IMMORTAL
Blizzard Beasts
1997 - Osmose Productions
PAOLO FERRANTE
13/06/2015
Introduzione recensione
Ci siamo già addentrati nella discografia degli Immortal, ne abbiamo descritti gli esordi e l'evoluzione - sempre più convincente - verso uno stile via via più personale e riconoscibile, abbiamo specialmente notato come il duo Abbath e Demonaz abbia funzionato benissimo. Ebbene in questa recensione verrà trattato l'ultimo album che vede Demonaz alla chitarra, non ci sono stati dissapori tra i due - e vi anticipo immediatamente che Demonaz continuerà a creare i testi anche per gli album a venire - ma, per via di una tendinite acuta non avrebbe più potuto suonare alla velocità richiesta dallo stile, da lui stesso creato, del gruppo. Demonaz però non lascia la band, che lo include nella lista dei membri a titolo di scrittore dei testi (una gentilezza che dimostra l'affetto), del resto si occuperà anche di fare da manager del gruppo occasionalmente; molla la chitarra proprio nello stesso anno, a seguito della registrazione di questo album che, evidentemente, dimostra in modo inequivocabile che non ce la fa più. L'album oggetto di questa recensione è "Blizzard Beasts", rilasciato nel 1997 dalla Osmose Productions, abbiamo anticipato che risente dei problemi di Demonaz eppure, allo stesso tempo, è un album che presenta degli elementi positivi che, in questo caso, arrivano dall'entrata in pianta del gruppo di un batterista (che seguirà la band fino alla fine): Reidar Horghagen (in arte Horgh), il cui stile sarà determinante per il futuro della band. Insomma continuano le vicende ambientate nella gelida Blashyrkh, premetto che questo album è anche piuttosto breve - appena ventinove minuti - ma nemmeno troppo rispetto ai precedenti, forse qualcosa come un brano in meno. La grafica dell'album ritrae i tre membri della band, mostrando i muscoli all'obiettivo in posa guerresca ed aggressiva, la foto è stata sovrapposta ad un paesaggio bluastro innevato e quindi si pone in trasparenza su di esso, per cui è possibile vedere i contorni del paesaggio anche in corrispondenza delle sagome degli artisti. Il logo della band non è riportato nella grafica, ma è posto proprio sulla parte centrale del jewel case trasparente, in colore bianco, proprio in corrispondenza del centro della copertina. Un lavoro spartano questa grafica, all'insegna della semplicità e della tradizione Black Metal norvegese, dalla quale si discosta leggermente perché invece dell'immancabile sfondo nero, c'è un paesaggio innevato, ormai elemento indispensabile nell'immaginario degli Immortal.
Intro
Iniziamo l'ascolto dell'album con "Intro", suoni inquietanti, quasi horror, un forte rumore ambientale e di disturbo ed una voce, eccessivamente distorta, urla. La voce è anche carica di riverbero ed eco, in alcuni punti ci sono dei forti colpi come di una grancassa, poi dei ruggiti gravi come di un'enorme bestia feroce, suoni acuti e distorti per tutto il pezzo crescono e decrescono di intensità. Il finale di questo minuto è un'eco di uno scream che si ripete in loop per qualche volta fino a sparire nel nulla. La voce pronuncia delle parole, sì, però nella confusione non si riescono a cogliere bene e comunque hanno poca importanza nel risultato finale che è solo quello di un caos bestiale. Si tratta di un minuto di distorsione e cattiveria, con una produzione volutamente raw per acuire queste caratteristiche. Un brano che presenta l'album senza gli arpeggi acustici, presenti negli altri titoli, ma con cattiveria inaudita.
Blizzard Beasts
Segue la titletrack, "Blizzard Beasts" (Bestie della tempesta di neve), produzione grezza anche in questo caso, c'è un riff di chitarra molto veloce, con delle stoppate, il basso è adombrato anche perché la qualità della produzione non gli permette di emergere molto, la batteria si lancia in un blast beat sfrenato ma non manca di aggiungere anche i piatti, interviene la voce gracchiante di Abbath ma non è brillante: penalizzata anch'essa dalla produzione risulta piatta e lontana. Le parti sono ancora molto veloci e gli accordi si susseguono in modo feroce con delle ritmiche tutte particolari, che hanno fatto lo stile della band, poi una parte più melodica con due chitarre sovrapposte melodiche, sulle quali si crea un riff fatto di melodie distorte, acute e malefiche. La batteria scorre lungo i tom spesso, il rullante è molto acuto ed il blast sulla doppia cassa è continuo, non accenna a smettere per un attimo, colpisce anche la precisione, tecnicamente è molto meglio di quello che poteva fare Abbath. Si ripete la stessa struttura un'altra volta, il pezzo è molto violento e gelido, c'è tutta la ferocia degli Immortal ed una batteria completamente all'altezza, si sente specie nei piatti, poi una parte in cui lo scream viene doppiato con uno più basso, infine una parte strumentale veloce e cattiva, quasi Thrash Metal, che sfuma fino alla conclusione del pezzo con uno scream di sottofondo. Non siamo ai livelli del precedente album, però il tutto si presenta molto bene con questo pezzo. Il testo parla del freddo invernale che si cela nei regni preclusi, la forza che guarda il trono demoniaco, oltre il lato degli spiriti nella bramosia di un mondo con una marea di mostri, diffondendo la peste fanno sorgere il lato demoniaco. Il testo si presenta scritto con molta cura, con termini in inglese arcaico per abbellire e dare un tono epico, gli inverni vengono diffusi da bestie della tempesta di neve, l'attesa è finita: trionfanti in una scarica di era glaciale con la collera dei padroni per convocare dimensioni nebulose reali come quelle in cui stanno cavalcando. La mitologia aumenta: si parla ancora di questi cavalieri nordici che prendono d'assalto altri regni, in questo caso hanno dalla loro parte i non meglio precisati padroni e la forza dell'inverno con la quale spargeranno il gelo ovunque dando l'inizio ad una nuova era glaciale, in tutto questo si inserisce anche la presenza di un mondo parallelo, nebuloso, reale quanto quello in cui cavalcano ma fatto di materia differente. Tutto questo testo si ripete una seconda volta, è molto più curato nell'espressione ma risulta più criptico nel significato e comunque non ha una trama molto evidente, o perlomeno non lo è ancora. La novità sta in questa dimensione nebulare, già nei testi precedenti si parlava di nuvole nere e tempestose che funestavano i cieli e portavano la distruzione, ma è il testo successivo a chiarire di cosa stiamo parlando in questo caso.
Nebular Ravens Winter
Il pezzo successivo si chiama appunto "Nebular Ravens Winter" (L'inverno dei corvi nebulari), mette subito in chiaro che la rovina invernale si sta abbattendo sulla terra, si tratta delle scariche finali, il richiamo della dannazione, una vittoria immortale; la neve raggiunge le nuvole colorate dell'aurora boreale. Quindi dei corvi dalle ali nere gridano, per delle tragedie a venire, celandosi nella nevicata, trascinando il manto di ghiaccio dal cuore gelido; parti del genere sono molto poetiche ed evocative, dimostrano anche come si sia affinata la capacità di Demonaz nello scrivere i testi. Si parla quindi dell'inverno dei corvi nebulari, che si riconosce dal punto dal quale provengono i venti, è iniziata la stagione dei corvi che porterà il gelo; un mago che ha soggiornato presso i corvi antichi nella bellezza dell'inverno costellato di venti pungenti, con degli occhi lucenti che fissano incandescenti, colpiscono e ci trascinano tutti sotto. Questi venti nebulari conferiscono una possanza, dall'alto dei cieli, che si instilla nei cuori gelandoli e rendendoli demoniaci; è il richiamo della dannazione. Tutto il testo gioca sulla dualità del sopra e del sotto, questi corvi neri chiaramente stanno sopra e posseggono questa potenza demoniaca, trascinando il manto del gelo invernale, e così questi esseri potenti scagliano in basso la propria influenza rendendo demoniaci i cuori, ben disposti, di coloro che vogliono accettare questa benedizione e prendere parte a questo processo che porterà l'era glaciale sulla terra, che appunto sta sotto. La figura del mago invece viene inserita e non approfondita, abbiamo già avuto modo di vedere, nel precedente album, che ci fossero due testi ispirati addirittura al mondo di Dungeons & Dragons, quindi non sorprenderebbe che si tratti di un mago di quel tipo, magari votato a qualche tipo di magia oscura. Demonaz decide di lasciarci con la curiosità, ciononostante il panorama descritto basta ed avanza per farci capire di cosa si sta parlando, e ciò che viene descritto si adatta perfettamente alla musica proposta. Il pezzo sorprende sin dall'inizio perché già nella parte iniziale possiamo notare un basso che si impone nel sound ed un riff con chiare contaminazioni Death Metal - e mi riferisco allo stile dei primi Morbid Angel - una novità di un certo peso nello stile degli Immortal! Su di questo si inserisce una melodia lenta, lo scream diventa più basso, non sembra nemmeno di ascoltare gli Immortal, la parte seguente è più nello stile ad accordi veloci, ma ci sono parti con delle tastiere, la voce è simile a quella che ricordiamo ma nello stesso tempo è più bassa di tonalità e quindi lontana da ciò cui siamo abituati. Il pezzo procede, più lento del solito (quindi veloce e non velocissimo), cadenzato e melodico, la batteria insiste sul rullante, la voce non è nemmeno registrata benissimo con una "s" troppo sibilante, forse anche per i numerosi effetti che vengono inseriti, sempre diversi, a metà pezzo la voce si fa quasi robotica che in qualche modo ricorda gli effetti vocali dei Morbid Angel in "Domination". Altra parte strumentale melodica con la chitarra che si lascia andare i passaggi meno veloci del solito e più facili da seguire, si cerca di sostituire la velocità con la potenza dando molta attenzione al ritmo, si capisce che il gruppo cerca di reinventarsi in una nuova veste, il guaio è che col pezzo precedente non hanno nemmeno accennato a farlo, l'espediente funziona poco, la plettrata alternata viene usata molto più spesso del solito, le parti con le stoppate sono ottime, però la voce effettata proprio non si può sentire (anche perché la voce di Abbath senza effetti è già eccezionale). Si riparte, con velocità, ripetendo la strofa, la batteria è l'unica sicurezza, il resto del songwriting è confusionario ed il pezzo finisce di colpo. Non lascia una buona impressione, spiazza ma in modo negativo, pur non essendo un pezzo "brutto".
Suns That Sank Below
Il quarto pezzo è "Suns That Sank Below" (Soli che affondarono giù), mantiene lo stile del precedente pezzo: doppia cassa veloce, rullante lento, riff di chitarra più veloci questa volta ma ancora nel nuovo stile, poi la voce esordisce con uno scream acuto lascia qualche attimo alla base di proseguire e poi tutto prende molto ritmo, la voce diventa velocissima ritmicamente, mentre la chitarra è rallentata tutti gli altri strumenti infuriano in modo bestiale. Questo pezzo è nel nuovo stile ma funziona già molto meglio, rimangono le influenze Death Metal che rimangono confinate nel riffing, ma le componenti Black Metal sono rimaste intatte, forse il risultato propende per uno swedish Black Metal, se non fosse per la voce che rimane in stile classico. In questo pezzo infatti la voce non è effettata e rende molto bene, la batteria è esplosiva e fa un ottimo lavoro: una macchina da guerra precisa e spietata, poi è la volta di un assolo di chitarra in stile Thrash Metal cui segue poi una parte di tastiera effettata, piazzata là in quel modo ha poco senso, il pezzo riprende una parte precedente, poi di nuovo si fa strumentale e si conclude. Anche in questo caso un pezzo breve, nemmeno tre minuti; meno insolito del precedente ma ancora lontano dallo stile che contraddistingueva il gruppo, ha tutta l'aria di essere un album in cui il gruppo cerca di sperimentare nuove soluzioni. Le novità possono essere positive nel caso delle parti melodiche o più lente di chitarra, che comunque sono ben eseguite e sono coerenti, ma alcune cose come gli effetti di voce o le tastiere che entrano in gioco per pochi secondi nel pezzo sono fuori luogo e rendono il tutto meno credibile. Il testo parla di una montagna schermata dalla luce del sole, nella vallata dove camminano ci sono degli spiriti oscuri che si oppongono al sole; in questo territorio ci sono formazioni cristalline e tempeste di ghiaccio feriscono il cielo. Il protagonista è un volto adombrato nel bosco, consapevole che l'inverno non muore mai, respirando la brezza con occhi pieni di tentazione nel pensare al fatto che il sole non sorgerà mai. Attende che questi soli effimeri tramontino, che la luce diventi oscurità; una luna nera richiama l'oscurità dentro di lui ed adesso non si tratta di visioni: vede i soli neri scendere, soli che affondano giù. In queste visioni lascia che la luna nera diventi il gioiello del proprio regno. Un testo ricco di oscurità, con un qualche aspetto demoniaco se vogliamo, ma privo di quell'aggressività presente in molti altri pezzi degli Immortal, forse volevano esplorare un lato più poetico/mistico, in ogni caso è un bel lavoro.
Battlefields
La violenza non poteva mancare, invece, in un testo intitolato "Battlefields" (Campi di battaglia), l'odore della battaglia è trasportato dal vento e lascia intendere cosa accadrà prima ancora di vedere l'orda invernale, che cavalca furente, che è protagonista di questa vicenda; il vento li guiderà, si tratta di una razza pura proveniente dagli alti venti nordici per conquistare i ghiacci perenni - indicati come i mondi degli spiriti, c'erano dei riferimenti a questi mondi anche nei testi del precedente album - e far tremare il mondo sotto al loro passaggio. In cerca dei loro nemici da uccidere, nascondendo la brezza dei tempi migliori, innalzano le fiamme e l'onore combattendo con le spade lunghe, abbeverando le vallate del sangue nemico. Tutto il testo si ripete e ci viene restituito lo spirito battagliero tipico del precedente album, che abbiamo avuto modo di trovare anche nel secondo brano del resto; questa volta non ci sono riferimenti sovrannaturali ma solo dei fieri uomini del nord che cavalcano, in un'orda, per portare distruzione e spargere sangue, conquistare terre gelide fatte di ghiacci perenni. Anche in questo caso lo stile di scrittura, maturato, si avvale di alcuni termini poetici tratti dall'inglese arcaico in disuso, in alcuni casi suonano come dei "latinismi" perché provengono proprio dalla radice latina, quindi non attingono al lato sassone come ci si potrebbe invece aspettare. Il brano inizia con uno stile più vicino a quello del secondo pezzo, però si nota la differenza nelle chitarre che sono più calde mentre lo scream è leggermente più basso di tonalità, anche in questo caso troviamo un basso frenetico ed una batteria con una doppia cassa a manetta mentre il tempo portato dal rullante è più lento e controllato. La chitarra è veloce, distorta ma melodica, si riescono a cogliere le plettrate e non c'è il caos velocissimo che invece caratterizzava il precedente album e lo stile della band in generale. La voce si fa più acuta nella seconda strofa, c'è una parte strumentale in cui la chitarra riesce ad esprimersi meglio, plettrate ancora più lente, cadenzata, ma sicuramente efficaci, poi un ulteriore effetto alla chitarra e se ne sovrappongono due, si crea molta confusione con tutti questi effetti pesanti - piazzati in un contesto di produzione bassa tra l'altro - la batteria ed il basso invece sono naturali, veloci e devastanti. Il pezzo procede nella prima strofa, poi c'è spazio per un'altra variazione e poi ancora un'altra strofa, la chitarra indugia nella plettrata alternata con parti eseguite perfettamente, ma lontane dallo stile della band e piene di effetti sempre diversi che riempiono il sound ma cozzano con lo stile complessivo. Mentre si sente ancora la strofa cantata il pezzo sfuma e si conclude.
Mountains of Might
Il sesto pezzo è "Mountains of Might" (Montagne di potenza), l'inizio è un epica introduzione di tastiera, prima degli accordi e poi si aggiungono dei suoni di archi, le melodie sono tristi ed imponenti allo stesso tempo, si attiva una chitarra elettrica che inizia la cavalcata e le tastiere vengono meno; la batteria sempre in blast sulla doppia cassa, con rullante a scandire i tempi, la chitarra si abbandona in una plettrata alternata magistrale, davvero ottima ed ispirata: il vantaggio è che in questo caso Demonaz riesce a proporre le melodie che ha sempre fatto con l'altra tecnica, più sfiancante. La voce è quello scream gracchiante, ma non così acuto e nemmeno veloce, cerca piuttosto di risultare melodica. Se precedentemente abbiamo notato i limiti di questo nuovo approccio, con questo pezzo non possiamo più parlare di limiti, ma semplicemente di vantaggi. Segue una parte acustica con la quale la chitarra esegue quegli arpeggi dal sapore folk e sognante che hanno fatto brevissime apparizioni anche nei precedenti album, altro tocco di classe che impreziosisce il pezzo, la parte si evolve, si aggiunge basso e batteria e poi varia e continua a variare proponendo contro melodie. La chitarra elettrica continua sulla stessa linea la melodia intrapresa, sempre in plettrata alternata e non velocissima, un risultato ottimo: un Black Metal epico e glaciale. Altra parte strumentale in cui la chitarra prosegue con la parte distorta e poi un altro acustico, anch'esso molto ispirato, sul quale la voce continua con la violenza epica, poi ancora l'avvincente riff di chitarra, colonna portante di questo pezzo. Avvicinandosi al finale la chitarra si fa più frenetica, ma mantiene la melodia, la voce accelera, il pezzo poi sfuma nel silenzio gradualmente. In un pezzo del genere Demonaz si è mostrato completamente all'altezza della situazione, anche col testo: ambientato nella montagna in cui la tempesta sta diventando più fredda e persino il sole è ghiacciato, il protagonista è solo e respira i venti nitidi. I venti non cessano mai di soffiare e spazzano i ghiacciai, il protagonista osserva queste montagne che ogni nordico conosce bene, le montagne della potenza. Picchi di ghiaccio a perdita d'occhio, questo è il regno del protagonista solitario. In questo caso il testo è breve e si ripete, eppure riesce ad essere esaustivo nella propria semplicità, perché esprime bene l'epica e solenne desolazione del panorama, fatto di ghiacci e di forti venti perenni che spazzano via la neve che non attecchisce, oppure le danno forma innestandola in uno dei tanti picchi che compongono lo sterminato paesaggio. Bella specialmente l'immagine del sole ghiacciato, per quanto assurda - ma forse proprio per questo - che crea una sensazione di malvagia epicità.
Noctambulant
Il pezzo successivo è "Noctambulant" (Nottambuli), inizia riprendendo quelle influenze Death Metal di cui abbiamo parlato, specie nella presenza del basso e nelle ritmiche adottate, gli effetti sono di nuovo presenti e rendono il tutto molto confuso, il suono è saturo e non dà una buona impressione. I riff si susseguono, la chitarra è piena di effetti, prosegue nel riffing con delle stoppate a sorpresa che fanno diventare tutto strano ed aggressivo. La voce è molto acuta in questo caso, ma la maggior parte del lavoro lo fa la batteria, una macchina da guerra assurda e cattiva, il basso segue a ruota, unico elemento caldo del sound. L'approccio ritmico apre nuove porte nella creatività e nella composizione della band, ma quelle porte che includono effetti pesanti sono fallimentari e si avverte immediatamente: una cosa è un caos intenzionale costruito con un riffing frenetico e devastante, un'altra è un caos che deriva solamente da suoni pieni di effetti che non fanno altro che coprire e mascherare. Rinnovata violenza nella seconda parte del pezzo, segue infatti una parte più lenta e cadenzata che però è breve, poi una variazione con un tempo più veloce, poi un'altra variazione lenta? cambi di tempo frequenti mentre c'è anche la voce. Questo passaggio finale in effetti dà qualche spunto positivo, perché ritmicamente queste soluzioni sono interessanti, mostrano fantasia e capacità. In ogni caso il pezzo finisce dopo poco più di due minuti. Adombrato cadi, un'anima ghiacciata nella sfera tremolante, il suono bestiale del richiamo invernale, un freddo pungente arriva sussurrando. Gli artigli dei demoni sono al vento, anime eterne nel ghiaccio invocano i mondi nebulari; in questo caso il testo riprende l'immagine con la quale è iniziato l'album, questi mondi nebulari, visti come un mondo parallelo e demoniaco. Questi demoni del tempo eterno, nella fredda aurora boreale che si sta accendendo, fanno nascere una trinità di potenza che ruggisce sopra dei protagonisti, i padroni dei demoni; capaci di vedere i nostri spiriti eternamente trascinati dai venti dell'emisfero polare, nottambuli. Nessun indizio su questa trinità di potenza che nasce.
Winter of the Ages
Anche il brano successivo, "Winter of the Ages" (Inverno delle ere), è breve ed inizia con lo stesso stile del brano precedente, con tutti i problemi che derivano dalla chitarra eccessivamente effettata e satura, forse con questo pezzo il problema si acuisce. Il pezzo è ritmico, gli effetti coprono la doppia cassa e si salva solo il rullante, il basso appare a tratti, anche la voce è un po' nascosta. Poi una parte strumentale con due chitarre sovrapposte in tremolo picking, un pezzo che ha un approccio principalmente Black Metal. Siamo a metà pezzo e fino ad ora l'impressione non è positiva, si sente che a suonare è un gruppo valido ed è proprio questo che fa rabbia. Altra parte strumentale con una parte di tastiere soffusa, poi un assolo di chitarra melodico ma confusionario, forse in stile Thrash o comunque da Death Metal old school e poco dopo il finale. Non lascia una buona impressione il pezzo, il gruppo appare fiacco in questo caso. Il testo descrive il protagonista che cammina attraverso la neve pieno di propositi, in mezzo alle vastità ghiacciate del crepuscolo, un turbine di cristalli, un inverno maestoso. Demoni e bestie invernali occupano le visioni di quest'uomo, che esplodono in un desiderio di dominio, millenni pieni di orgoglio. Inverni di odio e di dolore, di sofferenza, questi inverni attendono in futuro, nebbia ed aurora nebulare ci attengono nel freddo stagionale. Poi un riferimento al "dryas arcaico" che necessita di un chiarimento: si tratta di un periodo storico di interesse nello studio della climatologia, è un periodo di transizione climatica - attraversato solo un alcuni luoghi a latitudini o altezze particolari (di sicuro nella Scandinavia) - in cui si è registrato un evento di glaciazione, siamo parlando del paleolitico superiore in cui il pianeta era popolato, tra gli altri, dell'homo sapiens sapiens (l'uomo di Cro-Magnon, che è l'evoluzione che praticamente si identifica con lo stadio attuale). L'era del dryas è stata caratterizzata da migrazioni - perché la glaciazione ha creato dei ponti tra i continenti - e da estinzioni di massa (non solo nella fauna), e prende il nome dalla Dryas octopetala, un fiore che riesce a resistere ai ghiacci perenni e con l'insolita struttura ad otto petali bianchi e corolla con vistosi pistilli gialli, si diffonde a tappeto.
Frostdemonstorm
L'ultimo brano, "Frostdemonstorm" (Tempesta-demone-gelo), riprende le stesse tematiche, lasciando nella mente i paesaggi da inverno artico, intrappolati per sempre nelle catene del tempo; creature bestiali della neve portano la venuta della loro tempesta demoniaca. I protagonisti stanno nelle montagne più alte e dimorano nelle vallate profonde, il lato demoniaco, delle grandinate scorticano la pelle della terra e la vittoria dell'entropia è assicurata. In questo caso è immediato il confronto col testo precedente, il cui il periodo del dryas viene portato come esempio di un periodo di cui andare orgogliosi, proprio per il gelo e l'estinzione di massa che lo hanno accompagnato. Uno sciame artico copre il sole e la tempesta è ciò che respirano, questo sta a significare che questi demoni che abitano in vallata raggiungono la vetta della montagna per gloriarsi della distruzione che si abbatte sulla terra e che quindi segna la loro vittoria: visto che abitano questi mondi che per gli altri esseri sono inospitali. Lo stesso testo si ripete e questo è l'ennesimo pezzo di breve durata, Un inizio veloce, con tonalità più cupe, che vengono riprese anche dalla voce in effetti, sconta le stesse problematiche già notate riferendoci al pezzo precedente: confusione. Ci sono degli spunti positivi che derivano dal ritmo, specie il lavoro della batteria, per il resto ci sono delle melodie di chitarra che si salvano e risultano gradevoli. Il resto è abbastanza fuori luogo, uno spreco di energie, un peccato che questo esperimento sia finito così. Poi una parte acustica, che con la propria bellezza non fa altro che dimostrare quanto sia pessima la parte distorta con la chitarra ricolma di effetti, poi una parte distorta e strumentale che mostra un accenno di assolo che questa volta funziona meglio. Il pezzo riesce a riprendersi e diventa interessante, ancora a prevalenza strumentale perché gli interventi della voce sono brevi. Poi uno scream con un'eco che ha una coda pazzesca, esageratamente lunga e riverberata, che si trascina fino al finale in cui il pezzo viene troncato di colpo.
Conclusioni
Gli Immortal ci consegnano un album così così, fa rabbia pensare che ci siano alti e bassi, perché pezzi come "Mountains of Might" riescono ad essere belli, anche col nuovo approccio, ma il terzetto finale è da dimenticare. E' un album con il quale evidentemente Demonaz cercava di reinventarsi, in modo da trovare una soluzione che gli permettesse di continuare a suonare nonostante la tendinite acuta gli imponesse di abbassare i ritmi e non continuare con le velocità forsennate tenute nei precedenti album; un problema serio insomma, che giustifica artisticamente le intenzioni del chitarrista ma, all'esame oggettivo e spietato, non può essere premiato. Un album di passaggio insomma, che porta con sé i pregi ed i difetti di questo nuovo approccio: i difetti sono dovuti specialmente al largo uso di effetti accompagnati a delle influenze mutuate da un Death Metal molto vicino (se non identificabile) a quello dei Morbid Angel. La ricerca del ritmo, forse anche del groove, per poter in qualche modo compensare alla diminuzione della velocità è stata una scelta che sulla carta appariva logica, se non addirittura scontata, ma di fatto ha portato a risultati alterni. La qualità dei testi, ad opera di Demonaz, appare invece migliorata, non solo per le tematiche affrontate che rimangono simili a quelle del precedente album, ma per lo stile di scrittura che inizia ad avere dei preziosismi; Abbath al basso rimane una certezza, con la voce ci sono delle parti poco convincenti che però sono conseguenza del fatto che cercava di adeguarsi al differente approccio di chitarra, optando per delle tonalità più basse del solito e delle ritmiche più lente e magari anche più melodiche, le parti con la voce effettata sono chiaramente da dimenticare: poco credibili. La batteria di Horgh, invece, è la grande sorpresa dell'album: si trova a proprio agio sia nei pezzi fatti nello stile del precedente album sia nei pezzi in cui il nuovo stile risulta più evidente: un batterista versatile quindi, il suo stile gli permette di fare delle interminabili parti in doppia cassa veloce senza mai perdere il tempo mentre ci dà dentro con piatti e rullante; una macchina da guerra che aiuterà non poco gli Immortal in futuro. Se non altro il lavoro ha il merito di provare diverse strategie, i pezzi quindi sono poco simili tra loro, a parte il terzetto finale, ed hanno degli spunti che magari, se realizzati in modo differente, avrebbero strabiliato; quindi la valutazione non può essere totalmente negativa, ma tiene conto del fatto che alcune soluzioni disturbano non poco all'ascolto. Un album di transizione quindi, di un gruppo da continuare a seguire con grande interesse.
2) Blizzard Beasts
3) Nebular Ravens Winter
4) Suns That Sank Below
5) Battlefields
6) Mountains of Might
7) Noctambulant
8) Winter of the Ages
9) Frostdemonstorm