HOUR OF PENANCE
Sedition
2012 - Prosthetics Records
FABIO MALAVOLTI
01/05/2012
Recensione
Un cupo ed evocativo intro di circa un minuto, dall'atmosfera maledetta, che ci fa presagire una catastrofe imminente e che ci fa correre un profondo brivido lungo la spina dorsale, rendendoci consapevoli del fatto che le tenebre stanno per avvolgerci integralmente come un immenso ed oscuro mantello...è l'apertura di "Sedition", l'ultima fatica discografica della blasfema ed annichilente macchina da guerra nata nei pressi del colosseo, gli Hour of Penance. Questa band mi aveva completamente stregato nel 2008, quando aveva dato alle stampe il grande "The Vile Conception", ma soprattutto con "Paradogma", il quale aveva visto la luce due anni dopo. Prima della pubblicazione di questo nuovo inno antiteologico mi ero chiesto: e adesso cosa mi combineranno Giulio Moschini e soci? Semplice, la stessa proposta del predecessore in un contesto più malvagio ed inquietante, presentando un sound vagamente riconducibile ad alcuni mostri sacri del metal estremo a livello mondiale. Devo dire che dal mio punto di vista il passaggio dalla Unique Leader alla Prosthetics Records non ha giovato più di tanto al combo romano, sarà che la batteria di Paradogma mi era parsa praticamente perfetta, anche se con l'annesso cambio di line up dietro le pelli era impossibile aspettarsi lo stesso risultato, e la linea di basso appare ancora troppo nascosta, ma tutto sommato una lancia a favore degli Hour of Penance va assolutamente spezzata: pur non stravolgendo lo stile (una sorta di mission impossible) hanno dato nuova linfa e freschezza alla sua caratterizzazione, facendo di Sedition un dignitoso seguito dell'inarrivabile (de gustibus) album citato qui sopra. Solite tematiche scontatissime? Sì, ma alcuni dei testi, a prima vista banali, sono veramente degni di nota (quello di "Sedition through Scorn", tanto per fare un esempio). Le new entry sono state protagonista di un repentino inserimento all'interno del meccanismo, cosicché Simone Piras non ha fatto rimpiangere quella piovra umana di Mauro Mercurio, pur adottando uno stile nel drumming particolarmente differente (forse meno variegato ma più ricco di incursioni sui piatti), ed anche Paolo Pieri si è decisamente dimostrato all'altezza del grande Francesco Paoli, sia nelle vesti di vocalist che in quelle di guitarist.
Mentre gli ultimi secondi di "Transubstantiatio" fluiscono nelle nostre orecchie, prima un funereo rito, poi la devastazione di una cattedrale e poi un vero e proprio temporale annunciano l'inizio dell'apocalisse ecclesiastica. La prima accusa alla chiesa è rappresentata dalla bella "Enlightened Submission". E sin da subito ci rendiamo conto della grande capacità di Giulio Moschini nel continuare a sfornare riff freschi e degni di nota, di quelli che non ti scordi facilmente e si marchiano a fuoco nella mente. Il songwriting, per certi versi assimilabile a quello degli ultimi Nile, è di pregevole fattura, in particolar modo il riff portante che ha inizio a 0:38. Questa annichilente freccia avvelenata è però solamente la premessa della devastazione totale: mentre, con il passare dei secondi, le tonalità si mantengono costantemente iraconde, Simone Piras si fa strada a suon di blast beats picchiando con ferocia e grande costanza sulla batteria, dimostrando di essersi già perfettamente integrato nella band. Per quanto riguarda la lirica, siamo davanti ad un testo ispirato alla teocrazia illuminata, una dottrina anticristiana che porterà presto l'uomo a seguire più il suo istinto e non le idee imposte dalla chiesa. Un devastante riff "in ricordo dei bei tempi" apre "Decimate the Ancestry of the Only God", brano che i fans avevano già potuto ascoltare alcune settimane prima della pubblicazione ufficiale del disco. Il ritmo, sin dai primi istanti frenetico e concitato, viene quasi subito lacerato da un fulmineo e meraviglioso assolo, che poi si dissolve lentamente per permettere al quartetto la blasfema distruzione delle dottrine religiose. Il riffaggio è interamente eseguito in bello stile, sempre coinvolgente e mai esageratamente sofisticato. Assoli a ripetizione e l'imponente sezione ritmica (anzi, ahimè, batteria) condiscono il brano con quell'atmosfera apocalittica a cui la band ci ha abituato negli ultimi tempi e che non guasta mai, e rendono Decimate the Ancestry of the Only God uno dei pezzi più ispirati del lotto. "Fall of the Servants" non sposta minimamente le coordinate di Sedition, proseguendo sugli stessi binari dei pezzi precedenti a suon di martellate e riff tritaossa. A mio modo di vedere non avrebbe affatto sfigurato nemmeno nell'album precedente, ed in effetti qui le chitarre sembrano veramente ancora macchiate del sangue che ci hanno fatto versare con Paradogma. Mentre Piras ci dà un saggio delle sue doti di rullo compressore, il buon e tagliente riffaggio rende il brano distruttivo ed epico allo stesso tempo, solamente Silvano Leone continua a fare nulla più che una comparsa, invece di essere un protagonista di primo piano. Il testo narra della sconfitta imminente del bigottismo, e di come verrà presto rimpiazzato da una nuova, rivoluzionaria dottrina. Con "Ascension" gli Hour of Penance dimostrano di aver appreso pienamente le numerose lezioni di metal estremo date dai blackened deathsters Behemoth: il riff evocativo ed ancestrale ricalca infatti lo stile delle ultime produzioni della band capitanata da Nergal, ed anche il drumming di "Arconda" ricorda sotto alcuni aspetti quello di Inferno. Dopo questo pezzo, meno violento del solito ma non per questo meno devastante, tocca alla bellissima "The Cannibal Gods", riportare Sedition su bpm non indifferenti. Il riffaggio raggiunge livelli di ispirazione mai raggiunti in precedenza nel disco, cosiccome l'intensità e la precisione di Piras dietro le pelli, devastante come un martello pneumatico e preciso come un orologio svizzero. A mio giudizio il brano più interessante del pacchetto, anche se purtroppo anche in questo caso gli unici strumenti che sembrano salire sul palco sono le chitarre e la batteria, a discapito del brano precedente dove la presenza di Leone era lievemente più marcata. Si giunge così a "Sedition through Scorn", altro brano presentato con ampio anticipo rispetto all'uscita del disco, che mi aveva fatto ben sperare per il giudizio complessivo. Anche in questo caso la band dimostra di essere un pò ancorata a Paradogma in quanto a soluzioni stilistiche. La brutalità del testo, un vero e proprio manifesto dell'ideologia antiteologica del quartetto, incontra un songwriting brutale ed abbastanza vario al suo interno: alle rullate/blast beats di Piras si miscela un vortice di riffs tagliente ed arroventato, e nel complesso finirà senz'altro di accontentare qualsiasi deathster. Con "Deprave to Redeem" gli Hour of Penance continuano a dispergere la loro passione per i vari "Demigod" ed "Evangelion" della band di Gdansk, producendo un buon brano che pecca forse un pò per la poca incisività delle chitarre, un pò meno ispirate rispetto a quanto hanno mostrato fino a questo punto, ma non per questo insoddisfaciente. Da annotare un'altra ottima performance del nuovo drummer (con un oREcchio di riguardo per la disumana parentesi a tre minuti dall'inizio del brano). Tematicamente la band si sposta cronologicamente in avanti, portandosi ai giorni nostri ed agli scandali che ruotano attorno alla chiesa, teoricamente una guida spirituale, ma in realtà una pericolosa ed immorale entità che sta sconvolgendo il mondo con le sue vergognose vicende, fra cui atti di pedofilia. La band chiude in bellezza con "Blind Obedience", pezzo di pregevole fattura dove chitarre in veste di fucili automatici sparano riff assassini a ripetizione sulle nostre orecchie terminando doverosamente la distruzione, il tutto riportando un curioso episodio avvenuto non molto tempo fa che ha visto coinvolto un fedele, che acciecato dalla fede si è letteralmente strappato gli occhi in preda ad una visione, mentre si trovava all'interno di un luogo di culto nel fiorentino. A differenza di come mi sarei aspettato, il disco si è rivelato un pò difficile da assimilare, in particolar modo alcuni passaggi nei brani conclusivi, ma in fin dei conti, dopo attenti ascolti, la malvagia serpe ha catturato anche la mia mente. Un altro grande lavoro per questa macchina che non ha minimamente risentito di alcuni importanti cambiamenti a livello di formazione.
1) Transubstantiatio
2) Enlightened Submission
3) Decimate the Ancestry of the Only God
4) Fall of the Servants
5) Ascension
6) The Cannibal Gods
7) Sedition through Scorn
8) Deprave to Redeem
9) Blind Obedience