IMMORTAL

Battles in the North

1995 - Osmose Production

A CURA DI
PAOLO FERRANTE
05/06/2015
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

Torniamo nel gelido regno degli Immortal per la terza volta, in questa occasione approfondiremo "Battles in the North", pubblicato al pari dei precedenti dalla francese Osmose Productions nel 1995. Ricorderete che discutendo del precedente album, "Pure Holocaust", si era notato che nonostante nel libretto dell'album la registrazione della batteria fosse stata accreditata ad Erik Brødreskift (in arte Grim) quando invece era stata eseguita interamente da Olve Eikemo (Abbath Doom Occulta); in questo caso la band non si prende la briga di inventarsi dei batteristi e quindi viene presentata la formazione composta dal già citato, che si occupa praticamente di tutti gli strumenti e della voce, assieme all'inseparabile Harald Nævdal (Demonaz Doom Occulta) che invece è responsabile dell'altra chitarra e della scrittura dei testi, fatta eccezione per "Circling Above in Time Before Time" che in questo caso è stato scritto da Abbath. Bisogna immediatamente anticipare che con questo album, riguardo alle cose in cui la band non ha colpa, sono stati fatti dei disastri: nella versione promo e nella prima edizione dell'album sono stati commessi diversi errori nel missaggio che hanno avuto conseguenze molto negative nelle recensioni e nella critica dell'epoca, la Osmose Productions ha cercato di correre ai ripari con una versione "limited edition" (che in realtà non era affatto limitata ma puntava a sostituire la prima!) che è la versione che ai giorni nostri è la più ascoltata (di fatto la precedente versione ormai è diventata difficile da trovarsi). Oltre a questa produzione decisamente Lo-Fi (a bassa fedeltà) dovuta principalmente a delle sessioni di registrazione che non hanno tenuto conto dei picchi di volume (circostanza irreversibile questa, che non poteva essere migliorata col secondo missaggio), anche più del precedente album e forse meno intenzionale, che penalizza eccessivamente la batteria; c'è anche una bella disattenzione nella grafica, tanto che viene presentata una tracklist diversa da quella effettiva (in questa recensione invece presenterò quella effettiva) ed anche errori di scrittura nei testi. Un certo scivolone che non è da imputarsi alla fretta, dato che gli Immortal hanno registrato nel 1994 e l'album è stato pubblicato nel 1995, si sono presi anche più tempo rispetto ai precedenti album che si sono succeduti a distanza di un anno mentre il secondo album precede questo di ben due anni; ognuno si sarebbe aspettato un lavoro qualitativamente migliore, perlomeno come produzione. In ogni caso in questa occasione descriverò i pezzi come si possono ascoltare nella limited edition, perché sono quelli che potremmo ascoltare adesso e che hanno avuto maggior diffusione (trattare la versione originale per questione di principio non avrebbe senso e nemmeno terrebbe conto dell'arte della band che comunque ha poca responsabilità in sede di missaggio). La copertina della versione originale, stranamente, è quella più nota: ci mostra il duo Abbath e Demonaz in un paesaggio totalmente innevato, probabilmente si voleva evocare la Blashyrkh dei loro testi, con le ginocchia piegate mentre impugnano la loro "ascia" dal manico (una curiosità: la posa di Abbath pare fosse quella preferita dei celti in Gallia, che non usavano sedersi, considerato il fatto che questi correvano molto per terreni impervi durante la giornata, questa posa favoriva lo stretching del quadricipite donando sollievo). La scelta di mettere logo e titolo in grigio, in modo da renderlo visibile sia sullo sfondo bianco sia sopra le figura dei due in nero, è logica eppure poco artistica, forse un'inquadratura diversa avrebbe permesso di scrivere in nero su bianco. La grafica della versione limited edition ha il blu come colore principale, è presa da un dipinto olio su tela di Jeroen van Valkenburg, pittore moderno dallo stile personale ispirato dalle saghe vichinghe conosciute in occasione degli studi archeologici all'Università di Leiden (Olanda), lo stile richiama le pitture e le incisioni vichinghe, lo stile è tribale, e le rielabora creando uno stile proprio che le arricchisce di elementi surreali e forse anche mistici; un lavoro sicuramente pregevole che arricchisce non poco la versione in digipack. In questa recensione avremo modo di approfondire un album che si differenzia dai precedenti pur ponendosi in linea di continuità, si approfondiranno le tematiche legate a Blashyrkh che diverrà una realtà sempre più indispensabile nell'immaginario Immortal e l'esame delle tematiche riserverà anche delle piacevoli quanto inaspettate sorprese.

Battles in the North

Iniziamo l'ascolto con "Battles in the North" (Battaglie nel nord), l'inizio è un confusionario assalto chitarristico la batteria sfoggia dei blast beat a profusione, quello che si nota è - come anticipato - la produzione scarna e specialmente la batteria con i toni alti accentuati e con poca coda sulla cassa? questo penalizza il suono: dà più attacco (quindi il suono emerge netto) però perde di pienezza, insomma sembra che questa parte di doppia cassa esca fuori direttamente da un trigger. La voce entra in gioco incisiva, distorta e minacciosa nelle parti veloci che avevano caratterizzato anche il secondo album, il timbro vocale è grattato ed arcigno. La malvagità è alle stelle, la seconda strofa ha un avvio strumentale e poi riprende ritmo con l'arrivo della voce, le parti sono veloci, distorte, con rallentamenti ed accelerazioni a sorpresa, una voce molto roca ed acuta. La parte centrale fa arrivare il ritornello, uno stacco di batteria che poi lascia sola la chitarra furiosa, poi un colpo in cui si aggiunge anche la voce per formare il bestiale ritornello che è fatto di melodie grezze e veloci; la seconda parte dopo il ritornello fa prendere ulteriore velocità alle chitarre che impazziscono, la doppia cassa si lancia all'assalto e la voce non è da meno. Il dato fondamentale è la grezza aggressività, la furia glaciale con la quale i due si scagliano addosso all'ascoltatore senza pietà: gli accenti ritmici in questo giocano un ruolo fondamentale perché, data l'elevata velocità, forniscono una chiave di lettura ritmica del brano e ne fa assaporare la dinamica esecutiva, consentendo così di avere dei punti "forti", a livello espressivo, nonostante il volume e la distorsione siano sempre al massimo. Segue una variazione della strofa nella quale una seconda chitarra interviene, più melodica, a fornire un controcanto, anche questa chitarra come le altre si distingue per essere il risultato di accordi veloci, non ha il timbro del tremolo picking tipico del Black Metal. La parte conclusiva propone la seconda parte della strofa che sfuma in uno scream acuto prolungato, un finto finale e poi un'atmosfera di chitarra distorta fa da sottofondo ad uno scream gutturale che esegue una parte declamata, poi un accenno di ritornello con rinnovata ferocia animalesca. Un pezzo che apre le danze in modo violento, un Black Metal spietato e glaciale dalla furia inaudita, il testo ci proietta immediatamente nell'atmosfera battagliera di Blashyrkh - quelli di voi che hanno approfondito le recensioni dei precedenti album avranno ormai confidenza con questo mondo immaginario - che fa da sfondo a battaglie epiche e cruente. In questo testo si descrive un'armata, in assetto da battaglia, che cavalca sotto la bandiera di Blashyrkh; nei cieli di guerra si trovano, estraniati dal mondo, i re del "regno del corvo" (originale ravenrealm impossibile non notare i riferimenti odinistici, dei quali si è discusso largamente in precedenti occasioni) che calpestano i troni ingioiellati della terra. Questi esseri hanno un'età impensabile, testimoni e protagonisti di miriadi di battaglie, eppure ancora gli luccicano gli occhi al pensiero del nuovo scontro imminente, con la loro forza siederanno ai troni antichi per i secoli a venire. Questa orda di cuori pagani proveniente dal nord, presso il loro corvo sacro (ancora riferimenti odinistici), combatteranno per i re del regno del corvo. Un testo epico che si addice alla ferocia spietata del pezzo, rappresenta dei guerrieri di carattere quasi mitologico che, più duri del giaccio e della pietra, si lanciano in battaglia con violenza metodica per abbattere i nemici del proprio regno.

Grim and Frostbitten Kingdoms

Il seguente è "Grim and Frostbitten Kingdoms" (Regni truci e nella morsa del gelo), ha un inizio d'assalto, come il precedente, la batteria è una macina impietosa, bel gioco sui piatti, le chitarre hanno un incedere imperioso, quasi altezzoso, ricordano una bufera di neve inarrestabile e consapevole di esserlo. La voce è glaciale, grattata e gelida nelle tonalità acute, molto secca e chiuse, un gracchiare malefico ed è un peccato che la produzione non abbia potuto valorizzare l'eccezionale qualità vocale che viene spesa. Variazione della strofa con la batteria che si fa martellante, la voce sbatte con insistenza, poi una parte più aperta e melodica - il blast beat è un elemento fisso - ed in questo bisogna ammettere che la produzione caotica ha il pregio di restituire qualcosa che affascina e permette di immedesimarsi: anche perché una bufera di neve ci si aspetta di sentirla disturbata e non nitida come una giornata di sole. Le due chitarre si muovono in una confusione caotica, la voce resta in primo piano, tagliente e gracchiante, il rullante si stampa in testa per quanto è secco ed acuto, oltretutto ha anche un certo volume nel missaggio finale. In questo pezzo la velocità delle chitarre ha un risultato caotico che crea un impasto denso in cui è difficile cogliere le singole melodie che emergono a tratti dalla bufera di note, altra parte vocale tagliente e poi parte un assolo acuto e fischiante, una caduta libera di note, un tuffo in picchiata in plettrata alternata che viene troncato, impietosamente, con la fine del pezzo. Un pezzo breve in verità, ma che mantiene sicuramente alta l'attenzione ed il livello artistico sin'ora descritto. A parlare nel testo è un essere demoniaco, si descrive immerso nella morsa del gelo, inserito in una dimensione cristallina in cui volano gli infedeli e si potrebbe pensare che sia il demonio eppure non è il solo della sua specie. Facce dipinte provenienti da secoli precedenti (forse questa frase vuole essere un riferimento al popolo dei Picti, popolo celtico stanziato a nord della Northumbria, nella parte meridionale dell'odierna Scozia), che vagano mentre i venti sferzano le terre spoglie. Il demone si fa malevolo ed invita l'ascoltatore a raggiungerlo nel proprio regno in mezzo all'abisso, fatto di silenzio glaciale, di vuoto bramoso. Questi concetti disegnano meglio la geografia di questa Blashyrkh, che a volte è abisso altre è un regno che si trova nei cieli: l'elemento costante è la desolazione glaciale e la presenza di questi contingenti armati che si scontrano. Il concetto del silenzio introduce le tematiche del successivo pezzo. Si segnala, a titolo di curiosità, che è stato realizzato un videoclip per questo pezzo in cui figura nientemeno che Hellammer alla batteria.

Descent into Eminent Silence

"Descent into Eminent Silence" (Discesa nel silenzio eminente) ha un inizio pesante, come gli altri pezzi, cavalcata di chitarre ed una batteria che insiste in tempi pestati, poi uno stacco e parte il blast beat, trattandosi di sonorità più basse emerge meglio il lavoro del basso che rimane comunque offuscato dal resto degli strumenti. Melodie epiche e veloci si rincorrono mentre la batteria ripete rullate sempre nuove, poi una parte più lineare, di nuovo parti strumentali frenetiche con accordi furiosi a velocità ridicolmente elevata, poi è la volta della voce che si inserisce in rapidi scatti, si tratta di interventi tanto maligni quando veloci. Forse in questo caso la lentezza delle melodie non si addice bene ai ritmi così frenetici e la voce accentua ancora di più il distacco tra la sezione ritmica e quella melodica; nonostante questo il risultato è di un malefico assicurato. Nella parte centrale del pezzo le chitarre hanno ancora nuovi riff da sfoderare, la creatività degli Immortal non viene mai meno: si tratta di riff diversi tra loro eppure coerenti nell'economia complessiva del pezzo; in questo brano c'è più spazio per le parti strumentali che vengono sviluppate con calma e precisione. Si ripete la parte iniziale ma questa volta la batteria prende più spazio giocando sui piatti, poi altra sfuriata con accordi veloci e blast beat, una parte diversa dalle precedente e la voce fa le sue incursioni brevi e veloci, sono delle parti breve e con lunghe pause tra loro, uno stile tutto Immortal che rende la voce riconoscibile anche per le scelte metriche. Un pezzo che approfondisce l'aspetto strumentale insomma, il finale arriva di colpo come nel pezzo precedente, a dimostrazione che con questo album c'era l'intenzione precisa di optare per uno stile più raw. Il testo descrive uno scenario formato da cinte circolari formate da mura di pietra che custodiscono al loro interno i più profondi dungeon una volta oltrepassati i cancelli di ferro, sotto torri che una volta erano furiose alla vista. Una collina e gli antichi corvi su borg avvolti nella nebbia, per quanto riguarda il termine borg possiamo trovare due traduzioni: rintracciando l'etimologia dal bokmål e riksmål, incluso il dialetto nynorsk (lingue dell'antico norvegese che ormai sono dei dialetti molto simili e le differenze sono paragonabili a quelle dell'american e del british english) hanno un significato che deriva dalla lingua proto indo-europea e vorrebbe indicare un rialzamento del terreno che, col tempo, è stato inteso nel senso di terrazzamento artificiale e dunque indicherebbe il termine di forte, o comunque un luogo fortificato (si noti la similitudine col lemma italiano: borgo, che caratterizzava appunto gli insediamenti provvisti di fortificazione); esiste anche un'accezione tipicamente islandese, non trascurabile visti i diversi riferimenti a quella cultura nei testi degli Immortal, che parla di un'altura naturale (del resto l'Islanda non era fortificata anticamente) e sembrerebbe indicare un'altura scoscesa oppure un precipizio (visto da sotto) e deriverebbe dal termine berg (notare la similitudine col termine iceberg, che appunto si può tradurre come "montagna di ghiaccio"); pare che l'enigma possa risolversi ritenendo che questi antichi corvi si trovino su alture, magari fortificate naturalmente, dall'alto delle quali vegliano? una sorta di Olimpo per collegarci a mitologie più vicine. Il testo prosegue raccontando di ombre che ci rubano le anime in questi luoghi ed il protagonista ha paura che saranno portate proprio là, rinchiuse per sempre oltre i cancelli di questo dungeon cui nessuno può trovare accesso.

Throned by Blackstorms

Il quarto brano è "Throned by Blackstorms" (Messo al trono dalle tempeste nere), ha un inizio confuso, parte con un accordo che poi viene sostituito bruscamente da un altro (forse un errore di missaggio o di taglio della traccia precedente), gli accordi si susseguono veloci, la batteria insiste su rullante e piatti in modo furioso, la voce non si fa aspettare troppo ed esordisce gracchiante, questa volta si prende più tempo ed occupa la scena per più tempo. L'articolazione delle parole avviene in quel modo, tutto originale, che contraddistingue la voce di Abbath e quindi è uno scream gracchiante, ringhiante, con accelerazioni e decelerazioni ad arte in modo da sottolineare determinati passaggi sia liricamente che ritmicamente. I colpi sui piatti si fanno esplosivi, la voce riprende con la strofa, con rinnovata bestialità demoniaca, una parte chitarristica in cui la batteria si ferma, poi riprende a piena potenza, è una continua raffica di colpi che non lascia scampo, la voce si mantiene presente e malevola e poi prolunga una parte in cui la chitarra viene lasciata nuovamente sola. Questi passaggi, in cui la chitarra resta sola e la batteria si ferma per pochi secondi, per poi riprendere con rinnovata furia, sono degli accorgimenti artistici che fanno impennare la qualità del pezzo in termini di godibilità. Nella seconda parte viene dato più risalto agli strumenti, un assolo di batteria che spara tutte le cartucce durante dei passaggi più aperti di basso mentre le chitarre continuano nella loro tempesta di ghiaccio. Altra parte vocale, più breve, poi il pezzo si conclude con una breve parte strumentale di finale. Il testo è ancora più maestoso dei precedenti, se possibile, il protagonista ascende al suo trono di mondi degli spiriti formati in cerchi concentrici sulla terra, un regno che sarà ovviamente di gelo e pieno di bestie da tormenta di neve, incluso lui, per ripulire la faccia della terra in memoria degli antichi. Il padrone del gelo nebuloso, che aspetta la caduta del sole, spettacolari creazioni funeree di ghiaccio, si tratta quindi di un essere che sta plasmando la geografia dell'ambiente creando un qualcosa in opposizione al resto del pianeta. Nascosti in voragini, emergono i figli di una nuova alba, un'aurora che porterà olocausto, e tutti questo regni che hanno dato forma a queste bestie appartengono a lui che, proveniente dal trono del nord, vi si insedia col favore delle tempeste nere.

Moonrise Fields of Sorrow

Il successivo è "Moonrise Fields of Sorrow" (Campi di dolore della luna sorgente), ha un avvio piuttosto melodico considerando i pezzi precedenti, eppure la batteria non da scampo quanto a furia, si appezza meglio il lavoro del basso nelle parti più melodiche. La voce interviene nefasta, veloce, nello stile che abbiamo descritto ed apprezzato; la strofa successiva è molto cadenzata e ritmata negli accordi della chitarra, ricorda sonorità più in stile Pagan. Si arriva presto a metà pezzo nella quale viene lasciato più spazio agli strumenti che, a differenza di quanto già ascoltato, si comportano similmente a quanto avveniva negli altri pezzi: veloci e taglienti riff di chitarra e batteria spinta in un blast beat eterno. Riprende la strofa iniziale, ci sono delle parti melodiche in plettrata alternata, la voce è incisiva, meno gutturale e tende a sottolineare maggiormente le melodie grattando di meno. Si continua col brano in modo furioso con la ripetizione di una strofa, poi è la volta di una parte strumentale, breve, che accentua ancora una volta il lato più melodico con dei riff in cui la melodia riveste maggiore importanza rispetto alla velocità. Una nuova e breve parte vocale ed il pezzo si conclude, la durata è esigua eppure va considerato che questo pezzo ha fatto ascoltare qualcosa di leggermente diverso e va inteso anche come brano di passaggio alle sonorità, ancora più originali, che ascolteremo nel brano seguente. I campi cui il titolo fa riferimento sono i luoghi in cui sono caduti i padri, di un brillante passato oscuro; avvolto nel ghiaccio e sotto un sole pallido si trovano sentieri ghiacciati. In questa terra riposano le spoglie degli un tempo possenti padri degli uomini del nord, ora la loro possanza risorgerà a mezzo dei figli che stanno per rinascere. Il protagonista quindi invoca i campi glaciali e la terrificante luna chiedendogli di brillare per lui e renderlo una nevicata eterna. E' un testo breve che si avvale ripetutamente di alcune strofe, ci mostra il carattere più epico dei testi di Demonaz che, in questo caso, sceglie di approfondire il sentimento di nostalgia verso gli antichi splendori degli uomini del nord che adesso rivivono attraverso un nuovo giovane popolo che ne erediterà la grandezza.

Cursed Realms of the Winterdemons

Il sesto pezzo è "Cursed Realms of the Winterdemons" (I regni maledetti dei demoni invernali), inizia con una parte acustica con uno stile che rimanda al finale dell'ultimo pezzo del primo album (anch'esso oggetto di recensione nelle nostre pagine). Ci sono due chitarre dal timbro scuro che duettano con arpeggi veloci, durano solo pochi secondi e poi si tramutano in melodie distorte e veloci in una cavalcata, poi una pausa e l'avvento della batteria. E' importante sottolineare che nonostante la forte velocità devastante la linea melodica appaia comunque chiara, la voce sembra essere diversa dalle precedenti: mentre nel pezzo precedente abbiamo visto un piccolo accenno melodico, qua l'accenno diventa più evidente e si può parlare di uno scream che, pur conservando lo stile tipico di Abbath, si esprime seguendo la melodia fondamentale del pezzo. Il risultato è notevole, malvagio ed evocativo, poi segue una parte in cui la batteria si esprime meglio con stacchi improvvisi all'interno della parte, la voce incalza e si trattiene più a lungo per seguire e creare le melodie. Altra parte strumentale in cui si avvicendano diversi riff di chitarra, poi riprende la strofa mentre la batteria ancora continua a pestare forte, il basso arricchisce il suono con una presenza cupa. Un pezzo che si distingue dai precedenti e crea un nuovo standard, alto, dell'arte musicale degli Immortal. Segue un breve spunto in plettrata alternata, poi diverse parti strumentali veloci ed a vocazione melodica; la batteria non dà un attimo di tregua. Sul finale la voce diventa quasi parlata, pur mantenendo il timbro scream, poi una parte solitaria di chitarra ed uno scream solitario con il pezzo che sfuma nel silenzio (il primo fino ad ora). Un pezzo che si distingue positivamente e ci presenta un gruppo capace di intessere melodie nonostante delle strutture a velocità vertiginose. Per quanto riguarda il testo di questo brano va fatta una premessa: è ambientato nel mondo fantastico di Underdark, preso dalla penna di Robert Anthony Salvatore e diventato parte della più importante ambientazione (i Forgotten Reams) di Dungeons & Dragons (alcuni di voi ricorderanno capolavori di videogames per PC come Icewind Dale, Baldur's Gate e Neverwinter Nights che sono ambientati proprio nei Forgotten Realms). Il protagonista è avvolto di venti tempestosi che lo cercano, un regno spettrale fatto di spiriti sorge schermato dalle tempeste, quando la notte fa calare la propria ombra non c'è differenza coi corvi che verranno a lui nel regno maledetto dei demoni invernali. Solo gli occhi di lavanda avevano conosciuto l'underdark, in merito al significato di occhi di lavanda è chiaro che si riferisca ad occhi di colore violaceo come la lavanda, ma potrebbe essere meno immediato comprendere che il riferimento da ovviamente alla razza dei drow, o elfi oscuri, che sono gli abitanti dell'Underdark e frequentemente hanno occhi di color lavanda; questa razza fa la propria apparizione sin dalla prima edizione di Dungeons & Dragons del 1977, da segnalare in particolare la storia dell'origine di questa razza che, secondo la leggenda, avrebbe origini comuni agli elfi ma, a seguito di una guerra civile, gli elfi esiliarono la fazione che si era distinta per l'egoismo e crudeltà, questi elfi esiliati trovarono rifugio nell'Underdark e col tempo mutarono diventando scuri di carnagione, con capelli chiarissimi tendenti al bianco ed occhi molto più grandi per vedere al buio, inutile dire che da allora hanno iniziato a covare odio per i popoli della superficie. Il testo infatti fa riferimenti ai sensi notturni sviluppati, e quindi questo essere emerge in superficie cercando vendetta sui popoli della luce convinto che la faccia della terra conoscerà l'oscurità eterna. E' stupendo come questa tematica, derivata da un mondo fantasy, sia stata richiamata ed inserita perfettamente nel mondo - altrettanto fantasy a questo punto - creato da Demonaz con la sua Blashyrkh.

At the Stormy Gates of Mist

Proseguiamo con "At the Stormy Gates of Mist" (Ai cancelli tempestosi della nebbia), inizio feroce all'insegna della velocità sul quale si incastonano riff a plettrata alternata che disegnano melodie che si confondono e contribuiscono al caos. La parte vocale iniziale è effettata, per renderla più demoniaca, poi torna normale come sentita negli altri pezzi, la voce è aggressiva e si lancia verso l'ascoltatore. Uno spazio per una parte strumentale uguale a quella iniziale e poco dopo riprende la strofa vocale che dura pochi secondi per poi lasciare spazio agli strumenti. Il pezzo prende brevemente respiro ma è solo un attimo di pausa prima di una nuova carica, viene proposta una variazione della strofa che questa volta viene proposta in una chiave più melodica. Nella parte centrale una caotica bufera chitarristica, la voce si fa sentire per pochi attimi e poi lascia che sia la bufera di chitarre, un'impietosa tormenta di accordi veloci, a mantenere il centro dell'attenzione. Il pezzo prosegue con delle parti vocali cattivi che si inseriscono nella veloce serie di accorti, la batteria è una furia fatta di doppia cassa, rullante e piatti; ancora una volta l'effetto alla voce che viene doppiata e riverberata in modo disumano. Il finale arriva subito e tronca il pezzo quando è ancora nel pieno dell'aggressività glaciale. Un pezzo che scorre veloce, rimane la velocità vertiginosa già notata negli altri pezzi eppure non convince appieno perché si poteva fare di meglio da un punto di vista compositivo, per sviluppare le ottime idee. Il testo descrive uno scenario in cui ci sono alte montagne, dei cancelli spalancati, una terra che ha dato la nascita ai draghi ed in cui piove dolore. In questo scenario si trova un sentiero ghiacciato, al quale delle bestie ultraterrene fanno la guardia, ed un inverno che non muore mai. L'oscurità nordica cammina mano nella mano col protagonista, che è pronto a scoprire cosa lo attende oltre i suddetti cancelli. Un testo breve, quasi di preparazione al pezzo successivo.

Through the Halls of Eternity

Segue "Through the Halls of Eternity" (Attraverso le sale dell'eternità), all'inizio il silenzio e poi delle chitarre distorte si affacciano in fade-in, irrompe la batteria e quindi la voce che si presenta in urla senza parole, le melodie sono veloci ed il basso si distingue bene dalle note acute, la batteria rimane in un blast beat fisso, un pezzo che per le chitarre non è particolarmente veloce rispetto agli altri. La voce è arcigna, la batteria perde qualche colpo nella strofa successiva per via della velocità disumana che tenta di raggiungere, poi una parte più cadenzata con un rullante che pesta lento mentre sotto c'è una scarica di doppio pedale. La voce, malevole, è raschiata al massimo, un gracchiare malefico con una certa propensione alla melodia. Nella seconda parte del pezzo si riprende col tema iniziale, accordi veloci di chitarra sui quali vengono inseriti dei passaggi melodici sovraincisi, forse un po' spento rispetto agli altri pezzi - perlomeno nelle parti strumentali - ma comunque di sicuro effetto perché inserito in questo album. La parte finale ha una voce con molto riverbero che, con fare declamatorio, scandisce delle frasi mentre le chitarre rimangono distanti in sottofondo, così sfuma il pezzo e si conclude. Il pezzo non è fatto male, anzi mantiene alto il livello, quello che mancano sono eventuali assoli o veloci avvicendamenti di diverse parti strumentali che hanno abbellito gli altri pezzi; questo brano non è particolarmente veloce, ma di sicuro non è lento, qualche incertezza sul doppio pedale che, nonostante ciò, riesce a restituire intatta la violenza caotica del pezzo. Questo testo potrebbe essere una continuazione del precedente, il protagonista cavalca verso le rovine d'ombra, delle vastità infernali riempiono l'orizzonte e colorano la visione con un cielo eternamente nevoso che dipinge il viso, vecchio di centinaia di anni, di quelli che cavalcarono al suo fianco. Il protagonista quindi arriva vicino come non mai alla destinazione sempre cercata, l'apertura di cristallo e quindi l'ingresso nel luogo; durante la tempesta il protagonista sta sulle rovine, di nuovo l'orizzonte è occupato da vastità infernali, la luce è offuscata di fronte a lui perché la visione appena avuta era gelo. Quindi si può capire che il protagonista entra in questo luogo misterioso e vi esce con la vista offuscata a causa della luminosità del gelo cristallino che vi si trovava, (oppure a causa dell'oscurità che caratterizzava il luogo e dunque, essendosi abituato all'oscurità, rimane abbagliato una volta tornato in superficie). Quindi rintoccano le campane dell'immortalità e ci sono canti nelle sale dell'eternità. Il testo è poco chiaro, si inserisce, sì, nel contesto epico inaugurato dagli altri brani ma rimane vago nel significato, forse volutamente, e si limita ad offrire una visione, anche vagamente mistica, di un viaggio verso l'immortalità.

Circling Above in Time Before Time

Eccoci al penultimo brano, "Circling Above in Time Before Time" (Volteggiando sopra il tempo prima del tempo), un inizio a plettrata alternata e violenza, sullo sfondo si può sentire la stessa parte eseguita da una chitarra acustica, la melodia emerge nettamente e si nota l'ottimo lavoro del basso, la voce esordisce gracchiante, acuta e piena di malvagità. Questa seconda parte dell'album si sta rivelando sempre più melodica ed il cambio è piacevole anche perché non si rinuncia affatto alla violenza: difatti la batteria rimane pur sempre feroce e la voce non smette di essere incisiva ed anche se non accelera coi tempi e non è piena di pause, mantiene l'andamento incisivo ed articolato, quasi marziale, che abbiamo ascoltato finora. Ad una strofa segue una variazione, la melodia è un elemento di spicco del pezzo e lo rende ancora più gradito vista la scarica di violenza dei primi pezzi. La batteria preferisce giocare coi tempi, poi prende avvio una parte incalzante, cavalcata ed il rullante gioca un ruolo fondamentale, si può sentire la cattiveria dei primi pezzi riemergere incontrollabile - tranne che per le chitarre melodiche - la voce continua a mantenersi acuta ma non particolarmente melodica, totalmente è stabile. Gli assalti più violenti si alternano alle parti leggermente melodiche ed il contrasto acuisce le caratteristiche di ogni parte, poi un momento in cui le chitarre vengono lasciate sole e la melodia cambia, la batteria interviene poco dopo riprendendo la precedente velocità mentre le chitarre continuano a ripetere la furiosa melodia. La batteria prende vita, diventa più marziale e costringe i tempi a diventare più serrati, poco dopo il brano finisce in fade-out. Si nota che la fantasia degli Immortal non è finita, questo pezzo è una ventata fresca (gelida?) fatto di tante variazioni e di glaciali melodie furiose. Anche questo testo è ambientato nell'Underdark, inizia descrivendo i tempi nei quali i draghi emergevano dalla terra, a quei tempi il protagonista era tutt'uno con la scura luce lunare, e da un borg (si è già discusso sopra in merito al significato del termine) a cielo aperto vede un corvo volteggiare in aria. Nato dalle spine del mondo di superficie, con una forza ipnotizzante, per volare in mezzo alla pioggia più nera e librarsi nella gola più profonda dell'Underdark; questo passaggio è molto poetico e mostra che anche Abbath i sa fare coi testi (questo è l'unico testo che ha scritto dall'inizio a questo album). Dunque il protagonista decide che combatterebbe contro i palazzi reali, che hanno imparato ad essere falsi e cancellare tutto ciò che conosceva. Il testo ripete per più volte le stesse strofe, il riferimento al mondo di Dungeons & Dragons sta ovviamente nel richiamo ai draghi ed all'Underdark stesso. Ecco che il corvo diventa un animale mitologico impiantato nel mondo fantasy (accade spesso del resto) dove acquisisce ulteriori caratteristiche, in questo caso epiche.

Blashyrkh (Mighty Ravendark)

L'ultimo brano è "Blashyrkh (Mighty Ravendark)" (Blashyrkh possente Ravendark), l'inizio è lento e cadenzato, l'atmosfera iniziale sembra richiamare ad atmosfere alla Bathory, poi arriva il celeberrimo arpeggio pulito che si è stampato nella mente dei blacksters da allora ad oggi. Una parte in plettrata alternata glaciale, poi la voce gracchia malefica come per raccontare una leggenda di qualche saga nordica. La batteria è una profusione di doppio pedale ed un rullante marziale con variazioni sui piatti, le chitarre sono l'elemento che si comporta diversamente rispetto agli altri pezzi: a parte la plettrata alternata sembrano voler evitare la velocità esagerata per restare in lidi più comunemente Black Metal che dia più spazio alle melodie, questo va a vantaggio del basso, spesso offuscato. Una parte più strumentale ci fa assaporare la melodia del riff, indelebile, con diverse variazioni del tema principale, il ritornello con Abbath che dice "Blashyrkh" durante il riff a plettrata alternata è un inno al gelo dell'inverno eterno. Nella parte centrale il pezzo prende molta velocità e si avvicendano accordi vorticosi, poi uno scream effettato a timbro più basso pronuncia delle parole con fare epico, la batteria continua a pestare. Poi il silenzio ed ancora un passaggio a chitarra acustica riverberata, che poi si accompagna di una seconda chitarra che offre un controcanto, il dialogo continua e poi, meraviglia delle meraviglie, uno scream diabolico con un sottofondo di tastiera funerea, che poi si fa più melodica, poi ha inizio l'assolo epico, su base distorta, la batteria è semplice all'inizio, poi dà una tempesta di colpi (non sempre precisi) fino alla chiusura del pezzo. Un brano del genere riassume ciò che gli Immortal hanno fatto in questo album presentando sia la velocità furiosa e forsennata, sia le melodie glaciali che vi si incastonano. Il testo è breve, racconta di come molto sopra i cancelli del corvo ci siano le ali di Blashyrkh in attesa, sopra questi abissi profondi siede sul trono di ghiaccio un giuramento di gelo eterno nell'antico trono del corvo. Le antiche montagne dormono ed il protagonista potrà solo sentire la voce del vento nella foresta gelida in cui si trova, arriva il re di diritto della sala più alta, grida di corvi stanno in agguato nel regno ed i demoni camminano a grandi passi oltre i cancelli di Blashyrkh. Questo breve testo conclude (o per meglio dire inizia) questa vicenda di un mondo fantastico fatto di esseri oscuri che, per rivalsa verso il mondo esterno, decidono di voler tramutarlo in un regno di ghiaccio e desolazione, così come i drow. L'elemento del demoniaco viene utilizzato in un'accezione del tutto fantasy e non c'è neanche mezzo riferimento al satanismo in questo caso.

Conclusioni

Un album storico, questo, vittima di un cattivo missaggio (e forse di qualche ingenuità nella registrazione) non ha potuto rendere musicalmente al meglio le enormi potenzialità che sono contenute nelle composizioni del duo; da un punto di vista grafico, invece, altra falla nella redazione della tracklist che non rende l'effettiva disposizione dei brani, per non parlare dello scarno libretto della versione originale. Con la versione limited edition alcuni problemi sono stati risolti: si è corretto il tiro col missaggio, pur senza poter fare miracoli perché le sessioni di registrazione erano pur sempre le stesse, e si è offerto un packaging degno dell'opera che vi risiede, con il dipinto già descritto in introduzione che bene rappresenta la fortunata commistione di mitologia e fantasia che caratterizza i testi, tratti dalla fervida immaginazione di Demonaz, alla quale pare contribuisca anche lo stesso Abbath. L'aver scomodato anche l'immaginario legato a Dungeons & Dragons testimonia che si tratta di un gruppo che vuole staccarsi, per le tematiche, da quelle che erano le tradizioni del Black Metal norvegese, optando per qualcosa di più neutrale che non abbia a che fare con la religione (che aveva occupato un certo spazio negli album precedenti); per quanto riguarda il sound invece, questa volta, si sceglie di fare qualcosa di più grezzo ed anche più rabbioso; in questo è una perfetta continuazione del lavoro iniziato con "Pure Holocaust". Il duo è formidabile, a parte qualche incertezza di Abbath dietro le pelli che si può perdonare visto quanto sono ambiziose le parti che si è prefisso di fare, alla voce invece è una certezza: alle già note parti molto ritmiche, caratterizzate da uno stile fatto di accelerazioni e decelerazioni interpretative, si aggiunge anche una certa propensione alla melodia che si esprime raramente, eppure c'è, pronta all'uso ed a dimostrare le potenzialità di una tecnica e di uno stile vincente. Il terzo album della band e l'aggressività feroce non accenna a diminuire, ci sono sì gli spunti melodici ma non prendono mai piede definitivamente lasciando intatta la gelida furia che ha reso celebre gli Immortal. Album importante insomma, che pecca per circostanze che esulano dalla volontà del duo ma che, sfortunatamente, penalizzano il lavoro finale in modo irrimediabile; come ben sapete non finisce con questo album la carriera della band che quindi sarà in grado di regalarci ulteriori opere, trattate meglio in produzione, che toglieranno l'amaro che c'è in bocca adesso. La valutazione tiene conto di questi fattori, assieme ad alcuni errori tecnici dovuti all'eccessiva velocità, ma a prescindere dalla valutazione un album del genere merita almeno un ascolto nella vita di ogni cultore del Metal estremo che si rispetti (come La Mecca per i musulmani).

1) Battles in the North
2) Grim and Frostbitten Kingdoms
3) Descent into Eminent Silence
4) Throned by Blackstorms
5) Moonrise Fields of Sorrow
6) Cursed Realms of the Winterdemons
7) At the Stormy Gates of Mist
8) Through the Halls of Eternity
9) Circling Above in Time Before Time
10) Blashyrkh (Mighty Ravendark)
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