HOBBS' ANGEL OF DEATH
Hobbs' Angel Of Death
1988 - Steamhammer Records
DAVIDE CILLO
17/03/2020
Introduzione Recensione
Se pensate che l'Australia ottantiana non abbia avuto una scena thrash metal sareste fuori strada senza dubbio: molti di voi già avranno sentito nominare la leggendaria band di culto Mortal Sin, formatasi nella capitale Sydney nel 1985. I Mortal Sin debuttarono discograficamente nel 1987 con il loro riconosciutissimo album "Mayhemic Destruction", seguito due anni più tardi dall'altrettanto amato "Face of Despair". Tuttavia, di band che abbiano un qualche rilievo ve ne sono altre: alcuni di voi conosceranno gli ottimi Addictive, nati a Sydney nell'87. Gli Addictive rilasciarono nell'89 "Pity of Man", validissimo thrash album, seguito nel 1993 dal secondo capitolo discografico "Kick 'Em Hard". Gli Addictive si sciolsero poi nel '96. Tutt'ora attivi sono i Cromok, formatisi anch'essi nel 1987 ma a Wollongong. Il loro ultimo album rilasciato risale al 2004, si intitola "Untitled"; i Cromok nel corso del loro percorso discografico contano ben sette dischi rilasciati. Più rapidi ed ossessivi erano i Fester Fanatics, che rilasciarono il loro unico album di inediti "What Choice Do We Have?" nel 1987. Due anni successivi la band rilasciò poi un full-length di cover intitolato "Greatest Cocktail Party Hits Vol. 1", a testimoniare lo spirito della band. Chi fu, tuttavia, il primo a portare le sonorità thrash metal in Australia? Il lodevole responsabile fu un cantante chitarrista, all'epoca ventitreenne, di nome Peter Hobbs, che con due suoi amici, il chitarrista Alex Radanov e il bassista David Frew formò una band thrash metal denominata Tyrus. I Tyrus videro la luce a Melbourne nel 1984, e la formazione fu completata dal batterista Pat de Garmo, poi sostituito da Chris Philipps. Inizialmente la band suonava un heavy metal classico proposto nella sua vena più semplice e diretta, ma nei suoi brevi tre anni di attività il sound diventò sempre più veloce fino al rilascio della demo di quattro brani del 1986 omonima della band "Tyrus", che in un quarto d'ora d'ascolto sfoderava uno stile decisamente aggressivo. La band si fece conoscere soprattutto grazie ai potentissimi show dal vivo, le tracce furono quasi tutte registrate dal songwriter principale, Peter Hobbs, che ben presto decise di mettersi in proprio e di dar vita al progetto solista protagonista della recensione odierna: stiamo parlando degli "Hobbs Angel of Death". Il nome della band, non è un segreto, fu ispirato dal celebre brano degli Slayer, band di forte influenza per Hobbs, che comunque preferì etichettare il genere da lui suonato come "virgin metal" (metal vergine), con l'intenzione di metterne in risalto la vena più pura ed incontaminata. Hobbs riunì coloro che riteneva i migliori musicisti della sua città, appunto Melbourne, e nel 1987 fu rilasciata la prima demo della band, "Angel of Death", composta da sei tracce per quasi mezz'ora complessiva d'ascolto. La demo fu prodotta dal Melbourne's Doug Sanders Studios, per costi estremamente bassi. Ciò non impedì ad Hobbs e compagni di vendere 1200 copie e ottenere l'attenzione di alcune importanti record label: dopo una seconda demo di 18 minuti, intitolata "Virgin Metal Invasion from Down Under", la band firmò con SPV/Steamhammer; non un contratto da poco, così gli Hobbs Angel of Death si diressero a Berlino per il rilascio del disco di debutto. Il lavoro fu prodotto da Harris Johns, fra gli altri produttore di Voivod, Kreator ed Helloween, mentre la copertina fu disegnata dall'autore delle copertine di Tankard e Destruction Sebastian Kruger. Vide così la luce l'omonimo album della band "Hobbs Angel of Death" del 1988, protagonista della recensione odierna: il disco si compone di ben dieci tracce, per un ascolto complessivo di oltre 43 minuti. Del proseguimento della carriera della band continueremo a parlare in fase di chiusura di recensione, mettiamo ora per un attimo in standby il racconto e godiamoci appieno questo full-length, con il nostro consueto viaggio del track by track. Spero proprio che abbiate impostato al massimo il vostro volume, altrimenti sarebbe un crimine meritevole di pena capitale. Buona lettura a tutti!
Jack the Ripper
Il brutale avvio di "Jack the Ripper" (Jack lo Squartatore) nonché dell'album è un qualcosa di fuori dal comune: sembra di rivivere i Dark Angel ai tempi di "Darkness Descends", glorioso full-length del 1986 che contribuì a ridefinire i confini del metal estremo. La batteria martella senza placarsi per un istante, le ritmiche sono furiose e folgoranti, esibendo scariche di tremolo picking a non finire. La voce vecchio stampo del leader della band è a dir poco calzante per il contesto, e attraverso stop and go asfissianti e cambi di riff al fulmicotone l'ascoltatore viene "cullato", per così a dire, attraverso un minuto e quaranta di brutalità assoluta. A questo punto, giunti a metà del brano, il pezzo rallenta tramite un riff mid-tempo introducendo una macabra melodia da film horror, quasi come potrebbero fare i Possessed, altra leggendaria band del thrash-death che senza dubbio influenza quanto qui suonato dagli australiani. Dalla bellissima melodia si arriva ad una nuova accelerazione rea di causare vertigini, e qui schizza il velocissimo assolo di chitarra, che unisce con successo rapidità a melodia, nel suo preservare il tema portante del pezzo. Non ci si placa per un attimo, le percussioni continuano a spingere come se non si avesse alcuna intenzione di arrivare all'alba dell'indomani, e il piacevolissimo e grezzo suono di chitarra regala se possibile dona ancora un qualcosa in più all'ascolto. E' proprio il suono a giovare ancor più alla canzone, la produzione è a dir poco eccezionale ed in linea con i tempi, nella chiave metal estrema del pezzo non si potrebbe chiedere nulla di più al mondo. E, se il brano si intitola "Jack the Ripper", jack lo squartatore appunto, attraverso ogni furiosa nota del brano ci sembra davvero di rivivere una serie di violentissimi e sanguinosi omicidi. Quale occasione migliore, dunque, per passare a trattare delle liriche del pezzo? Qui il celebre serial killer si nasconde fra le ombre, alla ricerca di prostitute da sgominare a colpi di sangue e violenza. Strumenti affilatissimi, coltelli letali, pronti ad affettare la gola delle ragazze terrorizzate al solo udire il suo nome. Come la carne viene affettata da un macellaio, così la carne delle donne della notte, che vedranno il proprio corpo deturpato e sviscerato da un uomo assettato di sangue e con nessuna intenzione di placarsi. E voi, state assaporando a pieno questa devastante furia omicida?
Crucifixion
Più scandito e riflessivo è l'avvio di "Crucifixion" (Crocifissione), brano che viene introdotto da una serie di ben assestati power chord. Questo deciso frangente ritmico già colora la melodia portante della traccia, che dopo trenta secondi prende il là dopo un lancio di batteria. "Crucifixion", a differenza di "Jack the Ripper", è un brano dalle velocità tutt'altro che estreme, gli Hobbs Angel of Death propongono dal primo all'ultimo secondo del pezzo un brano di media velocità nel più puro stile dei maestri del thrash metal californiano. Dopo esserci interfacciati con l'anima più estrema della band, allora, ci caliamo nel più classico possibile dei sound thrash metal, per una proposta godibile al cento per cento alle nostre orecchie. Persino l'assolo di chitarra qui si basa più sul gusto piuttosto che sulla velocità, ripercorrendo ancora una volta la melodia alla base della canzone. L'ultima parte del pezzo, e per l'essere più precisi l'ultimo minuto, diviene ancora più cadenzato e profondo, la vocalità più gutturale, quasi una sorta di primordiale forma di death metal. A condurre "Crucifixion" verso la conclusione è il lacerante urlo di Hobbs, seguito da un semplice riff di chiusura ancora basato su una serie di grezzi e ben assestati power chord della sei corde. Un rallentamento che ci sta, non vi è dubbio alcuno, e che regala un cambiamento di tempo forse inatteso per questo inizio di album. Magari meno impegnativo tecnicamente rispetto a brani più veloci, specie dal punto di vista batteristico, questa seconda traccia ci regala l'anima più pura e genuina della band, una dimostrazione che si può donare un qualcosa di coinvolgente all'ascoltatore metallaro anche senza adottare particolari velocità. Un plauso merita qui la voce del leader della band, che in una chiave completamente differente riesce comunque a dimostrarsi più che adeguata. Il testo del pezzo ci narra della crocifissione del Messia, una crocifissione che porta la soddisfazione di un Lucifero gioioso più che mai per il momento. E' il demonio il vero protagonista delle brevissime liriche della traccia, demonio che si prepara a conquistare la terra venendo meno il contrasto di Gesù Cristo. Cosa vi aspettavate, uno scritto stilnovista?
Brotherhood
Il Side A del full length vede come terza traccia un pezzo intitolato "Brotherhood" (Fratellanza). Il pezzo si apre con un solidissimo lavoro del batterista Darren McMaster-Smith dietro le pelli, che si cimenta in un breve assolo batteristico, in un ritmo ben scandito fra tom e rullante. Terminato questo bellissimo frangente percussionistico, la traccia schizza a tutta velocità riportandoci ai ritmi ascoltati nel corso della prima canzone del lavoro "Jack the Ripper"; e non è tutto: la band si cimenta anche in un breve ma velocissimo assolo di chitarra iniziale, che con tanto di leva battezza il furioso riff di chitarra come sempre ad opera di Hobbs. Niente voce, il primo minuto di pezzo è furia più totale, una rabbia tutta strumentale che non lascia e non intende lasciare scampo alcuno all'ascoltatore. Terminata questa prima parte di brano, vi aspettereste l'ingresso vocale: e invece no. La band si cimenta in una nuova e tremenda serie di velocissime ritmiche, il tremolo picking si fa furioso e il pezzo incalza come non mai. E' dopo quasi due minuti di ascolto che avviene l'ingresso vocale, con la rauca voce di Hobbs che colora un riff potente e compatto, diviso fra frangenti più cadenzati e altri velocissimi. In "Brotherhood" si apprezza ancora una volta, come non mai, la produzione, ed il suono della batteria e in particolar modo del rullante è piacevolissimo, esplosivo, irruento, dinamitardo, esattamente come dev'essere. L'assolo della traccia, al terzo minuto, piuttosto che rapido e fulmineo è rockeggiante, musicale nella sua totalità. Giungiamo poi alla parte che, in assoluto, preferisco dell'intera traccia: dopo quattro minuti e un quarto d'ascolto la band introduce un riff, stupendo e aggressivo al tempo stesso; secondo dopo secondo, la band decide di accelerare sempre più questo frangente ritmico, portandolo da ritmi inizialmente lenti a ritmi progressivamente sempre più rapidi ed estremi. Una accelerazione che può ricordare storici brani del thrash metal tedesco come "Bullets" degli Assassin, non è una formula spesso utilizzata eppure ascoltarla è sempre un qualcosa di straordinario. Questo brano quasi interamente strumentale cita, nel suo breve testo, di come avvenga l'avvento del dominio di Satana sulla Terra. Tale tematica appare in assoluto la preferita dalla band, che qui ci narra di come l'apertura delle porte dell'inferno porti alla più totale devastazione di ogni cosa da noi conosciuta del nostro mondo.
The Journey
L'ultimo capitolo di questo primo Side di "Hobbs Angel of Death" è "The Journey" (Il Viaggio), brano di tre minuti e trenta secondi di lunghezza complessiva. Il pezzo subito pare discostarsi parzialmente dai precedenti per le sue tonalità, molto da scuola heavy, ma ritmiche, rapidità e attitudine confermano la totalità della vena thrash metal anche per quanto riguarda questo pezzo. Il brano ben presto incalza e irrompe più rapido che mai, in una formula che non si discosta troppo da quella dei brani precedenti, se non fosse che "The Journey" presenta anche rallentamenti e parti in tutto e per tutto musicali: ciò rende ancor più interessante l'approccio vocale di Hobbs, che deve rendere il suo stile rauco e violento adatto ad una proposta ritmica sensibilmente differente rispetto a quella degli altri pezzi. Violentissimo l'assolo di chitarra, concluso con tanto di leva, a cui poi segue un robustissimo riff coadiuvato da un tappeto batteristico d'eccellenza. Qui Hobbs torna nuovamente ad una vocalità profondo, nel suo introdurre un secondo e vorticoso assolo di chitarra, che scompare in fade-out concludendo così il pezzo; ciò è davvero interessante, perché in anni di ascolti old school non ricordo mai di avere assistito ad una formula del genere: un pezzo che si conclude con un assolo ed in fade-out, tecnica che viene qui fra l'altro utilizzata per chiudere l'intero Side del lavoro. Nulla da dire su questa "The Journey": pungente, rocciosa ma al tempo stesso interessante, ben inserita nella scaletta e più che opportuna nel concludere questa prima metà del disco. Se per quanto riguarda le liriche non vi aspettate una grande inversione di tendenza rispetto a quanto letto in quelle delle canzoni precedenti, beh, sappiate che ci avete visto giusto: "The Journey" è una storia di morte e demoni, di un mondo governato dall'anticristo dove il male ha preso il comando e Satana ha il potere di gestire le anime a proprio piacimento. Gesù Cristo è morto, la sua sconfitta è stata totale, e qui non resta che vivere una realtà di totale caos e devastazione. Una conclusione pienamente in linea con le tematiche del lavoro, quella di questo Side A di "Hobbs Angel of Death".
House of Death
Meraviglioso intro arpeggiato e robusti power chord di chitarra: è così che si comincia, è così che parte la prima traccia del Side B, intitolata "House of Death" (Casa della Morte). La macabra linea arpeggiata ci lascia già intendere tutto sull'integrità del lavoro, sulle influenze di questo chitarrista e cantante songwriter e su ciò che ci potrebbe aspettare. Infatti, come farebbero gli Slayer, o forse i Possessed, o forse i Dark Angel, insomma, le thrash metal band anni '80 più violente e aggressive, gli Hobbs Angel of Death ci scagliano attraverso un riff che pare essere un tornado, per quanto travolgente con la sua velocità. Le influenze del chitarrista sono fra le più estreme dell'epoca, e dopo appena un minuto d'ascolto la band ci regala un rapidissimo assolo di chitarra, che introduce la rauca voce di Peter. La linea vocale è gutturale e tutta d'un pezzo, vecchia scuola a non finire, rauca ma dal timbro baritono abbastanza acuto: il tipo di voce ideale per un po' di sano thrash metal anni '80, con ritmiche vocali e chitarristiche che ancora una volta ci riportano a storiche band californiane come appunto i Dark Angel. Secondo velocissimo assolo dopo due minuti e trenta d'ascolto, qui alla parte solista si unisce anche una certa melodia e l'utilizzo della leva di chitarra. Pregevole il riff che segue a questa frazione di chitarra in solo, il rallentamento è di quelli old school veri e ci regala una ritmica devastante, che funge da ponte per il ritorno alla strofa vocale. La parte finale ci regala anche un certo protagonismo del basso, che emerge specie laddove le ritmiche si fanno leggermente più lente e pesanti. Un brano, questo, che ci narra di una casa dei morti, quasi come se ci ritrovassimo in "EvilDead" di Sam Raimi, che sia una citazione? Qui infatti non scorrerà alcun sangue delle vittime, che semplicemente verranno assorbite dalla malvagità che alberga in questa casa infestata trasformandosi in creature appartenenti al regno dei morti. Eppure, fra tetri candelabri e decorazioni a forma di teschio, un minimo punto interrogativo sulla sicurezza di quest'abitazione personalmente io me lo sarei posto. Liriche malvagie e in tema horror, malvagità e velocità, questo primo episodio della seconda parte del disco è da dieci pieno e lascia presupporre per il meglio.
Satans Crusade
Il secondo pezzo di questo Side B dell'album è "Satans Crusade" (La Crociata di Satana). Hobbs, nel corso dell'introduzione, non trascura il proporre la presenza di una forte componente musicale che, mantenendosi su temi estremamente classici, battezza a suon di distorsione e power chord il velocissimo riff iniziale della canzone. Il brano irrompe a ritmi implacabili, la martellante batteria sembra non voler conoscere compromessi, il riff in tremolo picking riporta ancora in rilievo le influenze della band di Tom Araya e compagni, e la rauca voce colora al meglio le violentissime ritmiche grazie ad un approccio old school come non mai. La vera essenza del thrash metal anni '80 è qui protagonista, ed Hobbs sferra colpi su colpi attraverso una traccia caratterizzata da rapidità e aggressività inaudite. Dobbiamo aspettare i due minuti e trenta per assistere al primo ed unico rallentamento del brano, con un ritmato riff mid-tempo dove la vocalità diviene quasi sfondo, piuttosto che essere una protagonista in prima linea. E' da questa sezione più lenta che parte un'evoluzione musicale fluida ed elegante, dove il supporto del basso è di primo rilievo nel mix, e le capacità musicali del chitarrista compositore salgono in cattedra. Maestosa, nobile, opportuna: questa parte è perfetta nel succedere a quella estrema della prima metà di brano, e dona al pezzo davvero un qualcosa in più. Terminato questo stupendo frangente, segue poi una nuova accelerazione, e l'assolo di chitarra schizza a più non posso portando il brano a concludersi su ritmi da totale carica di adrenalina. La canzone rende fede come non mai al titolo: "la crociata di Satana" ce la si aspetta volgare e violenta come non mai, ed è proprio questo che Hobbs è riuscito a trasmettere in questi quattro minuti e quaranta d'ascolto. Il testo è estremo come pochi, qui il protagonista implora Satana di prenderlo come suo servo e schiavo sessuale all'interno degli inferi: "Sono una troia che attende i tuoi ordini", citando letteralmente le liriche del brano. Nel pezzo si inneggia poi al signore del male e alla venuta del suo regno, che dovrà controllare la Terra portandola nel più totale caos: e voi, siete pronti alla discesa delle tenebre sul mondo?
Lucifers Domain
Siamo giunti al penultimo brano di questo lavoro, "Lucifers Domain" (Il dominio di Lucifero). Colpisce l'incredibile ingresso della traccia, da subito estrema e ruggente, dai ritmi asfissianti e implacabili. Un piccolissimo rallentamento lo ascoltiamo dopo trenta secondi, ma è solo un brevissimo frangente di transizione perché la band ben presto torna in auge con un nuovo riff di matrice classica, magari non altrettanto rapido, ma comunque aggressivo e sostenuto. Eccezionale il lavoro del batterista dietro le pelli, la base ritmica è davvero di tutto rilievo. Giusto non dare spazio solo ad Hobbs, quando altri grandi musicisti meritano la loro fetta di riconoscimento. Il brano è interamente strumentale per il primo minuto d'ascolto, poi la voce irrompe unendosi ad un nuovo e velocissimo frangente ritmico. "Lucifer's Domain" si contraddistingue per una serie di brevissimi stop and go, che sostengono i momenti di transizione mantenendo comunque alta l'attenzione dell'ascoltatore. A metà brano un classico del thrash metal: la band rallenta momentaneamente il pezzo regalandoci un riff mid-tempo, riff sopra cui fra l'altro si regge l'assolo di chitarra, anche qui più melodico piuttosto che estremo. Se nella prima parte la solistica è infatti lenta, è solo nella seconda che ascoltiamo una parziale accelerazione, ma sempre assecondando la melodia generale della traccia. Il riff portante del pezzo, quello che occupa il maggior minutaggio, è a dir poco infernale, abbiamo davvero la sensazione di sprofondare nelle profondità degli inferi sotto asfissianti colpi di tremolo picking. Al quarto minuto ascoltiamo anche un certo protagonismo del basso, che in alcuni momenti è addirittura in primo piano all'interno del mix nel riff che poi, in fade-out, porta alla conclusione del pezzo. Non una formula nuova in questo disco, quella del brano che scompare progressivamente, ma certamente interessante se utilizzata all'interno di un genere di questo tipo. Il pezzo ci racconta di un'anima a dir poco sfortunata, in quanto tremendamente intrappolata nel regno di Lucifero, vittima di torture e della sofferenza eterna. L'anima si rende ben presto conto di non essere la sola in tale condizione, e che tantissime anime sono vittima del dominio di Lucifero nel suo regno. Si è destinati a servire, per l'eternità, il signore del male, e il proprio unico desiderio, quello di poter fuggire, non sarà mai esaudito.
Marie Antoinette
"Marie Antoinette", capitolo finale di questo "Hobbs Angel of Death", si apre con il ruggente basso di Phil Gresik, ben presto coadiuvato dalla batteria di Darren McMaster-Smith e dalle due chitarre. La canzone viene introdotta lentamente, da un ben serrato riff quasi alla "Am I Evil?", leggendario brano targato Diamond Head. La band non accenna a velocizzare il pezzo, Hobbs e compagni si mantengono su ritmi lenti, disegnando una musicalità coinvolgente e carismatica. Un brano meno estremo, appare quest'ultimo, ma dal grande valore compositivo e di un certo impatto commerciale. Il breve assolo di inizio pezzo è più che godibile e, nella sua semplicità, adempie perfettamente alla sua funzione di valida mattonella d'avvio della canzone. Intorno al secondo minuto d'ascolto i ragazzi ci propongono ancora il riff d'avvio, dal groove deciso e cadenzato, per poi schizzare finalmente a tutta velocità con la robustissima doppia cassa dietro le pelli. Un secondo assolo incentrato sulla leva, alla maniera "Slayeriana", ed un nuovo e pungente rallentamento. Anche la linea vocale, anche dal punto di vista compositivo, appare più melodica e commerciale rispetto a quelle dei brani iniziali. Questa ottava traccia non ci risparmia proprio nulla, perché arrivati al terzo minuto e trenta d'ascolto Hobbs e compagni ci regalano un melodico arpeggio di chitarra, con tanto di assolo sovrapposto, nella pura scuola di band come i Metallica: ciò conferma la tendenza meno estrema e maggiormente commerciale di questa "Marie Antoinette". L'intera fase centrale del brano appare melodica e armoniosa, cullando l'ascoltatore fino al momento di ritorno dei riff di inizio traccia, che con le loro velocità pacate ridisegnano la linea melodica della canzone. Una scelta curiosa, quella adottata per quest'ultimo pezzo, per quanto riguarda l'inserimento in scaletta: quest'ultima andremo ad analizzarla e commentarla in fase di chiusura di recensione. A chiudere "Marie Antoinette" è un vorticoso assolo di batteria, che mostra tutta l'abilità di questo musicista scelto da Hobbs, e che porta il pezzo alla sua definitiva conclusione con tanto di inserimento di una base di tastiera. Il testo narra della decapitazione di Maria Antonietta, che con orgoglio e onore affrontò con fierezza la condanna della ghigliottina, nel suo rivendicare i diritti e le prerogative della monarchia. Alle sei in punto arriva la pena capitale, la testa della sovrana cade, e la sua vita termina una volta per tutte facendo di lei, citando letteralmente il testo, "la moglie decrepita di un re". La band, ancora una volta, conferma la sua vena brutale e diretta, di cui andremo a trattare in fase di chiusura di recensione.
Conclusioni
"Hobbs Angel of Death", l'album del 1988 protagonista della recensione odierna, ottenne un buon successo, e la carriera della band proseguì. Hobbs nel 1990 realizzò uno split con la leggendaria thrash band canadese Razor: il lavoro, intitolato "Hobbs Angel of Death vs. Razor", fu di ben un'ora e un quarto di ascolto in ventidue tracce. Il secondo full-length della band arrivò però nel 1995, con il titolo di "Inheritance". Un lavoro di ben 71 minuti d'ascolto complessivo, contenente l'eccezionale quantità di tredici tracce. L'anno successivo lo scioglimento della band, che si riformò nel 2002. L'anno successivo la compilation "Hobbs' Satan's Crusade", di 47 minuti in undici brani. Poi un lungo silenzio discografico ma numerosi show dal vivo, concerti in Australia e tour europei. E' del 2016 l'ultimo e terzo disco del gruppo, "Heaven Bled", da subito apprezzatissimo. Nel 2019, poi, la scomparsa del leader della band. Una carriera forse un po' a fasi alternate, ma sempre all'insegna dell'attitudine più totale. Hobbs è sempre stato fedele al suo sound, al suo genere preferito, alle sue influenze. "Hobbs Angel of Death" è un album tutto d'un pezzo, integro a più non posso, assolutamente da non perdere per gli amanti del thrash metal vecchia scuola, ma ancor più per gli amanti di quella vena più estrema proposta da su citate band come Dark Angel, Possessed, Slayer. Le liriche sono estreme, a tema satanico, non conoscono censura alcuna, e pure il sound delle chitarre è grezzo e puro come più non potrebbe. Il disco beneficia della produzione a 360 gradi, il lavoro svolto da Harris Johns a Berlino fu di totale spessore. Colpisce tantissimo la qualità dei musicisti selezionati da Peter Hobbs, come afferma la stessa biografia della band, "i migliori a Melbourne". Ciò corrisponde, probabilmente, alla verità: l'altra chitarra di Mark Wooley è infatti perfetta, il basso di Phil Gresik riesce egregiamente a prendersi anche il suo spazio di protagonismo all'interno del mix quando serve, mentre infine a dir poco impressionante è il lavoro batteristico di Darren McMaster-Smith, che riesce realmente a donare qualcosa in più al lavoro, qualora ce ne fosse bisogno. La somma di questi addendi, il risultato di questi fattori, è una pietra miliare del thrash metal estremo della seconda metà degli anni '80, un full che può adeguatamente rappresentare una corrente, affiancandosi solo un piccolo gradino alle spalle rispetto ai più leggendari lavori dell'epoca come "Darkness Descends", "Seven Churches", o il poco successivo "Spectrum of Death". "Hobbs Angel of Death" è molto breve, i minuti di ascolto sono 37 e i brani solamente otto, ma sono dal primo all'ultimo una scarica di energia pura. Non vi è dubbio alcuno sul fatto che sentiremo la mancanza di un artista con così tanto spirito, così fedele alla sua linea, così a suo modo, così affezionato ad un determinato tipo di metal da denominarlo "metal vergine", "metal puro". E qui arriviamo all'unico e solo aggettivo che, più di ogni altro, utilizzerei per questo album: "purezza". La vera purezza del metal senza compromessi, come ora è quasi impossibile da ascoltare, in un'epoca in cui tutto è sempre più contaminato, e l'universo metallaro a riguardo non è ahimé da meno: e allora, è il momento per riscoprire questi lavori, questi artisti, che ci regalano tempi sempre più lontani. E la copertina, in cui il grande metallaro innalza le sue mani fra fuoco e fiamme, è a dir poco perfetto nella sua celebrazione del "sacro metal". Lo stesso titolo, "Hobbs Angel of Death", è come detto un omaggio ad una band integra e leggendaria che non è nemmeno necessario citare, a dimostrazione di ciò che questo album rappresenta e vuole rappresentare. Alziamo in alto un paio di corna, alziamole alte, rendiamo anche noi omaggio a questo artista scomparso, Peter Hobbs, perché ci ha regalato qualcosa che, nel suo piccolo, sarà davvero difficile rivedere. Ciao guerriero.
2) Crucifixion
3) Brotherhood
4) The Journey
5) House of Death
6) Satans Crusade
7) Lucifers Domain
8) Marie Antoinette