IMMORTAL

Sons of Northen Darkness

2002 - Nuclear Blast

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
10/08/2015
TEMPO DI LETTURA:
9

Recensione

E' l'anno 2002 quando gli Immortal, questa volta attesi due anni dal precedente lavoro, pubblicano con la Nuclear Blast il loro album "Sons of Northern Darkness". Abbiamo già apprezzato gli esordi Black Metal del gruppo, percorrendo la strada che li ha portati ad aggiungere sempre più influenze al sound, arricchendolo - un lavoro dopo un altro - fino a "Blizzard Beasts", sfortunato lavoro col merito di aver segnato la svolta stilistica che, progressivamente, ha apportato più influenze Thrash al gruppo. Con questo album il gruppo abbandona la Osmose Productions, che aveva seguito il gruppo sin dagli esordi, per passare alla Nuclear Blast in modo da poter aumentare la visibilità e le vendite; in effetti ne esce fuori una promozione più potente ed anche la photosession più famosa degli Immortal, che proprio grazie a questo album arrivano alle orecchie di un pubblico più vasto. Parlando della photosession, anche in questo album si conserva la tradizione della copertina con la foto del gruppo, vengono ritratti Abbath, Horgh ed Iscariah; sappiamo ormai bene che Abbath si occupa di voce e chitarra, Horgh della batteria mentre Iscariah del basso, di fatto però è Abbath a suonare tutte le parti di basso (fatta eccezione per il primo brano)? era successa la stessa cosa nel secondo album e ve l'abbiamo raccontata nella relativa recensione. Non dimentichiamo che anche in questo album ci sono i testi scritti da Demonaz che continua a far parte del gruppo in veste di compositore delle liriche. Dietro di loro una grafica, dalla realizzazione non molto raffinata per usare un eufemismo, in cui c'è uno scenario invernale con toni freddi e saturi e dei corvi sfocati in volo; un risultato scuro nel paesaggio per dare luminosità alle figure, in posa guerriera e con armi alla mano, dei musicisti in evidenza in primo piano (scelta infelice anche della prospettiva e delle proporzioni dello sfondo). Nel precedente album le influenze Thrash avevano preso il sopravvento, comportando il venir meno della velocità caotica e delle melodie che abbiamo apprezzato in "At The Heart of Winter", capolavoro e pilastro del sound degli Immortal; nell'esordio con la Nuclear Blast non hanno voluto lasciare nulla al caso, facendo un passettino indietro verso quel modello. Gli Immortal, grazie a questo album ed alla promozione che ne è derivata, sono arrivati alle orecchie del grande pubblico con una formula già collaudata, quasi un colpo sicuro ed una durata generosa di circa cinquanta minuti.

One by One

Iniziamo ad ascoltare "One by One" (Uno ad uno), accordi veloci ed una cassa che macina arcigna, lo scream gracchiante non si fa attendere molto; poi un passaggio melodico e veloce che ci restituisce intatti gli Immortal di "At the Heart of Winter". C'è violenza inaudita, la carica è tanta, ma lo spazio per le melodie in mezzo al caos si trova sempre. Produzione eccellente, la batteria è limpida, le chitarre sono uscite fuori molto bene ed il basso riesce a sentirsi bene senza risultare eccessivamente caldo. Nel passaggio successivo si alternano parti ritmate con riff serrati e parti più aperte, il basso sferraglia nefasto senza risultare squillante ma conservando un timbro rotondo. E' davvero difficile rimanere impassibili ascoltando questo pezzo, un assalto feroce che coinvolge sin dai primi minuti. Si torna alla strofa col blast di cassa, la voce non ha ricevuto molti effetti e non ha una lunga coda di eco, l'impatto è maggiore e si lascia alle chitarre il compito di delineare le melodie e l'atmosfera, le risate diaboliche di Abbath non si fanno aspettare, ostentano fiducia ed ispirano ammirazione per un demone che non si prende troppo sul serio. Nella seconda parte del pezzo vengono inserite componenti Thrash in modo sapiente, integrate perfettamente con la base Black, sono dei passaggi veloci che danno ritmo al riff senza però togliergli la melodie distorta tipica del Black. Tutto è ritmato e cadenzato, la velocità non è eccessiva e quindi ne esce fuori una marcia di battaglia, poi degli spunti melodici con delle parti chitarristiche che si intrecciano offrendo panorami epici. Si torna alla strofa, cassa in primo piano; poi ancora alternanza tra parti serrate e parti aperte, il gruppo ha una confidenza e precisione notevole. Uno dei pezzi più famosi degli Immortal, non poteva essere diversamente per come è stato realizzato. Se nel precedente album i testi erano poco ispirati, o comunque non tanto quanto eravamo abituati, in questo album si riprende tutta la cura cui eravamo abituati. Si riprende il lato epico, il tutto inizia con dei riferimenti a leggende che narrano di come cavalcarono, mandati allo sbaraglio dagli antichi dèi nordici del caos, gli skald (una sorta di bardo-guerriero dei paesi scandinavi, mentre l'edda aveva una metrica libera e temi più mondani; la poesia scaldica risultava intricatissima sia come metrica che come contenuti) cantavano ai loro re delle battaglie vinte. Si dice che tutti dovrebbero tremare di paura per il fatto che le bandiere dei loro re sono richieste in battaglia, le spade aderenti alla cintura nel vento, gli uomini in sella che gridano e ruggiscono in vista dell'imminente scontro, discendenti della collera e dei regni della paura. Una potenza che brucia come un fuoco, una forza di volontà custodita nei fieri cuori nordici, altri scalpi da vincere, occhio per occhio. Già da questa prima metà si capisce che, nonostante si continui a prediligere la tematica della battaglia, fa un gradito ritorno anche l'atmosfera epica. I nemici cadranno uno ad uno, di fronte alla furia nordica, moriranno uno ad uno iniziando dal più forte di loro, c'è molta grandezza in quelli che sono caduti tra i nordici combattendo coraggiosamente e senza risparmiarsi per vincere la guerra. Una nebbia grigia turbina in mezzo ai prati, teatri di antiche battaglie dove si possono trovare i resti di antiche armature di bronzo delle precedenti civiltà, corrose dal tempo; erano dei valorosi che combattevano, al tempo, a favore delle nordiche orde del caos, ora in quei luoghi scorrono nuovamente fiumi di sangue, che onorano anche i predecessori che non verranno dimenticati. Un bellissimo testo!

Sons of Northern Darkness

Passiamo alla titletrack: "Sons of Northern Darkness" (Figli dell'oscurità nordica), un assolo di batteria all'inizio del pezzo ci fa capire che c'è anche una certa tecnica coinvolta nella realizzazione; poi la tipica chitarra di Abbath scandisce ed alterna plettrate veloci e serrate; poi uno scream agghiacciante prolungato. E' guerra aperta, la velocità non è eccessiva ed il doppio pedale viene usato con parsimonia preferendo il ritmo alla velocità, gli accenti sono precisissimi e di classe enorme, alcune raffiche feroci alla batteria (specie col rullante) iniziano a delineare i profili del War Black Metal perché, non basandosi sulla plettrata alternata, predilige gli accordi veloci, passaggi melodici distorti da first wave (che negli Immortal però sono più in stile epico) ed improvvisi scatti di velocità di ispirazione Grindcore, il tutto condito da influenze Death/Thrash Metal. Col rullante e cassa in bella mostra c'è un passaggio tribale con tanto di chitarra distorta e malevola che accompagna l'incedere marziale, si alterna con parti ad accordi aperti e melodie nordiche con la voce più grattata che mai. Alti momenti, specie nella parte tribale, che non è nemmeno così tanto veloce ma è interpretata in maniera possente, si prolunga e lascia alle chitarre il tempo di sviluppare bene il tema. Poi uno scatto ed il pezzo prende velocità, le chitarre alternano abilmente passaggi a plettrata alternata ed accordi veloci, poi parte un assolo fischiante con parti velocissime e pulite che tirano fuori vorticose scale (anche in tapping) con uno stile virtuoso che fa pensare ad influenze Thrash più che Black. Un pezzo che fino all'ultimo mantiene alta l'attenzione, mostrando che gli Immortal non hanno affatto placato la loro ferocia ma anzi l'hanno semmai aumentata in occasione di questo album. Si parla di un'alba glaciale, mentre cavalcano sui fuochi neri dell'infinità e le lande ghiacciate sono pacifiche, questa sarà la cavalcata decisiva. Il sole risplende sulle pianure pacifiche, molto oltre le terre del ghiaccio e del fuoco marciano le legioni e adesso suonano i possenti corni di guerra. Ora i figli dell'oscurità nordica volano nei cieli ed incendiano le terre, hanno gli occhi infuocati ed i loro cuori bruciano di rabbia, non conoscono la paura; anche la saggezza è con loro, che vantano tradizioni vecchie quanto il vento del nord. Si raccolgono ed assaltano tutta la terra, il suono del trionfo è nell'aria, i tamburi di guerra tuonano, le bestie da battaglia ruggiscono. Insomma il testo è la continuazione di quanto descritto nel precedente, se nel precedente c'era aspettativa e preparazione all'evento bellico, in questo testo si realizza in tutta la sua ferocia.

Tyrants

Con il successivo "Tyrants" (Tiranni), Demonaz ci racconta qualcosa di più su questi personaggi nordici che popolano i suoi testi: si presentano come dei cavalieri con cavalli bardati e corazzati, guanti di acciaio, sono i Silverblades (Lameargento), incaricati di fare la guardia alla terra e sono fieri dei loro troni dorati, servono gli antichi che a loro volta facevano la guardia ai cancelli dell'infinito. Prima erano re delle ombre nei campi anneriti, potenza e dominio controllavano il regno superiore. Erano tempi di mura inconquistabili, splendore barbarico, quelli degli antichi, i tiranni di questo tempo continuano la tradizione facendo la guardia ai troni dei re invincibili di adesso che tengono in vita la potenza. Le armate sono sparse per tutte le terre, fiumi rossi scorrono. All'interno della mente i pensieri corrono liberi e con essi il ricordo degli antichi tiranni che reclamavano i possenti troni dorati. Un testo più breve, in questo caso, perché si avvale di ripetizioni, che ha la stessa nostalgia che abbiamo potuto riscontrare nel precedente lavoro, solo che in questo caso le riflessioni introspettive sono di meno e si preferisce accompagnare alla malinconia una serie di riflessioni che riguardano tematiche epiche o comunque vicine al mondo della guerra e delle gesta eroiche. La malinconia viene quindi espressa da un esponente di questi Silverblades, che potrebbero essere un clan o un corpo scelto, guardiani delle terre nelle quali un tempo c'era lo splendore di troni dorati e possenti re-tiranni antichi. Il pezzo inizia con un tempo lento (per gli Immortal s'intende?) e cadenzato, su di esso degli accordi che vengono impreziositi da brevi passaggi in plettrata alternata, è lo stile degli Immortal quello di creare dei riff frenetici che cambiano dinamica in continuazione. Iniziano a sentirsi anche degli effetti di tastiere, lievi ed appena percettibili non mutano la musicalità del pezzo e si limitano ad accentuarne l'atmosfera; lo scream di Abbath è effettato, non tanto quanto è successo con "Blizzard Beasts" ed in modo più professionale, infatti il risultato premia la scelta rendendo più demoniaco il risultato. E' una marcia massiccia e cattiva, c'è potenza, parti melodiche si frappongono tra una strofa e l'altra dando dei momenti strumentali con brevi passaggi in plettrata alternata glaciale; quando riprende la strofa conserva lo stesso incedere marziale. In questo pezzo si cristallizza lo stile degli Immortal, uno stile marziale fatto di melodie epiche e tempi cadenzati. A metà pezzo si distende il sound, la chitarra è protagonista con accordi aperti lenti, il basso accentua i toni forti e la batteria tace; finalmente gli arpeggi acustici, con il riverbero caratteristico, questa volta il timbro cambia ed è ancora più freddo e viene accompagnato da una parte distorta. Forse non tanto ispirato come i precedenti, ma pur sempre avvincente, divide in due il brano; segue un grido e poi una parte furiosa in blast, strumentale, che si sviluppa con due melodie distorte che vengono sovrapposte anche se sembrano dissonanti. Riprende la strofa, che ci accompagna fino al finale mentre viene sovrapposto un assolo melodico ed acuto, il finale è una parte in blast in cui la voce si fa sentire imperiosa, si conclude con un accordo prolungato ed il feedback della chitarra.

Demonium

"Demonium" inizia con un urlo malvagio accompagnato da furiosi accordi veloci e della batteria imponente, le parti sono serrate e pestano forte, poi un momento di pace e lo stacco che porta ad un velocissimo blast sul rullante, si va ad alta velocità adesso e la strofa fatta di frenetiche melodie distorte si alterna con una parte strumentale in blast scatenato. Le influenze Thrash si fanno sentire, specialmente negli accordi veloci, la batteria è una macchina da guerra, la struttura si ripete diverse volte ed a variare sono gli intermezzi strumentali tra una strofa e l'altra, a volta con parti a veloci plettrate alternate, poi entra in gioco una variazione cadenzata con tempi più lenti e bellici. La marcia demoniaca porta anche qualche effetto alla voce che prende un timbro più scuro, tutto è circondato da una forte aura di malvagità, la voce è grattata e malefica come dalla migliore tradizione Black Metal, mentre i riff hanno un'andatura da Thrash/Black, cosa che si riflette anche sull'assolo che è stato posizionato proprio appena prima del finale, cui segue una furiosa parte Thrash al limite del Grindcore. Ancora una volta forti le intenzioni War Black Metal. Il pezzo è diabolico anche nel testo, che descrive un trono nero che infestano il vuoto, qualcosa che solo i demoni possono respirare, con occhi che possiedono. Sono in comunione con gli spiriti ed anime che stanno al di là, maledette nel nero e confinate in quel luogo, un regno più scuro dello stesso nero in cui sono condannate a restare in agguato. Un marchio rosso di puro male ed i neri spiriti che provengono da questo luogo discendono come una squadra glaciale, la morte cavalca ali demoniache. Un testo meno chiaro, minaccioso sin dal principio, vuole semplicemente presentare il caos di questi luoghi oscuri dai quali provengono questi spiriti e demoni che discendono sulle terre a seminare distruzione e gelo.

Within the Dark Mind

Il pezzo successivo è "Within the Dark Mind" (All'interno della mente oscura), gli accordi sono più aperti e nonostante si tratti di una cavalcata è lenta, il riff si avvale di un basso potente e di decorazioni melodiche alla fine, poi arriva la strofa e la chitarra si fa serrata acquisendo sfumature Thrash, tra una strofa e l'altra ritorna la parte ascoltata all'inizio che dà un carattere più epico al pezzo. La voce di Abbath non ha effetti né riverbero: è secca ed aspra, nemmeno molto grattata, pone l'accento sul lato melodico della violenza. La strofa varia, assomigliando di più all'introduzione, il pezzo è lento ed introspettivo come quelli del precedente album, il basso però risulta più incisivo e si sente il tocco di Abbath nella ritmica incalzante. Alcune parti di scream vengono prolungate, il pezzo prende vita con delle piccole scariche tempestose date da cassa o rullante; a metà pezzo invece si può sentire una parte acustica che si inserisce sopra gli accordi aperti della chitarra distorta. In questo caso non si ripropone la classica formula del silenzio e degli arpeggi acustici da soli: vengono inseriti direttamente sopra una parte abbastanza ritmata ed a velocità moderata, si sviluppa mentre ci sono delle variazioni anche nella parte distorta che non rimane in sottofondo ma anzi gioca a pari merito. Poi la parte strumentale si evolve, il distorto prende il sopravvento ed il lato Thrash torna alla carica con ritmi serrati e potenza ritmica, ancora una volta seguiti da accordi lenti che poi sfociano in passaggi Black, è un continuo cambiare sottile di stile che poi culmina in un finale fatto di accordi che cambiano veloci, poi un altro assolo più lento e melodico, epico che poi prende velocità e si fa acuto. Riprende la strofa con uno scream particolarmente sfiatato ed uno stacco possente di batteria, ancora parti serrate di chitarra, il basso è presente e si ritaglia il proprio spazio senza riscaldare troppo il sound. Il finale arriva dopo dei passaggi tonanti di batteria che si lancia in una sfuriata finale, con uno scream effettato che viene pannato da un lato all'altro. Lungo brano, avvincente e ricco di interessanti parti strumentali. Come si poteva immaginare, il ritorno alle sonorità più simili a quelle dell'album precedente ha portato anche l'approccio alle tematiche più intimistico, si parla di oscuri paesaggi notturni ed il protagonista solitario che osserva mari e fiumi, burroni e cascate, montagne; in tale panorama c'è solo lui, un luogo in cui troneggiano picchi ed alture (in questo caso il termine berg, dall'antico norvegese, assume il significato di un'altura impervia vista da sotto) gelide sotto la luce lunare. Il protagonista, svolgendo un lavoro per i propri dèi, vernicia il proprio cuore per renderlo oscuro, per renderlo malvagio e fare in modo che si infiammi di collera. Il suo obiettivo è quello di invertire il tempo - ancora una volta torna il tema della rivalsa e la ricerca/riscatto degli antichi splendori - e trovare la forza nella mente oscura. Solitario nella notte, intricati percorsi nella foresta e schivi raggi di luce lunare, un cielo immenso e solo lui, un personaggio epico e diabolico che inghiotte le tenebre, che affievolisce la potenza del sole. In questo testo un'epicità malvagia ed oscura, un personaggio solitario che si nutre di tenebra vivendo in un inospitale paesaggio invernale.

In My Kingdom Cold

Il testo del successivo "In My Kingdom Cold" (Nel mio freddo regno) è più breve, pieno di punti sospensivi e frasi lasciate a metà, il protagonista demoniaco accede al suo regno, oscuro e fatto apposta per lui, una montagna nera, come il suo cuore e mente. Montagne di follia e spietatezza infinita. Parole che vengono ripetute più e più volte, a significare anche un comportamento ossessivo e sinistro. Non è un testo introspettivo perché non rivela nulla circa i sentimenti che legano questo essere a quel luogo, nemmeno battagliero perché non si svolge nessuno scontro, men che meno epico perché non viene descritto nemmeno questo essere all'apparenza demoniaco: si sa solo che c'è questo protagonista che, ossessivamente, afferma la propria appartenenza a questo regno nero di follia e malvagità. Forse è proprio quest'aura di mistero che rende il testo interessante. La musica rispecchia questo atteggiamento ossessivo con delle parti Black Metal che sono scatenate, furiose, caotiche, mentre le melodie sono malate e strapiene di malvagità: ricorda gli Immortal dei primi tempi per l'abitudine di fare queste ritmiche con cambi di tempo a sorpresa. Una parte melodica in cui alla chitarra in plettrata alternata e melodica si aggiungono degli arpeggi clean, con un blast di cassa in sottofondo, è un momento di alta epicità che viene solamente enfatizzata dallo scream gracchiante e malevolo. Altri passaggi chitarristici melodici, all'insegna del Black Metal più atmosferico che si alterna a quello più violento, le parti di basso sono una macchina di guerra: veloci e spietate, un carro armato la sezione ritmica. A metà pezzo il pezzo, bestiale, continua ad improvvisare stoppate ed accelerazioni di ritmo, poi il silenzio e si sente solo una marcia sinistra di batteria e basso, si aggiunge una maligna chitarra acuta con delle melodie sinistre, un bellissimo momento strumentale che si evolve ritmicamente ed accompagna alcune comparse della voce che scandisce versi ed urla. Tutto è ossessivo, poi a sorpresa un'altra volta gli arpeggi puliti e si ripete il ritornello introdotto da arpeggi distorti ed un blast di cassa a tappeto, con accordi lentissimi ed aperti, poi una cavalcata chitarristica, la voce aumenta l'espressione e la malvagità va alle stelle: questo è uno dei pezzi più belli degli Immortal, capolavoro di cattiveria, malvagità ossessiva e demoniaca. Si conclude con delle rullate frenetiche, che poi lasciano lo spazio alla chitarra che lascia gli ultimi arpeggi, seguita da un basso cantilenante.

Antarctica

Si passa quindi ad "Antarctica", che inizia con degli effetti ambient e poi dungeon, si sente il soffio del vento come se l'ascoltatore fosse in una caverna, una tastiera che ha un timbro simile a degli strumenti a fiato, poi irrompe la parte distorta alla quale si aggiungono degli accordi puliti che, questa volta, sono decisamente veloci. Il pezzo prende una piega epica, senza rinunciare alle componenti Thrash che si individuano specialmente nella sezione ritmica, ancora il pezzo è solamente strumentale e già ha regalato bei momenti, con l'accelerazione della velocità si apprezza maggiormente il lavoro della batteria e del basso che stanno al passo con precisione. Altra variazione, un Thrash/Black che dà inizio alla strofa col cantato, questa volta molto acuto e grattato, poi un momento strumentale in cui il ritmo rallenta, riprende la strofa che incalza con parti ritmate. Poi altro passaggio strumentale con stoppate che si alternano a cavalcate, successivamente una parte in cui ritornano gli arpeggi veloci con chitarra acustica, si riprende la parte epica: si legge benissimo la chiave Black del brano, ma c'è molto altro nel sound, in alcuni momenti viene da pensare agli Enslaved. Il pezzo rallenta ed ecco che possiamo ascoltare altri arpeggi puliti, questa volta nello stile classico della band e con un basso che scandisce rintocchi lenti e sinistri, intanto la chitarra distorta crea atmosfera, si sente la gracchiante voce di Abbath. Altra parte strumentale, fatta di accelerazioni a sorpresa, che porta ad un'altra strofa con una batteria tonante sui tom, si arriva al finale con una parte serrata che poi si interrompe di colpo. Il testo affronta nuovamente tematiche paesaggistiche descrivendo un continente, che si spalanca all'orizzonte, completamente ammantato di ghiaccio e con lastre ghiacciate costantemente in movimento. Questi mari sono invincibili e gli iceberg sono come dei monumenti alla loro potenza, oltre i cancelli del circolo polare artico si accumulano gli strati congelati di neve; un intero continente glaciale che svetta all'orizzonte con giganti lastre di ghiaccio in movimento che galleggiano su onde gelide e diffondono il gelo perenne. Si passa all'era glaciale e la temperatura si fa più bassa, in questo modo i ghiacci lambiscono sempre più parte del mondo, diffondendo il ghiaccio antartico: il gelo oscuro, massiccio ed invincibile.

Beyond the North Waves

Si giunge all'ultimo pezzo con "Beyond the North Waves" (Oltre le onde del nord), si sente il rumore calmo dell'acqua e dei passaggi malinconici alla chitarra elettrica, non distorta ma carica di riverbero, c'è qualcosa di molto sinistro nella parte. Sfumatura di piatti e quindi entra in scena un riff distorto e carico di atmosfera, una scelta melodica e ritmica che ricorda vagamente il Viking, la batteria è semplice e marca i tempi come in una lenta marcia. Si sente lo scream grattato, imponente ma velato di tristezza, più melodico del solito; l'accompagnamento rimane invariato fatta eccezione per alcuni sprazzi di doppia cassa veloce che sottolineano dei climax, rendendo più dinamica la parte. La voce si prende tutto il tempo prolungando le parti, poi arriva una parte strumentale con quello che potrebbe considerarsi un assolo, poi una variazione in cui si guadagna ritmo e velocità, anche la voce sembra mutare diventando più aggressiva. Si fanno sentire delle tastiere che riescono a rendere l'atmosfera ancora più epica e sinistra, ogni parte si approfondisce a lungo e si ripete in modo ossessivo - in questo verrebbe da pensare ai Satyricon di "Volcano" che, ironicamente, con la stessa sonorità vogliono evocare paesaggi e climi diametralmente opposti! - una specie di assolo di batteria esce fuori durante un tempo quasi tribale durante una parte di tastiera, poi colpi lenti e poderosi, la chitarra regala melodie distorte (quasi da Post-Black Metal verrebbe da dire) e si sente una voce grave che recita delle parti parlate, poi un passaggio di piatti porta ad una parte chitarristica fatta di veloci virtuosismi epici ed infine da un finale esplosivo con caos prolungato e un magniloquente rumore di un'immersione in profondità. Il testo riporta le tematiche epiche con la testimonianza di un personaggio che afferma di aver viaggiato con molte assieme ai suoi compagni, oltre le onde del nord, dove hanno trovato la loro strada richiamati dalle voci degli dèi. Le navi lunghe e le onde nordiche li hanno condotti lontano, la saga dei guerrieri nordici parla di forza grandezza, hanno navigato sfidando tempeste e venti; adesso sta con la spada in mano in terra nemica, col coraggio del cuore nordico combatterà fino alla morte. Vuole che in futuro vengano ricordate le sue gesta, perché chi combatte per la propria terra viene acclamato, diventa un orgoglio e verrà sempre ricordato nelle leggende della sua terra. Respirando sotto i venti, l'essenza di orizzonti ruggenti, dal freddo mare il richiamo delle coste del nord. Un testo che ricorda le razzie delle quali vivevano i popoli scandinavi, che comportavano viaggi pericolosi in acque tempestose con imbarcazioni che - benché fossero agili - non potevano competere col mare del nord.

Conclusioni

Abbiamo quindi parlato di un album meraviglioso, secondo alcuni può eguagliare quanto fatto con "At the Heart of Winter", secondo altri addirittura lo supera ma è questione di gusti personali: in "Sons of Northern Darkness" si riprende tutta l'epicità, la furia e la dannazione presenti nel capolavoro sopra citato e li si condiscono di elementi più marcatamente Thrash. Va detto che in questo album non sono così evidenti come in "Damned in Black", la produzione della Nuclear Blast si è fatta sentire anche nella qualità della registrazione che è migliorata notevolmente eppure resta qualche dubbio sulle parti con gli arpeggi puliti che, probabilmente, sarebbero stati più interessanti se lasciati da soli e non arricchiti delle chitarre distorte (molto belle per altro, ma ascoltare l'unica volta in cui gli arpeggi puliti hanno suonato da soli ha fatto pensare che probabilmente sarebbe stato meglio lasciarli sempre in quel modo, come da tradizione) ma sono davvero particolari irrilevanti: ancora una volta gli Immortal consegnano alla storia del Metal un album difficile da dimenticare. Con questo album, come già scritto, fanno il loro ingresso trionfale negli ascolti del grande pubblico, portando con sé una visione del Black Metal ormai slacciata dal monopolio satanista/anticristiano (sebbene alcuni elementi demoniaci rimangano sempre qua e là). Fa piacere notare che, così come accaduto con "At the Heart of Winter", il capolavoro è uscito fuori con Abbath che svolge il ruolo di cantante, chitarrista e bassista, questa non può considerarsi una coincidenza. Le precedenti esperienze culminano in questo album che raccoglie in sé il passato veloce ed epico ma anche il recente passato Thrash e ritmato, queste esperienze vengono abilmente mescolate per trarne un sound riconoscibile e personale che fa subito pensare agli Immortal. Bisogna dire che anche Demonaz ha fatto un ottimo lavoro coi testi che nel precedente album erano un po' spenti ma ora si mostrano in tutta la loro forza: battaglie epiche, affascinanti paesaggi inospitali descritti in modo poetico, riflessioni introspettive colpe di amarezza e sofferenza, voglia di riscatto, infine la natura che prende il sopravvento e l'uomo coraggioso che la sfida consapevole che, per questo, sarà ricordato nelle saghe nordiche come un eroe. Con questo album lo stile degli Immortal si consolida, si fortifica delle recenti esperienze ma torna a lidi sicuri tracciati dal capolavoro di "At the Heart of Winter": un ascolto avvincente che lascerà pienamente soddisfatto qualsiasi appassionato di Black Metal (e non solo).

1)
2) One by One
3) Sons of Northern Darkness
4) Tyrants
5) Demonium
6) Within the Dark Mind
7) In My Kingdom Cold
8) Antarctica
9) Beyond the North Waves
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