HOSTIL

Infernal Rites

2018 - Indipendente

A CURA DI
DAVIDE CILLO
28/04/2018
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

Stamattina, vorrei che tutti ci soffermassimo su un punto, tanto per aprire l'odierna recensione: quanti musicisti di alto livello possiede mediamente una band metal? Non Power, Thrash o Death, metal in generale. E quante di queste, a causa del loro genere, vengono spesso tralasciate e trascurate dalle etichette musicali? Magari per un sound ritenuto troppo estremo? Magari perché fuori dalle "mode" metallare del momento? Perché non prendiamoci in giro, ce ne sono, eccome se ce ne sono. Le mie domande non vengono poste per caso, sia chiaro. Ogni cosa è propedeutica a raccontarvi della band protagonista della recensione odierna, i peruviani Hostil. Una band che secondo me e secondo la redazione di Rock & Metal In My Blood merita il suo spazio. Perché qui, più che non mai, si parla di quattro ragazzi, o sarebbe probabilmente meglio dire uomini in questo caso, sottovalutati e fuori dai radar, ma dalle grandi potenzialità, credeteci. Le proprietà sullo strumento sono ottime. L'identificazione nel proprio genere è perfetta. L'album assolutamente meritevole di maggiore riscontro. Ma, come avrete capito, ci sono vari fattori che vanno a svantaggio della "commercializzazione" della band, se così vogliamo chiamarla. Tanto per cominciare, gli Hostil dal Perù non sono giovanissimi: la band, formata nel 2001, ci aveva fino ad oggi regalato esclusivamente una demo denominata "Rehearsal" nel 2004. Come già il titolo potrebbe farvi intuire, si trattava di cinque brani realizzati durante le prove del gruppo. Da quel giorno, purtroppo, più nulla da questi talentuosi Hostil, almeno fino ad oggi! E' infatti "Infernal Rites" del 2018 il loro album di debutto, l'unico e vero protagonista della recensione odierna. Un album che si inserisce in un genere "old school" e non in linea con le tendenze del momento, tanto per continuare con i fattori che vanno a svantaggio della band. I quattro horsemen suonano un genere straordinario, troppo grande e per pochi da rientrare nei grandi canoni. Si tratta del vecchio caro Thrash/Death Metal suonato principalmente fra seconda metà degli '80 e prima dei '90, quello di grandi e leggendarie band come Morbid Saint, Demolition Hammer, Possessed e chi più ne ha, più ne metta. Riflettendoci su, effettivamente anche le band a cui i ragazzi si ispirano non hanno mai raccolto ciò che meritavano. Coincidenze? Ovviamente no. Dunque, se non amate il genere e non volete amarlo, probabilmente gli Hostil non cattureranno la vostra attenzione. Ma tutto merita una possibilità, giusto? Perché leggere questa recensione altrimenti, perché informarsi su tutto ciò che vi è di nuovo in musica. Presentiamo allora l'esplosivo quartetto proveniente dal Perù, perché ci attendono 8 roventi brani per un totale di 34 minuti di ascolto, come da standard del genere. Di solito in questo genere, fatta eccezione per alcuni lavori come il leggendario "Time Does Not Heal" degli statunitensi Dark Angel, non si supera mai questo tipo di durata. Luis Lizarraga alla chitarra e dietro al microfono, ma anche fra i due responsabili della produzione dell'album, Jose Grados l'altro axeman della band. Yesid Aranda alla batteria, Jesus Gore al basso. Questo il quartetto. Hostil, definiti una "Thrash Metal band" dal loro stesso facebook, dal Perù. La band dunque non si riconosce nel filone Thrash/Death, neanche su metal archives alcun cenno in proposito, ci si attiene alla più generale definizione di "Thrash Metal". Dunque, se non vi piace ritenere questi Hostil una band Thrash/Death, sapete che dovete prendervela con il sottoscritto! Per concludere questa introduzione e lanciarci nell'ascolto, devo solo dirvi che questo lavoro è, come avrete intuito dalle prime frasi, indipendente. Provienienti da Lima, sappiamo che il Sud America è stata e continua ad essere la grande patria del Thrash Metal più estremo, una garanzia sotto questo punto di vista, e non certo per la presenza di una leggendaria band come i Sepultura, ma per tante, tantissime altre fantastiche band che pascolano per l'underground. Quasi tutte rigorosamente attaccate alla loro meravigliosa radice vecchia scuola. Sta a noi dunque dare un po' di luce a questi Hostil, augurandoci che gradirete! Buon ascolto a tutti, e in alto le corna.

Alone

Si parte con "Alone" (Solo), brano di circa 4 minuti e 20 d'ascolto. D'impatto e calzanti fin dal primissimo secondo i power chord in successione, dopo un brevissimo stacco la band ci introduce il riff principale, penetrante e affilato, con delle note in primo piano che scandiscono la ritmica. Voce in scream, come da attitudine Thrash/Death vecchia scuola. Nessun tecnicismo fine a se stesso, nessuna parte strutturata o studiata, ma solo tanti power chord e tante affilate plettrate. Stupendo il riff dove la band si cimenta in una scarica di alternate picking, una piccola pecca può essere la produzione, ma non per mancanza di qualità. Secondo me, visto il sound della band, l'album poteva suonare ancora più affilato ed old school, ancora meno moderno. La produzione invece è un compromesso, essendo "grossa" al tempo stesso. Nella seconda parte della canzone il vocalist Luis riduce la sua presenza, attendendosi al suonare la sua chitarra. I quattro guerrieri allora infilano una melodia in evoluzione, una scelta azzeccata perché in linea con quanto tracciato dal brano. La canzone è quadrata, compatta, senza flessioni, nuda cruda e apprezzabile per com'è. Se questo è il primo assaggio, allora c'è decisamente da essere ottimisti sul proseguimento di questo lavoro. La traccia si chiude con un assolo prima musicale poi rapido, influenzato almeno in parte dai grandi Death di Chuck Schuldiner, pur non possedendo una particolare complessità dal punto di vista dell'esecuzione tecnica. Veniamo però alle liriche, che rispecchiano perfettamente il titolo. Il protagonista si sente estraneo, abbandonato, vuoto, in una società fredda ed a lui estranea. Il caos lo circonda, il pianeta non ha amore né emozioni, potremmo dire che gli umani siano quasi degli "automi" dal punto di vista emozionale. Un clima distopico a tutti gli effetti, nel quale nessuno di noi si vorrebbe trovare. Anche se, per certi aspetti, purtroppo già ci siamo ed è questo che cercano di comunicarci i peruviani. La vita, comprende il protagonista, a questo punto, non ha alcun senso. Si rifugia allora nell'oscurità, nella solitudine, "Alone" appunto, mentre la società in decadenza continua ad inghiottire nelle sue fauci un'umanità in parabola discendente. "Meglio essere estranei a tutto ciò, meglio non viverlo", dopotutto. Noi non possiamo che augurarci che il futuro sia differente da quello raccontato da questa band, che ci sia la riscoperta dei buoni e sani valori forse un po' troppo ultimamente trascurati. Ad ogni modo, pronti al secondo pezzo?

Infernal Rites

La seconda, di tre minuti e 47 secondi, è nientemeno che la title track "Infernal Rites" (Riti infernali). Per i primi brevi secondi il protagonista è il batterista Yesid, che apre la canzone subito secca e forte nel carattere. E' comunque dopo pochi istanti che assistiamo all'attacco degli altri strumenti, con un riff maggiormente cadenzato rispetto alla velocissima ritmica di "Alone". Questo solo per pochi brevi istanti. Dopo un minuto infatti la canzone esplode, diventa quasi esasperante dal punto di vista della velocità, e i quattro tirano fuori tutte le loro influenze Thrash/Death di cui vi accennavo. Meno scandito dal punto di vista melodico, il riff di "Infernal Rites" è più cupo ed estremo rispetto a quello del brano d'apertura, ma ugualmente piacevole e massacrante, se non ancor più del precedente. A noi, questo, piace! Bellissima la macabra serie di power chord nella seconda parte di canzone. Questa sezione oscura ed in linea con il sound dei ragazzi apre un assolo ancora una volta musicale e non particolarmente veloce, che segue con gusto la melodia generale della traccia. Questo almeno nella prima parte: ancora una volta infatti il chitarrista accelera nella seconda parte, ma non si tratta mai di una reale accelerazione "alla Slayer": si continua a seguire fedelmente la musicalità della canzone, con un permanente senso per il gusto certo non classico in un genere come questo. Secca e chiusa la conclusione della traccia, nessun fade-out, nessun preambolo. Positivo secondo me anche questo aspetto. "Infernal Rites", nelle sue brevissime liriche che utilizzano in tutto una dozzina di parole, ci parla di riti infernali compiuti in giro per il mondo, laddove la presenza di Dio si fa più debole. Polvere in faccia, sangue sulle mani, un salto sul fuoco, queste ed altre le "ordalie" compiute durante queste celebrazioni. Per chiarirci, la band non si identifica in prima persona in questi oscuri rituali. Le liriche scorrono in terza persona, in maniera rigorosamente descrittiva, rientrando alla perfezione nella scuola musicale a cavallo fra il Thrash e il Death, nelle tematiche di band come Possessed e Slayer che di queste lyrics ne hanno fatto una trademark, un marchio di fabbrica. Tanta tanta attitudine dunque, i nostri sono ben consapevoli di appartenere a questo filone artistico e non fanno nulla per nasconderlo. Bando alle ciance, lanciamoci all'ascolto della terza traccia.

Murder

Siamo a "Murder" (Omicidio), terza mattonella di questo full-length di debutto del 2018 intitolato "Infernal Rites". Mamma mia se spacca il riff d'apertura! Profonde plettrate in down-picking su tempi medi, presto coadiuvate da una serrata parte di batteria, ci danno un'idea di quello che sarà questo brano. Molto particolare davvero l'interpretazione dietro le pelli del batterista Yesid, che ci mette sempre un tocco d'originalità che non può mai guastare. Il brano si caratterizza per continui stop & go, che lo rendono più spezzettato e frammentato rispetto ai precedenti. Queste parti interrotte vengono alternate da una serie di cupi e veloci alternate picking appartenenti alla cara vecchia scuola Death Metal. Nella seconda parte la traccia diventa più riflessiva, più costruita, assumendo i "tempi" di una marcia di guerra che comunica la sua melodia. E' in questo frangente che la band ci propone l'assolo del brano, ancora una volta lento nella prima parte, veloce nella seconda, in quello che oramai ci pare un vero e proprio marchio di fabbrica della band. Estremamente Thrash classico, semplice ma efficace, il riff post-assolo, che finisce con il riproporre nel finale la parte introduttiva di brano, una strofa dove la presenza vocale rimane sempre comunque piuttosto limitata. Il terzo ritornello della canzone chiude questo ottimo e concreto terzo pezzo. Nelle liriche i nostri cari quattro peruviani scelgono di "personificare" un serial killer completamente pazzo, che nella sua malattia mentale è alla ricerca di una vittima, una vittima che permetterebbe di placare almeno per pochi minuti l'insaziabile sete di sangue che affligge questo protagonista dalle drammatiche connotazioni. "L'omicidio è il mio nome", questa l'emblematica frase ripetuta durante il ritornello, mentre la strofa è praticamente strumentale nella sua interezza. Questo è il brano che definirei "concreto" per antonomasia, non che gli altri si perdessero in alcunché, anzi, ma questa terza traccia viene davvero direttamente al punto della questione. E' inoltre davvero interessante, e questo a mio giudizio lo si deve principalmente alla traccia di batteria, molto personale e apprezzabile in alcuni frangenti.

Nevermind Nevermore

Proseguiamo spediti su "Nevermind Nevermore" (Non importa, mai più). Il riff d'apertura di questa traccia ha le connotazioni di un vero e proprio "inno" del metal, nel senso che è dotato di una propria ben caratteristica musicalità ed anima, è memorabile e straordinario, "Slayeriano" al massimo nel sound, il migliore a mio giudizio di tutto l'album. Unisce potenza a gusto, taglio della chitarra a impatto dei piatti di batteria, power chord in successione a serrate ritmiche, insomma non manca davvero nulla. Bellissima anche la strofa, che segue più semplicemente il riff d'apertura mantenendone comunque l'appeal al massimo livello. La scandita strofa mantiene al massimo le influenze colte dalla band di Jeff Hanneman e compagni, pur rimanendo semplice nella struttura e nell'esecuzione. Niente rallentamento pre-assolo stavolta, niente prima parte strutturata e musicale nella solista. Esattamente a metà brano, in maniera anche piuttosto inaspettata ma opportuna, l'assolo parte rapido sin dal primo momento riconducendo successivamente la traccia all'ottimo riff d'apertura, che davvero fa sempre bene riascoltare. Magari qualcuno non sarà d'accordo, ma questa "Nevermind Nevermore" è davvero convincente, e non sarebbe sfigurata in un album di una grande band. Bel lavoro davvero. Dal punto di vista lirico, la band si attiene estremamente alla tematica del pezzo precedente, quella che vedeva la personificazione in un malato serial killer. E' praticamente identico lo scenario di questo brano, che assume però toni decisamente più sadici e "minacciosi", se così si può dire. Il protagonista infatti tortura a parole nei fatti la sua vittima, sostenendo di essere padrone della sua vita e del suo destino, che oramai scorre fluidamente verso una tragica conclusione. Lo psicopatico uomo si ritiene un vero proprio Dio, un giudice di ciò che deve esistere e ciò che deve scomparire, un'autorevole figura che porta la bilancia della vita e della morte di egiziana memoria fra le sue mani. Insomma, se posso darvi un consiglio, questo sarebbe di evitare questo losco figuro il più possibile, giusto per evitare di fare la fine del protagonista di questo brano.

Trial

Siamo a "Trial" (Prova), la quinta canzone di questo bellissimo lavoro di debutto dei peruviani Hostil. Siamo in questo caso dinanzi al brano più breve di tutto il disco, essendo questo pari a tre minuti circa d'ascolto. La canzone potremmo definirla "essenziale" in quanto a struttura, ma questo sminuirebbe certamente il suo significato e il suo valore. Nel brano la band mette in primo piano un riff dal groove potente e basato sul palm muting, sullo stile che ha portato band come gli Attomica al successo in Brasile. Del resto, il continente è lo stesso, come lo è il genere, e non si può dire che non emerga in questo pezzo. Comunque, questi riff cupi e a tratti estremi sono spesso intervallati da power chord estremamente classici nel loro modo di porgersi tipico del Thrash vecchia scuola. Alla base del pezzo c'è questo continuo "scambio" fra le cupa parte in palm e down picking e i frangenti Thrash americani su cui comunque non manca il cantato in screaming del vocalist. A metà del pezzo i nostri Hostil ci presentano ancora una volta un assolo di chitarra, forse uno dei migliori, nel senso che lega davvero perfettamente alla melodia del pezzo in tutti i suoi frangenti. In questo caso, la parte solista comunque non raggiunge mai elevate velocità, e anche dal punto di vista tecnico i nostri scelgono di non spingersi oltre un certo limite. La conclusione del pezzo ha un leggero tocco "atmosferico", nel senso che la seconda chitarra rende più ambientale la parte che ascoltiamo dopo due minuti e 40 di ascolto. Le misteriose liriche di questo brano sembrano essere rivolte allo spirito di un caduto di guerra, spirito rimasto inquieto e in cerca di una risposta. Qui è proprio la domanda che gli viene posta la chiave del pezzo, in particolare ci si chiede se la morte sia giunta per una valida ragione, se forse si poteva fare qualcosa di diverso. Molte domande rimangono aperte e senza risposta, forse affidando allo stesso ascoltatore un'interpretazione. Questo brano lo definisco una sorta di "ponte" nella sua semplicità, in quanto pur essendo potente e d'impatto, possiede lo scopo di collegare la prima parte dell'album alla seconda, che ci apprestiamo ad ascoltare.

Hell

Ed eccoci qui ad "Hell" (Inferno), un brano il cui nome è tutto un programma. Bellissima davvero l'introduzione di chitarra, che colora una melodia di guerra che lentamente conduce l'ascoltatore a tutta la velocità e la potenza della traccia. Ciò non avviene però prima di due o tre variazioni, con appunto la musicalità protagonista del brano che viene interrotta e poi ripresa, come ad annunciare appunto l'arrivo della devastazione. Quando il brano prende velocità, lo fa alla grande, con una serie di serrate plettrate che a tratti rallentano, a tratti prendono rapidità, assumendo i tratti di una vera e propria marcia che possiede momenti più e meno intensi. Su questo sfondo musicale, i feroci scream del vocalist, che scandiscono le infernali parole del testo di canto. Il brano esplode letteralmente nella sua seconda parte, divenendo il doppio più veloce ed infilando un riff dopo l'altro, alcuni più altri meno convincenti. Questa parte è propedeutica al breve assolo di chitarra, dove la band con tanto di leva raccoglie l'eredità degli Slayer rincarando la dose del pezzo, che poi proseguirà con un secondo assolo al fulmicotone, abbastanza elementare dal punto di vista della scrittura, ma opportuno all'interno del frangente della traccia. Nessuna conclusione secca qui, il power chord rimane sospeso conducendoci ad una conclusione in fade-out. Questo brano è stato a mio giudizio convincente in alcuni frangenti, come ad esempio nell'apertura con tanto di melodia, ma ha perso qualcosa in determinati tratti, quali la seconda parte strumentale e con una serie di veloci riff in successione, alcuni più altri meno validi. Resta ferma la validità del lavoro. Il brano è quasi esclusivamente strumentale, limitandosi le lyrics a 9 righe, che ovviamente andiamo comunque a studiare e approfondire. Qui ad essere protagonista è "il figlio pazzo" di una misteriosa identità, identità che per capirci non appartiene ad un mondo composto di materia, ma di energia. Si tratta dello "spirito del mondo", che da 1000 anni attende solo, nell'inferno, l'arrivo di un avvenimento che sconvolgerà il nostro pianeta per come lo conosciamo. L'inferno, dunque, sembra sussurrare alle porte di ciò che più vi è di paradisiaco.

Despertar

Giungiamo a "Despertar" (Risveglio), il settimo e penultimo pezzo di questo album. E' importantissimo carpire la differenza fra questi ultimi minuti d'ascolto del disco e i precedenti. La band infatti da questo momento, oltre a cantare nella propria lingua madre, decide di trattare tematiche di critica sociale e generalmente più impegnate. Qualche differenza, di riflesso, la ascoltiamo anche nel sound. Il pezzo è infatti molto più musicale nella sua potenza e nel suo modo di porgersi, donando la strofa vocale di un'anima propria e ben distinguibile dalla base musicale. Il pezzo è, diciamocelo, per diversi aspetti estremamente differente dai precedenti, che si attenevano a ritmiche Thrash/Death con l'obiettivo principale di "far male". Qui al contrario, oltre a "far male", si ascolta anche, nel senso proprio del termine. Totale la flessione del pezzo a metà traccia, dove nel brusco rallentamento la band propone una serie di power chord intervallati da un criptico accordo distorto. E' il frangente che introduce il ruggente assolo di chitarra, stavolta in duetto fra i due axemen e anch'esso più lungo e strutturato. Contrariamente a molti dei brani precedenti, qui la prima parte è più rapida, la seconda riprende anche in maniera interessante la melodia del pezzo. Veniamo però alle liriche, che qui assumono un'importanza decisamente di primo rilievo rispetto ai brani precedenti. La band si rivolge contro un mondo "globalizzato" nel senso negativo del termine, un mondo dove le menti di tutto il pianeta vengono manipolate dall'alto da una dittatura neo-liberale, che vive sulle spalle del lavoro e degli sforzi delle povere persone, ignorando ed anche calpestando fatiche e sofferenze umane. La risposta è quella di incassare i colpi senza mai piegarsi, di non crollare, dando vita ad una resistenza su scala globale. Senza confini, senza bandiere, un nuovo fronte che combatte unito per i diritti degli innocenti. "Todos somos una fuerza", "siamo tutti una forza", queste secondo me le parole chiave della canzone appena ascoltata, che a questo punto conduce il disco ad un ultimo e interessante ultimo brano.

Usurpador

L'ottavo brano, l'ultimo, si intitola "Usurpador" (Usurpatore), ed è il più lungo e strutturato dell'intero lavoro, avendo una durata pari a 5 minuti e 30 circa d'ascolto. Dal punto di vista del sound, possiamo certamente dire che questo pezzo si affianca molto al precedente, non solo per la lingua madre. Ancora una volta, al sound comunque estremo, si affiancano forti e rilevanti linee melodiche, in una proposta che potremmo definire "Thrash/Death, ma con musicalità". Il pezzo ha ad ogni modo caratteristiche assolutamente uniche, che lo discostano anche dal precedente. Le linee chitarristiche sono infatti più "pacate", "marginali" se vogliamo nel proprio ruolo", mentre la voce assume un maggiore rilievo. Le parole del vocalist vengono qui alternate da un'interessantissima melodia di chitarra, come in uno "scambio", cosa che rende questo pezzo probabilmente il più originale e caratteristico di tutto il full-length. Non credo di esagerare sostenendo che, in determinati frangenti, questo pezzo possiede un "genere proprio". Ciò non avviene più durante la seconda metà del brano, dove la band torna ad attenersi ad un più classico Thrash/Death Metal, con tanto di assolo in velocità. Nella parte conclusiva si torna tuttavia a non trascurare la musicalità del brano, che pur rimane veloce fino al suo secondo assolo, ancor più rapido ed incisivo rispetto al primo nella sua parte iniziale, mentre la conclusiva possiede il mero scopo di riaccompagnare l'ascoltatore alla conclusiva strofa vocale, con tanto di ottimo riff a chiudere il lavoro in fade-out, scelta questa secondo me discutibile. La canzone parla qui degli avvenimenti storici dell'anno 1532, quando "il vecchio mondo" invase la terra a cui appartengono i quattro. Ma non per cultura, per sangue ed ambizione. Con l'acciaio, si portò al soggiogamento e all'umiliazione della popolazione natia. "L'usurpatore non ebbe pietà", raccontano gli Hostil, attratto dalle ricchezze della terra. Interessante davvero questa deriva impegnata nelle liriche in questi ultimi due pezzi. Morte, distruzione, disumanità, tutto questo avvenne per una cosa sola: l'Oro. Quanto dolore, quanta vergogna portata per un'unica ragione. La band ci tiene a ricordarlo, per ricordare e celebrare gli antenati che tanto soffrirono per ragioni vergognose.

Conclusioni

Questo "Infernal Rites" dei peruviani Hostil mi ha davvero convinto, una scoperta tanto piacevole quanto inaspettata. Certamente, se non amate il Thrash più estremo, potreste avere difficoltà ad apprezzare questo lavoro, ma ciò non toglie che questi quattro guerrieri possiedono indiscutibilmente delle qualità. Tanto per cominciare, sanno esattamente da dove vengono e ciò che vogliono fare. Il sound è quello giusto, non ci sono mai riff o parti inopportune, e ci si attiene al 200% alle radici del proprio genere. Questo però, ed è una cosa buona, non vuol dire mancanza d'originalità: i nostri infatti hanno uno stile proprio e ben caratteristico, che emerge ripetutamente in determinate ritmiche, ma anche nel modo di costruire linee di chitarra solista. Probabilmente, i quattro uomini non possiedono poi una grande dimestichezza della lingua inglese, e questo lo si evince dalla grande differenza fra le liriche dalla prima metà del disco e quelle degli ultimi due pezzi. Chiariamoci, sarebbe vergognoso colpevolizzarli per questo, del resto noi come lo parliamo lo spagnolo? Non possiamo tuttavia non notare quanto essenziali e brevi siano le prime, quanto socialmente impegnate ed interessanti le seconde. Tornando però alla musica in senso stretto, i nostri non solo dimostrano di possedere buone proprietà sui loro strumenti, ma anche capacità compositive che permettono di costruire linee ritmiche compatte e rocciose. Dal punto di vista tecnico, come si dice, "se sai fare 8, allora ti conviene mostrare 6", in modo di suonare tutto quanto alla perfezione non solo in studio, ma anche dal vivo. E' certamente questo il caso dei peruviani, che dimostrano ampiamente di poter gestire quanto suonato nel corso del disco, mai particolarmente impegnativo dal punto di vista dell'esecuzione. Ottimi alcuni momenti di batteria, dove la band inserisce una propria chiave originale che cattura l'ascolto. Come accennato in apertura, al contrario, leggermente migliore poteva essere la produzione, che è un compromesso fra scuola vecchia e moderna mentre, considerato il sound, ci si poteva interamente orientare verso la vecchia scuola. Se queste sono le critiche, è chiaro che siamo ai dettagli, in quanto in linea di massima abbiamo ascoltato un album secondo me non solo convincente, ma anche godibile e volentieri riascoltabile. La durata è quella classica del genere, 34 minuti, ed è qualcosa di piacevole che le tracce siano 8, né più né meno. Niente dunque "riempitivi" di secondo piano, come purtroppo ci siamo spesso ritrovati a riscontrare, i brani sono quasi interamente sullo stesso livello e non ve n'è uno che sarebbe stato "da escludere". Non so voi, ma tornando un attimo anche alle liriche, ho trovato infinitamente più belle e ascoltabili quelle in spagnolo. Certo, magari non si capirà qualche parola, ma delle volte non è che sia così diverso rispetto all'italiano. Meglio comunque andare su internet e trovare una traduzione, in modo da scoprire qualcosa sull'identità di una band, come avvenuto nell'ultimo pezzo, piuttosto che leggere un testo "limitato" in qualche modo dalla scarsa conoscenza di una lingua. Come di consueto, vorrei chiudere la recensione di questo bellissimo album approfondendone la cover. Basata su un monocromatico e freddo colore blu, l'artwork mostra una serie di cadaveri appesi al cappio in una foresta. In questa foresta tuttavia, proprio sotto i cadaveri, si trova un cimitero, e questo ci lascia intuire che si sta svolgendo un qualche tipo di strano rituale, da cui appunto il titolo "Infernal Rites" del lavoro. Da notare, proprio a causa di questo rituale, il caldo colore rosso del fuoco acceso fra le tombe, che è in contrasto con il blu del resto della copertina. Cio' avviene in modo da catturare pienamente l'attenzione dell'osservatore. In alto a sinistra, pienamente in tinta e con un colore grigio/blu, il logo della band Hostil. Sempre in blu, il titolo "Infernal Rites" in fondo chiude il disegno. Io spero che questo lavoro sia piaciuto anche a voi, attendo in ogni caso con ansia le vostre osservazioni. Osservare un valore di nicchia è sempre un'esperienza piacevole, in primis perché non sappiamo mai davvero cosa aspettarci. Trovo che ci si senta bene anche a "mettere in mostra" qualcosa di valido, ma che in molti ignorano. Senza nulla togliere ad album come "Master of Puppets", ascoltare lavori come "Infernal Rites" la trovo un'esperienza decisamente soddisfacente. Spero che in Perù apprezzino il lavoro dei loro connazionali, perché il supporto deve nascere innanzitutto da vicino. Ci auguriamo che lavorino ad un secondo album, che saremo felici ancora una volta di recensire. Buona giornata a tutti, alla prossima!

1) Alone
2) Infernal Rites
3) Murder
4) Nevermind Nevermore
5) Trial
6) Hell
7) Despertar
8) Usurpador