale di quasi cinque minuti, capace di inebriarci e farci volare distanti con la mente? Molto si potrebbe dire a riguardo. Il pezzo non è tassativamente thrash, nella sua più stretta accezione. Non troviamo bordate deflagranti offerte da chitarroni incazzati, riff marziali ripetuti et similia. Quel che troviamo è un'autentico viaggio (ed è lecito usare quest'espressione) le cui coordinate sono più affini all'U.s. power metal condito da insaporiture "classic metal" (potremmo incanalare il brano in quest'ultima etichetta, comunque restrittiva, se non fosse per la batteria comunque bella pompata). Comunque qualsiasi etichetta non può dare un'idea completa di un simile pezzo di maestria, un effluvio di note capaci di spingere il nostro io lontano nell'etere, proiettarlo verso altri mondi, dimensioni. Un viaggio, per ripetermi, capace di portarci lontano, davvero molto lontano. E mentre scrivo ascolto e riascolto cercando le giuste parole per dare un'idea del prisma di sentimenti, di emozioni che saettano una dopo l'altra dentro me, ma è impossibile catalogare e raccogliere ogni singola sensazione.

Mental Disarrey

Ma proseguiamo, per arrivare alla conclusiva "Mental Disarrey (Disordine Mentale)", undicesima traccia. L'inizio è affidato ad un riff carico ed aggressivo, ripetuto più e più volte, accompagnato dalla solita, precisa ed efficacissima batteria. Un breve stop verso i quaranta secondi ci porta in seno al pezzo vero e proprio. L'attacco è fulmineo, si gioca in velocità con un riff spaccaossa e un drum work lancinante. Tale frangente se la batte in quanto a folle aggressività con la parte iniziale della title track, altrettanto deflagrante. Ed ancora una volta ci brillano gli occhi, il livello di testosterone sale verso punte irraggiungibili. Il concetto stesso di "thrash" si sta manifestando alle nostre orecchie in tutta la sua assassina irruenza. Il subentrare della voce (un minuto e quattordici) non decreta nessun ammorbidimento del mood generale, anzi, si continua su coordinate implacabilmente assassine, con un riff micidiale sparato a ripetizione come una scarica di cannonate, e la batteria che sembra una macchina frantuma-ossa (se esiste un'oggetto del genere è sicuramente il drum kit di Mark). Il proseguo è sparato a mille, veloce, implacabile. A un minuto e trentacinque subentra un fifferama ancora più truce, da pelle d'oca, mentre Shaun rigurgita tutto l'astio di questo e quell'altro mondo. Cambio di riff a quasi due minuti. Ancora una volta non si lesina in potenza. Sino ad ora il pezzo si mantiene sullo status di CAPOLAVORO. A due minuti e sette ancora un cambio di riff, ed è inutile ribadire che la potenza rimane inalterata. I riff si susseguono uno dopo l'altro mentre il tasso dei bpm rimane molto alto. Un pezzo del genere può avere lo stesso effetto della caffeina, anzi, meglio ancora, penso possa risvegliare i morti. A due minuti e cinquanta, dopo una micidiale alternanza di riff in velocità si impone un rallentamento, dettato da una parte che pur perdendo bpm mantiene alta l'adrenalina con un lavoro chitarristico estremamente teso. A tre minuti e cinque un solo guitar da pelle d'oca, molto breve (circa dieci secondi) ma comunque incisivo. Terminato l'assolo si ritorna nel frangente rallentato, iniziato verso i due minuti e cinquanta e interrotto unicamente dall'assolo. I connotati di questa nuova parte sono comunque meno tesi, contando su un guitar work  da "fondale" e una batteria assai dosata. A tre minuti e quarantasei nuova accelerazione, stavolta per un assolo lanciato alla velocità della luce. Un assolo che chiude in bellezza il brano e a conti fatti il disco (per quanto la nuova versione della "Punishment 18 Records", come specificato in precedenza, ha ripubblicato il disco con le quattro tracce dell'ep "Blackened Skies" come bonus tracks). Stavolta, argomento del brano, è la follia. La più pura e semplice follia che si manifesta come un'orda di demoni inarrestabili destinati a prendere il sopravvento sul protagonista ogni volta che questi chiude gli occhi. Una malattia mentale acuta, terribile, che porta il protagonista in un totale senso di confusione, tanto da portarlo in una sorta di oblio mentale e cancellargli la memoria. Non solo: talmente la malattia mentale prende corpo che porta il protagonista sull'orlo della morte, tanto da fargli dubitare, ad un certo punto di essere ancora nel nostro mondo ("Sono stato posseduto da sogni che neanche ricordo,/ creazioni degli angoli più reconditi della mia mente./ Non posso scappare da questi demoni implacabili,/ che giungono a farmi visita ogni volta che chiudo gli occhi./ Mi accorgo di non essere più sano di mente,/ travolto dalle onde della pazzia,/ non ricordo neanche come mi chiamo!/ I miei pensieri vengono strappati via,/ divorati dal caos...").

Conclusioni

Arriviamo dunque alla fine di questo brillante parto, che decreta indubbiamente una sensibile riconferma dell'indiscutibile bravura dei nostri. Chi aveva dubbi e timori riguardo a cosa potesse riservare il loro primo full length (spesso la genuinità di un primo Ep o demo rischia di dissiparsi o diluirsi in maniera controproduttiva in un parto ufficiale, prima prova del nove di una band) viene smentito e rincuorato considerando che questo "Eternal Nightfall", oltre ad essere - come specificato - un disco capace di riconfermare quanto di buono sentito nel primo mini parto, decreta una sensibile maturazione espressa in ben undici tracce (tre delle quali già apparse nell'Ep, ma qui rifinite, seppur di misura) di grande gusto, impatto ed espressività. Tutto quel che noi thrashers avevamo bisogno di sentire si trova qui, tra questi solchi, con punte assolute nella title track e nella conclusiva "Mental Disarray", ambedue apici della violenza sonora del disco in questione. Ma è impossibile tacere di pezzi incredibili come "Pay To Price" o "The Path Less Travelled", oppure della sublime strumentale "Where Silence Hides" (adeguata rivale di "Orion" e "The Call Of Ktulu" dei Metallica per quanto riguarda la capacità di articolare perfette architetture sonore) brano capace davvero di portare le nostre facoltà cognitive oltre immaginarie soglie. Insomma, un disco incredibile, consigliabile non solo a qualsiasi thrasher le cui preferenze sono rivolte all'accezione più classica del genere, ma a qualsiasi amante del genere metal desideroso di gustarsi qualcosa di veramente bello. Non ci troviamo di fronte a qualcosa di totalmente, assolutamente originale, e sarebbe improponibile avere certe pretese riguardo a qualsiasi gruppo appartenente ad una scena revivalista. Ma nonostante possibili richiami a quelli che, a tutti gli effetti sono considerabili come loro "maestri" e numi tutelari (Testament, Sodom, Destruction) la personalità dei nostri è assolutamente evidente. Nessun plagio, nessun citazionismo, solo una lezione, impartita dai big del genere perfettamente assimilata e rielaborata. Cosa normale dato che qualsiasi grande artista - o gruppo -  nel campo musicale ha sempre avuto numi tutelari a cui ispirarsi prima di prendere coscienza delle proprie capacità espressive ed iniziare a fare qualcosa di totalmente originale e "proprio". Dunque non ci resta che aspettare. Sappiamo già che con il tempo una band del genere non potrà che  darci sempre maggiori soddisfazioni, scrollandosi gradualmente di dosso gli ultimi richiami ai propri numi tutelari. Nel frattempo, inutile ribadirlo, promuovo orgogliosamente quest'album inchinandomi di fronte a tanta maestria. Bravissimi ragazzi...cento e passa album come questi. Chapeau!

1) Intro
2) Pay The Price
3) Eternal Nightfall
4) Bitter Demise
5) To Run With the Darkness
6) Man-Made Death
7) The Path Less Travelled
8) As Dusk Covers Day
9) Weakness In Numbers
10) Where Silence Hides
11) Mental Disarrey
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