HYADES
The Wolves Are Getting Hungry
2015 - Punishment 18 Records
FABRIZIO IORIO
25/01/2016
Introduzione Recensione
Nascono nel nord Italia e precisamente Varese, Lombardia, i thrashers Hyades. Attivi Sin dal 1996, i Nostri propongono ancora oggi un bel thrash metal old school senza troppi compromessi, aa andiamo con ordine ricostruendo pian piano la loro storia: dicevamo che il gruppo nasce a metà degli anni novanta, e pubblica tra il 1999 ed il 2002 tre Demo dal titolo "Princess Of The Rain", "MCLXXVI" e "Hyades" più un Ep dal titolo "No Bullshit.. Just Metal!" ed una compilation omonima dell'EP. La formazione dell'EP comprende Marco Colombo alla voce, Marco Negonda alla chitarra, Lorenzo Testa alla seconda chitarra, Omar Ceriotti alla batteria e Fabio Cantu ad occuparsi del basso. Con la pubblicazione del terzo ed ultimo Demo, la band deve già affrontare un cambio di line up che vede l'abbandono da parte del precedente bassista Riccardo Crespi, rimpiazzato proprio da Cantu in "No Bullshit..". Dopo aver riscosso molti consensi sia in terra nazionale che internazionale, nel 2005 firmano per l'etichetta belga "Mausoleum Records" la quale pubblica il loro primissimo full length dal titolo eloquente di "Abuse Your Illusion", dove in copertina troviamo in primo piano una porzione della statua della libertà con la bocca volutamente sigillata da un nastro adesivo ed un fondale fatto da molti schermi in cui vengono rappresentati innumerevoli notiziari. Ecco spiegato l'abuso illusorio del titolo stesso, dove il sogno americano viene considerato una mera utopia. Anche in questo caso bisogna segnalare un cambio di formazione, e troviamo Roberto Orlando ad occuparsi delle registrazioni del basso e Mauro De Brasi che si siede dietro le pelli al posto del precedente Ceriotti. Questo esordio discografico permette alla band di muoversi a livello live sconfinando dal territorio italiano facendo da supporto a band quali Onslaught (band thrash metal proveniente dal Regno Unito), Tankard (Thrash metal band teutonica tra le più caciarone e devote dell'intero genere) ed Omen (band epic/heavy metal proveniente dalla California). I riscontri sono più che positivi tanto che due anni dopo, nel 2007, giunge il momento di uscire con il secondo lavoro ufficiale dal titolo "And The Worst Is Yet To Come". Undici tracce di puro speed/trhash che denotano già una notevole maturità ed un ulteriore passo in avanti verso un percorso importante da iniziarsi. Con questo disco gli Hyades intraprendono un tour europeo piuttosto interessante, il quale va a toccare molti paesi come Italia, Germania, Danimarca, Belgio ed Austria. Nemmeno a dirlo anche in questo caso dobbiamo segnalare un cambio dietro le pelli; infatti troviamo Rawdeath che prende il posto di De Brasi. Nel 2006, per i dieci anni di attività della band, festeggiano a Bursto Arsizio in compagnia di Hatework (band Thrash Metal italiana) e di Vexed (sempre Thrash Metal, dalla Toscana) per poi l'anno successivo partecipare all'album celebrativo della band Tankard denominato "Best Case Scenario", suonando la song "Alien" contenuta nell'Ep omonimo pubblicato dalla band teutonica nel 1989. La band ormai ha accumulato un'esperienza tale da poter continuare a calcare i palchi di mezza Europa, ma soprattutto viene indicata dalla rivista "Metal Hammer U.K" tra le trenta band thrash metal più capaci e rappresentative, in una edizione speciale dal titolo "Thrash Metal Collector's Special" pubblicata nel 2008, insieme a band come Exodus e Forbidden. Arriviamo due anni più tardi alla pubblicazione sempre per "Mausoleum Records" del terzo album di inediti ovvero "The Roots Of Trash" nel quale, nemmeno a dirlo, troviamo una novità a livello di formazione. Jerico Biagiotti prende infatti il posto al basso lasciato vacante da Orlando. Si susseguono numerose date live, ma una volta terminate gli Hyades decidono di prendersi una pausa per recuperare le energie perdute durante gli anni e per concentrarsi su un nuovo lavoro. "The Wolves Are Getting Hungry", il quale vede il ritorno di Orlando al basso e viene pubblicato nel 2015 per l'etichetta italiana "Punishment 18 Records", viene registrato presso lo "Studio Decibel" di Busto Arsizio e masterizzato da Andy Classen, chitarrista della band Holy Moses ed ingegnere del suono. Per la prima volta la formazione è invariata, quindi possiamo parlare di una stabilità lungamente ricercata che finalmente trova dimora in questi due ultimi lavori. Una menzione particolare va alla cover di questo disco, la quale richiama in modo molto esplicito il famosissimo quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo dal titolo "Il Quarto Stato". Questo dipinto fu creato nel 1901 e simboleggia la classe operaia del tempo intenta a scioperare, rappresentando dunque una sorta di protesta sociale ed un proletariato che andava acquisendo una consapevolezza nei riguardi dei propri diritti. Quest'opera è divenuta un simbolo vero e proprio verso i valori ed i diritti che l'uomo ha nei confronti del lavoro stesso. "Il Quarto Stato" è appunto il quarto lavoro che viene preceduto da altri tre dipinti (sempre olio su tela) che raffigurano in maniera molto simile tra loro lo sciopero, ovvero la discesa in piazza come simbolo di protesta. I Nostri rivisitano questo quadro in maniera sostanzialmente simile ma decisamente opposta per contenuti. Infatti, oltre ad una versione molto colorata e fumettistica, vediamo in primo piano non più dei lavoratori ma degli imprenditori assetati di potere con alle spalle una centrale probabilmente chimica intenta ad inquinare il nostro pianeta. Anche la donna che viene raffigurata nell'originale di Pellizza intenta a tenere amorevolmente un bambino in braccio, viene sostituita da una donna in carriera che poco conto dà al suo pargolo; come a voler sacrificare la vita a discapito del potere. L'uomo al centro invece è talmente potente e privo di sensibilità che lascia addirittura cadere delle banconote, simboleggiando lo spreco alla faccia di chi muore di fame. Il nome stesso della band rivela un significato particolare: infatti le Iadi nella mitologia greca erano considerate delle ninfe dei boschi, precisamente sette ninfe figlie di Atlante ed Era. Esse vennero tramutate dallo stesso Zeus in astri, diventando un ammasso visibile nella costellazione del Toro, rappresentando la testa di esso e risultando l'ammasso stellare più vicino a noi. Un sacco di elementi quindi, ed ora vediamo di scoprire insieme cosa si cela dietro questo ultimo parto di casa Hyades.
The Economist
La traccia d'apertura risponde al nome di "The Economist (L'economista)" e la partenza è a dir poco devastante. Si attacca immediatamente con la voce di Colombo accompagnata da un riffing granitico e pesantissimo. Non c'è spazio per respirare e le ritmiche diventano ancora più ossessive e pesanti per lasciare spazio ad una bella cavalcata thrash prima di sentire nuovamente un'altra strofa del singer, che con voce ruvida, prepara l'arrivo di un altro bel momento breve e strumentale di puro thrash metal. I toni si fanno leggermente più fievoli (per così dire) per lasciare spazio a chitarre stridenti ed una bellissima sezione strumentale da headbanging puro. Proseguendo l'ascolto, troviamo un bell'assolo martellante accompagnato da una batteria incalzante e ben assestata, la quale prelude nuovamente una strofa schizofrenica con una voce particolarmente isterica e ben espressa. I tempi si alternano tra improvvisi stop ed un secondo solo di chitarra piuttosto ben riuscito, che ha come solo scopo quello di annichilire l'ascoltatore. Si prosegue con ancora una volta una prova vocale da parte del frontman sempre molto "urlata" ed una sezione ritmica davvero convincente; un frangente che si conclude con giri di tom da parte di Ridolfi ed una ultima sezione chitarristica che va a concludere un brano immediato e diretto. Un ottimo inizio insomma; questa song vuole subito mettere le cose in chiaro spingendo a tutta forza per far intendere immediatamente quali possano essere le intenzioni di questo disco e della stessa band. E' un po' come se ad un pugile, alla prima lezione, venga messo subito sul ring e picchiato selvaggiamente per mostrargli come deve muovere i pugni una volta terminato il proprio percorso, invece di partire dalle basi e dai fondamentali. Il testo anche risulta molto diretto: parla difatti di questo economista che segue in maniera assidua gli andamenti di mercato, si preoccupa dell'andamento del Nasdaq e si interessa del debito pubblico. Ad un certo punto riceve un aggiornamento sull'andamento riguardante lo spread italiano e se la fa letteralmente nei pantaloni. Le sue preoccupazioni sono il trovare degli investimenti il più in fretta possibile perché la sua vita è un continuo sali scendi di quotazioni in borsa. E' talmente stressato e coinvolto in quello che fa da perdere ogni tipo di cognizione, e dice di non aver tempo per andare al bar con amici a bere una birra. Vuole essere lasciato in pace, deve controllare gli ultimi movimenti sul suo cellulare, ed ogni cosa che gli viene detta non riesce a recepirla in maniera lucida, ma viene risucchiata in un vortice di parole che si perdono inutilmente nell'aria. Ad un certo punto però, capisce che la sua vita gli sta sfuggendo di mano e capisce di essersi perso una fetta di vita importante. Ed è allora che implora il prossimo di raccontargli anche le cose più stupide che capitano alla gente, chiede a gran voce di partecipare alla vita di tutti i giorni, ma soprattutto prega i suoi interlocutori di non parlare mai più di economia. Questa vuole essere una riflessione riguardo questo mondo frenetico, dove si pensa solamente a guadagnare ed a raggiungere il potere più in fretta possibile, perdendo di vista il gusto vero e proprio di vivere.
Ignorance Is No Excuse
"Ignorance Is No Excuse (L'Ignoranza non è una scusa)" mette subito le cose in chiaro con una sezione ritmica potente e veloce. Una volta subentrata la voce, poi, la velocità tipicamente thrash la fa da padrone per poi assestarsi su tempi più controllati ma dannatamente efficaci ed accattivanti. Si riprende in maniera veemente con una chitarra che non risparmia rasoiate letali per poi rallentare a favore di una pesantezza maggiore con l'arrivo del bel chorus. Al minuto 1:55 assistiamo alla preparazione di quella che sarà una grandissima bordata strumentale dettata da una doppia cassa molto interessante e da un basso e chitarra completamente fusi tra di loro, i quali riescono a creare un muro sonoro di invidiabile spessore. Arriviamo all'assolo composto da Testa il quale giustamente non può mancare, e difatti lo accogliamo preparati nel suo progredire minaccioso ed imponente, in poche parole assolo ottimamente riuscito. Altra cavalcata strumentale molto d'effetto e altra strofa cantata in maniera aggressiva quanto basta, il tutto messo in atto per poi allentare la tensione con un pre-chorus molto bello coadiuvato come sempre da una strumentazione molto ben calibrata ed interessante. Sicuramente una song molto riuscita che miscela molto bene velocità e potenza senza comprometterne l'efficacia finale. La voce risulta più aggressiva rispetto al primo brano ed anche le chitarre svolgono un lavoro importantissimo per l'economia generale del pezzo. I riff sono granitici e pesanti, il basso è ben coinvolto e il lavoro dietro le pelli è veramente di notevole fattura. Come recita il titolo, l'ignoranza non è una scusa per mandare il nostro mondo a rotoli. Eppure, le grandi figure che dovrebbero condurci verso un'esistenza migliore voglio proprio che il popolo rimanga ignorante per poter far credere al mondo che tutto quello che fanno venga fatto per noi, anziché farci accorgere della verità.. ovvero, che tutto ruota attorno agli interessi dei potenti. Le false promesse che continuano a farci vengono ripetutamente propinate anche dai media, i quali sono consapevoli del fatto che ormai siamo succubi della televisione e che crediamo ad ogni notizia che ci viene dettata. I "mezzibusti" ne approfittano prosciugandoci la mente con le loro menzogne, eppure il protagonista di queste liriche si ribella buttando alle ortiche la propria scheda di voto dicendo che ogni tipo di elezione è inutile come il Cristo in croce. Capisce che i diritti che crediamo di avere non sono altro che un mezzo per fare il loro gioco in modo da poterci sfruttare a loro piacimento. Riflette anche sul fatto che la sua generazione ha fallito nell'intento di poter cambiare le cose, ed anche se ha avuto i mezzi per poterlo fare non ha avuto la lucidità per farlo, complice l'ignoranza che dilaga continuamente senza sosta. Ma come ha fallito la sua generazione, prima di lui hanno fallito anche le precedenti ed anche quelle prima ancora, rendendo ormai irrecuperabile una situazione che poteva e doveva essere differente. Fortunatamente esiste qualcuno che prova a farci aprire gli occhi, ma purtroppo sembriamo essere sordi al cospetto di giuste parole e ciechi davanti all'evidenza. Bisogna solamente svegliarsi per poter cambiare le cose, e non aspettare che qualcun altro lo faccia per noi al posto nostro.
The Decay Of Humankind
Proseguiamo con "The Decay Of Humankind (Il Decadimento Del Genere Umano)", il cui inizio è un po' più "tranquillo" rispetto i brani precedenti. La chitarra svolge il ruolo principale di queste prime fasi, e l'immediato stop a cui assistiamo è un po' come la quiete prima della tempesta. Infatti la doppia cassa di Ridolfi inizia a macinare imperterrita senza essere eccessivamente veloce, mentre il refrain chitarristico è molto ben studiato e molto interessante. Quando entra in scena Colombo con la sua voce molto caratteristica, poi, i toni si abbassano leggermente per dare maggior risalto proprio alla sua ugola. Una volta conclusa una prima strofa, i tempi accelerano nuovamente per poi rallentare ancora una volta quando lo stesso singer riprende a cantare. Le atmosfere si fanno ossessive, complice una pesantezza sonora molto ben studiata e perfetta per creare quel phatos che serve per mantenere intatta l'attenzione. L'assolo di chitarra che andiamo ad ascoltare al minuto 2:23 è un qualcosa di spettacolare, con Testa che si esibisce in una prova non eccessivamente complessa ma tremendamente affascinante, senza poi scordarsi del lavoro spettacolare di Negonda alla sei corde ritmica, il quale accompagna perfettamente Lorenzo in questa meravigliosa prova sonora. Si riparte con il suono di chitarra caratteristico di questo brano e nuovamente sentiamo il singer che si destreggia molto bene sia inizialmente con ritmiche più lente, sia quando la velocità aumenta esponenzialmente, concludendo con un ritornello cantato a più voci che con un ultimo suono di crash da parte di Rodolfo sancisce la fine di un altro pezzo riuscitissimo. In questo caso la band è molto brava a mischiare tutta l'irruenza che gli compete con un tocco leggero di melodia, la quale si sposa perfettamente con la struttura del brano donando quel retrogusto dolce/amaro senza che mai vada in contrasto. Sicuramente uno dei migliori brani dell'intero disco. Non cambiano poi troppo i toni delle liriche: ogni specie che si è palesata sin dalla nascita della Terra ha avuto una evoluzione progressiva verso una ulteriore evoluzione della specie stessa. Ora siamo ad un punto cieco, dove purtroppo noi stessi siamo l'unica specie ad aver fermato questa evoluzione. Ci crediamo tanto più intelligenti di altri, ma la verità è che siamo arrivati ad un punto di non ritorno dove l'unica maniera per ricominciare è quella di estinguerci ed iniziare da zero. Il nostro mondo ne è la prova, il terreno marcio che ci circonda sin dalla nascita ci invade con tutto il suo fetore dalla testa ai piedi. Paradossalmente siamo noi che decidiamo il nostro destino, e siamo arrivati alla fine di un ciclo da cui non ci si può risollevare. Ciò che sta distruggendo tutto siamo solamente noi, noi siamo la peggior malattia che il mondo avesse mai potuto contrarre e non esiste cura alcuna che possa porre rimedio.
Apostles Of War
"Apostles Of War (Gli Apostoli Della Guerra)" ha un inizio bello compatto e duro, con chitarra, basso e batteria che accelerano considerevolmente con il proseguire dell'ascolto. Il lavoro di doppia cassa è ottimamente eseguito e la voce iniziale è aggressiva e ruvida al punto giusto. Il ritmo non accenna a diminuire, anzi i pedali si fanno roventi mentre il singer riprende a cantare in maniera devastante e spettacolare. Ottimo il riffing di chitarra che con un impercettibile stop dà l'illusione di far rifiatare l'ascoltatore, come quando si lascia andare a passaggi più "morbidi", ma è solamente un'illusione, appunto, perché la band continua a picchiare duro mentre più voci scandiscono il titolo della song. Il ritmo rallenta vistosamente come una sorta di rilassatezza sonora ma non per questo meno pesante e soffocante, anzi risulta un ottimo momento di esaltazione thrash che farà sicuramente felici i puristi del genere e di quelle sonorità ruvide e grezze. Come di consueto ci troviamo a parlare di un assolo alquanto pazzoide ma integrato alla perfezione per poi lasciare spazio alla chitarra ritmica che ricama accordi di ottantiana memoria. Si riprende con un'altra strofa sempre eseguita con passione e costanza per ritrovare un chorus cantato a più voci che dona quel pizzico di follia che rende questa song veramente ben fatta. Ottimi i momenti di velocità propinati dalla band, ma spettacolari sono i momenti relativamente lenti in cui la pesantezza la fa da padrone, mostrando i muscoli di una sezione ritmica davvero imponente; in altre parole, altra killer track. Anche in questo caso andiamo a trattare l'argomento ignoranza, e viene descritto come una piaga che ci portiamo dietro da anni. Viene presa come esempio la guerra in quanto calamità distruttiva e massima espressione di crudeltà dell'uomo. Un conflitto dovrebbe insegnare molte cose per permettere a tutti noi di non ripetere certi errori in futuro, invece a quanto pare la nostra mente non riesce a fare tesoro dell'esperienza che negli anni ha portato solamente morte e distruzione. La causa di tutti i mali è sempre la stessa: quella maledetta sete di potere di cui l'uomo non può fare a meno. Eppure cerchiamo un modo per dare ai nostri figli un motivo per vivere in questa fogna, pensando che un domani proprio loro possano cambiare le cose in meglio. Purtroppo, la storia insegna proprio il contrario con nuove generazioni pronte a combattere fra di loro per diventare semplicemente il migliore. Nella nostra generazione abbiamo la fortuna di avere accesso a tutte le conoscenze della razza umana per fare in modo di migliorare lo stile di vita di ognuno di noi, ma invece di imparare ad usare queste conoscenze in maniera costruttiva, perdiamo tempo su questi dannati social network fregandocene di tutto e di tutti, credendo che tanto primo o poi qualcuno farà qualcosa anche per noi.
The Great Lie Of History
Passiamo a "The Great Lie Of History (La Grande Bugia Della Storia)" e segnaliamo una partenza dettata da giri impetuosi di batteria che vanno a toccare tom e rullante accompagnati da una chitarra un pochino caotica per la verità, la quale si riprende subito quando la song parte effettivamente con il solito cantato piuttosto urlato trascinato da ritmiche lente ed ossessive. La velocità aumenta esponenzialmente per poi rallentare nuovamente con l'arrivo della seconda strofa e del ritornello, il quale è un forse un pochino esagerato nel proporre una miriade di suoni che nel complesso risultano essere non troppo legati tra di loro. Niente di male comunque perché il tutto si riprende velocemente, senza forzare troppo sull'acceleratore, ma puntando più su un impatto violento dettato da una sezione ritmica che pressa come uno schiacciasassi senza comunque strafare in alcun modo. Il lavoro di batteria di Rodolfo viene esaltato in una parte strumentale dove lo vede protagonista con "martoria menti" di pelli ed una doppia cassa piuttosto tecnica e ben eseguita. Anche il lavoro di basso e chitarra è abbastanza buono, messo bene in evidenza, ma non riesce ad essere così incisivo come dovrebbe. Ultima strofa e si va verso la conclusione di un brano tutto sommato piacevole, forse un po' troppo lineare con una lunga parte strumentale comunque coinvolgente, ma che avrebbe forse avuto bisogno di un'invenzione per essere considerato almeno qualitativamente alla pari con quello fin qui ascoltato. La grande bugia della storia, quella del titolo, è anche quella che studiamo sui libri nonché quella che ci viene proposta in una qualsiasi televisione. Raccontano gli anni del potere e della guerra in modo da indirizzarci verso quello che, loro modo di vedere, è la sottile linea tra cosa è bene e cosa è male: vengono citati i conflitti che purtroppo nel nostro periodo non accennano a fermarsi, ovvero le guerre che si stanno svolgendo in Afghanistan ed Iraq, nei racconti dei quali ci vengono proposte notizie a volte fantasiose in modo da non scontentare nessuno, o creando falsi allarmismi in modo da tenere tutti sotto controllo. Ovviamente questi orrori ci sono, esistono, e sicuramente fanno parte di una pagine triste della nostra epoca, in cui sempre per colpa della sete di potere, portano la gente all'esasperazione e di conseguenza ad attuare gesti estremi. Fortunatamente viviamo in un mondo (come cita testualmente la band) in cui ora è possibile quasi tutto e di conseguenza possiamo scegliere di credere a determinate cose o solamente di farlo in parte. Ognuno è libero di pensare, agire e credere a ciò che vuole, ma è bene ricordare che l'influenza dei media è a volte talmente forte che riesce a circuire ogni singolo nostro pensiero e decisione.
Heavier Than Shit (HYZ4)
"Heavier Than Shit (HYZ4) - Più Pesante Della Merda" è ottimamente aperta da un intro chitarristico molto potente, il quale viene raggiunto da una batteria che non ci pensa due volte a picchiare subito duro. Il cantato di Colombo sembra essere maggiormente ruvido ed aggressivo, mentre la velocità di esecuzione e la tecnica mostrata mettono in evidenza la padronanza strumentale di questi ragazzi. Ottimo il momento in cui il tempo sonoro si fa pesante, quasi oscuro, oserei dire di Testamentiana memoria dove anche quando la band spinge violentemente sul pedale dimostra di essere ancorata a certe grandi sonorità. Il brano diventa velocissimo, con un singer veramente in forma ed una band in generale che ci dà dentro senza sosta per colpire duramente l'ascoltatore letteralmente a pugni in faccia. Un brano non molto lungo, ma sicuramente di grande effetto in grado di far saltare letteralmente dalla sedia per la sua carica distruttiva e per saper esaltare un sound dirompente che, senza troppi fronzoli, mette in mostra un gruppo molto affiatato e consapevole dei propri mezzi. Le liriche di questo brano si discostano molto da quello che fin qui i Nostri ci hanno proposto. Infatti parlano di vita vissuta e delle esperienze che gli hanno segnati in maniera indelebile in vent'anni di carriera. Vengono ricordati i tantissimi Km che hanno dovuto percorrere per esibirsi con il loro show caricando la macchina con gli strumenti ed il merchandising da vendere per racimolare i primi spiccioli. Eppure vent'anni sono passati e loro sono (fortunatamente) ancora qua e si rendono conto forse di essere un po' vecchiotti, fuori moda, e magari fanno fatica a fare anche headbanging per paura di rompersi il collo. Assaporano l'essenza della bellezza di andare ad esibirsi dal vivo magari con la set list incompleta, ma non importa perché la completeranno strada facendo. Notti passate a dormire in macchina tra odori improponibili e rumori disgustosi; il bello della vita di gruppo on the road ricordato da questi ragazzi che non hanno perso la voglia di stare insieme e che vogliono trasmettere a più persone possibili quello che un tempo era il bello di una band alle prime armi, dove si assaporava quella voglia e quella passione che rendeva speciale ogni momento prettamente musicale. Passione che, a quanto sembra, non è mai scemata.
Sing This Ryhme
"Sing This Ryhme (Canta Questa Ballata)" si presenta cattiva e fumante sin dalle sue prime battute, con un inizio infuocato ed un cantato che viene sorretto in maniera perfetta da una sezione ritmica ottimamente eseguita. Il brano non è troppo veloce ma è dannatamente affascinante in queste prime battute, dove le chitarre svolgono un ruolo dominante e la batteria si destreggia tra virtuosismi di doppia cassa e percosse sul rullante piuttosto violente. Negonda ci spara il un assolo velocissimo in grado di catturare, mentre la ritmica di Testa ricama un tappeto sonoro spettacolare. Bellissimi i momenti in cui Colombo e Rodolfo vengono lasciati praticamente soli, spezzando molto abilmente una situazione tesa e creando quel qualcosa di diverso e personale che giova sicuramente nell'economia del brano. Anche il basso di Orlando viene evidenziato in alcuni contesti in cui è necessario sentire l'apporto della quattro corde per marcare indelebilmente un sound massiccio che trita tutto quello che si trova davanti. Altro brano molto interessante in cui gli Hyades mettono in mostra tutta la loro esperienza con qualche tocco personale ma sempre debitore ai grandi nomi del passato. In questo brano è doveroso segnalare la grande prova di tutti i componenti. Se la song precedente mostrava i muscoli quando veniva spinta a folle velocità, in questo caso è la tecnica di base ad essere maggiormente messa in evidenza con riff ottimamente riusciti, un basso devastante, un'ottima prova vocale e soprattutto una prova dirompente da parte del batterista. Questo è un brano che vuole pizzicare in maniera anche esplicita, chi crede di sapere tutto di un brano ascoltandolo approssimativamente. Gente che si atteggia sparando sentenze senza senso facendo i critici solamente magari dopo aver ascoltato solamente una canzone di un gruppo sul web, oppure scaricando l'intero lavoro da Emule (come cita il testo). Oltre a fregarsene ovviamente della band stessa scaricando il disco illegalmente, si cerca di fare troppo i fenomeni senza avere una benché minima istruzione musicale. I testi poi, al contrario di quanto molta gente possa pensare, son di fondamentale importanza (se così non fosse, non avrebbero ragione di esistere); eppure, si da poca importanza ai messaggi che molte band vogliono dare alla gente, ed è un vero peccato perché oltre ad un lavoro di songwriting che porta via parecchie energie solamente nel comporlo, si possono trovare delle argomentazioni a volte interessanti, a volte ironiche, altre invece fantasiose oppure semplicemente estratti di vita o denunce di vario genere. Questo pezzo racchiude uno sfogo e quindi una denuncia con un filo di ironia che non può non far sorridere, ma che ha l'intento di base quello di far riflettere.
Eight Beers After
"Eight Beers After (Otto Birre Dopo)" parte con un riffing velocissimo raggiunto da una batteria altrettanto intensa e potente. La prima strofa arriva subito, ed alla sua conclusione veniamo travolti da una bella cavalcata che si conclude con una doppia cassa interessante con tanto di crash volanti e caotici. Quando Colombo riparte il ritmo aumenta risultando essere intenso ed equilibrato allo stesso tempo, mentre quando ci troviamo al cospetto del ritornello, il pathos non raggiunge vette particolari, ma si resta comunque sul godibile e piacevole. La chitarra di Testa sembra fumare da ogni dove tanto sono taglienti i sui riff, e se ad ogni strofa il musicista si ritrova a maltrattare le proprie corde; la maggior efficacia la si trova quando le ritmiche sono leggermente più lente concentrando ogni singolo accordo per un unico scopo: quello di fare male. Arriviamo al momento dell'assolo, immancabile e sostanzialmente di effetto, ma in questo brano è ben sottolineare che a fare la differenza è una sezione ritmica che erge un muro sonoro invalicabile. Il lavoro del batterista anche in questo brano è particolarmente interessante, dettando i tempi in maniera perfetta a sua volta accompagnato dagli strumenti a corda che martellano come non mai. Ottima anche la prova del vocalist, che come nella traccia "Heavier Than Shit (HYZ4)", gode di maggiore espressività e cattiveria. In definitiva ci troviamo ad ascoltare un altro pezzo decisamente riuscito che si pone tranquillamente tra i migliori del lotto. Testo spensierato che richiama ancora una volta la vita del gruppo rendendo omaggio alla bevanda per antonomasia del metallaro, ovvero la birra. E' anche un omaggio velato per i Tankard con i quali hanno avuto la fortuna di condividere il palco varie volte. Viene raccontata la serata tipo in compagnia di amici di sbronze, dove si riversano nel proprio stomaco litri di birra come non ci fosse un domani. Di acqua nemmeno a parlarne, e la mattina dopo ci si sveglia completamente devastati e non ci si ricorda più dei bagordi fatti la sera prima. I postumi si fanno sentire e la bocca pare essere stata il luogo di un campo di battaglia, dominata da un sapore misto di alcool e fumo. Come conseguenza, un respiro pronto ad incenerire qualcuno una volta che la bocca viene spalancata, mentre la tazza del gabinetto è pronta ad accogliere fluidi improbabili che a breve fuoriusciranno dal nostro corpo. Eppure c'è sempre qualcuno che vuole farci ragionare, ma a noi non interessa perché vogliamo essere dei ribelli e continuare a bere la nostra birra finché ne avremo voglia. Ci piace ogni spettacolo che facciamo in locali sporchi con gente poco raccomandabile, e lottiamo ogni giorno con la nostra bottiglia in mano, perché abbiamo bisogno solamente di una birra per essere vincitori. La band in questo frangente mostra il lato più divertente e fuori dagli schemi a livello tematico dell'intero lavoro, e lo fa in maniera semplice ma che riesce a coinvolgere l'ascoltatore con la perfetta fusione di liriche spensierate e musica avvolgente.
The Wolves Are Getting Hungry
"The Wolves Are Getting Hungry (I Lupi sono affamati)" si presenta con un riffing potente che si ferma nell'immediato per poi ripartire alla grande, coadiuvato da basso e batteria in una esplosione sonora non certo indifferente. La prima strofa arriva subito ed è tagliente come un rasoio, con un Colombo assolutamente sugli scudi che con il suo incedere aggressivo trascina l'ascoltatore in maniera provocatoria e convincente. Le ritmiche viaggiano in maniera piuttosto sostenuta, ma è quando la sezione ritmica rallenta che pervade quella sensazione di potenza distruttiva che sfocia nell'immediato in una deflagrazione sonora devastante ed intrigante. Altra strofa sempre molto ben eseguita con una strumentazione che non accenna a diminuire di intensità, contribuendo ad un massacro sonoro senza precedenti. Proseguendo con il nostro ascolto, troviamo una bella parte lenta e soffocante con una chitarra ben ispirata accompagnata da una batteria che con i continui rintocchi di ride prepara la scena ad un assolo piuttosto sui generi che si blocca improvvisamente per lasciare spazio ad una doppia cassa scoppiettante ed un accenno di blast beat che si conclude con un giro di tom, per introdurre un ultimo vagito da parte del singer, il quale conclude un altro ottimo brano di sicuro impatto e di grande spessore compositivo. Ritornano i testi di denuncia verso una società (la nostra) che sta via via andando letteralmente a rotoli. Il protagonista di questo brano ha trascorso la propria vita a combattere la massa e questo sistema schifoso che si palesa ogni giorno sempre più violento. Questo è il motivo per cui è sempre arrabbiato, e si rende conto che alla fine non c'è nessuno realmente da salvare. La fiducia nel genere umano viene meno ogni minuto che passa, perché le stesse persone che fanno finta di ascoltarti credendo in quello che fai per rendere la vita migliore, sono le stesse che una volta girate le spalle cedono alla tentazione di scattarsi dei maledetti selfie e si mettono in coda nei negozi per acquistare l'ultimo modello di cellulare presente in commercio. Bisognerebbe realmente aprire gli occhi verso una società votata al consumismo che si fa plagiare dai media in modo assurdo e vengono indotti ad arricchire quelli che sono già ricchi, impoverendosi loro stessi senza un apparente motivo, ma solamente per apparire e vantarsi di essere diventati qualcuno. Purtroppo una volta che ci rendiamo conto di quanto stupido è questo sistema il danno ormai sarà fatto, e sarà troppo tardi per tornare indietro e rimediare alle nostre azioni. Tutto ruota attorno al fallimento di queste nuove generazioni che non hanno piena coscienza di loro stessi e si fanno condizionare da tutto quello che gli viene proposto.
Hyades
Arriviamo all'ultima traccia di questo album, e parliamo di un pezzo che non risulta essere un inedito, ma bensì una riedizione di una song presente nel loro debut album "Abuse Your Illusions" del 2005. Stiamo parlando di "Hyades (Iadi)", ovvero del brano che prende il nome della band stessa. Diciamo subito che l'inizio strumentale è veramente affascinante e rispetto alla sua controparte sembra essere (almeno a livello chitarristico) registrato leggermente in tono più basso rispetto all'originale, ma può essere anche che la miglior produzione abbia accentuato il tutto facendolo risultare più massiccio e pesante. Anche il cantato è migliorato, e se nella prima versione era già comunque piuttosto aggressivo, in questa sua rivisitazione è maggiormente enfatizzato da un'ottima prova da parte del frontman. Il ritornello è veramente ben riuscito e si stampa in testa in maniera indelebile sin dal primo ascolto. Le urla arrivano a toccare vette schizofreniche e la sezione ritmica è incredibilmente convincente nel proporre ritmiche esasperate e sostenute. L'assolo presente ricalca piuttosto fedelmente quello originale anche se qualche piccola variazione la si può intravedere. Nel passaggio intorno al minuto 2:20 si può sentire un bel riffone che ricorda molto da vicino lo stesso proposto nella splendida song "Battery" dei Metallica (opener di quel disco clamoroso che risponde al nome di "Master Of Puppets"). Tutto sommato non è un male perché funziona nell'economia della song stessa e si propone come piacevole diversivo prima di concludere un pezzo a dir poco riuscito. Qui le influenze della band verso mostri sacri del genere vengono palesate più che mai ed a parer di chi scrive i Nostri hanno fatto benissimo a riproporre questo brano sotto nuova veste in modo da dare in pasto un assaggio degli esordi, rafforzando le proprie radici che risiedono nel thrash degli anni ottanta. Parliamo dell'origine della band dove una coppia di amici ancora adolescenti ricoperti di brufoli inizia a suonare thrash in maniera terribile. Nel loro cammino incontrano numerosi musicisti folli e si mettono a registrare una demo dove il cantante sembra essere una gallina talmente la registrazione è di livello primitivo. Eppure la passione è grande e non è permesso pensare ad altro che al solo metallo. Un metallo fumante pieno di quella ingenuità che alle prime armi è considerata una valvola di sfogo determinata dalla volontà di fare casino, ma di farlo con il cuore. I primi concerti, le prime soddisfazioni anche se il portafoglio è perennemente vuoto, anzi devono essere loro a pagare per poter esibirsi in un locale e far conoscere la loro musica. Ma non importa, perché inizialmente interessa solamente l'effetto che fa la musica alla gente e soprattutto si chiedono il perché ci sono così poche donne ai loro spettacoli. Il bello degli inizi è proprio questo, pensare solamente a suonare ed a cazzaeggiare nel pieno delle forze, fregandosene di tutto e di tutti e continuando per la propria strada. Ovviamente una volta maturata l'esperienza necessaria le cose cambiano, l'importante però è che non cambi la voglia di divertirsi e far divertire e questo agli Hyades non manca di certo.
Conclusioni
In conclusione diciamo che ancora una volta la "Punishment 18 Records" non ha sbagliato nemmeno questa volta a mettere sotto contratto una band a dir poco valida. Siamo di fronte ad un disco solido e compatto, dove il thrash della vecchia scuola la fa da padrone. Non sono presenti pezzi strumentali o ballad ma solamente tracce dirette che dall'inizio alla fine colpiscono per immediatezza e ruvidità. Alcuni momenti sono veramente azzeccati, con cambi di tempo molto ben riusciti e diretti, mentre altri magari possono risultare piuttosto lineari ma caratterizzati sicuramente da un'attitudine dirompente che fa tanto bene alle nostre orecchie. Il lavoro chitarristico delle due asce è sicuramente interessante, con assoli a volte canonici ed a volte quasi geniali, accompagnati da una chitarra ritmica pregevole che con l'ausilio del basso diventa in certi momenti veramente pesante ed assolutamente affascinante. Il lavoro dietro le pelli è veramente di notevole fattura e detta i tempi in maniera chirurgica giostrandosi molto bene con qualche virtuosismo mai fuori dagli schemi. La voce dal canto suo è grezza quanto basta per donare alle song quel taglio tipicamente thrash di cui hanno bisogno senza risultare mai forzata, trascinando la band verso binari inarrestabili e travolgendo tutto quello che gli si para davanti. I testi sono piuttosto particolari; se da un lato troviamo una prima parte molto riflessiva che vuole spronare la gente a svegliarsi in questo mondo usurato dai media e dal volere il potere a tutti i costi, dall'altro ci troviamo ad ascoltare una seconda parte che si prende un po' meno sul serio cercando di far divertire l'ascoltatore proponendo estratti di vita vissuta on the road in maniera goliardica ma allo stesso tempo facendo capire quanto i Nostri abbiano dovuto sudare e faticare per arrivare dove sono ora. Se vogliamo dirla tutta, gli Hyade non inventano certo niente di nuovo, ma riescono a mescolare sonorità prettamente old school con un pizzico di modernità. Un motivo di vanto in più per i Nostri risiede poi nel fatto che parliamo di una band tricolore, e come tale sappiamo benissimo quanto sia difficile mantenere una costanza qualitativa del genere nonostante tutte le difficoltà che avranno dovuto sopportare in vent'anni suonati di carriera, in un paese non proprio avvezzo a questo genere musicale. Se vengono citati tra le band più "toste" di un genere un motivo ci sarà ed è un peccato che nel nostro paese non vengano valorizzate e soprattutto riconosciute le qualità indiscusse di artisti volenterosi che mettono pura passione in quello che fanno, facendolo anche dannatamente bene.
?2) Ignorance Is No Excuse
3) The Decay Of Humankind
4) Apostles Of War
5) The Great Lie Of History
6) Heavier Than Shit (HYZ4)
7) Sing This Ryhme
8) Eight Beers After
9) The Wolves Are Getting Hungry
10) Hyades