HYPOCRISY
Worship
2021 - Nuclear Blast
STEFANO PENTASSUGLIA
16/12/2021
Introduzione Recensione
Qui lo dico e qui NON lo nego: gli Hypocrisy sono la mia band death metal preferita. Non solo perché il loro genere sia effettivamente qualcosa di troppo particolare e raffinato per essere definito semplicemente "death metal", tanto che sono stati tra i primi e pochi gruppi a fregiarsi dell'etichetta di "atmospheric death metal" (oggigiorno molto più rara del suo corrispettivo black), e nemmeno per il semplice fatto che suonassero composizioni strepitose, supportate da una tecnica sopraffina, un senso melodico fuori dal comune e un'attenzione per maniacale per i dettagli e per le atmosfere; no, io entrai in fissa con loro soprattutto perché loro, a loro volta, erano fissati con gli stramaledetti ALIENI. Proprio così: io nei primi anni del 2000 ero infoiato a bestia con gli alieni, mi leggevo libri sull'argomento, le news della NASA, tutto il materiale che trovavo online sull'area 51 e sugli avvistamenti di UFO, e avevo persino iniziato a guardare Roswell (proprio lei, la serie TV con aveva per sigla la struggente "Here with me" di Dido). Insomma, ci stavo sotto di brutto (e non per niente fino a poco tempo prima avevo ancora dalla mia parte l'inguaribile passione adolescenziale per i Blink 182 di "Aliens Exist"). Tra l'altro per assurdo l'album con cui scoprì per la prima volta gli Hypocrisy fu proprio uno di quelli del "nuovo corso" che meno aveva a che fare con la tematica aliena, ovvero "Into The Abyss", uscito appunto nel 2000 quando il sottoscritto aveva appena compiuto 14 anni: potente, violento e con chitarre granitiche e massicce come macigni, conservava poco dell'atmosfera del suo imponente capolavoro "Hypocrisy" del 1999, che tutt'ora considero forse il punto più alto della carriera di Tägtgren e soci; ancora mi risuonano nella testa gli urletti scandalizzati di una mia compagna di scuola dell'epoca a cui feci ascoltare l'inizio disco solo per vedere la sua reazione ("aaaah, ma questi ruttano quando cantano, aaaah!!!"), ma in effetti è innegabile che quell'album fosse un episodio particolarmente brutale e che tutt'oggi non venga certo ricordato tra i loro lavori più melodici. Resta il fatto che gli Hypocrisy già all'epoca erano una tra le band death metal che più riuscivano a coniugare alla perfezione potenza sonora e brutalità con la raffinatezza delle melodie, l'azzardo per la sperimentazione e l'intelligenza di adottare soluzioni ai confini con il progressive, il tutto contornato da testi su apparizioni di UFO, rapimenti alieni e altre cosette che non erano poi così usuali in un mondo lirico abusato da banali cadaveri, croci rovesciate e odore di marcio e sporcizia. Insomma: era ORIGINALI, erano una band unica nel suo genere che spiccava nella scena, e già questo di per sé bastava a farmeli apparire simpatici, al di là del fatto che la loro musica fosse effettivamente grandiosa.
Eppure i nostri non sono sempre stati così: apparsi sulle scene nel 1991 con il vecchio monicker "Seditious", anche loro i primi anni si adagiarono in quello che per l'epoca era la norma, cianciando di blasfemie varie in dischi tutto sommato ottimi come "Penetralia" e Obsulum Obscenum" che non a caso li avevano fatti notare da colossi del calibro di Deicide e Cannibal Corpse per portarseli dietro in tour, prima che una crisi nervosa di Masse Breborg (che in seguito cambierà nome in Emperor Magus Caligula e troverà la pace dei sensi con i suoi Dark Funeral) costringa il poliedrico Peter ad assumere anche il ruolo di cantante e tirare avanti quasi da solo le redini del gruppo. Da qui, anche grazie all'uscita di Breborg dal gruppo, la strada degli Hypocrisy trova una dimensione completamente nuova e segna una nuova strada: da un lato, quella del paranormale e della vita extraterrestre, dall'altra quella della melodia e delle atmosfere tanto oscure e disturbanti quanto affascinanti e misteriose. Erano nate delle vere e proprie leggende, quelle che iniziarono a farsi strada nelle nostre orecchie con "The Fourth Dimension" del 1994 e che in seguito ci porteranno veri e propri capolavori del calibro di "Abducted" e del già citato disco ominimo "Hypocrisy", ma anche di dischi di straordinaria fattura quali il ruggente "The Final Chapter", il tamarro "Catch 22" e, appunto, il brutale "Into The Abyss". Ma è con "The Arrival" del 2004 che iniziamo a notare la vera trasformazione dei nostri e l'inizio di una nuova fase per la band svedese: quel disco segna concessioni ancora maggiori alla melodia, risultando forse l'album più orecchiabile nell'intera discografia di Tägtgren, e il successivo "Virus", dopo solo un anno, conferma definitivamente, e una volta per tutte, la sopraggiunta maturità del gruppo: ormai hanno detto quello che avevano da dire, non ha più senso interrogarsi su una loro eventuale "evoluzione" e quello che uscirà da oggi in avanti saranno solo o buoni album o grandi album. "A Taste Of Extreme Divinity" del 2009 appartiene senza dubbio alla seconda categoria: intenso, viscerale e intrinsecamente drammatico, è un album magniloquente a mio parere da annoverare tra le vette più alte della carriera di Peter; questo a differenza del successivo "End of Disclosure" del 2013, che invece si avvicina di più alla categoria degli album "buoni", mostrando un po' il fianco di una band che sì, ha ancora tante cose da dire, ha ancora tanta ispirazione e tante idee, ma avverte ormai anche il peso di una certa età sulle spalle e appare forse un tantino confusa su come portare avanti la propria idea di death metal dopo tutti questi anni.
E questo "Worship", invece, com'è? Sarà probabilmente anche per mettere un certo ordine nelle proprie idee che Peter Tägtgren si è preso così tanto tempo, ben otto lunghi anni, prima di approcciarsi alla costruzione di una nuova fatica per la sua creatura principale; vero è che si tratti di un uomo incredibilmente impegnato, un musicista che ha sempre militato in una moltitudine di band enorme che va dai Bloodbath ai Lock Up, dai The Abyss alla band personale di Till Lindermann dei Rammstein, senza contare la passione cieca che ha sempre profuso per il suo progetto parallelo, quegli amati Pain che in qualche modo racchiudevano tutte quelle inquietudini elettroniche che Peter provava ma che non riusciva ad esprimere, e né avrebbe potuto, con i suoi cari vecchi Hypocrisy. Insomma, ci voleva che i nostri sparissero completamente dalla circolazione per un bel po' di annetti, ci voleva effettivamente del tempo, e adesso quel tempo è passato. Non resta quindi che incrociare le mani, invocare una preghierina a Sata? pardon, agli alieni, e sperare che il nuovo album di questa band sancisca degnamente i ben trent'anni di carriera (1991 - 2021) di una delle band più iconiche e fondamentali di tutto il death metal, tanto svedese quanto internazionale.
Worship
Quella bella plettrata di chitarra acustica che apre l'opener, nonché title-track "Worship" ("Culto"), mi prende bene e mi fa subito ben sperare. È come una piccola dichiarazione di intenti, come per dire "tranquilli ragazzi, non abbiamo perso il nostro gusto melodico", ma allo stesso tempo si rifà a una lunghissima tradizione di band thrash metal, dai Metallica ai Death Angel e così via verso l'infinito e oltre, in cui le note di acustica servivano come monito per indicare la quiete prima della tempesta, come a dire "oh attenti che adesso vi arriva la mazzata". E così è, in effetti. "Worship" (la canzone, ma anche il disco), dopo averci stordito con delle bordate di melodic death della miglior fattura, ci azzanna subito alla gola con un'accelerata improvvisa, brutale e impietosa, rivelando subito l'accuratezza di una produzione tagliente che, pur nel caos della calca, riesce ad evitare per bene l'impastarsi dei vari strumenti. Chi conosce gli Hypocrisy dagli albori sa bene come anche loro non avessero molto in simpatia dogmi, culti e religioni varie, o se non altro si adeguavano al trend death metal dell'epoca che imponeva di parlarne male, ma a sentirli adesso viene il dubbio che forse, dopo quel pilastro che risponde al nome di "The Fourth Dimension", anche loro abbiano adottato una loro personale religione che porta a vedere gli extraterrestri come le vere "divinità", quelli che un giorno arriveranno sulla Terra non solo per invaderla ma anche per farsi adorare dai suoi abitanti ("Worship", appunto) in un culto del Dio Alieno che sostituisce l'immaginario della croce con quello di una navicella spaziale. Se così sembra suggerire l'evocativa copertina realizzata da Blake Armostrong, non di meno sono le parole di Peter fin dai primi versi del primo brano: "The sky is bleeding / The sky is red / Something is coming across / The wormhole reveals itself / The gods will arrive / The ships of crosses descend / Time to erase your mind / The truth will reveal itself / Worship the gods of the masses" ("Il cielo sta sanguinando / qualcosa sta succedendo / il wormhole si rivela / Arriveranno gli dei / Discendono le navi delle croci / E' tempo di cancellare la tua mente / La verità si rivelerà / Adora gli dei delle masse"). In sostanza ci troviamo davanti a un cambio di rotta rispetto al recente passato: l'opener permette al disco di mostrare le proprie potenzialità senza scoprire ancora le sue carte migliori, a differenza di quanto facevano le maestose ed epiche aperture di album come "Virus" e "A Taste Of Extreme Divinity", tuttavia ci lascia addosso una piacevole sensazione di adrenalina e la conferma che Tagtgren e soci abbiano ancora nelle loro corde quella capacità unica di alternare violenza e melodia che li rende speciali nel loro genere. E questa cosa ci rassicura. Non da inserire tra i brani migliori del disco, ma senza dubbio un ottimo antipasto.
Chemical Whore
"Nel 2020, approssimativamente 1,27 trilioni di dollari americani sono stati spesi in medicine, più di 887 bilioni rispetto al 2010". È così che inizia il videoclip di "Chemical Whore" ("Puttana chimica"), il primo singolo pubblicato il 10 settembre 2021 come antipasto per il nuovo album. E basterebbe già questa scritta inquietante che emerge da un bosco cupo, se già non fosse stato sufficiente il titolo stesso della canzone, a suggerirci di quale distopica paura vogliono parlarci gli Hypocrisy in questo brano. Al di là di facili disquisizioni complottiste su Big Pharma che vorrebbe controllarci tutti e via dicendo, le paure di Peter Tagtgren sullo strapotere delle industrie farmaceutiche sono fondate e reali, non tanto per l'industria in sé quanto per i suoi consumatori: nei paesi occidentali, dove il benessere economico viaggia di pari passo con la depressione delle persone, è ormai evidente che l'abuso estremo di farmaci per molti sia diventata la norma, si prendono farmaci per qualsiasi cosa, da una leggerissima ansia al sogno di perdere peso con una pilloletta miracolosa, e soprattutto negli Stati Uniti la situazione è diventata quantomeno preoccupante. Il testo della canzone lascia pochi dubbi sull'interpretazione che la band fa della vicenda, mentre nel video si vede una ragazza ingozzata a forza di farmaci da altre donne vestite in divisa bianca, come se facessero parte di qualche setta, mentre Peter, come un novello prete, imbocca i fedeli che si inginocchiano davanti a lui con una pasticca, come se fosse un'ostia sacra durante una messa nera: "Swallow your freedom / Swallow your smile / We got the cure / We got your fate / We got everything you want / So you don't have to think again" ("Ingoia la tua libertà / Ingoia il tuo sorriso / Noi abbiamo la cura / Noi abbiamo il tuo destino / Noi abbiamo tutto ciò che vuoi / Così non devi più pensarci"). Certo, una canzone del genere sembra in qualche modo essere stata influenzata anche dalla pesante situazione in cui si trova il mondo all'uscita di questo disco, con il covid-19 ancora in piena diffusione e le case farmaceutiche che fanno soldi a palate. Tuttavia è necessario ricordarvi che Peter Tagtgren NON è assolutamente un No-Vax, si è vaccinato prima di andare in tour, tuttavia sembra prudente e di certo rigetta l'eccesso di cura e di prevenzione: in una recente intervista ha detto di essere scettico sul fatto che l'età per cui è previsto il vaccino stia diventando sempre più bassa con il passare del tempo, e ha dichiarato che non si sarebbe vaccinato prima del tour, perché tanto abita in un paesino svedese di 20 anime (Parlby) dove ogni casa è distanziata dall'altra, non incontra nessuno perché preferisce restare da solo nei boschi, e comunque quando qualcosa inizia ad essere imposto con la forza lui automaticamente reagisce opponendosi a quelle imposizioni. E di certo tra le pieghe chitarristiche di "Chemical Whore" si percepisce fin troppo bene questo suo disagio, con un mid-tempo di puro swedish death metal melodico che ci passa sopra come un cingolato, ci maciulla le orecchie come una pressa, prima di deliziarci con melodie avvolgenti e dannatamente azzeccate, per quanto comunque un po' manieristiche e che in fondo sanno abbastanza di déjà vu. Molto legato alla forma canzone e con una tematica forte e di grande attualità, non stupisce che proprio questo brano sia stato scelto come singolo di presentazione dell'album e, per quanto la canzone scorra in maniera non memorabile e sappia di già sentito, è comunque un piacevolissimo episodio, nonché probabilmente necessario nell'economia generale del disco.
Greedy Bastards
E finalmente, come da tradizione intorno alla terza traccia in tracklist, arriva il pezzone lento e cadenzato che tanto mi piace e mi fa gongolare. "Greedy Bastards" ("Avidi bastardi") parte in quarta sbattendo la porta con violenza, con un riff schiacciasassi che potrebbe tranquillamente essere uscito dall'indimenticabile "Mercenary" dei Bolt Thrower, mentre la voce ruggente e gutturale di Peter Tagtgren porta alla mente reminiscenze dell'acidume vocale di Jeff Walker e dei suoi Carcass, perlomeno quelli del mitico "Heartwork". Ogni verso sembra il latrato di un pitbull rabbioso e, mentre Horgh ci dà di matto con il doppio pedale, mentre Peter sputa tutta la sua idiosincrasia verso politici corrotti che cercano in continuazione nuovi modi per racimolare soldi e potere, infischiandosene altamente della gente che governano: "Raise taxes with a pocket full of gold / Husting and stealing, they don't give a shit about us / Vote for me and I'll make you rich / Promising worlds while we're shoveling your shit / Only fools will follow fools / Sacrifice our rights to seize more power / There is no power! / Born in debt, slave for life / Are you blind? / Get a life! We live in constant fear / They push us to the edge / March or die / Greedy bastards!" ("Aumentare le tasse con le tasche piene d'oro / Spacciare e rubare, non gliene frega un cazzo di noi / Solo i pazzi seguono i pazzi / Sacrificare i nostri diritti per avere più potere / Non c'è potere! / Nato in debito, schiavo per la vita / Sei cieco? / Fatti una vita! / Viviamo costantemente nella paura / Ci spingono al limite / Marcia o muori / Avidi bastardi!". Certo, magari un testo del genere pronunciato oggi dal 51enne Peter Tagtgren fa un po' sorridere pensando alla sua forte carica di rabbia adolescenziale, ma per chi come il sottoscritto è cresciuto con le bordate death metal di "The Final Chapter" e degli album più vecchi della band svedese non può che godere al ritorno di questo death metal senza compromessi e "vecchia scuola", al di là della sua produzione pompata e moderna. In effetti sono proprio le atmosfere di "The Final Chapter" che ritornano alla mente durante l'ascolto, quelle più oscure e maligne, sebbene qua e là ci siano sprazzi di atmosfera e fraseggi più melodici che richiamano un po' quelli del più recente disco omonimo. L'armonia nella band sembra davvero perfetta nel finale, concepito con un ultimo e imponente rallentamento fatto a regola d'arte, che chiude alla perfezione quello che è il classico capitolo "pesante" immancabile e irrinunciabile in un disco degli Hypocrisy che si rispetti.
Dead World
Ecco uno di quei rari casi in cui il videoclip di una canzone è talmente ben riuscito da surclassare addirittura la canzone stessa. "Dead World" viene pubblicato il primo ottobre come secondo singolo per "Worship" e, prima ancora del brano in sé, a colpire l'attenzione è lo straordinario lavoro registico che è stato realizzato per il suo videoclip di accompagnamento. Una ragazza che scappa da un'orda di non-morti che la insegue, persa nel bel mezzo di un'apocalisse zombie, con una fotografia grigio scura e un unico piano sequenza che la segue dappertutto in un modo estremamente efficace, come quando riesce ad atterrare e uccidere uno di quei mostri e uno schizzo di sangue le colora la faccia prima che riprenda fiato e ricominci a correre. Un video che sembra uscito direttamente da un episodio di Walking Dead, o meglio ancora di Black Summer, con un piglio cinematografico anche abbastanza inusuale per un videoclip musicale di promozione per un brano. Nel mentre la rabbiosa lingua di Peter Tagtgren sembra si stia violentando la gola con della carta vetrata, mentre descrive con rassegnazione le conseguenze imminenti di un mondo ormai "morto" e dominato dagli zombie, in un testo che per qualcuno potrà anche rappresentare una critica sociale e una metafora della nostra condizione umana davanti alle persone che ci governano, le cui scelte ricadono sul nostro futuro e vengono pagate caro da noi sulla nostra pelle: "They have a master plan / Divide us all, make us suffer / Terminate the human whore / We'll drop like flies, we're the lab rats / They're feeding off our hatred / They push us in the corner and wait for us to explode / Will we ever stand our ground / Or will we lay down and wait to die?" / "Hanno un piano generale / Dividerci tutti, farci soffrire / Terminare la puttana umana / Cadremo come mosche, siamo topi da laboratorio / Si nutrono della nostra rabbia / Ci spingono in un angolo e aspettano che esplodiamo / Manterremo la nostra posizione / O ci stenderemo a terra aspettando di morire?". Sulla musica, invece, poco da dire. Qui Peter e soci optano per una via di mezzo tra le bordate trash/death più annichilenti di cui sono capaci attualmente (e qui un plauso va ad Horgh che regge botta come se fosse ancora un ragazzino alle prese con i blast beat degli Immortal) e sezioni più lente e ritmate che sembrano prese di peso dal loro album omonimo, anche per via di infarciture elettroniche che ben si sposano con la pesantezza delle chitarre. L'approccio è grigio, rabbioso e nichilista, come tradizione death metal vuole, e in effetti "Dead World" appare proprio come uno dei brani più genuinamente old school dell'intero lavoro, a dispetto della sua scintillante patina electro-rock che traspare tra le pieghe di distorsioni taglienti, di un basso soffocante e di una batteria che non risparmia niente e nessuno. Forse il brano che mi è piaciuto di meno di tutto "Worship", sono sincero; ma perlomeno è anche grazie a brani come questo che va riconosciuto il merito agli Hypocrisy di essere invecchiati fin troppo bene.
We're The Walking Dead
Oh, eccolo il mio amato lentone! Chi mi conosce sa bene che, se c'è qualcosa che davvero amo alla follia di un certo death metal, è il lasciarmi trasportare dai brani più cadenzati, farmi trascinare da chitarre tanto pesanti quanto calde e avvolgenti, che ti fanno dondolare la testa e si impossessano delle tue orecchie facendole godere ai massimi livelli come solo il buon metal riesce a fare, senza darti il tempo per pensare a nient'altro. Sarà anche per il fatto che gli Hypocrisy sono dei maestri nell'arte del "death metal lento" che li amo così tanto, a maggior ragione perché caricano il tutto di melodie raffinate e di atmosfere sognanti, e in ogni loro album c'è almeno un pezzo di questo tipo, un bel lentone come tradizione Hypocrisy comanda. E "We're The Walking Dead" ("Siamo i morti che camminano") è proprio QUEL brano, il che lo rende immediatamente il mio preferito ad honorem, prima ancora di aver ascoltato l'album per intero. Da un punto di vista lirico e immaginifico sembra quasi una naturale prosecuzione della precedente "Dead "World", e non per niente la parola "Dead" qui si ripete, ma il soggetto si sposta dal "mondo", dominato da un'apocalisse zombie, alle "persone", trasformate in morti viventi da chi è al potere, come governi e multinazionali, e cerca di controllarle e manipolarle per i propri interessi politici ed economici:"We're the walking dead / We're living the dream in paradise / Programmed to obey / Programmed to die / Nothing's for free, but greed and misery / Anything you want can be bought" ("Siamo i morti che camminano / Stiamo vivendo il sogno in paradiso / Programmati per obbedire / Programmati per morire / Niente è gratis, tranne l'avidità e la miseria / Tutto ciò che vuoi può essere comprato"). Gli Hypocrisy del 2021 sono insomma meno infognati con ciò che gli interessava da giovani, dal satanismo agli alieni, e più concentrati su tematiche di carattere sociale, dove gli spunti horror e fantascientifici diventano quindi soprattutto dei pretesti per parlare di noi, del marcio che c'è nell'essere umano e di ciò che non va nella società. Dal punto di vista delle sonorità però, se da un lato li troviamo "incattiviti" con l'età, notiamo con piacere come quell'ispirazione e quel gusto melodico che aveva reso grandi album storici come l'omonimo "Hypocrisy" o "The Arrival" sono ancora qui, in queste note che, senza mai oltrepassare il varco del commerciale, risultano orecchiabili ed estremamente catchy, si stampano in testa e non ne escono più. Il tutto senza rinunciare a punte di malinconia che affiorano dai fraseggi di chitarra e dalla voce di un Peter più sommesso e con lo sguardo rivolto al passato. Forse qualcuno lo troverà un brano di mestiere, ma al netto del suo odore di già sentito "We're The Walking Dead" è indubbiamente una canzone che ci restituisce i migliori Hypocrisy così come li avevamo lasciati vent'anni fa, e se quelli sono gli Hypocrisy che amiamo allora ci vuole poco anche ad innamorarsi di una canzone come questa.
Brotherhood Of The Serpent
Se c'è un motivo per cui molti tra i vecchi fan apprezzeranno di sicuro un album come "Worship", è senza dubbio questo approccio maggiormente diretto e "in your face" nella musica di Peter Tagtgren, ma soprattutto più legato alla vecchia scuola. Personalmente io ho sempre preferito gli Hypocrisy più melodici e atmosferici, motivo per cui ho adorato i dischi della loro più recente produzione (da "The Arrival" in poi, per intenderci), ma mi rendo anche conto che a molti ascoltatori non sarebbe dispiaciuto un parziale ritorno alle origini, a quel sound più propriamente death metal che aveva caratterizzato gli Hypocrisy degli esordi. Già nei precedenti brani avevamo avuto l'impressione che Tagtgren e soci avessero scelto una politica espressiva più legata al passato remoto della loro storia, ma con "Brotherhood Of The Serpent" ("La confraternita dei serpenti") ne abbiamo davvero la conferma definitiva. Tutto in questo brano odora di Morbid Angel, del loro death metal arcigno e solforoso, e Peter ci dimostra di aver definitivamente appreso la lezione di Trey Azagthoth (come se ce ne fosse ancora bisogno, dopo ben trent'anni di carriera). Liricamente "Brotherhood Of The Serpents" riprende il tema portante dei due precedenti brani, con nuove invettive verso la classe dirigente che detiene il potere e succhia i soldi del popolo finché non arriva il momento di seppellirlo, ma questa volta gli zombie vengono accantonati in favore di figure ben più mefistofeliche, serpenti malvagi e pazzi (come quello che tentò Eva nell'Eden) come rappresentazione di un male corrotto che avvolge nelle sue spire il destino dell'intera umanità, che nel mondo contemporaneo si è ormai ridotto a vendere la propria vita e a sopravvivere solo per produrre, consumare e infine morire: "We'll keep you 'till the end / In the hands of the evil madmen / In the wraths of the evil serpents / You're born into debt / You pay your whole life / 'Till they lower you down in the ground / Decrease the population / That's their master plan" ("Ti terremo fino alla fine / Nelle mani dei pazzi malvagi / Nelle ire dei serpenti malvagi / Sei nato indebitato / Paghi per tutta la tua vita / Finché non ti calano giù sottoterra / Diminuire la popolazione / Questo è il loro piano principale". E mentre la voce di Peter ringhia furente come David Vincent insegna, il doppio pedale di Horgh non smette mai un secondo di pedalare come un dannato, per quanto il brano nel complesso non sia particolarmente veloce ma anzi sia più assimilabile a un mid-tempo molto ritmato. I raccordi melodici, per quanto tipicamente hypocrisiani nella loro subdola malignità, mantengono ben saldo un sapore death metal d'altri tempi, e con l'accelerata improvvisa che arriva verso la fine l'intero pezzo finisce con il sembrare molto "vecchia scuola" e farà sicuramente la gioia degli aficionados più stagionati. Il brano centrale dell'album si dimostra così un breve tuffo nel passato, una pausa nostalgia in attesa di passare alla seconda parte e vedere quali apocalittiche sorprese hanno in serbo per noi gli Hypocrisy.
Children Of The Gray
Giunti ormai a pieno titolo nella seconda parte dell'album, notiamo subito che i ritmi si rallentano e tocca al terzo e ultimo singolo rilasciato dagli Hypocrisy fare gli onori di casa. Pubblicato il 5 Novembre 2021 insieme al relativo videoclip, "Children Of The Gray" ("Bambini del grigio") è uno di quei pezzi melodici e avvolgenti che per uno come me è impossibile non amare, in quanto dotati di quell'inconfondibile orecchiabilità tipicamente "hypocrisiana" che mi aveva fatto ascoltare fino allo sfinimento album dannatamente catchy come "The Arrival" o anche l'omonimo del '99, con quelle sonorità magnetiche che qui ritornano con prepotenza nella cura degli arrangiamenti e nella costruzione complessiva del brano. La forma canzone qui è perfettamente rispettata, bilanciata e senza grandi sorprese: una strofa cadenzata e sapientemente ritmata, un bridge dove Peter sfoggia il suo miglior palm-mute in tutta la sua bellezza, e dulcis in fundo un ritornello oscuro, atmosferico e malinconico, con in più una parte sul finale dove la melodia più lenta si incrocia alla perfezione con tempi più ritmati e ci conduce con garbo ed eleganza verso un finale che riprende con intelligenza l'arpeggio ascoltato all'inizio. La voce di Peter, qui decisamente più ferma e sobria, è tutto tranne che allegra e scaglia tutto il suo malessere verso la tragica situazione che sta vivendo oggi il nostro pianeta, con versi di denuncia verso le generazioni umane del passato che hanno sfruttato tutte le risorse disponibili in natura, senza preoccuparsi minimamente dell'orribile eredità lasciata ai loro figli, costretti a crescere in un mondo sempre più spoglio, arido, vuoto e morto: "What a beautiful day to die / The sun is burning through our skin / The heritage we leave behind / There is nothing left to claim / Resources that we drained / The toxic air you suck down your lungs / Rainforests levelled to the ground / Oceans like plastic ponds" ("Che bellissimo giorno per morire / Il sole sta bruciando attraverso la nostra pelle / L'eredità che ci lasciamo alle spalle / Le risorse che abbiamo drenato / L'aria tossica che risucchi nei polmoni / Le foreste pluviali rase al suolo / Gli oceani come stagni di plastica"). Lo splendido videoclip di accompagnamento, senza attori e realizzato interamente con animazioni su scala di grigi, rende ancora meglio la sensazione di profondo disagio emotivo che le parole di Peter vogliono suscitare nell'ascoltatore, e la drammaticità melodica del brano si sposa perfettamente con l'immagine di un mondo post apocalittico devastato e consumato dalla cupidigia umana. Per quanto mi riguarda, uno dei brani più godibili di tutto l'album e forse uno dei migliori, per quanto fin troppo classico e un po' troppo ancorato allo stile catchy e melodico più tradizionale della band svedese.
Another Day
L'attacco iniziale di "Another Day" ("Un altro giorno") fa pensare soltanto a una cosa: puro thrash/death di scuola svedese. Ti colpisce dritto in faccia come una sberla e riporta alla mente reminiscenze del periodo The Crown, quello bello. Horgh pesta dietro quelle pelli come se volesse farsi sentire fino a Bergen dai suoi Immortal, tiratissimo, nervosissimo e incazzatissimo. La chitarra aperta e dinamica di Tagtgren, qui anch'essa veloce come un treno, sottolinea a tutti quanto le radici degli Hypocrisy siano rimaste profondamente death metal, snocciolando riff vecchia scuola sporchi, ruvidi e diretti che per poco non varcano i labili confini con il brutal. Tutta la parte della strofa è una pura galoppata death ricca di palm-mute, come forse la si potrebbe trovare in una versione edulcorata e patinata dei Cannibal Corpse, mentre l'approccio vocale di Peter rasenta quasi il crust punk nella sua voglia di aprire gli occhi all'ascoltatore e metterlo davanti all'evidenza di un sistema marcio e corrotto, dominato dai potenti del mondo che con il loro vil denaro comprano a bassissimo prezzo le anime delle persone comuni e ne fanno ciò che vogliono, quasi sempre a loro insaputa: "Vivi la tua vita spensierata / Come se non te ne fregasse niente / L'hanno messa nel sistema per trascinarti giù / Per farti sentire che anneghi costantemente / Un altro giorno, un altro incubo / Un altro trionfo per i ricchi / Un altro giorno, un'altra tortura / Un altro glorioso giorno nel fosso / Un nichelino per i tuoi pensieri / Un centesimo per la tua anima / Questo è quello che vali / Ed è così che va / Puoi combattere quanto vuoi / Ma a loro non frega un cazzo". Eppure tutto questo correre verso l'abisso non dimentica comunque mai una ricerca melodica di fondo, che si manifesta soprattutto in un ritornello anch'esso veloce ma anche dominato da punte di drammaticità tipicamente hypocrisiane. Non può ovviamente mancare il breakdown, per quanto fin troppo breve, ma a questo segue subito un cambio di tempo saltellante che ravviva una situazione forse fin troppo statica e chiude il brano con l'ultimo ritornello, fino al colpo di piatto di Horgh che mette la parola fine su questa sana boccata d'aria fresca e di puro death metal fatto come Dio Metallo comanda.
They Will Arrive
Si ritorna di prepotenza alle migliori cariche hypocrisiane con l'inizio al fulmicotone di "They Will Arrive" ("Arriveranno"), brano denso e corposo con un guscio ruvido al cui interno è nascosto un ripieno di melodia epica e drammatica, che risalta dalle fitte linee di chitarra sommerse da una valanga di palm-mute e blast beat. Il vocione di Peter ci delizia con il suo inconfondibile "Uh!" prima che parta un breakdown mozzafiato che lentamente prende velocità e galoppa, per poi sommergerci dalle squillanti note di chitarra di un ritornello tra i più ispirati in assoluto di tutto l'album. Qui il tema degli alieni torna di prepotenza, e si può notare il forte interesse di Tagtgren verso certe teorie che richiamano i geroglifici dell'Antico Egitto e la costruzione delle Piramidi per identificare gli alieni in una sorta di entità sovrannaturali, divinità che svariati millenni fa avrebbero creato la razza umana e ora starebbero ritornando per ristabilire l'equilibrio di potere: "Piramidi, geroglifici / Perché non decifrate il codice? / Non siete ancora pronti? / Vi abbiamo inviato tutti gli indizi / Il cielo sta cadendo / Arriveranno / Perché gli abbiamo mandato un'esca / Loro sono gli Dei che vi hanno reso ciò che siete / Non dimenticatelo mai / Dei tra gli insetti / Stanno tornando per raccogliere / Ristabilire l'equilibrio / Nascosto dalla verità / Provando a proteggere il sangue reale / Ora stanno tornando per te". Sembra quasi di ascoltare un brano del periodo d'oro degli Hypocrisy, quello della seconda metà degli anni '90, dove nella costruzione di un singolo brano si riuscivano a concentrare idee ispirate e concepite alla perfezione. Si potrebbe quasi definire "They Will Arrive" come uno dei brani più rappresentativi degli Hypocrisy attuali, per il suo riuscire a condensare al meglio le varie caratteristiche sonore della band di Ludvika, dall'anima più veloce e brutale a quella più lenta e pesante fino a quella più melodica, malinconica e atmosferica. Non posso certo considerarlo il mio brano preferito dell'album, dato che personalmente preferisco di gran lunga quelli più lenti e cadenzati come "We're The Walking Dead", "Bug In The Net" o "Greedy Bastards, ma tuttavia se qualcuno dovesse chiedermi quale brano ascoltare per farsi un'idea generale du "Worship" probabilmente gli consiglierei proprio questo qui, dove la carne al fuoco è tanta e soprattutto è incredibilmente gustosa.
Bug In The Net
Barney Hill ed Elizabeth "Betty" Barrett erano una coppia molto particolare per l'epoca, in quanto verso la fine degli anni '50 non era facile trovare una donna bianca felicemente coniugata con un afroamericano impiegato nella Commissione per i diritti civili degli Stati Uniti. Ma di certo non era questo il motivo per cui balzarono agli onori della cronaca, ma piuttosto in quanto il loro fu la prima testimonianza di rapimento alieno ad aver avuto una forte risonanza mediatica in tutto il paese. La vicenda si svolse a Portsmouth, non lontano da Lincoln, nel New Hampshire, nella notte tra il 19 e il 20 Settembre del 1961, ma i dettagli della storia vennero fuori solo 3 anni dopo, nei primi mesi del 1964, quando i coniugi andarono a Boston si sottoposero all'ipnosi regressiva dello psichiatra Benjamin Simon, e raccontarono sotto ipnosi di aver visto un oggetto luminoso simile ad un satellite nel cielo mentre tornavano a casa dopo una vacanza in Canada. Seguì una "lacuna temporale" in cui si accorsero di avere un "buco" di memoria di alcune ore, a cui seguirono forti emicranie ed incubi in cui Berry sognava continuamente di essere esaminata da medici con tratti somatici decisamente non umani. La loro esperienza fu quella che venne chiamata "Abduction degli Hill" e, insieme ad altre vicende simili, colpì profondamente l'immaginario del giovane Peter Tagtgren, che nel 1996 decise di chiamare un album della sua band "Abducted" e 25 anni ce lo troviamo a riproporre quella storia nel testo di "Bug In The Net" ("Bug nella rete"), forse uno dei brani più affascinanti della sua nuova fatica: "Nel 1961 alle 22.00 / La luna era piena per tre quarti / E stava percorrendo la strada per l'inferno / Una luce brillante nel cielo / Pulsava avanti e indietro / Ma ad un miglio a nord di Lincoln / Una luce scese di fronte a loro / Come un bug nella rete". Allo stesso modo di "We're The Walking Dead", anche "Bug In The Net" è uno di quei brani lenti e malinconici a cui gli Hypocrisy ci hanno abituato negli anni, solo che qui a farla da padrone non c'è solo la melodia dolceamara che accompagna growl e distorsioni, ma anche una cadenza quasi ipnotica, che rende il brano suggestivo e carico di pathos, donandogli un'aura oscura che lo accompagna per tutto l'ascolto, attraverso tastiere calde e avvolgenti che ben si sposano con i freddi arpeggi liquidi all'inizio e alla fine del brano. Per quanto mi riguarda, uno degli episodi migliori di "Worship" senza ombra di dubbio.
Gods Of The Underground
Quale modo migliore per riprendersi dalla malinconia della precedente "Bug In The Net", se non attraverso un brano bello caciarone come questo conclusivo "Gods Of The Underground" ("Dei del sottosuolo")? Eppure, a dispetto di un'indole che in certi passaggi può apparire come fintamente ignorante e che deve molto al death metal più vecchia scuola, si tratta al contrario di un brano piuttosto complesso e ragionato, di quelli che solo una band del calibro degli Hypocrisy può comporre in maniera onesta e credibile. Che poi in realtà la sua anima fracassona e galoppante è solo quella che si può identificare nel ritornello, il cui riff martellante è anticipato dalle chitarre della parte iniziale, mentre per il resto questo canto del cigno di "Worship" è davvero denso di roba, e ce ne sarà davvero per tutti i gusti. Pesanti breakdown, di quelli belli con cui gli Hypocrisy ci hanno deliziato anche in passato, sapientemente incastrati nelle pieghe della canzone, subito seguiti da fraseggi melodici e atmosferici con lo screaming acuto di Peter che canta un testo stavolta infarcito di fantascienza complottista, Illuminati, massoneria, ordine mondiale degli alieni (rettiliani?) che vogliono creare una nuova società terrestre trasformando gli esseri umani in androidi governabili da remoto, e per farlo hanno iniziato già da tempo un subdolo indottrinamento attraverso il controllo di ogni fonte di informazione: "Dei del sottosuolo / La stirpe corre attraverso corpi corrotti / Dettati dal terrore e dall'avidità / Le nostre vite che viviamo / Non sono come pensiamo / Niente ha più importanza / Il sistema educativo e i media sono sotto il loro controllo / per mantenerci pigri e insensibili / E vivere ciechi nell'ignoto / Per creare una nuova razza, metà umana e metà intelligenza artificiale / Ci collegheranno al computer centrale / e così ci domineranno tutti". Ce n'è abbastanza per realizzare un romanzo distopico alla George Orwell sotto steroidi (o magari alla David Icke), ma se possibile la creatività musicale di "Gods Of The Underground" riesce anche a superare quella lirica, mescolando tanti registri diversi di quell'enorme serbatoio espressivo chiamato death metal e andando a pescare elementi tanto dal brutal quanto dal deathcore e dal melodic death di scuola svedese, come nel bellissimo rallentamento melodico centrale e poi in uno squisito riff ricco di pathos che affiora poco prima del ritornello finale. Nel complesso una conclusione degna di rappresentare non solo la grande ricchezza compositiva di un album come "Worship", ma soprattutto quella degli Hypocrisy in toto, confermandoli come una delle migliori band death metal che le fredde terre scandinave ci abbiano mai regalato.
Conclusioni
Pensateci solo per un secondo: nel momento esatto in cui sto scrivendo, il pallone aerostatico in cui Peter Tägtgren e soci hanno ficcato una copia di "Worship" per farlo volare su nel cielo avrà già superato i 40 km di altitudine nella stratosfera, e magari qualche navicella aliena di passaggio sulla Terra per una ricognizione l'avrà già raccolto, ascoltato e se la sarà data a gambe terrorizzata dalla potenza sonora del trio. Fermo restando che se volessi una band a rappresentare il mio pianeta davanti a una civiltà aliena probabilmente gli Hypocrisy sarebbero una delle mie prime scelte, già solo il fatto che questi tizi fuori di testa abbiano deciso di celebrare l'uscita del loro nuovo album "lanciandolo nello spazio" era una notizia che doveva farci mettere l'anima in pace sulla qualità del disco e sul fatto di vederli tornare in piena forma, a dispetto della vecchiaia che avanza. Una vecchiaia che, peraltro, sembra averli incattivi, più che addomesticati: il nuovo "Worship", lungi dal rappresentare un episodio più mansueto, mostra al contrario da un lato un maggiore attaccamento alle vere radici death metal del gruppo e dall'altro un approccio decisamente più ruvido e meno propenso al compromesso, con un Peter carico di tutto il malessere raccolto nei suoi oltre cinquant'anni di età e che non ha remore a sbattercelo in faccia, a prescindere da quanto possa aver conservato la sua ispirazione melodica e la sua raffinatezza nel comporre musica. Il tutto senza dimenticare il suo profondo legame con atmosfere ipnotiche e oscure, con melodie cariche di pathos e con soluzioni compositive sempre ispirate, ragionate ed eleganti.
L'opener, nonché traccia che dà il titolo al disco, è un vero e proprio assalto alla nostra gola, con accelerate estreme in doppia cassa e fraseggi al fulmicotone che schizzano nelle nostre orecchie come schegge impazzite, mentre una canzone coma la terza "Greedy Bastards" sembra essere uscita direttamente da una jam session tra i Carcass di "Heartwork" e i primi Bolt Thrower. La voce di Tägtgren è ruvida, feroce e incattivita dalla vita, lo sentiamo ringhiare di decadenza nella società contemporanea e non si risparmia nemmeno nei brani più mainstream e potenzialmente "radiofonici" (termine da incorniciare con millemila virgolette) come la caustica "Chemical Whore", singolo da cui è stato anche tratto il distopico videoclip. Ma a parere di chi scrive, in "Worship" così come praticamente in tutti gli album nella carriera degli Hypocrisy, i momenti migliori sono quelli in cui la band trova il tempo per tirare i remi in barca e proporti perle come la lenta e cadenzata "We're The Walking Dead" (forse il mio brano preferito del disco), vera portabandiera di quelle che sono e che resteranno sempre le melodie spaziali e le bellissime atmosfere con cui abbiamo imparato ad amare gli Hypocrisy da quel mitico album omonimo del '99 in poi. Qualcosa di simile lo si avverte anche nella mid tempo "Children Of The Grey", che a dispetto dei suoi riff in palm mute dal sapore punk trova soprattutto nei suoi lenti assoli densi di melodia quello spirito più tipicamente "hypocrisyano" che tutti ci aspettavamo di trovare in un album come "Worship"; e soprattutto lo si avverte poi nella semi-conclusiva "Bug In The Net", avvolgente, vagamente epica e costruita interamente sulle atmosfere ovattate delle chitarre, che ci circondano come il fascio luminoso di un UFO pronto a rapirci per portarci in un'altra dimensione. Per il resto gli Hypocrisy si divertono a reinterpretare il death vecchia scuola dei Morbid Angel in "Brotherhood Of The Serpent" e nel premere il più possibile il pulsante sull'acceleratore in "Dread World", senza mancare di piegare riff death metal che più classici non si può con melodie straordinariamente efficaci come nell'ispirata ed eclettica "They Will Arrive" e, in misura minore ma comunque piacevole, nella conclusiva "Gods Of The Underground".
Al netto delle preferenze personali e nel complesso della sua tracklist variegata e piuttosto disomogenea, "Worship" si rivela esattamente quello che molti di noi, tra cui il sottoscritto, si aspettavano dal "nuovo degli Hypocrisy": un graditissimo ritorno, che sapesse mostrarci quanto la band fosse ancora viva e vegeta e fosse ancora in grado, dopo ben trenta lunghi anni di onorata carriera, di continuare a reinventarsi e a proporre grande musica, restando al contempo fedele a sé stessa, al proprio stile e ai suoi marchi di fabbrica che ce li hanno fatti conoscere ed amare. Se poi nello specifico "Worship" rappresenti un passo in avanti o, al contrario, un passo indietro rispetto al precedente "End Of Disclosure", questo preferisco lasciarlo decidere ai cari lettori ed è una discussione in cui non ho nessuna intenzione di immischiarmi. Nonostante i due dischi sopra citati siano infatti molto diversi tra loro, tanto nello stile quanto nell'ispirazione e nell'approccio generale, a livello puramente qualitativo secondo me più o meno si equivalgono e sbilanciarsi a favore di uno o dell'altro rappresenta più che altro una dichiarazione di preferenza personale. Una cosa è certa: siamo ormai ben lontani da capolavori da 9 come il seminale "Abducted", l'omonimo bellissimo "Hypocrisy" o anche il più recente e maestoso "A Taste Of Extreme Divinity", nonché da quelle cartucce di talento sopraffino e gusto melodico che ancora sparavano in album per me da 8 come "Virus" e "The Arrival"; tuttavia non è questo ciò che mi aspetto dagli Hypocrisy del 2021, non certo un ritorno alla gloria del passato (che tra l'altro suonerebbe come abbastanza innaturale) ma semplicemente dell'ottima, grande musica suonata con il cuore e con quella genuina devozione totale alla causa che solo un maestro come Peter Tägtgren e i suoi degni soci in questa avventura, Mikael Hedlund e l'iconico Horgh degli Immortal, sono in grado di affrontare ancora oggi pur avendo alle spalle una vita intera fatta di dischi e concerti pensati, registrati e suonati con le band più disparate.
Se proprio un giorno gli alieni dovranno rapire qualcuno di noi, non mi dispiacerebbe toccasse a loro: se non altro come esseri umani ci faremmo bella figura. Basta che poi, però, ce li restituiscano. Perché, come hanno già fatto in tutti questi anni, questi ragazzi ormai cresciuti hanno ancora tanto da donare al mondo del metal e le nostre orecchie non potranno mai ringraziarli abbastanza.
2) Chemical Whore
3) Greedy Bastards
4) Dead World
5) We're The Walking Dead
6) Brotherhood Of The Serpent
7) Children Of The Gray
8) Another Day
9) They Will Arrive
10) Bug In The Net
11) Gods Of The Underground