IMMORTAL
At the Heart of Winter
1999 - Osmose Productions
PAOLO FERRANTE
29/06/2015
Introduzione recensione
Con questa recensione ci avviciniamo a quella che è la seconda parte della discografia degli Immortal, chi ha già letto la recensione del precedente album, "Blizzard Beasts", ricorderà che in quella sede si era anticipata una notizia che avrebbe riguardato il futuro: la tendinite di Demonaz, storico chitarrista degli Immortal, e lo sfortunato tentativo che questi ha fatto per reinventarsi suonando parti con uno stile un po' diverso e sicuramente ad una velocità che non fosse assurdamente alta come lo era in passato; tentativo sfortunato perché il risultato non è stato dei migliori. Nell'album oggetto della presente recensione, "At the Hearth of Winter" rilasciato nel 1999 dalla Osmose Records, la formazione è composta da Abbath (che si occupa di voce e basso, ma anche di chitarra e sintetizzatori), Horgh alla batteria (ottimo acquisto inserito in pianta con l'album precedente e da allora membro fino alla fine) ed anche Demonaz, in veste di scrittore dei testi in modo da rendergli omaggio ma anche per continuare l'avvincente tradizione che ambienta le vicende narrate nel mondo di Blashyrkh. L'assenza di Demonaz alla chitarra ha avuto delle conseguenze, che esamineremo nel dettaglio, che adesso possiamo riassumere dicendo che lo stile che assumerà Abbath si avvicina molto a quello che faceva il socio, con la differenza di inserire un approccio forse più Thrash ancora, pur sempre basato sugli accordi veloci. Che gli Immortal vogliano avere un nuovo inizio col botto si intuisce anche dal fatto che come produttore ed ingegnere del suono, in questo album, c'è nientemeno che Peter Tägtgren, che già all'epoca era un nome di spicco (basti solo pensare che aveva già prodotto album importanti di artisti quali Amon Amarth e Dimmu Borgir). Altro elemento distintivo del lavoro è l'artwork, la copertina è davvero molto curata e deriva da una grafica appositamente realizzata da Jean-Pascal Fournier: possiamo subito capire che è ambientata nel Blashyrkh per via del paesaggio totalmente innevato, con delle nuvole sinistre, più in basso - dove si trova l'osservatore - ci sono delle grotte naturali che sembrano sprofondare sotto terra, nella parte inferiore si riescono a vedere dei bagliori infuocati provenienti da quello che sembra un fiume di lava. Al centro di questo scenario inospitale una struttura in pietra, che lascia pensare ad un qualche dungeon in stile fantasy, epica ed allo stesso tempo sinistra, con tanto di ingresso a forma di bocca demoniaca e bassorilievo dell'intero volto di questo; una scelta del genere non dovrebbe sorprendere gli attenti lettori che ricorderanno dei riferimenti al mondo di Dungeons & Dragons, presenti nei testi di un altro album precedente. Nell'aria volano due corvi, animali molto importanti nella mitologia nordica ed impiantati nel mondo di Blashyrkh, come ricorderanno bene i lettori che hanno approfondito i precedenti lavori della band. In definitiva stiamo parlando di un artwork davvero notevole, che spezza la tradizione che vuole la copertina con la foto dei membri del gruppo, con questo album le tematiche monopolizzano anche l'immagine della band, prendendo il posto della foto del gruppo; c'è anche da dire che è cambiato il logo degli Immortal, quello nuovo è più facilmente leggibile, è meno old school e presenta dei tratti che - specie se inserito in questa copertina - gli danno un ché di epico. Un notevole passo verso altri lidi, presentato egregiamente con un artwork del genere.
Withstand the Fall of Time
Passiamo all'ascolto col primo brano, "Withstand the Fall of Time" (Resistiamo al declino del tempo), iniziando ad esaminare proprio il testo: sia per avere una chiara idea della qualità del contributo di Demonaz alle liriche, sia per dare la giusta attenzione alle tematiche che, in questo album, hanno un ruolo determinante e sono messe in bella mostra con la copertina. La presentazione, in uno stile quasi aulico, racconta dello scenario che si presenta agli occhi del protagonista: orizzonti di un rosso sempre più scuro, un tramonto dunque, ai lati della sua visione di un regno dal volto torvo; soli fiammanti fanno da cresta alle ombre dell'orizzonte, nate da un cielo senza nuvole. L'attenzione si sposta sul sorgere e calare della luna, quando il crepuscolo si trasforma nella notte; il testo inizia in modo magico, attento, curato e minuzioso nell'espressione artistica che si fa addirittura poetica e colta. Il protagonista riflette sul fatto che l'indurirsi degli artigli del gelo gli fanno intendere che si sta avvicinando un periodo di freddo più intenso, e nonostante i giorni rigidi la tundra rimane immutata, fino ai giorni della fine la tundra rimarrà sempre immutata, impassibile al trascorrere del tempo: un paesaggio così spoglio, duro ed inospitale. Un nero sempre più nero proviene sai secoli passati, un ricordo di un regno di pesanti inverni - forse questo è un riferimento all'era glaciale, tema trattato abbondantemente nel precedente album - ed il cielo che si annerisce non finisce mai, mentre noi testimoniamo la cascata del tempo, vista come il lento ed inesorabile scorrere del tempo che, nella tundra, non apporta alcun cambiamento perché questa continuerà ad essere sferzata da gelidi e forti venti, come se non ci fosse un domani. Ogni giorno è una devastazione, ogni giorno una calamità che rende l'ambiente inospitale per l'uomo; il testo si concentra sul fatto che la tundra "sopravvive" a queste avversità climatiche, rimane intatta proprio perché spoglia ed addirittura, come sappiamo, si può estendere. Si tratta di una desolazione che però si costituisce di piante, le più forti e caparbie (si era affrontata una tematica non dissimile proprio con riferimento alle piante dell'era glaciale, tematica che evidentemente appassiona Demonaz). L'inizio maestoso del pezzo è all'altezza del testo, si palesa in maniera inequivocabile lo stile di Abbath, un'imponente e maestosa impalcatura fatta di riff Black Metal, si tratta sempre di accordi veloci, che si susseguono con un approccio che sta a metà tra l'Epic ed il Thrash, il risultato è infatti a metà tra l'epico ed il guerresco. La batteria conferma quanto fatto nel precedente album e si lascia andare in esplosioni tonanti, in questo album la produzione è eccellente ed il lavoro fatto dietro le pelli ne risulta valorizzato. I riff a volte sono Thrash altre prendono un groove da Thrash teutonico, la voce? è tornata ad essere quello scream gracchiante dei grandi fasti degli Immortal. A metà pezzo si fanno sentire i sintetizzatori, sono proprio questi a dare gli elementi epici, spesso trascurati quando si parla degli Immortal, alcuni passaggi a metà pezzo fanno pensare nientemeno che ai Bathory, spesso quando si sente il suono del gong accompagnato dalla sola chitarra melodica. Poi esplosione di batteria, fischi di chitarra, riff più veloci in un tripudio di maestosa malvagità glaciale, una boccata d'aria fresca (gelida!) dopo il precedente album che aveva deluso. Lo stile di Demonaz sopravvive in alcuni passaggi, ma quello che si può ascoltare con questo pezzo è una sintesi di tutto quanto: i passaggi melodici del precedente album vengono arricchiti in chiave epica, i passaggi veloci permangono ma acquisiscono un groove da Thrash che viene sottolineato da un basso a volte stoppato altre ostinato. Un capolavoro che ci viene sbattuto addosso come una valanga di neve. La voce è più lenta di come la ricordiamo, si sente più grattata, è una malvagità sotto controllo, metodica e spietata. Il finale riprende proprio la parte melodica, con quei sintetizzatori appena percettibili che danno la sensazione di un coro nordico. Un brano del genere è l'apoteosi, ha anche una durata bella sostanziosa di otto minuti e mezzo: è un'inversione di rotta rispetto all'album precedente che invece tendeva a renderli sempre più brevi.
Solarfall
Il secondo brano è "Solarfall" (Caduta solare), pesanti tonfi di batteria introducono un riff in stile Thrash/Black melodico, veloce, ricco di parti terzinate, il basso pulsa veloce e frenetico, il sound si arricchisce di preziose sfumature Death melodico in alcuni passaggi. I virtuosismi strumentali occupano tutta la prima parte, poi la voce gracchia, con un'eco lontana, che permane in tutto il pezzo, effetto che aggiunge un tono nefasto al cantato che si fa grattato ed acuto, le melodie si percepiscono benissimo e la parte non è molto veloce per cui si segue facilmente. Trascorsi due minuti, dopo aver sentito furiosi passaggi melodici fatti di un misto tra Black, Thrash e qualche sfumatura Death, amalgamati grazie alla melodia, possiamo ascoltare una parte acustica che riprende uno stile che a dire il vero si era già ascoltato in casa Immortal: arpeggi di chitarra riverberati, in modo che le note - accavallandosi l'una sull'altra - creano un'atmosfera misteriosa ed onirica al tempo stesso, al contempo un tribale di batteria scandisce dei tempi che lasciano presagire all'inevitabile violenza che seguirà. Tempi bellici, cadenzati sul rullante come una marcia di guerra mentre lo scream infuria, poi, a sorpresa, altra parte acustica che riprende lo stesso tema? vi partecipa anche un basso caldo e morbido. La mano scorre sul manico della chitarra, portando quel riconoscibile fischio, poi altra parte guerresca? seguono accordi melodici, lenti che si alternano a stoppate che ricordano lo stile di Demonaz (anche se non sono ancora a quelle velocità disumane). Un sound più maturo è quello che sceglie la band, poi degli effetti, riprende la strofa iniziale e la batteria si fa forte di una carica rinnovata nella tempesta di colpi, la chitarra si ritaglia uno spazio di primo ordine, la voce continua ad essere demoniaca pur non avendo un volume e distorsione forte come nei precedenti lavori; questo permette di apprezzare le sfumature. Anche questo brano è musicalmente compatto, azzeccato, vincente? ci presenta un duo maturo, con l'ovvia guida di Abbath che dimostra uno spessore compositivo invidiabile per l'abilità di attingere da fonti più disparate per poi sintetizzare un qualcosa di unico, pur se non innovativo; personale, nonostante non sia originale: è la ricetta del successo. Il testo presenta un leggero cambio di scenario, è piacevole notarlo, ed inizia parlando delle alte onde del mare che si stagliano sulla loro imminente tempesta, il ruggito della marea mentre loro invocano l'alba, dal ghiaccio della costa ricavano le loro anime, un ghiaccio formato dalle lacrime congelate della terra. I mari si scatenano riversandosi lontano, come se stessero fuggendo da ciò che si avvicina, ancora più temibile, la loro visione profetizza una caduta gigante, in un posto di totalità in mezzo alle zone selvagge, in un terreno oscuro che sfuma nel vuoto; persone camminano in mezzo alla polvere, sopravvissuti della scarica, si muovono mentre dietro di essi il sole cade. Si tratta dell'ultima fiammata solare, la terra va alla deriva ed il fulmine gioca nelle profondità ove non c'è rinascita. Un testo più oscuro, ricco di parti poetiche che non vogliono raccontare necessariamente una storia ma preferiscono evocare immagini, surreali; già da questo secondo testo si può notare come la natura abbia assunto un ruolo principale nei testi di questo album; mentre nei precedenti erano enfatizzate le figure demoniache, o nordiche, o mitologiche.
Tragedies Blows at Horizon
Segue "Tragedies Blows at Horizon" (Tragedie scoppiano all'orizzonte), l'inizio è una cavalcata epica in tempo andante, il doppio pedale aiuta a rendere estremo il pezzo che comunque ha prevalenza melodica. Un abile passaggio chitarristico e poi si fa sentire la voce, ancora uno scream curato e grattato, altro passaggio chitarristico e la strofa può riprendere. Il basso resta abbastanza statico anche perché ci si concentra sulla melodia, c'è anche spazio per una sfuriata di batteria e le chitarre si fanno più veloci, acquisiscono influenze Thrash con accordi veloci e stoppate, veloci cambi di ritmo, il ritornello è pazzesco, viene seguito da una parte acustica simile a quella sentita nel pezzo precedente, mentre ancora la batteria continua a pestare, poi l'atmosfera si distende e possiamo apprezzare appieno il momento magico che si crea. L'evoluzione degli Immortal ha comportato che Abbath si sia fatto carico di proseguire nella strada tracciata da Demonaz, con la chitarra: ricordiamo che sin dai primi lavori era possibile leggere melodie sottintese nella ferocia velocissima. In questa nuova veste gli Immortal sfruttano ed ampliano questa propensione melodica creando una musica che crea una musica ideale per narrare le vicende epiche e fantasiose partorite dalla mente di Demonaz. La parte acustica si prende tempo, poi viene interrotta da un fischio di chitarra che, accompagnata dai battiti della cassa, continua la lenta marcia fatta di fischi e melodie distorte. Riprende la strofa con la voce malefica ed evocativa, poi altra volta il passaggio in stile Thrash, abbastanza sporco e non eseguito perfettamente? eppure così efficace e coinvolgente! Il pezzo prende velocità, si fa più aggressivo senza rinunciare alla melodia, altri cambi di tempo sottolineati da un basso feroce, esplosioni percussive, il pezzo si evolve grazie al buon lavoro strumentale che si traduce in un vortice di ritmo e melodia: una cavalcata d'assalto. Stoppate, rullate veloci, un urlo riverberato e poi si torna alla strofa, l'entusiasmo cresce sempre più, è impossibile non farsi coinvolgere; poi il ritornello cui segue ancora una parte acustica mentre il rullante non accenna ad arrestarsi. La parte acustica diventa ancora più lenta, si sente solo la chitarra con riverbero, si tratta di accordi ed arpeggi acuti, glaciali, misteriosi; una parte da pelle d'oca, ricca di pathos, il ritmo si fa più veloce ed intenso offrendo variazioni, poi esplode con l'irruenza degli strumenti elettrici accompagnati da un urlo demoniaco, che segna la conclusione del pezzo. Si tratta di un capolavoro. Il testo narra di un'alba nera all'orizzonte mentre l'inverno è il cuore del campo di battaglia, un desiderio di era glaciale definitiva mentre una raffica di neve si ammassa su queste pianure, sono dei conquistatori che si pongono contro la tempesta, hanno conquistato il trono con la forza di volontà ed il suono della battaglia incessante. Le tragedie scoppiano all'orizzonte, i protagonisti sono un'armata che combatte come se fosse una cosa sola, che muore come se fosse una cosa sola. Colonne maestose di fuoco si innalzano in cielo sfidando la gelida brezza, impugna il suo scettro che emette bagliori mentre il vento si zittisce, dal cuore gelato e risvegliato da un tempo precedente, fatto rinascere da una brezza morente mentre il suono della battaglia non finisce mai. Un brano molto lungo, sfiora i nove minuti, nonostante ciò il testo è molto breve: si concentra sui concetti esposti riportando l'attenzione sulle armate e le battaglie, che nei precedenti testi sono state trascurate, così restituendo l'epicità battagliera che tanto avevamo apprezzato. I riferimenti demoniaci sembrano essere stati accantonati.
Where Dark and Light Don't Differ
Con "Where Dark and Light Don't Differ" (Dove oscurità e luce non sono diversi) si approfondiscono i temi battaglieri, vengono presentati dei tempi in cui l'acciaio temprato barbarico si scaglia all'attacco e scandisce i rintocchi dei loro giorni, col loro cimiero rosso e nero si stabiliscono sotto i mari solari; è stato concesso loro il potere di conquista e dunque diffondono la loro collera. La voce delle loro anime oscure e cieche è una scarica che si abbatte dal cielo aperto, vivono vittoriosi innalzandosi perfino sopra gli uomini più forti, più cavalcano e più ciò li porta a bramare di trovare quel posto in cui non c'è alcuna differenza tra oscurità e luce. Ma ecco che i riferimenti demoniaci arrivano: in un mondo che si avvia verso l'inverno, ed il nero discende, ci si trova ipnotizzati mentre si accede alle terre demoniache. Lontano, molto più distante, ancora i nostri guerrieri barbari conquistano e diffondono la loro collera e ferocia, anche dove non c'è alcuna differenza tra oscurità e luce. Questo luogo potrebbero essere proprio le profondità della terra, dove appunto non fa differenza che sia notte o giorno perché è pur sempre buio totale? Più cavalcano e più diventano veloci e letali, un'armata implacabile che si scaglia per conquistare e per portare l'oscurità ed il gelo nel mondo. Musicalmente non potevamo aspettarci altro che una cavalcata, portata avanti con una chitarra trash al punto giusto, senza eccessivo sacrificio per le melodie, la doppia cassa non tarda ad arrivare e con essa una variazione melodica alla chitarra, il basso pulsa veloce mentre la cavalcata continua implacabile, un'introduzione strumentale per il pezzo, che poi si trasforma con una plettrata alternata per prendere dei connotati più tipicamente Black. Il pezzo prosegue e le influenze demoniache emergono anche nella voce, che si compone di uno scream basso ed acuto sovrapposti, il risultato è assimilabile ad un contesto Black/Death Metal, cattiveria in abbondanza: la base è ancora feroce e la chitarra è tagliente, il Black ed il Thrash convivono armoniosamente anche nonostante le ulteriori influenze Black/Death; la composizione è attenta e personale. Si riprende con la cavalcata, il rullante martella incessante, ancora una volta si approfondiscono vocalità più basse, altra parte strumentale con delle stoppate di basso; poi un assolo di chitarra, anch'esso in stile Thrash/Black, con prevalenza Thrash e sviluppo della melodia. Il pezzo prosegue, senza accennare mai a rallentare, le atmosfere si arricchiscono di passaggi melodic Death Metal, stiamo ascoltando uno spettacolare esempio di composizione che permette di passare abilmente da uno stile all'altro in modo perfettamente coerente. La bestialità della voce torna a farsi sentire, in tutta l'aggressività gracchiante, le parti stoppate ricordano leggermente i lavori del precedente album, quando Demonaz ha provato ad inserire un qualcosa che ricordava i Morbid Angel e si erano sperimentati per la prima volta gli effetti e le sovrapposizioni vocali, questa volta, anche per merito del produttore ed ingeniere del suono di spicco, sono riusciti alla perfezione.
At the Heart of Winter
Giungiamo al penultimo brano, "At the Heart of Winter" (Nel cuore dell'inverno), si presenta con un sintetizzatore che esegue suono molto gravi, ambientali, mentre si sente il soffio del vento, una chitarra classica esegue accordi ed arpeggi, il sound è diverso da quello degli altri pezzi eppure il modo di suonare è simile, l'atmosfera si arricchisce di suoni cupi mentre la chitarra arpeggia cristallina; si avverte un netto contrasto tra i bassi e gli acuti, poi il sintetizzatore esegue sinfonie che ricordano gli archi, c'è ancora il sottofondo basso, il soffio del vento si intona con la parte e si fa stabile, c'è magia ed attesa nell'aria. Irrompe la batteria e poi una chitarra molto distorta che fischia e porta delle melodie aggressive, la batteria si sposta sul doppio pedale e poi gioca sul rullante per creare dei tempi di accompagnamento alla melodia, si inserisce anche la voce, acuta e gracchiante, uno scream cattivo e riverberato come ce lo ricordiamo dai fasti della band. Le melodie della chitarra sono assolutamente epiche: lente e scandite, poi una parte strumentale fatta di accordi veloci e frenetici - ricorda gli esordi della band - la batteria è molto importante nel sound, il basso emerge proprio nei passaggi più acuti e sfrerraglia. Plettrata alternata di chitarra che disegna melodie nordiche, in stile Black Metal, il pezzo si fa davvero epico, parti stoppate che lasciano sola la chitarra e poi gli strumenti ripartono assieme con la partecipazione della voce, ancora diabolica e maligna; parti con rullante che pesta costante mentre il basso si lancia in una corsa che segue la melodia a plettrata alternata della chitarra. Dopo della metà del pezzo entra in gioco un assolo di chitarra che mostra virtuosismo applicato al Black Metal, ne esce fuori un qualcosa che ricorda il Viking Black, accordi, poi veloci cavalcate ricche di melodia, altri accordi furiosi ed una melodia che si sviluppa in modo diverso, alternanza di parti veloci e velocissime, ritmi sempre mutevoli, una bella prova di fantasia e capacità esecutiva. Un assolo che lascia incantati, melodie epiche che catturano, poi una parte più lenta e trascinata, la violenza nei battiti secchi e vigorosi sul rullante, poi di nuovo una parte melodica di chitarra, una battaglia musicale, poi la strofa fatta di accordi liberi che diventano più veloci e melodici nelle pause del cantato; ancora la stessa parte melodia estasiante. La conclusione arriva dopo l'altra ripetizione della strofa, dopo una raffica di batteria, un altro pezzo fantastico. Nel testo il protagonista invoca il grandissimo mondo di Blashyrkh, chiedendo di aspettarlo nei propri regni più profondi, troverà delle canzoni che suoneranno eternamente in suo onore, il proprio richiamo è sempre così forte. Paesaggi innevati, puri e sgombri, vallate ghiacciate; all'interno di foreste vive solo le sue torce infuocate fanno luce. Grandissimo Blashyrkh che lo attende, il testo sembra essere proprio un'ode a questo mondo, coi suoi regni ricolmi di splendore, canzoni fatte per durare in eterno ed un richiamo così forte; potente sia il nome di Blashyrkh, hanno creato un regno vittorioso con forza ed orgoglio ponendolo proprio nel cuore dell'inverno. Come se fossero il volto del ghiacciaio, le torri di Blashyrkh si innalzano verso il cielo, sul tramonto, senza dimenticare che è stato creato un legame molto forte e sempre così reale (forse il riferimento è proprio col cielo, nei precedenti album si raccontava di come queste forze avessero conquistato la superficie proprio volando provenienti dal cielo, si parlava appunto di corvi). Una statua fa da guardia al regno, con delle ali giganti che tengono tutto sotto di esse; il protagonista fissa il trono del corvo consapevole di essere nel cuore dell'inverno. Dopo diversi album ecco che viene finalmente descritto il Raventhrone, un brano epico.
Years of Silent Sorrow
Il testo dell'ultimo brano, "Years of Silent Sorrow" (Anni di dolore silenzioso), è meno descrittivo, si concentra sulle emozioni: il protagonista dice addio al dolore che lo attanaglia, sente delle campanelle che lo chiamano, dunque si avvicina la morte, un demone lo guarda camminare sulla neve e rimangono i suoi anni di silenzioso dolore. Gli spiriti d'ombra guidano il suo cammino fino a condurlo a casa, un viaggio fatto di amarezza, oscurità e vuoto che riempiono progressivamente l'anima del protagonista che se ne fa carico. E' un addio, non c'è più respiro in lui ed il suono delle campanelle si fa più freddo, un demone con gli occhi ghiacciati aperti, un nero viaggio è ormai alle sue spalle. E' un testo breve e carico di intensità, vuole concentrare l'attenzione sul tema del viaggio estenuante di questo protagonista che sente la morte sempre più vicina ed ormai non ha nemmeno piena consapevolezza di ciò che fa: si svuota l'anima mentre viene seguito da un demone nero e guidato da ombre che lo conducono a casa, nel posto in cui esalerà l'ultimo respiro abbandonandosi alla morte ed a questa entità demoniaca che sembra giocare un ruolo importante nell'evento. L'inizio è esplosivo, piena potenza e si fanno sentire influenze da Thrash/Death melodico, che presto acquisiscono anche una forte impronta Black, una parte iniziale fatta di accordi veloci e furiosi cui segue una seconda parte, ancora strumentale, in cui due chitarre sono sovrapposte un accompagnamento ritmato che cambia spesso ritmo e velocità passando da arpeggi melodici ad accordi veloci, è la strofa sulla quale poi si inserisce un cantato lento ed evocativo, uno scream malefico e sofferente, ci sono anche influenze Death nel riffing, specie con le stoppate pesanti, accentuate dal timpano, una chitarra fischiante e pesante. La parte cambia e si fa più epica, con lo scream che si fa sentire in tutto il dolore, poi altra parte cadenzata con influenze Death, cui segue uno spunto melodico più Thrash fatto di chitarre melodiche, il basso ha una funzione molto importante ed incupisce il suono con veloci passaggi a corda libera, forte e massiccio. A volte la chitarra si spinge in arabeschi, passando da una parte all'altra, la voce continua a farsi sentire nefasta ed una nuova parte stoppa di chitarra sfuma in un accordo, che poi rallenta; la batteria fa un ottimo lavoro sui tom nello scandire i tempi. Poi un accenno di assolo, mentre la doppia cassa non ha tanta fretta ed il rullante interviene preciso in esplosioni che valorizzano le dinamiche in un gioco di piatti. Diversi stop'n'go mettono in mostra l'abilità ritmica, poi una sfuriata viene inaugurata da uno scream violento, seguito da altri, accordi veloci arricchiti da parti in tremolo picking veloce, poi una parte più melodica. Il pezzo cambia spesso e si ravviva, ciò che emerge è la sofferenza ed i cambi di tempo. Un finale coi fiocchi.
Conclusioni
Un album molto importante, che segna il passaggio che porta ai nuovi Immortal, in questo caso un duo che si avvale della collaborazione dell'ex chitarrista nella veste di scrittore dei testi. La cura per questo lavoro è testimoniata dal fatto che come produttore ed ingegnere del suono ci sia Tägtgren, ed infatti si sente, ma anche l'ottimo lavoro grafico fatto sulla copertina dà un indizio del fatto che con questo album gli Immortal volevano tirare fuori un prodotto d'eccellenza, lo hanno fatto: tutti i pezzi sono dei capolavori, ogni cosa è al suo posto e curata in ogni dettaglio. Abbath ha dato sfoggio di enormi capacità, il merito più grande è stato forse quello di aver saputo amalgamare, in modo personale, ma senza sconfinare nell'innovativo, elementi tratti dal Black, Thrash e Death Metal, interpretati in una chiave che presta attenzione alle melodie senza intaccare troppo la ferocia implicita nei generi; arrivando ad inserire passaggi dal sapore epico, a volte più folk altre più viking, il tutto con cambi veloci in modo da tenere sempre alta l'attenzione. Gli assoli di chitarra sono anche virtuosi, dimostrano che Abbath non è affatto male con la chitarra, anzi è davvero molto bravo anche con quella! I brani sono anche molto duraturi, anche se non stancano, i testi spesso sono brevi anche perché le parti strumentali sono molte e si approfondiscono in vorticose mutazioni. A livello di testi c'è da segnalare la fase iniziale dell'album, che si concentra maggiormente sul paesaggio e la natura ostile, nella seconda parte dell'album invece tornano i temi battaglieri, mentre nell'ultima possiamo notare riferimenti demoniaci, tutto nella tradizione del mito creato da Demonaz. Album spettacolare, un ascolto dal godimento assicurato e pietra miliare della discografia degli Immortal che li fa eleggere a pieno titolo come un nome sacro del Black Metal, non di certo per la loro "fedeltà" agli stilemi classici del genere, ma piuttosto per la loro capacità di reinterpretarli - senza snaturarli - in un modo personale e del tutto riconoscibile. Gli Immortal sono un gruppo sempre riconoscibile, hanno uno stile tutto loro, unico ed inconfondibile, che con questo album si cristallizza nel pieno del potenziale; la ricetta del successo, come dimostrano gli Immortal, sta proprio nel creare qualcosa di personale e non nel copiare quello che fanno altri. L'impressione complessiva è che tutto sia stato frutto di un grande lavoro, forse non interamente pianificato ma sicuramente molto elaborato e seguito; il risultato è un premio ed anche un toccasana per un gruppo che usciva da una precedente esperienza piuttosto fallimentare. Per gli ascoltatori è l'esempio di come la tenace ricerca di uno stile personale possa dare esiti grandiosi, album sempre attuale.
2) Solarfall
3) Tragedies Blows at Horizon
4) Where Dark and Light Don't Differ
5) At the Heart of Winter
6) Years of Silent Sorrow