IMMORTAL
All Shall Fall
2009 - Nuclear Bast Records
PAOLO FERRANTE
16/08/2015
Introduzione recensione
Un capolavoro dietro l'altro gli Immortal continuano la loro ascesa all'Olimpo del Metal con "All Shall Fall", pubblicato nel 2009 dalla Nuclear Blast Records. Chi ha seguito le precedenti recensioni è al corrente dei trascorsi che hanno portato gli Immortal alla gloria, sfidando le tradizioni del Black Metal norvegese e continuando ad innovare tracciando una propria strada artistica. Gli eventi più recenti ci mostrano una formazione composta dal poliedrico Abbath, che nel precedente album si è occupato della voce, chitarra ed anche basso (sostituendo di fatto Iscariah che si era occupato del basso precedentemente) ed Horgh alla batteria. In questo album Iscariah viene definitivamente estromesso dalla band ed il suo posto viene occupato da Apollyon (polistrumentista noto anche per gli Aura Noir); ricordiamo la permanenza di Demonaz che si occupa della scrittura dei testi. Sappiamo bene che gli Immortal siano restii alle collaborazioni, anzi il più delle volte suona tutto Abbath, in questo album c'è la collaborazione esterna di Are Mundal (lo abbiamo sentito all'opera nell'intro del noto album "Isa" degli Enslaved) che si occuperà dell'intro dell'ultimo pezzo di questo album: "Unearthly Kingdom". Va segnalata anche la presenza di un certo Peter Tägtgren al missaggio, che continua ad occuparsi del gruppo, una garanzia di qualità eccelsa. Il prodotto si presenta molto curato anche nell'aspetto grafico: non si ricorre alla solita grafica scarna con foto della band in primo piano (per fortuna) ma si usa una bellissima grafica realizzata da Pär Olofsson. La copertina raffigura un enorme portale in metallo, con dei bassorilievi che compongono la figura (specchiata) di un corvo il quale, a sua volta, traccia i contorni di un volto umano/demoniaco. La realizzazione è eccelsa, specie le decorazioni in ghiaccio che sono diverse da un lato all'altro (quindi non sono state specchiate semplicemente); un lavoro che rappresenta al meglio l'elemento epico, nordico e demoniaco dell'immaginario Immortal rievocando abilmente l'immaginario introdotto nell'artwork di "At the Heart of Winter" nel quale, ricorderete, è altresì presente un volto demoniaco nel forte disegnato sullo sfondo. In questa copertina, invece, si vede solo un enorme portale e si può immaginare che - come descritto in diversi testi - le orde nordiche si riversino nelle vallate a portare morte e distruzione attraversando proprio questo cancello. Ci sono innumerevoli versioni originali dell'album, in diversi formati, tutte riportano il concetto di questa grafica.
All Shall Fall
Passiamo finalmente all'ascolto iniziando dalla titletrack "All Shall Fall" (Tutti cadranno), rumori, suono del vento, tuoni in lontananza, il cigolio di strutture in legno o metallo, un corno da guerra nordico che romba in lontananza, la raffica di vento si avvicina progressivamente e velocemente, irrompe la chitarra con accordi cadenzati e la batteria in un devastante blast di cassa. Il basso esegue stoppate e vibra in sottofondo, la chitarra si lascia andare in armonici melodici, la voce è sempre il gracchiante e gelido scream di Abbath. Il riff principale è violento e melodico, con un controcanto basso a renderlo nefasto, e ricorda l'infrangersi di cristalli, la batteria non lesina i piatti che partecipano sempre all'atmosfera, il rullante è acuto e con una lunga coda, precisissimo. Una variazione della strofa e la voce agisce ancora con precisione, una parte melodica di chitarra quasi Heavy Metal, poi arriva un prezioso arpeggio clean (a differenza del precedente album non c'è alcuna chitarra distorta in sottofondo), il tempo rallenta, colpi di cassa scandiscono tempi epici. In lontananza una chitarra distorta ed acuta, una voce grave recita frasi epiche, il sound si arricchisce e si riempie sempre di più. Sopraggiunge uno scream devastante e continuato che canta il ritornello, gelido, glaciale, nella seconda parte lo scream si trasforma in una voce quasi pulita, tratta dai canti tradizionali nordici i quali, a loro volta, li hanno ereditati dai popoli dei cacciatori nomadi e tribali siberiani: parlo proprio delle tecniche di canto Khöömei (??????, nella tradizione sciamanica pare volesse evocare il suono ancestrale del vento che gli uomini primitivi sentivano da dentro la caverna, quindi un suono associato al senso di sicurezza e protezione domestica), un tipo di canto armonico che sfrutta l'effetto drone (effetto musicale dal quale prende il nome l'omonimo genere) ottenuto dalla continua ed ostinata ripetizione di un accordo armonico, con lievissime variazioni (per avere un'idea di questo effetto si pensi alle melodie della cornamusa o del didgeridoo), con la voce l'accordo armonico si ottiene facendo oscillare all'unisono (ma a frequenze diverse) corde vocali, false corde vocali ed il risuonatore delle cavità paranasali (comunemente chiamato maschera); tecnica molto impegnativa che richiede non poco controllo. Con questa prova Abbath fa capire di che pasta è fatto! Ancora parti devastanti di chitarra effettata, che passa da un lato all'altro del surround, mentre la batteria è tempestosa, riprende la strofa con la voce possente di Abbath, perfettamente curata. Tutto è epico, i riff sono composti da parti che alternano stoppate a plettrate alternate acute e melodiche, una variazione della strofa ed a sorpresa la voce di Abbath passa gradualmente da scream a khöömei con un finale in Kargyraa (????????, una variante ultragrave della tecnica khöömei, parente dei canti buddisti del famoso monastero di Gyuto e del vocal fry dei basso profondo russi è usata in diverse versioni: quella più acuta sembrerebbe voler evocare il pianto di una mamma cammello che perde il cucciolo, mentre la variante bassa evoca il vento che sferza la steppa durante una cavalcata ed è molto simile al suono del corno di guerra). Un finale epico con una parte strumentale ed una chitarra frenetica che accenna un assolo finale. Capolavoro meraviglioso! Le orde del caos si accumulano e raccolgono ai confini, armate fino ai denti ed infiammate dalla brama di combattere sono pronte a scontrarsi, sono più forti delle divinità che un tempo combatterono e vinsero, la fine del giorno arriverà velocemente e porterà il trionfo come annunciato dalle profezie oscure. Assediano i troni della venerazione, gli dèi di un fato ardente, assediano o troni della riverenza ed i guerrieri vengono incoronati eroi in questo giorno. Cadranno tutti, le orde impazzano nella battaglia furiose come una tempesta, sono tutti dei guerrieri giganti più neri dei venti della morte, la paura acceca i deboli in difesa. Questo album inizia con un assalto epico in cui gesta eroiche nel campo di battaglia valgono il premio della gloria eterna a questi guerrieri giganti che, in preda alla furia dello scontro, sono come una tempesta che si abbatte sulle mura nemiche. L'ascolto di questo pezzo fa venire la pelle d'oca ed il testo non poteva essere da meno.
The Rise of Darkness
Andiamo avanti con "The Rise of Darkness" (L'ascesa dell'oscurità), rullata veloce e poi un riff immediato, subito nel bello, veloce ed assassino con influenze Thrash e melodie in primo piano, poi arpeggi melodici con sfumature di basso in sottofondo, il pezzo prende forza e prosegue con ritmo e la voce è uno scream, leggermente più basso del precedente, molto evocativo ed atmosferico. Il pezzo prende un ritmo tribale che ben rappresenta molto bene le atmosfere belliche; il tutto viene accompagnato da sfuriate Black con accelerazioni repentine, parti Thrash con dei fantasiosi passaggi di chitarra, in tutto questo la melodia rimane presente nella distorsione. La voce continua a farsi sentire, ritmata e con finali stoppati in cui alla coda viene lasciato il compito di sfumare. Ecco che il pezzo varia con un ritmo sincopato fatto di accelerazioni e decelerazioni cadenzate, batteria e basso vanno all'unisono per sottolineare gli accenti principali del ritmo, altra variazione che nella lentezza inserisce passaggi ad alta velocità, poi tutto diventa un blast di cassa devastante. Altra variazione, fantasia infinita, con una litania suonata alla chitarra melodica, che sovrasta il riff per un attimo, questo riff continua ed è un assalto mortale Thrash/Black: doppia cassa incessante, un carro armato, accordi veloci di chitarra impreziositi di veloci plettrate alternate ed armonici ad effetto. Il basso è un martello continuo che ingrossa il suono e lo rende imponente senza invadere la melodia. La voce si fa sentire imperiosa, demoniaca, un concentrato di tecnica e precisione, interpretazione magistrale al servizio di un'esecuzione che rasenta la perfezione nella tecnica e nella metrica. Poi un assolo molto melodico, anche in questo caso quasi Heavy/Epic Metal, mentre la batteria suona ancora un tempo molto ritmato il pezzo sfuma nel silenzio che si sente ancora la strofa cantata. Una luna sorgente fredda e vecchia, col suo ghigno oscuro che avvelena l'anima, la nebbia promette oscurità mentre questo cavaliere percorre la notte desideroso di orgoglio. Una foschia in agguato, respiri di fuoco malvagio per la neve, una notte senza nuvole che odora di paura: l'oscurità sorge, forze nere legate alla luna, un desiderio di odio allineato dai segni. Occhi brucianti osservano il cavaliere notturno, dal lato oscuro, in mezzo ai possenti venti c'è il regno del male; in questo regno demoniaco il cavaliere oscuro è stato marchiato dal segno e dunque cerca il regno del male, mentre dalle foreste vede il male sorgere. In questo testo torna la vena introspettiva di Demonaz con una variante: il suo personaggio si fa spettatore/narratore di una vicenda che non lo vede come protagonista. Durante un vagare oscuro, necessitato da un marchio malvagio che lo obbliga alla ricerca del regno del male, questo cavaliere percorre le foreste della notte e testimonia il sorgere del male.
Hordes to War
Segue "Hordes to War" (Orde alla Guerra), il riff entra con un fade-in immediato, è già veloce ed esplosivo, un tupa tupa frenetico innesca una cavalcata sfrenata in cui il basso scandisce ritmi veloci e la chitarra è una serie di accordi veloci e caotici. La voce è aggressiva, acuta, uno scream gracchiante e malefico, piena di accenti e ritmo, in alcuni casi è veloce e spezzata, in altri si prolunga e lascia una lunga coda. Un passaggio strumentale all'insegna del Thrash più oscuro, poi un'altra strofa veloce con una batteria che non accenna a rallentare, colpi potenti sui piazzi, caos e devastazione; le chitarre sono inarrestabili, un assedio di infiniti accordi, poi un passaggio melodico fa distendere il sound con passaggi che ricordano l'Heavy Metal ed un accenno di assolo. Ecco che la batteria prende più presenza con rullate veloci ed introduce un'altra strofa in cui agli accordi veloci si alternano preziosismi armonici alla chitarra, il basso è ancora un carro armato di velocità e potenza. A metà pezzo parte un assolo velocissimo, messo in mezzo ad una parte strumentale fatta da una batteria distruttiva che abusa di rullante e cassa per mettere su un capodanno. Un ritmo travolgente, una dichiarazione di guerra fatta di cadenze regolari accentuate all'unisono da tutti gli strumenti, voce inclusa, che nel caos sonoro si ritrovano tutti allo stesso istante. L'attenzione rimane ancora massima, una risata demoniaca di Abbath e la batteria si lancia in un blast contemporaneo di cassa e rullante, poi parte melodica di chitarra ed altre esplosioni di batteria, in sottofondo inforia la battaglia con clamore, spade che cozzano e cavalli che nitriscono, un riff solitario Thrash inaugura un altro frenetico passaggio strumentale; il pezzo sembra concludersi ed invece c'è sempre un'altra parte a rinnovare l'attenzione sconvolgendo tutto. Ritmi sostenuti, fischi di chitarra, plettrate serrate, un urlo prolungato, ancora plettrate serrate mentre il rullante pesta impietoso ed il finale arriva di colpo. In questo testo le orde si riuniscono per partire all'attacco e marciare verso il cielo, lì marceranno con orgoglio nel paradiso, il martello della battaglia si schianta lassù mentre la morte coglie tutti quanti. Formazioni alate nel cielo della morte, arrivano dall'al di là assaltando i cieli ed innescando cruente battaglie, caos, fuoco e rumori assordanti; le forze dell'olocausto cavalcano fiere in cielo, hanno preso il cielo e dunque tutti li osservano con orgoglio rallegrandosi della loro vittoria. Il segno del male brucia dentro questi guerrieri gelidi, accecati dalla furia non provano alcuna paura e si gettano a capofitto nello scontro incuranti della propria incolumità. Puzzo di morte nel cielo, mentre questi guerrieri cavalcano, le anime degli sconfitti piovono giù mentre ondate di fiamma bruciano ogni cosa; ormai il potere del bruciante suono nero è stato scatenato e distruggerà chiunque osi opporsi.
Norden on Fire
Le stesse tematiche proseguono in "Norden on Fire" (Norden a fuoco), che sviluppa proprio il tema della fiamma nera che ha concluso il testo precedente. Il fuoco nero brucia tutto all'orizzonte mentre dei corvi (si è già discusso in altre recensioni sul riferimento odinico) volano alti in cielo, una brezza solleva la nebbia dal ghiaccio, mentre l'inverno prevede la loro sconfitta questi sollevano con un'ultima ondata di orgoglio. Con la grandezza ed il ghiaccio nell'occhio, il sole risplende sulle masse e le montagne si ergono nella loro altezza; i venti accelerano in vista del loro tramonto, una tormenta di neve scagliata dal cielo rosso acceca gli occhi del protagonista che si trova a testimoniare gli eventi. Un inverno di mille miglia li circonda, l'oscurità marcia ed il mondo cade, sorge la tempesta del millennio (qui c'è un riferimento alla credenza protestante del Rapture, o Rapimento, secondo il quale dopo mille anni di predominio del bene seguiranno altri mille di predominio del male, segnati da eventi catastrofici) e si sente la sua chiamata. Bestie predatrici sorgono dal nord, una forza che nessuno può contrastare, dai cancelli viene liberata una tempesta gigante, un'apocalisse che si scaglia a volontà ovunque, che ha in pugno il potere di distruggere tutto, viene diffusa dall'inverno e dall'odio e soffia in ogni direzione. E' appena iniziata la fine del mondo, con gli artigli del gelo invernale che afferrano tutti noi, le profezie si realizzano, la maledizione fa il suo corso respirando su di noi e congelandoci, i corvi volano e ci avvisano, ci chiamano. In questo brano la distruzione viene portata dagli agenti atmosferici, questo differenzia il presente testo dal precedente; qui la natura è padrona, tiranna, incontrastabile. Quando il pezzo inizia si sente il rumore del vento, poi degli arpeggi clean mentre i rumori ambientali sono ancora in sottofondo, si sovrappongono due chitarre in un intreccio melodico e ritmico, le melodie ricordano dei motivi Viking, una batteria tempestosa scandisce momenti epici, i piatti sono sempre presenti, il pezzo si stabilizza e prende ritmo mentre le melodie si fanno più acute e godibili, è un continuo crescendo e decrescendo di intensità, c'è malinconia. Le idee chitarristiche sono pregevoli, la batteria accompagna fedele, il basso è sempre cadenzato; poi arriva lo scream gracchiante, lento e sicuro. Le atmosfere sono sempre glaciali ed aggressive, come negli altri pezzi, ma in questo si approfondisce la vena epica e lo si fa con una marcia regolare, interrotta da esplosioni di batterie ai tom, tanti piatti sfumati e melodie grandiose. E' un pezzo che sa coinvolgere, ancora un altro arpeggio in clean, c'è ancora la coda dell'accordo distorto, poi interviene uno scream prima lento e poi acuto che pronuncia frasi con fase malefico, poi un crescendo di potenza che porta distorsione ed una cassa tribale, un profluvio di esplosioni, epicità e finale magniloquente con tanto di assolo di chitarra, bending e tapping acuto ad alta velocità, poi si riprende con il riff portante ed una variazione melodica sulla quale interviene il cantato in scream. Un degno finale per un altro pezzo immenso, glaciale, magniloquente.
Arctic Swarm
La goduria va avanti con "Arctic Swarm" (Sciame artico), altro assalto diretto con le dita che scorrono sul manico e poi danno vita all'ennesimo riff capolavoro: cadenzato, cavalcante, un ritmo che coinvolge e che si impadronisce dei nostri colli facendoli scuotere al ritmo dettato da una batteria presente, sì, ma non prevaricante. Lo scream gracchiante è feroce e malefico, acuto, tagliente; il pezzo va avanti come una marcia di guerra mentre il rullante si impone imperioso; ecco che il basso emerge in una variazione della strofa più ritmata, in cui ha l'occasione di liberarsi dal giogo di una chitarra sempre protagonista. Apollyon al basso mostra uno stile di chiara derivazione Thrash/Black, distorsione ed attenzione al ritmo della batteria anche se ogni tanto riesce a slacciarsi e percorrere una propria strada, questo è il pezzo in cui spicca di più. Solo gli Immortal potevano riuscire a fare un Black Metal fortemente influenzato dal Thrash e riempirlo di melodie epiche, è quello che avviene in questi riff che trasudano miti nordici ma miracolosamente mantengono un'atmosfera grezza e cattiva allo stesso tempo. Al centro il pezzo acquisisce connotazioni ancora più epiche con una tastiera velata, che a volte può anche sembrare un coro, la voce si fa lenta e scandisce con cura le parole, il momento è importante e l'atmosfera che si crea lo sottolinea, le parole e gli accordi si prolungano, dopo l'atmosfera converge e la batteria si fa più veloce e costante, si sviluppa un riff maestoso e glaciale, una bufera musicale che ha una base Black Metal, ma è composta di melodie glaciali che passano per il Thrash Metal, come l'assolo successivo che è un mistro tra Thrash e Vikings perché il suono è tagliente ma la melodia è di chiara ispirazione nordica (qualcuno potrebbe vederci riferimenti a Bathory). L'assolo continua a svilupparsi, la fantasia si aggiunge ininterrottamente, in questo assolo c'è abbastanza per un corso di chitarra da sei mesi: tanti stili, tante tecniche e ritmiche che scorrono una dietro l'altra come se fosse una mostra di storia dell'assolo, ma non si tratta di un collage insipido perché ogni cosa è consequenziale e ragionata, nessuno più di Abbath evita di fare inutili sfoggi di tecnica fini a se stessi. Il finale è quindi esplosivo con uno scream finale mentre tutto è stoppato. Il testo descrive come, attraverso la tempesta, si riescano a scorgere le luci dell'aurora boreale, un cielo vorticoso che sembra carico di collera, nati per cavalcare il freddo, i venti del nord, arrivano a congelare la terra. Uno sciame artico si scatena e trascina tutti noi in basso, spiega le ali e ci avvolge nel suo freddo, con ossessivi occhi gelidi si diffonde lo sciame artico, un ghiaccio indistruttibile. Si parla di mura di ghiaccio che divorano tutto, una vista maestosa, una tempesta che galleggia sui mari, un potere colossale che congela tutte le anime, che avvolge ed annienta tutto.
Mount North
Giungiamo alla sesta traccia, "Mount North" (Monte Nord), riprende le stesse tematiche di una natura monumentale e maestosa, questa volta parlando del cielo sul quale torreggia una montagna che punta alla luce del nord, nel cui regno hanno sede i re del nord. Viene descritto un gigantesco corno monumentale, dei portali che svettano sul cielo (forse quello dipinto in copertina?) sulle vette che puntano alle luci del nord. Colui che dimora come gli dèi del ghiaccio e domina sul regno finale è il Monte Nord, la vista più magnificente, forza e potenza, si può vedere nell'oscurità ed aspetta il protagonista. E' una montagna oscura dove sorgono cose misteriose, nella sua luce richiama le stelle ed il protagonista del testo è un viandante colpito da una maledizione che lo costringe a vagare nelle sue vicinanze, ammirando la spaventosa maestosità di quel monte. Anche in questo caso è la natura l'elemento epico, si attribuiscono a particolari luoghi delle proprietà e qualità tali che immaginiamo questi luoghi come entità senzienti; questa aura di mistero che avvolge il Monte Nord cattura la curiosità e coinvolge l'ascoltatore che è invogliato ad approfondire i retroscena di questo mito, capirne di più. Musicalmente si presenta col suono del vento, poi un giro di basso al quale si ricollega subito la chitarra e batteria, anche in questo caso è cadenzato, anche se meno, scorre diretto e non ha una velocità particolarmente alta; l'atmosfera epica è grandiosa, ancora la voce in scream acuto e grattato a fare da contraltare malefico a tutta l'atmosfera melodica ed epica. La batteria ha una cassa sempre presente, in questo pezzo è mobile e gioca in continuazione con gli accenti, poi una parte di chitarra quasi esclusivamente melodica, in tapping moderato, che poi diventa una cavalcata epica e distorta con uno scream che, con effetto coro, invoca il Monte Nord. Tutto questo incarna l'atmosfera mitica che vuole evocare la figura di questo monte, si inseriscono variazioni melodiche che rendono la parte più complessa, cambia la tonalità e si sposta su o giù mentre il riff continua a suonare e la voce non cessa di inquietare, poi una parte strumentale con una chitarra che fa scendere una cascata di note. Si ripete il ritornello in tutta la sua potenza, poi una parte con arpeggi puliti e la batteria che continua ad incalzare come se ci fosse ancora la parte distorta, che successivamente ritorna e fa da base all'ennesimo assolo che parte distorto, si sviluppa pulito e, sporcandosi si tanto in tanto, regala melodie indimenticabili, un tripudio di epicità accompagnato dalle esplosioni della batteria. Altro ritornello, liberatorio, possente, glorioso, che segna il finale.
Unearthly Kingdom
Arriviamo all'ultimo pezzo adesso, "Unearthly Kingdom" (Regno ultraterreno), il quale - come anticipato in apertura - si apre con una introduzione fatta da Are Mundal, consiste in una composizione elettronica dalle tonalità gotiche ed oscure, cori femminili campionati cantano su lugubri note basse. Rumori e poi un possente riff di chitarra, si aggancia anche un basso corposo, il riff continua a farsi sentire e ricorda i migliori Satyricon per la ripetizione ossessiva del riff, che successivamente muta, variazioni di batteria e preziosismi incastonati nel riffing. La voce è anch'essa una litania ossessiva e maestosa, con un'eco lunga e distante, i tempi sono lenti e massicci, improvvisi scatti di chitarra coinvolgono ed incantano. In questa lenta litania il riff si ripete, con variazioni che ne aumentano la cattiveria e l'impatto, è una pioggia di cristalli di ghiaccio che discende in lente ed inarrestabili ondate. Il pezzo è ipnotico, cattura, è ostinato nel ripetersi del ritmo, l'incantesimo si spezza con una parte che accelera ed introduce notevoli influenze Thrash, la batteria si lancia in un blast di cassa omicida, la chitarra scatta all'inverosimile in passaggi virtuosi disumani, la voce è impietosa, non lancia scampo e lacera la mente, ricolma di cattiveria demoniaca, altri passaggi iperveloci, lo scream di Abbath che ossessiona la nostra mente e la possiede. Altri scatti, questa volta melodici ed accompagnanti da un basso imperioso, poi arpeggi, tutto si calma e sembra che la tempesta di colpi sia ormai lontana, un voce malefica continua a cantare come se parlasse, in lontananza la chitarra elettrica; tutto cambia di colpo con uno stacco di batteria ed atmosfere alla Bathory si impadroniscono del pezzo, con chitarre in accordi e plettrate alternate che si arrestano di colpo e disegnano momenti di epicità nordica. Ancora il riff iniziale, con la cascata di note che si riversa sull'ascoltatore in un'estasi di ritmo e melodia con lo scream straziante e demoniaco al centro, giunge la variazione che cala di volume ed accompagna fino alla fine. Il testo ci fa entrare in un luogo sacro di potenza, la patria dei regni tempestosi, in questo luogo i venti soffiano freddi e liberi, neri e morti sulla terra congelata. Oltrepassato il cancello per raggiungere i mondi di Blashyrkh (deve essere il maestoso cancello in copertina!), dove un fuoco sempre acceso vortica, una spietata oscurità in cui gli occhi per vedere devono essere abituati al buio. Sorgono visioni antiche di leggende e miti, che un tempo venivano presentate al trono della potenza; in questo regno c'è il nero assoluto ed il protagonista si augura di poter vedere anche per una volta sola tutta la sua grazia, fatta di incessanti venti che consumano perfino la luce stessa. I cancelli di Blashyrkh dominano tutto ciò che è a vista d'occhio, un magnifico regno ultraterreno del possente Corvo Oscuro. Il cancello si apre, in tutta la sua altezza, vi si trovano lune al tramonto su profondità nebbiose, notti eterne e ghiaccio soffiato dai venti in foreste oscure fatte di alberi spogli. Con questo testo finale abbiamo una magnifica descrizione di Blashyrkh, un qualcosa di mitologico.
Conclusioni
Si conclude un capolavoro destinato a vivere per sempre nella memoria di ogni ascoltatore di Metal estremo. Questo album è l'ultima fatica degli Immortal, un cristallo di rara bellezza che raccoglie in sé tutta la storia e le buone qualità di un gruppo che ha voluto osare, tracciando la propria strada senza seguire nessun altro e nessuna moda. In questo album sono riassunte le sonorità fatte di un Black Metal che, con accordi veloci impreziositi da qualche plettrata alternata, coniuga perfettamente il Black norvegese col Thrash Metal, permettendosi di inserire una melodia nordica che permea tutto l'ascolto senza far diminuire l'irruenza grezza dell'approccio che ha il gruppo. Le diverse influenze sono sapientemente integrate in un sound unico e riconoscibile, un trademark che grida "Immortal" ad ogni nota: lo stile chitarristico, le scelte ritmiche, le melodie che si leggono attraverso le sfuriate o gli arpeggi puliti. Questi sono gli Immortal di Abbath, coi miti di Demonaz, quando il genio compositivo incontra un poeta epico. Album di rara bellezza, ogni pezzo è un centro perfetto del quale non andrebbe cambiato nulla: produzione eccelsa, grafica impeccabile, composizione straordinaria che sa bilanciare tutti gli elementi creando quell'alchimia perfetta destinata ad ergersi a monumento della musica, da usare come paragone irraggiungibile di perfezione stilistica ed espressiva. Un lavoro del genere riesce a mettere assieme dei pezzi coerenti dei quali ognuno svolge una diversa funzione nel delineare il concept che, come un fenomeno naturale, ha un inizio irruento per poi maturare in una consapevolezza più ampia che infine culmina in una specie di viaggio spirituale nell'ultraterreno; Blashyrkh all'ennesima potenza. Parabola della vita, la fenomenologia di questo album si conclude lasciandoci appagati in tutto e per tutto, ascolto da divorare ascoltandolo più volte per apprezzare, ad ogni ascolto, tutte le perle e gli intarsi minuziosi che possono essere sfuggiti in un primo momento. Un album del genere è sprecato se lo si ascolta mentre si fa altro, va ascoltato in religioso silenzio, meglio ancora ad occhi chiusi ed aspettando che la musica faccia il proprio lavoro evocando immagini epiche nella nostra mente. Non si poteva chiedere di meglio agli Immortal, hanno saputo superare quanto fatto con "At the Heart of Winter" sebbene sembrasse impossibile.
2) The Rise of Darkness
3) Hordes to War
4) Norden on Fire
5) Arctic Swarm
6) Mount North
7) Unearthly Kingdom