HOME STYLE SURGERY

Trauma Gallery

2018 - Punishment 18 Records

A CURA DI
DANIELE VASCO
26/05/2018
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione recensione

La nostra voglia di esplorare e scoprire ci spinge a trovare un nuovo percorso ma ci porta ancora tra le braccia della Fennoscandia, quella regione lontana che tra le sue coste e le sue montagne racchiude quel triangolo formato da Sverige, Suomen tasavalta e Norge.  Due di questi luoghi li abbiamo già visitati e rivoltati da cima a fondo più volte mentre uno, almeno per un elemento che sveleremo tra qualche riga, ha ancora qualcosa da raccontare. Ci troviamo a 64° Nord e 26° Est, Suomen tasavalta. Finlandia. Se nell'immediato state pensando alla scena estrema non si può certo dire che stiate commettendo un errore macroscopico, ovviamente no. È fin troppo automatico associare i tre nomi riportati sopra all'argomento Nero Metallo o Metallo della Morte. Scena scandinava e Metallo Estremo o Metallo della Morte condividono la medesima linfa vitale e nell'immaginario collettivo sono quasi la stessa cosa. Pensi alle grandi ed impenetrabili foreste, al clima gelido, agli Spiriti pagani o agli Antichi Dei e di certo non commetti nessun errore ma non esiste solo ed esclusivamente quella scena precisa. La nostra attenzione si dirige verso un'altra scena musicale, sempre Metal, ma più "vecchia", sì insomma, nata prima dell'estremizzazione di suoni e argomenti. Una seconda scena che per una rapida associazione di idee viene collocata geograficamente in due aree precise nel mondo: le Americhe da un lato e l'antica patria di Sassoni e Normanni dall'altro. Anche in questo caso un riferimento alla prima scena indicata verrebbe spontaneo è giusto dirlo ma per fugare ogni dubbio sarà meglio andare diritti al nocciolo della questione e dire che in questa sede non ci occuperemo né di una band Black Metal né tanto meno di una band Death Metal o di una band Funeral Doom, non una band storica come possono essere i Children Of Bodom o i Septic Flesh ma bensì una band appartenente alle Nuove Leve del Metallo; andremo indietro nel tempo musicalmente parlando e andremo a scoprire una band Thrash Metal. Ad aver attirato la nostra attenzione è una band giovane chiamata Home Style Surgery. La band è nata nel 2008 e al momento abbiamo pochissime informazioni riducibili a nomi e ruoli dei suoi cinque componenti, al primo nome con cui si sono presentati sulla scena underground (Slasher) sappiamo che si formano a Pello nella regione della Lapponia, nel profondo Nord della Finlandia e che il loro stile è passato dallo Speed / Thrash al Thrash Metal con influenze Progressive, un mix tra il Thrash old-school e arrangiamenti articolati che spostano la lancetta della bilancia verso uno stile più tecnico ma comunque intrigante di cui non anticipiamo nulla. Altre informazioni in merito al motivo per cui il gruppo è nato, quali passaggi ha affrontato e da dove tragga ispirazione non sono noti, anche se questi ultimi saranno sicuramente intuibili. Nonostante la scarsità delle informazioni sappiamo comunque che la band ha già inanellato una buona serie di lavori di studio, tre Demo, un EP e un singolo, usciti tra il 2009 e il  2012 senza il supporto di un'etichetta, totalmente indipendenti, fatta eccezione per la seconda Demo del combo finnico, "Mental By Metal" del 2010 rilasciata dalla NatoFaija, etichetta di cui non si hanno notizie precise. Indipendente è anche il primo full-length dal titolo "Painfilled Noise" pubblicato nel 2013. Al primo album fanno seguito uno split, un EP e un Demo che vedono la luce nel 2013 e nel 2014. Discograficamente, dopo l'uscita della Demo dal titolo "Two Essays Of Disturbing Human Behaviour" del 2014, l'attività della band per quello che riguarda la pubblicazione di nuovi lavori si ferma fino a quest'anno quando giunge la notizia del ritorno dei Nostri sugli scaffali con un nuovo lavoro, il full "Trauma Gallery". "Trauma Gallery (Galleria del trauma)", il secondo capitolo discografico della Thrash Metal band finlandese, uscirà ufficialmente sul mercato a partire dal prossimo 25 Maggio tramite la nostrana Punishment 18 Records. Come si vede, le informazioni sono davvero ridotte all'osso e non si possono fare troppi giri di parole o sforare in altri argomenti che porterebbero solo fuori strada e poi non si riuscirebbe a tornare al discorso iniziale, ma forse questa volta può esserci d'aiuto rimanere all'oscuro della storia del gruppo in modo tale dal rimanere concentrati su musica e parole senza avere nessuna infarinatura pregressa. Una scoperta a scatola chiusa che stimola la curiosità e spinge l'ascoltatore ad esplorare affidandosi totalmente alle mani del gruppo.

Explore the Dimension

Iniziamo la nostra esplorazione all'interno di questo nuovo album con Explore The Dimensions (Esplora le dimensioni) e a colpire subito l'attenzione è la complessità alla base della struttura musicale di questo primo pezzo. Un background musicale che si dirama in più di una direzione senza fossilizzarsi su di un unico genere, chiudendosi quindi in un box ripetitivo uguale a tanti altri suoni esistenti tanto da diventare subito monotono e inespressivo. Uno stile che assomiglia a quello di un'altra band finnica dedita al Thrash con influenze tecniche, gli Antidote. La base è appurata ma già dall'apertura notiamo come ci sia una impronta ammiccante al Technical Thrash come segnalavamo in fase di presentazione della band che ne muta l'aspetto alzando non solo il livello tecnico-esecutivo ma anche il coinvolgimento delle due chitarre unite alla rapidità della ritmica di basso e batteria. Una partenza senza preamboli che forma una spirale ipnotica e tagliente fugacemente interrotta da un break di tastiera che fa rallentare l'avanzata degli altri strumenti ma che soccombe subito sotto la loro spinta per riprendere il controllo. Esplorazione delle dimensioni a cui il titolo fa riferimento si materializza immediatamente davanti agli occhi anche se non è stata proferita ancora nessuna parola ma a far sentire la sua voce è stata solo la musica. Un turbine che ci proietta in un vortice di sensazioni che rapidamente acquista un moto perpetuo che confonde. Un turbine che altro non fa che aumentare di livello non appena le prime parole del testo si affacciano investendo le nostre orecchie mentre l'unione delle due asce e del duo ritmico si fondono alle linee vocali seguendone il ritmo. "Benvenuto nel tuo subconscio, la fonte del tuo odio / Qui abbiamo la nostra personalità e i disordini che creiamo / Naviga  nel profondo dei pensieri, guarda la vita nel profondo / Guarda le tue perversioni più malate e rendile vive / Distruggi il nucleo del tuo ego, non ne avrai bisogno / Quando affondi in te stesso non puoi essere egocentrico". Parole che non richiedono interpretazioni troppo ricercate e altro non fanno che invitarci ad esplorare le varie dimensioni della nostra mente rivelandoci subito il significato del titolo. Una mente dove risiede l'odio, dove tutto si crea, dove anche la più profonda perversione, se usata correttamente, può essere il veicolo per annientare la parte chiusa di se stessi e scoprirsi davvero. Una sorta di moto alla ribellione enunciato in termini semplici con parole dirette che scorrono veloci come veloci sono i riffs delle chitarre, il passo della batteria e le linee del basso. Una velocità che rallenta la sua andatura solo nell'inciso dove il concetto appena espresso ci viene ripetuto in termini più concisi prima di rilanciarci all'interno di una tempesta chitarristica che ci fa rimbalzare senza ritegno su pareti immaginarie senza mai toccare il suolo mentre la batteria continua a colpirci in ogni parte del corpo senza ripensamenti per poi cambiare velocità nella seconda parte dell'invito al viaggio rientrando nel percorso iniziale, poi un rallentamento e poi via verso un'ultima sfuriata. Una prima traccia altamente adrenalinica dove un certo gusto per la ricerca del suono si mischia all'alto tasso di energia che il gruppo investe in questa apertura. Il viaggio attraverso la propria mente diventa sempre più reale ad ogni ascolto di questa canzone.

Atomosophobia

La seconda traccia del disco è un pugno in pieno volto, un pezzo velocissimo con riffing e ritmi rabbiosi: Atomosophobia. Il gruppo ci parla di un argomento molto più legato al società odierna e in particolare verso una delle paure che più volte nel corso degli ultimi anni ha bussato agli schermi dei nostri televisori o è uscita dalle casse delle nostre radio: la Guerra Atomica. Giorno dopo giorno abbiamo sentito e sentiamo di qualche nuova autorità che viene messa a capo delle alte sfere che per sfoggiare il suo potere incontrastato minaccia di premere un bottone e scatenare un olocausto introvabile anche tra le pagine della Bibbia o in qualsiasi episodio storico. Uomini incuranti di qualsiasi vita a cui interessa solo la loro sete di gloria che non sentono urla o ragioni. Un pezzo dal passo marziale e bellicoso insieme della batteria che in un battito di ciglia ci rilancia nel medesimo vortice dell'opener senza risparmiare colpi. Come nella traccia precedente i Nostri riescono a dar vita agli scenari delle loro canzoni non solo tramite le parole ma anche con la sola musica. Le parole sono scarne e dirette, senza troppi giri, incisive e semplici. Niente riferimenti che richiedano interpretazioni più articolate per arrivare al senso di quello che viene narrato. La parte del leone viene giocata dall'arrangiamento che si staglia a vero protagonista del pezzo. Una serie di riffs rabbiosi che si uniscono a tecnicismi chitarristici che mai sfociano nel mero virtuosismo mentre basso e batteria fanno brillare uno dopo l'altro gli ordigni disseminati lungo il percorso. "Il destino viene dal cielo / cerca un rifugio dove nasconderti.". Un monito che spezza in due la canzone e fa precipitare ancora di più nell'atmosfera angosciante e non troppo fantascientifica di questo scenario pre e post-apocalittico che sembra voler essere alleggerito da due rapidi assoli aperti e virtuosi che infondono una leggera vena melodica mentre il resto degli strumenti corrono all'impazzata facendo immaginare una folla in fuga preda del terrore più nero. Che sia avidità o potere, trova un modo per farli smettere. La paura è sempre più forte mano a mano che la tempesta sonora cresce di intensità mentre si materializza davanti agli occhi l'immagine di un bambino fermo in mezzo alla strada con lo sguardo rivolto verso l'alto mentre tutti intorno a lui fuggono e un bagliore si vede in lontananza. Tutto si erge sulle voci di chitarre, basso e batteria mentre le parti vocali fungono quasi da coadiutrici degli strumenti stessi. Tutto è claustrofobico, disorientante, ipnotico, caotico, bellicoso; una serie di caratteristiche che distolgono l'attenzione dal Thrash che sta nelle fondamenta di questa proposta e spinge a sentire tutto il resto della gamma di sfumature che la circondano. Una delle più radicate paure dell'uomo moderno scatena tutta la sua rabbia verso coloro che detengono il controllo di quei bottoni. "Loro sono nati per distruggere".

Sachiko Ever After

Sachiko Ever After (Sachiko per sempre) giunge a noi con una risata che sa di sadismo e subito ci sentiamo coinvolti nostro malgrado in uno scontro tra due tempeste della stessa entità che spazzano via qualsiasi cosa trovino sulla loro strada. Poco spazio alla fantasia, quello che abbiamo è un brano Thrash puro e semplice senza sperimentazioni, eccezion fatta per i risvolti tecnici, qualche eco extreme e qualche breve break più rockeggiante, che arriva diretto e distruttivo. Un susseguirsi di guerre tra chitarre senza mezze misure e un ritmica che viaggia come un treno impazzito. Pochi semplici elementi per un racconto horror che sa di splatter movie nipponico, dove il sangue e la violenza non vengono risparmiati ma elargiti a grandi mani che colpiscono lo spettatore in pieno volto mentre si ha l'impressione che qualsiasi oggetto appuntito presente nello schermo si conficchi nelle carni passando dalla finzione alla realtà. Un viaggio all'insegna della paura più classica che però trova una linea narrativa moderna anche se in aria di già visto troppe volte, ma per qualche ragione riesce ugualmente a farsi ascoltare e vedere. Una macchina tritura ossa che con una forza che niente ha di umano ci incatena ad un freddo tavolo metallico, ci blocca la testa, ci tiene aperti gli occhi stile Arancia Meccanica e ci obbliga ad assistere al macabro rito che sta per iniziare. Quella risata che abbiamo sentito non impieghiamo molto tempo per capire a chi appartenga. Eccola! É già qui! Una ragazzina armata di forbici il cui unico scopo e infliggere dolore e scatenare paura e morte, senza distinzione, cacciando le proprie prede, rendendole inabili a scappare, incapaci di urlare, pronte a saziare la sua fame. E la sensazione di essere in un universo che arriva dal lontano Impero del Sole Rosso non è così sbagliato dato che la protagonista di questo videoclip dai toni gore arriva direttamente da un videogioco, Sachiko irrompe sulla scena con tutta la sua malvagità e tutto il suo sadismo che corre a cavallo di asce che grondano di riffs e scale come se non ci fosse un domani mentre il duo basso-batteria si trasforma nei passi di chi cerca di scappare senza esserne capace. La bambina ride e colpisce, colpisce e ride e noi rimaniamo legati a quella lastra metallica senza poter fare altro che guardare lo spettacolo da grandguignol davanti a noi. La vediamo mentre si gira a guardarci con il suo sorriso e poi torna ad avventarsi sui corpi esamini che le giacciono davanti. Una violenza gratuita che si dipana con una velocità crescente fino a togliere il respiro. Si arriva al termine sudati e affaticati, con gli occhi che bruciano, il collo che maledice ogni movimento e le mani senza più sensibilità mentre la band sembra non faccia nessuna fatica e continui a suonare come se fosse comodamente sdraiata su un divano.

The Red Ripper Case

Giungiamo al giro di boia con The Red Ripper Case (Il baule dello Squartatore Rosso). Cosa hanno in comune Jeffrey Dahmer, John Wayne Gacy, Ted Bunty, Albert Fisher, Ed Gein, Aileen Wuornos e Aleksandr Pi?u?kin? Sono tutti nomi degli autori dei più efferati omicidi seriali balzati alla cronaca nera nel secolo scorso. Un argomento che è in un modo o nell'altro ha sempre ispirato il Metal saziandone la sete di sangue e paura. Ed ecco come anche in questa quarta traccia di "Trauma Gallery" troviamo come fonte di ispirazione la storia di un serial-killer: Andrej Romanovi? ?ikatilo, il "Mostro di Rostov", "Cittadino X", "Lo Squartatore Rosso" oppure "Il Macellaio di Rostov", accusato dell'omicidio di cinquantatré persone tra donne, bambini e adolescenti di ambo i sessi, fra il 1978 ed il 1990.  Come nei precedenti brani, la bravura dei Nostri risiede nel tessere le trame del racconto lasciandosi guidare dalle proprie mani e dalle proprie dita che corrono sulle corde e percuotono le pelli lasciando ancora una volta le parole come arricchimento. Abbiamo così capito quale sia il vero punto di forza del gruppo e di come venga saggiamente utilizzato nella creazione dei brani. Le abilità tecniche ed esecutive sono sempre più in risalto. La storia dello Squartatore Rosso viene raccontata senza entrare troppo nel dettaglio e i Nostri rimangono più su una descrizione dei tratti emersi dal profilo criminale che ne fu fatto quando la storia venne a galla. Le parole sono scarne e non troppo ricercate e il rischio di cadere nella celebrazione o nel ridicolo, sfornando una canzone dal testo scontato è dietro l'angolo e leggendo il testo si ha subito questa impressione tanto che inizialmente, specie senza cogliere il riferimento, si è quasi portati a sorridere della "banalità" delle parole. La trama musicale, una volta scoperta la fonte, riesce a trasmettere tutta la sanguinosa violenza che quel fatto di cronaca trascinò con se in meno di ventidue anni. Una scia di sangue che sembra scorrere davanti agli occhi mentre cade dalle corde della chitarra in una sequela di riffs ad alta velocità che vanno a tuffarsi in varianti leggermente melodiche più aperte in alcuni passaggi e quasi più oscure in altri creando continue varianti tra le due metà del brano senza che ci siano stacchi netti ma con una fluidità perfetta; il tutto mentre basso e batteria martellano prepotentemente alle tempie. Una corsa senza freni dentro la quale la mente inizia a creare una sorta di videoclip dove si susseguono sguardi terrorizzati, immagini confuse, sirene che illuminano la notte, sguardi nascosti, corpi abbandonati, fughe, urla mute tutto su un fondo rosso dove gli unici altri colori sono il bianco e il nero. Un arrangiamento che scorre su un unico binario in cui si alternano momenti veloci, diretti e affilati a momenti più veloci, più tecnici e più cattivi su un tappeto ritmico uguale; una linea che non cambia per tutta la durata del pezzo fatta eccezione per un breve break  dove le chitarre si dividono tra acustico ed elettrico e la voce assume toni in scream, con una impronta simile ad una ninna nanna che rapidamente interrompe la corsa per infondere una riuscitissima nota di angoscia e paura a questa canzone concludendosi con un assolo intriso di melodia per poi lasciare spazio alla ripetizione della prima strofa e dell'inciso a cui fa seguito un finale strumentale, seppur rapido, all'insegna del virtuosismo. Un brano che non brilla in maniera particolare ma che si stampa subito in mente e che presenta tutto sommato dei buoni spunti.

Beware The Lurkers

  Un primo ascolto mette subito in luce Beware The Lurkers (Attenti ai Lukers) e come la struttura di questa canzone sia molto più ragionata e costruita con attenzione per dar vita ad un brano che rimanga sì improntato ad un Thrash con inserimenti tecnici ma che riesca anche a diffondere una certa atmosfera la quale si rivela indispensabile per il tipo di storia che ci viene raccontato. Anche vocalmente si vede subito come il lavoro sia più riuscito. Si avverte la presenza di echi Punk tra le pieghe di riffs, linee di basso e patterns di batteria, così come nella scelta vocale, specialmente nell'impostazione della prima parte del pezzo. Un secondo elemento che rende ancora più movimentata questa quinta canzone. La ricerca di un suono personale si avverte maggiormente e questo non fa altro che giovare a questo disco. Un'introduzione strumentale acida e debordante che sembra uscita da una colonna sonora funge da apripista alle linee vocali annunciate da un grido lacerante e al leitmotiv della canzone nella quale si respirano gli echi anticipati poc'anzi. Un'aria particolare si diffonde immediatamente e in un attimo ci ritroviamo immersi in uno scenario da film horror dove è facile immaginare che ad accoglierci al varco ci sia un uomo di nero vestito, con un cilindro in testa e un bastone con il pomello a forma di teschio umano che sorridendo ci dice: "Benvenuto nel cimitero di mattina, qui dimora il male, l'ira dell'uomo alto che non puoi sfuggire, né le sue sfere metalliche volanti. Con le sue sfere volanti metalliche, ti macina fino a che non sei polvere, quando muori pensi di andare in paradiso ... no, vieni da noi!". Subito ci vediamo nei panni del protagonista della storia mentre corriamo attraverso un dedalo contorto di strade piene di vicoli ciechi mentre questa alta figura ci insegue apparendo all'improvviso dal nulla, annunciato dall'entrata in gioco di un riffing più tecnico e da una ritmica più serrata. Ci si sente intrappolati in un vecchio horror-movie degli anni '80 e forse la fonte di ispirazione non è così lontana dalla realtà. Questa situazione attrae in modo piacevole e ci si lascia coinvolgere senza opporre resistenza. I suoni si fanno subito più aggressivi mentre ci viene detto che da questa entità non possiamo fuggire e non possiamo nasconderci da lui né tanto meno batterlo mentre una voce nella nostra testa insinua il dubbio se ciò a cui stiamo assistendo sia vero o sia un'illusione e qualcuno ci stia osservando compiaciuto. La trappola in cui siamo caduti sembra diventare sempre più piccola e la nostra fuga passa su vie che sembrano sempre più strette. Tutti i suoni intorno a noi si fanno più veloci e affilati e noi sentiamo sempre più vicine quelle sfere metalliche e il terreno sembra franarci sotto i piedi. Le chitarre tessono trame più complesse intrise di una vena melodica sulfurea che ci porta in uno spazio chiuso dove colti da improvvisa illuminazione ci ritroviamo a sprangare porte e finestre e miracolosamente l'uomo alto si ritrova bloccato all'esterno del nostro rifugio senza riuscire a mettere le sue mani su di noi. Ci sentiamo spiazzati. Un nuovo cambio nella musica porta ad un cambio di scena e mentre l'aggressività cresce ancora e il cantato pulito si trasforma in un growl cavernoso sempre nei panni del protagonista ci rendiamo conto come da quel labirinto infinito siamo ritornati nel nostro mondo ritrovandoci seduti sul letto, ansimanti e madidi di sudore, ma l'incubo sembra non avere fine e mentre la paura non lascia la nostra testa, un sibilante coro di voci ci chiama dal buio: "Ragazzo! Il servizio è iniziato!". Proprio quando pensavamo che fosse finita ecco che uno stacco impercettibile, una breve interruzione che sembrava far calare l'intensità per concludere il pezzo in dissolvenza, riprende la corsa attraverso una serie di riffs ad alto tasso tecnico uniti ad un assolo dalle tinte melodiche e ad una sezione ritmica incalzante mentre il monito che ci aveva messi in guardia all'inizio dell'incubo ritorna a bussare e come in un loop infinito la nostra fuga riprende e il sottile confine tra realtà ed illusione sembra diventare una cosa unica senza che si possano più distinguere le due cose.

Haunted Mindscape

Quello che ci attende ora è un nuovo viaggio nella mente umana e lo facciamo imbarcandoci sulle ali di Haunted Mindscape (Paesaggio mentale stregato). Il tornado sonoro che ci investe porta con se la medesima atmosfera angosciosa e soffocante del pezzo precedente e questa nuova overture strumentale ci fa subito capire che non usciremo facilmente dal tunnel dove stiamo per entrare. Ci sentiamo cadere in un cratere senza fondo, come se la tana del Bianconiglio si fosse trasformata nella porta per gli Inferi. Strutturalmente la traccia rivela un lavoro ancor più ragionato e approfondito che alza ulteriormente il livello qualitativo. Mano a mano che percepiamo l'entrata delle linee vocali da un turbine ipnotico che disorienta con una maestria encomiabile si viene presi d'assalto da una sassaiola in puro stile Thrash Metal in odore di Bay-Area ma con un occhio alla frangia più estrema del Metal che nella terra Natale del gruppo a trovato parte delle sue radici. Un pezzo articolato e mai scontato che ci guida in una storia che è in grado di mettere a dura prova l'emotività di chi ascolta. La scena che ci si apre davanti inizia in un luogo ben preciso a cui siamo portati a pensare senza che niente ce lo descriva, per una associazione rapida di idea i nostri occhi vedono una cucina, un tavolo e un uomo vicino al tavolo. Qualcosa attira lo sguardo, una macchia rossa, scura, che si allarga sul pavimento. Ci avviciniamo ed ecco cosa ci troviamo davanti: la lama di un rasoio che brilla sul tavolo, un bicchiere di vino frantumato sul pavimento, l'ombra di lacrime di odio sul tavolo... L'uomo si è ucciso, un profondo taglio fa capolino dal suo polso. "Affogando in deliri distruttivi, a nessuno sembra importare, bottiglia di pillole, le vene cominciano a sanguinare, sentirsi dolori che iniziano a fuggire". Questo nuovo viaggio nella mente umana assume nell'immediato i toni di un nuovo incubo mai così vicino alla realtà. Le lame circolari in cui le chitarre si trasformano fanno a pezzi facilmente i deboli fili che ci tengono ancorati alle pareti di questo tunnel e la batteria ci spinge violentemente verso il basso. La storia è breve e si dipana rapidamente senza attraversare troppe fasi, salti temporali, flaskback o passaggi filosofici ma le parole arrivano dirette e il dramma si consuma più rapidamente della fiammella di una candela messa sotto un bicchiere di vetro. Un trip emozionale che con una aggressività sonora oltre il limite ci fa immergere nella storia di un uomo che vede il porre fine alla sua esistenza come l'unico mezzo per sfuggire alla sua mente, attanagliata da problemi che non trovano aiuto o sfogo, in un mondo che lui vede sempre più malato e senza futuro. Una caduta libera nell'oblio che reclama a gran voce la vita che ha scelto. Una tempesta sempre più distruttiva ogni secondo che passa ci lancia ripetutamente nello spazio diventando padrona del nostro corpo che come una marionetta si lascia colpire e guidare attraverso questo limbo, il nostro collo assomiglia sempre più ad un ramo spezzato intrappolato in un headbanging senza freni mentre i virtuosismi si alternano al tema portante incuranti delle nostre condizioni. Questa canzone per qualche strana ragione riesce ad ottenere effetti catartici che emergono dal turbinio emotivo che scaturisce da parole forti come quelle di queste liriche, accentuate nei passaggi vocali di stampo estremo, quasi a volerci far cogliere un senso più profondo che mischia desiderio di libertà e voglia di riscatto in ugual misura infondendo una forza tale in chi ascolta da indurlo a risentire questo pezzo più volte fino al punto in cui le parole non si sentono nemmeno più e le orecchie sono riempite solo dalle note degli strumenti.

Verge Of Confrontation

Siamo prossimi alle battute conclusive ma il gruppo non ha intenzione di congedarsi in sordina e confeziona due bordate finali che lasciano il segno fisicamente. La prima parte di quest'ultimo atto è rappresentata da Verge Of Confrontation (Limite di confronto). Quella che abbiamo davanti è una canzone dove il Caos regna sovrano! Il fatto di essere al cospetto della canzone più breve in termini di tempo di tutto il disco alimenta ancora di più la caoticità che ci si para davanti. Per riuscire a districarsi in questa sorta di labirinto di specchi che si viene a creare occorre calarsi al massimo delle proprie capacità nella scelta degli Home Style Surgery ed estrarre tematiche e metodo di racconto. Questa settima traccia sembra immediata come le altre ma per come viene costruita diviene tutt'altro che semplice. Oltre agli elementi che abbiamo imparato a conoscere nelle precedenti canzoni, se ne aggiunge uno nuovo che rimescola le carte ancora una volta e ci rivela anche un altro aspetto del gruppo ovvero la capacità di infondere alla propria musica anche una nota irriverente e scanzonata che in questa canzone spicca in maniera particolare tra i denti appuntiti del riffing principale. L'orientamento verso un Thrash di scuola americana si avverte in modo molto distinto anche se il tocco della band non fa variare nemmeno di un grado il tipo di proposta. Il Caos che avvertiamo all'istante non appena termina l'apertura strumentale e la band scarica tutti i watt e i decibel che gli amplificatori possono sopportare rovesciandoci addosso un muro sonoro debordante il quale ci proietta su un rollercoaster di cui non vediamo la fine dove veniamo lanciati a folle velocità. Non è la mente umana nella sua accezione profonda o l'orrore che l'uomo può creare con le sue mani o per una mentalità deviata, l'argomento è più terra-terra, non certo frivolo o lascivo, si rimane comunque su temi su cui si possa argomentare. Dopo viaggi mentali, signori della distruzione, assassini seriali, incubi, disperazione, morte e sangue i Nostri ci spiazzano e lanciano sul tavolo una loro visione della società, una visione nuda e cruda, con i piedi ben piantati in terra. Mentre le note scorrono a velocità incontrollabili un trio di voci che si alternano tra solista e cori dipingono un quadro sociale tutt'altro che consolante e purtroppo fin troppo vero. Quella in cui ci troviamo è una società che si è votata al consumismo, dove il marketing controlla senza problemi le menti, la moda detta i tempi e gli stili, il denaro muove il mondo e crea l'odierna felicità per l'ultimo ritrovato in questo o quel campo; la via di salvezza più vicina è rinunciare a queste cose effimere e lasciare i propri soldi alla chiesa perché solo colui che è sceso per noi sulla terra è fonte di salvezza: "Trucchi di marketing con controllo mentale, compra senza motivo, la moda è come il cancro, i prodotti a basso costo sono la scorsa stagione, comprati la felicità con l'ultima vendita o presti i tuoi dollari per la chiesa perché Gesù salva!". Parole che arrivano come coltelli lanciati contro un bersaglio mobile una dietro l'altra senza respiro che anche se non ci dicono nulla di nuovo sono come uno schiaffo che ti risveglia da un sonno di cui sei volontariamente preda. L'unico momento di calma, seppur apparente è quando ci sentiamo investire da una voce sofferta che ci chiede "E cosa consegnano?" per poi spararci contro "I vestiti sono fatti dai bambini! L'oppressione alimenta l'oppressione!" ed ecco che uno tsunami di chitarra e batteria ci scagliano nell'aria come voglie al vento mentre le nostre menti vengono ancora una volta ridestate dal torpore ricordando loro che chi si cela dietro alle réclame, agli spot televisivi, al mercato ti fanno solo credere di essere furbo e avanti rispetto agli altri perché possiedi questo o quell'oggetto prima di chiunque altro o nell'ultima versione uscita, è solo un'impressione, hai solo contribuito a far partire la costruzione di un  nuovo pezzo della stesso macchinario che da lì a poco ti farà diventare obsoleto e sposterà più in alto qualcun altro creando una giostra infinita, delle montagne russe senza fine che salgono, scendono, si girano su se stesse, rallentano ma poi subito accelerano senza più farti capire da che parte si scende e da che parte si nasconda la realtà. Una vertigine di incursioni Technical Thrash che innalzano questa canzone verso lidi dove Metal grezzo e ricerca sonora si amalgamano con un livello che pochi riescono a raggiungere senza scadere nell'auto-celebrativo o nella copia della copia della copia dell'imitazione di qualche band più blasonata. Il brano è velocissimo e la band non si risparmia e getta la maschera rivelando il suo obbiettivo: ridurre in polvere l'ascoltatore. 

Trauma Gallery

La parte conclusiva di questo di show è presentata dalla title-track Trauma Gallery (Galleria del trauma), composta da riffing portante roccioso su cui vengono costruite armonizzazioni e incursioni melodiche che sanno di NWOBHM che ci dimostrano come questa sia una grande prova sia tecnicamente che per composizione. Così come per "Verge Of Confrontation (Limite di confronto)" dove la breve durata si è rivelata elemento fondamentale per la riuscita del pezzo a livello di trasmissione emozionale per chi ascolta anche in questo caso la durata nettamente più estesa rispetto a tutti i brani precedenti è un fattore vitale al fine di assimilazione di questo pezzo. Abbiamo visto come in questa seconda parte del disco gli arrangiamenti siano diventati via via più studiati e ponderati, dove niente è stato lasciato al caso e dove ogni tassello ha avuto un ruolo preciso, dal suono alle parole, che non assomigliano più ad una didascalia che faccia capire la direzioni dei quadri sonori che ci passano davanti, fino all'unione di entrambi. Troviamo anche una riuscita vena Extreme Metal che caratterizza ancora di più la traccia, specie dal punto di vista vocale, come è già avvenuto in precedenza. Mentre la batteria detta un tempo secco e aggressivo e il basso ne sottolinea gli ordini, le due chitarre duellano tra riffs granitici, virtuosismi, melodie e progressioni sempre più raffinate. Senza ombra di dubbio possiamo dire che questa sia la canzone meglio riuscita di tutto il disco sotto ogni più piccolo aspetto, la commistione tra Thrash Metal, tecnicismo e soluzioni stilistiche più melodiche è equilibrato e non ha sbavature o eccessi, c'è velocità ma ci sono anche aperture che consentono di comprendere quale direzione la band ha scelto per quest'ultima storia che liricamente si presenta come la più ardua da assimilare e digerire. Un testo forte che nasconde una violenza mentale che si tinge di dramma umano scatenando una unione mentale tra chi ascolta e il protagonista della storia che toglie il bisogno di sapere chi sia, bambino, ragazzo, adulto, anziano non ha importanza, chiunque ascolti si ritrova a vestirne i panni e a vedere ciò che il personaggio vede anche se il punto di vista narrativo è esterno. "Scappando da quel vecchio posto in cui viveva prima, dalla sfortuna alla successiva, non c'è più niente? Solo poca luce sopra la sua testa, nell'oscurità egli vagherà, i piedi che fanno male, le mani che si congelano, alla ricerca di una casa.". Chi sei? Non si sa! Ma come in un film guardiamo dei piedi che si allontanano nella notte, probabilmente scalzi, mentre scende il freddo e le mani diventano rosse sulle nocche. Una nuvola di vapore esce dalla bocca mentre il respiro si fa affannoso per la corsa. In lontananza c'è una casa che sembra stia ridendo, davanti solo il buio e il passo agguerrito degli strumenti diffonde ancora più ansia e paura nell'aria. Cosa c'è dopo quel buio? Non si può sapere. Forse tutto o forse niente e la mente comincia a porsi delle domande che fanno rumore e distraggono da ciò che si sta facendo. L'aggressione sonora aumenta sempre di più mentre davanti a noi prende forma un confuso flashback che ci mostra un lato della storia dell'uomo in cui ci siamo immedesimati spinti da una forza a cui non abbiamo potuto resistere, un ricordo crudo e maligno mentre avanza sempre più stanco e scoraggiato "le visioni dell'abuso sono marcite nella sua testa, solo una luce fioca nella sua mente" intanto che intorno a quella figura con le spalle incurvate dal perso dei suoi pensieri si fa tutto più buio, freddo e nero e non si riesce più a distinguere il ricordo dall'ambiente che ci circonda. Sappiamo solo quale è il suo desiderio, una casa, un riparo e questa ricerca trova sempre più una spessa sottolineatura nell'incedere della coppia di sei corde che dopo aver toccato la cima ed essere arrivate a velocità da vertigine si placano in una camminata tranquilla ed evocativa che lascia un momento di respiro prima di ripartire a folle velocità verso un abisso sempre più profondo e umido dove si viene circondati da fiamme e entità maligne e la voce diventa aggressiva e oscura e si precipita sempre più nello sconforto che ormai ha preso il comando del corpo di quel ragazzo, uomo o bambino che sia e lo culla in un limbo dal quale sarà protetto ma da dove non potrà uscire mentre i suoi occhi continuano a cercare il riparo agognato che la mente senza chiederlo davvero ha ottenuto costruendo una barriera che è una trappola. "Guarda la galleria del trauma, lui è diverso, la vita non significa niente per lui. Cos'hai visto? Cos'hai visto? Solo una luce fioca nella sua mente, nell'oscurità dei suoi pensieri che cercano ancora una casa, che non troverà mai.". Difficile riuscire ad uscire senza aver provato nulla da questo brano finale, non soltanto per le parole che potrebbero essere già state sentite in altri generi o ambiti, ma soprattutto per il trasporto che musicalmente si viene a generare in questo continuo passaggio tra velocità e stacchi melodici che danno corpo e forma alla canzone e in cui le parole e la voce diventano un quinto strumento che amplifica qualsiasi emozione si possa provare.

Conclusioni

Succede sempre più raramente di arrivare alla fine di un nuovo album di una nuova proposta in questo panorama con la soddisfazione dipinta sul volto e il fiato corto di chi si è lasciato coinvolgere e scatenare da ogni canzone. Quando succede non si può che essere piacevolmente soddisfatti e vogliosi di ricominciare senza nemmeno concedersi una pausa o un bicchiere d'acqua. Questi ragazzi sanno il fatto loro e sanno come tenere ancora vivo uno stile storico come il Thrash da cui altri generi hanno tratto ispirazione per nascere e che ha sua volta dalle origine del Metal ha carpito la lezione portandolo verso lidi più neri e cattivi. Per essere solo al secondo album, i Nostri hanno rivelato una crescita compositiva ed esecutiva encomiabile che fa sentire la differenza tra gli spigoli da smussare del primo disco, ancora molto acerbo e incerto le ottime prove di questo secondo album. A livello esecutivo non c'è nulla da ridire, un lavoro ineccepibile e le liriche celano dietro ad una semplicità che come abbiamo detto può essere inizialmente irrisoria una ricerca precisa per le otto diverse trame che compongono l'album. Un segnale che nelle fredde lande del Nord, sotto metri e metri di ghiaccio, non c'è solo il Metallo Nero, ma brucia anche l'acciaio pesante e scalpita il fuoco. Anche se della band si conosce poco e al di là dei propri confini non abbiano ancora raggiunto la giusta audience sappiamo per certo che questi ragazzi hanno tutte le carte in regola per sfondare nella giungla del Metallo senza rischiare di essere schiacciati, avendo dimostrato di avere gusto per la ricerca di un sound il più possibile personale e distinguibile. Otto canzoni funamboliche, cariche e articolate anche se costruite su una formula unica e ritrovabile in ogni brano ma in cui si sentono le differenze pur se minime e non rintracciabili con un solo ascolto.Trauma Gallery, questa seconda fatica discografica della Thrash Metal band finlandese, è molto forte nei contenuti ed è molto forte musicalmente, il livello di coinvolgimento è totale e l'attenzione non cala perché i continui cambi negli arrangiamenti arrivano all'improvviso senza essere annunciati con largo anticipo e le orecchie restano tese e allertate. La storia della band rimane ancora avvolta in quell'alone di mistero che non vuole far sapere nulla all'infuori di nomi, volti e ruoli ma che non ci pensa nemmeno a tenere nascosta la verve investita in ogni singolo secondo di lavoro per dar vita ad una canzone o ad un disco e consegnandoci questo blocco di metallo ancora incandescente. Un lavoro ottimo a 360 gradi senza sbavature e ben condotto.Per chi ha sete di violenza, sangue e sudore, di puro e sano Thrash Metal, ma che non disdegna incursioni e soluzioni che ne amplifichino lo spettro, questo disco fa per voi!

1) Explore the Dimension
2) Atomosophobia
3) Sachiko Ever After
4) The Red Ripper Case
5) Beware The Lurkers
6) Haunted Mindscape
7) Verge Of Confrontation
8) Trauma Gallery