IMMORTAL

The Seventh Date of Blashyrkh

2010 - Nuclear Blast

A CURA DI
CORRADO PENASSO
05/09/2014
TEMPO DI LETTURA:
9

Recensione

Per ogni fan di un gruppo, il poter andare ad assistere al live dello stesso è sempre motivo di sensazioni più disparate, specialmente se il gruppo in questione è tra i suoi cinque preferiti. Il turbinio di emozioni che provai a quel Wacken Open Air 2007, lo devo ammettere, mi sconquassò a tal punto da farmi faticare a prendere sonno per alcune notti prima e dopo. La qualità e la quantità di band a me care quell'anno fu enorme ma tra tutte, una sola spiccava: Immortal. Il primo album che comprai, ad un paio di anni di distanza dalla sua uscita, fu quel capolavoro di At The Heart of Winter ed avevo da poco iniziato il liceo. Lo ammetto, lo comprai per la copertina perché allora non c'erano tutte le possibilità ed i mezzi per farsi un'idea sulla musica di una band. Allora c'era giusto un sito dove scaricare alcuni brani per sentire se la proposta musicale della band potesse essere di gradimento ma poco altro. Inutile dire che ne rimasi subito innamorato. Gli Immortal entrarono di diritto tra i miei ascolti quotidiani e man mano, tutti i tasselli della loro discografica entrarono nel mio stereo, quasi in rotazione assieme agli Slayer, Sepultura (quelli anni 80-inizio 90) ed Obituary. Quando andai a Wacken 2006, un cartello con le prime due o tre band confermate per l'anno successivo capeggiava vicino all'entrata. La reunion degli Immortal era stata ufficializzata da poco ed il logo della band era lì, per il 2007. Sapevo che non me li sarei mai potuti perdere. Fu un anno di lunga attesa per poter finalmente vedere Abbath on stage per la prima volta ed ascoltare, come un bambino con la pelle d'oca sulle braccia e i brividi lungo la schiena, tutti classici che fino a quel momento avevo ascoltato in auto (con la musicassetta doppiata da CD) o in camera mia. Mai avrei immaginato che ne potessero pure trarre un CD/DVD ufficiale di quell'esibizione, The Seventh Date of Blashyrkh, che oramai è entrata nella storia del metal. Onestamente, una delle mie preoccupazioni prima dell'esibizione del gruppo era quella di trovarsi al cospetto di una band che non rispecchiasse per nulla la carica mostrata su disco. I video live che si potevano trovare su internet non erano il massimo e spesso ritraevano la band ancora con Demonaz alla chitarra oppure semplicemente nei video ufficiali. Non riuscivo a farmi un'idea chiara o inconsciamente non volevo, vista la tensione emotiva, rovinarmi la sorpresa.

Il 4 agosto del 2007 mi trovavo sotto il palco a guardare l'esibizione dei Type O Negative del compianto Pete Steele anche al fine di ricavarmi un buon posto sotto il Black Stage, il palco dedicato alle band di metal estremo. Le luci del tramonto stavano per calare ed io morivo dall'impazienza. A fine esibizione dei Type O Negative sul True Stage, il mio sguardo volse verso il palco adiacente, che sarebbe stato teatro dell'esibizione degli Immortal, di lì a pochi minuti. La notte era quasi scesa e i cori si alzavano per chiamare Abbath, Horgh e Apollyon sul palco. Il fumo bianco che usciva dai lati dal palco e le luci fredde, pallide dietro la batteria di Horgh creavano la giusta atmosfera di gelo nordico, quando all'improvviso la mole possente del batterista si presenta dietro le pelli ed esplode il caos. D'ora in poi, vi descriverò le scene come si vedono su DVD, senza far prevalere la descrizione da spettatore reale. L'ovazione è da stadio e non certamente da black metal, giusto per far capire quanta stima ed ammirazione gli Immortal riescano a trasmettere. Presto anche Abbath ed Apollyon si presentano sul palco con il graffiare degli strumenti prima che il singer truccato da demone urli al microfono: "Benvenuti alla Settima Data del Blashyrkh, siamo gli Immortal ed Il Sole non Sorge Più" "Welcome to the Seventh Date Of Blashyrkh, we are Immortal and "The Sun No Longer Rises" ed esplode il delirio. La canzone tratta dal mastodontico Pure Holocaust ci viene sbattuta in faccia senza troppi complimenti. Il taglio thrash metal nella chitarra di Abbath si sposa alla perfezione con note scritte nel lontano 1993 al fine di risultare brutale e gelato. Il basso dalla distorsione metallica supporta il tutto alla perfezione e si dai primi blast beats ci accorgiamo della potenza in sede live di Horgh. I suoni sono molto buoni e tutti gli strumenti sono distinguibili ed udibili. Il riffing è forsennato e ben sporcato di thrash mentre il pubblico incita in continuazione una band che si muove perfettamente sul palco e copre ogni spazio. La voce di Abbath risulta essere meno estrema rispetto al passato e forse meno graffiante per dare maggior importanza alle tonalità basse, anche se il suo timbro maligno non è per nulla andato perso. Il singer in particolare, attira l'attenzione su di sé con le sue tipiche mosse come la camminata a granchio o altre pose che lo rendono il più imitato nel mondo del metal estremo. Una pausa prolungata prima del ritornello fa sì che il pubblico possa dare libero sfogo alle ugole ed incitare una band che riprende immediatamente a suonare dopo le facce buffe di Abbath. Le riprese delle telecamere spaziano su più punti del palco e ci fanno vivere l'evento sia dalla parte del pubblico che da quella dei musicisti. Non si indugiano riprese sugli strumenti e si sprecano primi piano sui musicisti che stanno dando il cento per cento. Il testo della traccia, il quale invoca l'eterna oscurità e la caduta del sole in un inverno eterno, ben si sposano con il calare della notte a Wacken. Pochi secondi e si incomincia subito con il brano d'apertura del magnifico At The Heart of Winter, ovvero "Withstand the Fall of Time". Il boato del pubblico supporta il riff melodico di apertura mentre Horgh rulla violentemente ed il tutto sembra uscire direttamente da disco tanto i suoni sono buoni e tale è la bravura dei musicisti. Il brano in questione è tratto dal periodo di sperimentazione da parte della band ed il taglio thrash metal è più forte che mai, unito all'epicità tipica di quell'album. I riffs si sprecano e i tempi cambiano in continuazione in una composizione lunga ed articolata. Non vi sono cali di tensione per la band ed il suono che esce dalla casse risulta essere un vero e proprio muro invalicabile di neve e ghiaccio. La scelta di mantenere una chitarra sola sia in sede live che su disco è un'idea che potrebbe terrorizzare parecchi ma non gli Immortal. La perizia di Abbath, pur non essendo lo Steve Vai del black metal, sopperisce a possibili paure di resa inadeguata e ci riversa addosso una marea di riffs freddi come il vento del nord. Horgh alle pelli risulta essere letteralmente un treno ed Apollyon al basso incita il pubblico ogni minuto. Dal canto suo, il pubblico di Wacken risponde alla grande con pugni e corna alzate in continuazione e molte riprese dall'alto ci fanno notare i vari cerchi di pogo che si scatenano quando una band suona a questi livelli. Durante le sezioni acustiche, Abbath ed Apollyon si alternano in continuazione, duettano, muovono in collo in furiosi headbanging ed incitano la gente. Donano corpo ed anima per coprire ogni centimetro del palco al fine di non risultare per niente apatici. I testi, allora scritti da Demonaz, descrivono paesaggi innevati, cieli plumbei e cavalieri che corrono alla battaglia nella vastità della tundra norvegese. Durante la pausa, Abbath decide di scherzare con il pubblico pronunciando in modo volutamente veloce ed incomprensibile una frase del tipo: "Come state gente?!" (ho volutamente evitato termini volgari). Il pubblico risponde come sempre alla grande ed ecco che "Sons of Northern Darkness" viene annunciata, presto seguita dalla veloce sezione di batteria ad esaltare il pubblico. Ancora una volta, la precisione nell'eseguire il brano è veramente chirurgica e supportata da suoni nitidi. La versione qui proposta suona persino più veloce che su disco ed Abbath riversa su microfono continui grugniti rabbiosi mentre il suo face-painting continua a sciogliersi lentamente al caldo dei fari del palco. Durante il ritornello la gente alza le mani per cantare il testo assieme alla band. La struttura lunga dona parecchia varietà alla proposta e si passa da veloci blast beats a momenti più ragionati ove la melodia ed il solito tocco epico regnano sovrano a supportare partiture che ti si incastrano nella testa senza sforzi. Essendo un brano del 2002, l'impulsività è meno presente rispetto ai brani dei primi album per fare spazio ad un struttura matura che, nonostante la sua media complessità, fa comunque colpo dal vivo e rende giustizia. Il testo, essendo un vero e proprio inno, riempie il cuore della gente e la esalta. Cavalieri bardati da guerra corrono impavidi verso la battaglia, tutti figli dell'oscurità del nord, attraverso lande ghiacciate e prive di vita. A seguire, sempre tratta da Sons of Northern Darkness, ci troviamo al cospetto di "Tyrants". Abbath non perde troppo tempo nell'annunciarla perché basta il titolo per mandare in visibilio la gente. Trattasi di una delle composizioni meglio riuscite contenute in quell'album. I suoi sette minuti danno ampio spazio a svariate partiture, tra il sinfonico ed il classico feroce e plumbeo black/thrash. Il suo incedere pachidermico e su tempi medi richiede (e riceve) un forte apporto da parte del pubblico, intento ad incitare con cori e corna al cielo.  Un'atmosfera quasi solenne ammanta il palco e lo getta in tempi bui, fatti di guerre per il trono e per i possedimenti terrieri. Come sempre, il simpatico siparietto di Abbath ad incitare il pubblico ci strappa qualche sorriso prima che il fantastico break arpeggiato ricrei un'atmosfera di gelo impenetrabile che si distende su tutto il pubblico. I cori non cessano mano e lo candire del tempo con le mani sembra aver poco a che fare con il black metal ma questo è un segnale forte per capire quanto gli Immortal siano entrati nel cuore della gente. Anche questa volta, esecuzione ineccepibile e fedele al disco. Gli Immortal di questo DVD sono in gran spolvero. Dopo una traccia non veloce, ecco entrare in scena "One By One". Traccia di apertura di Sons of Northern Darkness, essa si distingue per il suo carattere irruento a base di veloci blast beats e ritmi serrati. Un Abbath con sempre meno trucco in faccia mostra il suo grugno malefico mentre il suo scream non perde colpi. Horgh massacra le palli con precisione chirurgica ed una valanga di riffs nebulosi invade il pubblico famelico. Un pogo quasi continuo e cori che si sentono anche sopra gli strumenti sembrano incitare la band a suonare ancora meglio. La presenza scenica delle due asce è sempre imponente ed il trio non perde occasione per incitare il pubblico ma quello che più colpisce è la resa sonora dei pezzi. Essi non si distaccano minimamente da disco ed anzi, vengono arricchiti dall'esperienza del gruppo in sede live. Non vi sono mai grandi effetti a livello di luci o amenità varie. Tutto viene sputato in faccia senza pietà e gli intermezzi thrash della succitata canzone rendono il prodotto ancora più arrembate e piacevole per il pubblico perché lo smuove e lo incita. A coronare il tutto, troviamo il solito testo battagliero. Le braccia dei cavalieri reggono spade imponenti e si lanciano alla battaglia. Tiranni senza paura nel togliere le vite corrono con cavalli ornati a guerra verso un orizzonte di vittoria. Insomma, altra traccia riuscita da archiviare. Il suo temperamento bellico, anche dal lato strettamente musicale, crea una base perfetta per la successiva "Wrath from Above", tratta dall'album Damned in Black. Proprio quando una band che suona metal estremo dovrebbe mettere in scaletta delle tracce meno tirate, ecco che gli Immortal ci stupiscono inserendo due delle canzoni più violente della loro seconda parte di carriera (quella senza Demonaz alla chitarra, per intenderci). Non si tira il fiato per ora, neanche per un minuto. Un'entrata violenta da parte della batteria supporta riffs serrati, mastodontici ed epici perima dell'esplosione in blast beats a proseguire alla velocità della luce annunciata dall'esplosione di alcuni fuochi d'artificio ai lati del palco. Forse sarò ripetitivo ma il valore di avere un batterista come Horgh non è calcolabile. La sua precisione e potenza trascina tutto il gruppo  mentre sotto il paco il pubblico si massacra. Spesso Abbath ed Apollyon duettano uno di fianco all'altro e sono coordinati nell'headbanging mentre la sei corde del cantante non sbaglia un riffs, tra parture epiche, mid-tempo rocciosi che odorando di death/thrash e ripartenze al fulmicotone. Storie di saccheggi, cavalcate tra la tundra e efferate battaglie completano un quadro molto truce. Gli dei del Nord cavalcano al fianco dei guerrieri in questa missione distruttiva sino ad arrivare alla più alta forma di vittoria tramite la celebrazione della morte. Si ritorna indietro nel tempo quando un lugubre introduzione e le luci rosse invadono il placo. E' ora di "Unholy Forces of Evil", tratto dal primo album: Diabolical Fullmoon Mysticism. Non c'è bisogno di introduzioni, neanche da parte di Abbath. Il riff principale è distinguibile, anche se imbastardito dalla nuove influenze thrash da parte della band. I tempi di batteria sono quelli e i grugniti infernali del cantante pure. Non si punta sulla velocità in questa traccia poiché tutto vuole essere una fedele riproduzione della versione su disco, con atmosfere maligne e riffs lugubri che ammantano il palco rosso fuoco. La voce di Abbath si sforza per essere più vicina possibile all'originale ed ecco che esattamente a metà durata, il leader si allontana dal palco per poi ritornarvi con una torcia in mano. Il basso pulsante e la batteria creano una base per supportare un numero visivo che Abbath esegue sin dagli albori della band. Il cantante si versa del liquido infiammabile in bocca, bevendolo direttamente da un corno vichingo e sputa verso la fiamma ricreando le fiammate. Finito il tutto, il cantante si lancia ancora in alcune sue pose tipiche e si riprende con la canzone. Liriche a base di  rituali occulti e visioni apocalittiche coronano una prestazione eccellente che conserva tutti gli elementi originali e che termina con il prolungato, sinistro, scream di Abbath. Dopo una traccia che non punta esattamente sulla velocità d'esecuzione, ecco che ci appare "Unsilent Storms in the North Abyss", tratta dal glaciale Pure Holocaust. I riffs nebulosi che escono dalla chitarra di Abbath non fanno per nulla rimpiangere quelli di Demonaz, a livello di esecuzione e stile. I blast beats sono precisi e l'atmosfere che ne scaturisce è esattamente quella che si può ascoltare su disco. Le luci si alternano tra verde ed azzurro al fine di ricreare un'aura glaciale e senza vita. Il riff che regge il ritornello è di diritto entrato nella storia del genere e lo si può riconoscere benissimo in questo marasma di black metal primitivo e violentissimo. La camminata a granchio di Abbath ci strappa un sorriso anche se in questo caso essa sembra quasi inquietante, vista l'atmosfera generale ricreata dalla canzone. L'unica piccola pecca, è proprio la voce dello stesso, che in questo caso non brilla molto e risulta leggermente spompa. Cosa, comunque, capibile visto lo sforzo nel cantare in scream e dopo diciassette anni di urla disumane. I testi, come quasi sempre nella prima parte della discografia del gruppo, trattano di morte e passaggio in un'altra realtà, tra bufere di neve e paesaggi invernali completamente spogli. Altra più che buona esibizione archiviata ed ora proseguiamo con la title track dell'album del 1999, ovvero quel "At The Heart of Winter" che tanto sconvolse lo stile della band. Quando l'introduzione a base di tastiera ed arpeggi invade il palco ed il pubblico l'ovazione si fa forte e l'atmosfera si fa nuovamente invernale. Le pallide luci aiutano nella riuscita dell'atmosfera e quando il riff principale esce dalle casse, colonne di fuochi d'artificio s'innalzano sul palco. Il taglio thrash metal della chitarra si fa pesante per una composizione che uscì da un album fortemente influenzato da tale genere. La struttura è lunga, molto più complessa e matura rispetto a quella che solitamente si riscontrava nei primi album della band. Dal canto suo, il trio suona alla grande ed un sapiente uso delle telecamere, ci fa gustare l'esibizione da più angolature di modo che possiamo gioire di più aspetti del live. Il pubblico risponde con un headbanging quasi continuo, seguito anche da quello di Abbath ed Apollyon. Le sezioni strumentali sono ben in evidenza e le atmosfere che ne scaturiscono non fanno per nulla rimpiangere la versione su disco, ancora una volta. La chitarra ricrea esattamente gli stessi fraseggi e lo stesso mood epico dell'originale, il tutto completato da un testo totalmente votato alla descrizione del regno del Blashyrkh. Tra immense statue gelate, corvi che volano in cielo e valichi innevati, l'uomo cammina con una torcia in mano ed reclama il suo regno di ghiaccio. Una breve pausa in cui Abbath si sincera della salute del pubblico e si parte con : "Scegliete le vostre armi per le Battaglie nel Nord" "Choose your weapons for the "Battles in the North". Una lastra di ghiaccio ci viene lanciata in faccia a velocità disumana, direttamente dall'album più impulsivo da parte della band. Cinque minuti di bieca brutalità in forma musicale ci vengono sbattuti in faccia senza troppe remore. I blast beats prevalgono su qualsiasi altra cosa ed Horgh non perde un colpo, neanche dopo un'ora di esibizione tirata e precisa. I riffs impastati e nebulosi che escono dalla chitarra di Abbath dimenticano quasi completamente le inflessioni thrash metal ma la versione live lascia trasparire, invece, influenze marcatamente death metal; cosa che su disco si sente di meno. Prima del finale di canzone, possiamo gustarci Abbath che corre avanti ed indietro sul palco prima di inginocchiarsi spalle al pubblico davanti alle casse per giocare con la distorsione, per poi riprendere con il ritornello suonato a velocità della luce e porre fine alla canzone. Cavalieri che corrono verso la battaglia in una bufera di neve infinita ed il fragore delle armi che si scontrano sono i temi affrontati da questa traccia che ci trasporta direttamente verso la finale "Blashyrkh (Mighty Ravendark) ", ultima delle undici tracce eseguite e presenti su DVD. Le luci del palco si rifanno rosse, Abbath si avvicina al microfono per annunciare che si tratta dell'ultima traccia ed il pubblico non si lascia scappare occasione per incitare la band per tutta la durata. Migliaia di braccia si alzano verso il cielo a tempo mentre le atmosfere solenni ed epiche regnano sovrane. Durante la fase arpeggiata Abbath incita più volte un pubblico in estasi per la bontà della proposta. I cori si sprecano e le mani tengono il tempo mentre un Abbath soddisfatto alza il pollice e ringrazia per una tale accoglienza in quel di Wacken. Purtroppo, se proprio vogliamo trovare una pecca, la celebre sezione urlata da parte di Abbath non viene riproposta in sede live ma poco male, vista l'esecuzione impeccabile di un tale classico. Il regno immaginario degli Immortal, dove tutto è gelato e solo i corvi hanno il permesso di viverci, viene riproposto in tutta la sua maestosità per un finale emozionate, culmine di una prestazione terremotante da parte di un trio che sembra essere un panzer lanciato a folle velocità nell'inverno eterno.

Pubblicato il 6 agosto del 2010 e mixato negli Abyss Studios, The Seventh Date of Blashyrk ritrae una band che in sede live ha dell'incredibile. Tutti i tre membri si dedicano anima e corpo nel ricreare un muro sonoro dalla proporzioni bibliche. Un concerto che verrà ricordato per anni a venire. Onestamente parlando, l'esibizione degli Immortal ha poco della misantropia del black metal più nudo e crudo e forse questa è la cosa che può far storcere il naso ai puristi del genere. Tuttavia, la potenza e la precisione nell'esecuzione dei brani hanno dell'incredibile. Ogni singola traccia viene riprodotta in modo fedele ed a volte anche velocizzata al fine di trasmettere un impatto maggiore. Il pubblico reagisce in maniera egregia, anche perché la band si fa parecchio desiderare in sede live giacché i loro concerti non sono numerosi. C'era fame di Immortal nel 2007, fame di ascoltarli dopo una reunion che colpì tutti i fan che da qualche anno erano in pena dopo l'annuncio dello scioglimento. La scaletta ripropone una carrellata di classici e quasi ogni lavoro viene toccato. Mi spiace solo che non abbiano incluso qualcosa da Blizzard Beasts (Mountains of Might sarebbe potuta essere una scelta logica) ma vista tale varietà, c'è poco da lamentarsi. Il trio sembra in stato di grazia, copre ogni centimetro del palco ed i suoni ottimi fanno il resto. Da spettatore presente, posso tranquillamente dire che a livello di mixaggio c'è stato veramente poco perché l'esibizione è stata veramente così, suoni compresi. La perizia nell'inquadrare la band da più punti di vista rende questo prodotto ancora più allettante per coloro i quali vogliono gustarsi il DVD comodamente seduti in poltrona. Inutile ribadire che esserci stati è stato tutt'altra cosa e da allora, mio malgrado, non ho mai più avuto occasione di rivederli. Se siete fan sfegatati del gruppo, come il sottoscritto, The Seventh Date of Blashyrkh è un prodotto da comprare a scatola chiusa, senza indugi. Gli Immortal a questi livelli spazzano via tutta la concorrenza in questo genere di metal e vi trascinano di forza, volente o nolente, nel loro regno di giaccio e tempeste invernali senza fine.

1) Intro  
2) The Sun No Longer Rises 
3) Withstand the Fall of Time 
4) Sons of Northern Darkness 
5) Tyrants
6) One by One 
7) Wrath From Above
8) Unholy Forces of Evil 
9) Unsilent Storms in the North Abyss 
10) At the Heart of Winter 
11) Battles in the North 
12) Blashyrk (Mighty Ravendark) 

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