HIM

Venus Doom

2007 - Sire

A CURA DI
ANDREA CERASI
26/09/2018
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Se le opere migliori scaturiscono dal dolore e da una condizione mentale instabile, allora "Venus Doom" è la scintilla che sguazza in un mare nero e profondo che inonda ogni singola molecola del corpo di Ville Valo. L'abuso di alcool, la depressione incominciata nel Dark Light Tour e proseguita durante il ritorno a casa, il ricovero forzato in clinica, la separazione dalla fidanzata, la morte per suicidio di uno dei migliori amici, la costante nausea e il sangue rigettato per il fegato a pezzi, sono gli elementi portanti di un lavoro personalissimo e dannatamente cupo. Gli HIM esagerano in tutto, facendo vedere di cosa sono capaci, cercando di dimenticare il processo creativo e il successo di un album discreto come "Dark Light", molto commerciale ma che in un certo senso li ha resi popolari in ogni parte del mondo, specialmente in America, e facendo parecchi passi a ritroso nel tempo, cercando di recuperare suoni e attitudine datati, affondando le mani nella natura del primo album e poi andando ancora più indietro, prendendo spunto dai maestri del gothic metal. Il delicato processo di recupero delle proprie radici musicali, e conseguente svecchiamento di certi cliché, è sofferto e lungo, frammentato da continui ricoveri in clinica, dibattiti tra i membri della band e particolari richieste alla casa discografica. Gli HIM vogliono lavorare senza interferenze esterne, e lo vogliono fare prendendosi tutto il tempo necessario, tanto che le sessioni durano la bellezza di un intero anno, ma quando "Venus Doom", dalla copertina che propone un dipinto di David Harouni, vede la finalmente luce, sorprende tutti quanti, vecchi e nuovi fans, mostrando il lato più selvaggio della formazione finnica. Le disperate liriche, che trattano dei problemi interpersonali e di relazioni stroncate, si sposano con una sezione ritmica mai stata così violenta e oscura, costruita su taglienti riff di chitarra e drumming catacombale. Il gothic metal degli HIM spazza via la sua parte più dolce, pur rimanendo estremamente romantico, ma prendendo forme più doom, annichilenti e cadenzate, e inoltre la costruzione dei singoli pezzi si palesa con maggior carattere attraverso una struttura compositiva adulta e coraggiosa, con un minutaggio molto più lungo del solito e con svariati cambi di tempo. La gelida e genuina sperimentazione di "Greatest Love Songs, Vol 666" incontra le linee melodiche di "Love Metal", per un connubio semplicemente fantastico. Così come il volto ritratto in copertina, stravolto e dai lineamenti disturbati che lo rendono quasi mostruoso, "Venus Doom" narra di un mondo oscuro dominato da mostri, da demoni e da sentimenti smorti. La pallida luce che brillava nei precedenti album adesso è del tutto spenta e il buio ha inghiottito tutto, lo spirito romantico di Valo e company danza nell'oscurità, avvolto dal tepore di una notte infinita e sopraffatto da emozioni amare, perdute tra i labirinti mentali di un vocalist in crisi esistenziale e schiacciato dalla vita. Le vendite schizzano alle stelle sin dal giorno di uscita, i due singoli, "The Kiss Of Dawn" e "Bleed Well", che tentano un approccio a metà strada tra ciò che erano gli HIM agli esordi e ciò che sono diventati con "Dark Light", scalano le classifiche grazie al piglio fresco della melodia e alle furiose chitarre elettriche che nonostante tutto trasmettono potenza metallica. I singoli sono furbi, atti a conquistare nuove orde di vampiri, e flirtano con l'orecchiabilità pur rimanendo metal fino al midollo, ma è il resto del disco a sorprendere e a distaccarsi da certe considerazioni che relegano gli HIM a band dedita a musica semplice, cosa sicuramente vera, ma che non rinuncia mai alla qualità. Il sesto lavoro dei finlandesi è un macigno oscuro, quasi un grido di speranza verso tutti colori che li avevano considerati perduti e assuefatti alla commerciabilità del precedente album. "Venus Doom" è un'opera meravigliosa, forse l'apice assoluto della discografia, ma nasce sotto una cattiva stella, e tanto è celere il successo in tutto il mondo, altrettanto celermente viene dimenticato subito dopo, facendo crollare le vendite alla lunga distanza e insinuando nelle mente di Ville Valo che forse, per risollevare le sorti economiche del suo gruppo, la strada da seguire dovrà essere diversa. Fortemente sottovalutato, specie dal pubblico più giovane, la nuova fatica targata HIM è un gioiello nero che testimonia che quando la band si mette in gioco non ce n'è per nessuno.

Venus Doom

Un fiammifero sfregato e la scintilla che accende il fuoco, Venus Doom (Il Destino Di Venere) parte in quarta immergendosi nella fitta coltre nera scaturita dalla sezione ritmica. La chitarra di Linde e il basso di Migé tuonano scaraventandoci nella nebbia di un pezzo favoloso e dai richiami doom metal. Come da tradizione, l'attacco potente va a infrangersi sul tappeto di tastiere inaugurato da Burton, alleggerendo il suono e concedendo spazio all'innesto vocale di un Valo tenebroso più che mai. "Lasciati tutto alle spalle, ora, per guardarla strisciare. Attraverso i nostri oscuri giardini della follia lei sarà la luce che ti guiderà verso casa. Dalle solo un bacio per cui valga la pena di morire e apri le braccia". Liricamente, il testo parla di una dolorosa separazione, una perdita che fa sprofondare la vittima nella follia e nell'irrazionalità. La sezione ritmica scalcia nuovamente ed ecco il bellissimo refrain, che è anche un canto di speranza per una sanità mentale da riguadagnare: "Guardami cadere per te, per il destino della mia Venere. Nascondi il mio cuore dove sono sepolti tutti i sogni. Tutti i sogni sono di te, destino della mia Venere". Irresistibile è l'oscura melodia, costruita su un drumming schiacciante e delineata da un fraseggio chitarristico vertiginoso. Le tastiere si innalzano, ci accompagnano nella seconda parte del brano, la chitarra di Linde emette degli strani suoni in sottofondo che assomigliano a lamenti infernali. "Piangi tutto il tuo cuore e lei rantolerà incantata in una tragica estatica agonia, e nelle sue fiamme moriremo un po' di più. Mostrami solo una vita degna di essere vissuta e illumina l'oscurità". Linde Lindstrom si scatena con un brillante assolo che fomenta i cuori di tutti i fans, poi il break celestiale elaborato dalle tastierel le quali rilasciano una dolce cantilena a mò di carillon, me ecco che ci avviciniamo alla sezione più seducente: Gas, batterista molto sottovalutato ma decisamente compatto, ha modo di impossessarsi della scena, impartendo un ritmo cadenzato, dai toni rallentati, il funeral doom si palesa nel migliore dei modi e la voce di Valo si fa catacombale. "Trattienimi nella tua offerta infernale, toccami se cado, non perderti ancora in questa sofferenza. Resisti", declama il vocalist col timbro più grave possibile, tanto che fa rabbrividire, liberandosi dai suoi demoni per mettere in musica tutto il suo dolore. Basterebbe solo questa sezione per definire la traccia un capolavoro, ma non solo, poiché mostra una band che torna alle radici, quelle più oscure, quelle più doom e gotiche. L'epilogo è nuovamente affidato al ritornello.

Love In Cold Blood

Un suono mandato in loop crea un effetto particolarmente straniante, dunque la sezione ritmica raggiunge le casse sprigionando un vortice metallico con le chitarre che alzano un polverone minaccioso e le tastiere che emettono rintocchi liquidi simili a pioggia battente. Love In Cold Blood (Amore A Sangue Freddo) è la traccia che narra di un amore sofferente per via di un'umanità preda di follia e di vizi, schiava di una stupidità che rende gelidi cuore e sangue. Sulle tastiere si impongono un dolce arpeggio di chitarra e una batteria controllata, e allora prende forma concreta la bella strofa: "Le cosce serpentine dell'amore si avvolgono attorno a me alla ricerca della morte. Inzuppato di sangue l'adorata e amata si arrenderà ad un..", ma non c'è tempo di riflettere troppo perché la band punta dritta al punto, il ritornello è potentissimo, sulfureo, dominato da cori che contornano la splendida voce di Valo potenziandone l'effetto malefico: "Amore a sangue freddo. Soffiami nella dolce sofferenza. Amore a sangue freddo, fammi uscire dal mio tormento". Il cuore del vocalist è straziato dalla perdita dell'amata, ma le liriche riflettono anche sulla situazione generale del mondo, covo popolato da cinici e scandito dal rumore di cuori di vetro infranti e fatti a pezzi. "Gli occhi felini dell'amore brillano nell'oscurità della sua ragnatela, resi demoni da una percezione divina esaliamo il nostro ultimo respiro". Certamente le liriche non sono proprio positive, la speranza è ormai andata, la morte è inevitabile, presto tutti noi saremo accolti tra le braccia dell'oblio. Il bridge è passionale, semplicemente straordinario: "Tesoro, portami a casa, nel castello fatto di teschi ed ossa, cantami un canto per ricordare a quale luogo appartengo. Tra le tue braccia, amore mio, a sangue freddo". La casa descritta è la tomba, fatta di ossa e di teschi, di polveri e ceneri, ma l'amore va oltre l'aspetto terreno, e si protrae in eterno. Linde non è mai stato così dominante, in "Venus Doom" ha modo di far vedere quanto vale costruendo l'ennesimo bellissimo assolo, poi, quando sta per terminare la sua performance, il ritmo scema lentamente, sfumando in tonalità doom guidate da un Gas in grande spolvero. Burton interviene per qualche secondo introducendo la coda finale, lunghissima, nella quale Ville Valo si dimena, gridando a più non posso, ripetendo il funesto ritornello e lanciano una seconda parentesi strumentale. La costruzione del pezzo è molto articolata, e mette in mostra una band senza limiti, che osa come non ha mai fatto prima. Linde torna alla chitarra, il suo assolo questa volta è più morbido, meno pungente, l'atmosfera è intima e gravosa. Questo è gothic metal ai massimi livelli.

Passion's Killing Floor

Passion's Killing Floor (Il Mattatoio Della Passione) si muove tra linee sinuose e spiragli doom, l'attacco è lungo e cupo, con la chitarra e il basso in eterno conflitto dai quali scaturisce un suono nebuloso e gracchiante, poi intervengono le tastiere a centellinare le dosi di veleno da assumere. "È poesia incisa nella carne, questo nostro bellissimo inferno. Confessiamo il più mortale dei peccati e lacrime di gioia riempiono i nostri occhi. Siamo al sicuro dove santi sfigurati gridano le loro profezie di vendetta". L'inferno elencato nel testo è quello in cui è sprofondato il vocalist, divorato dalla depressione e dal malessere fisico, e infatti tale dimensione interna è evidenziata maggiormente nel grintoso e crepuscolare ritornello: "Il mio cuore è un cimitero e con il male noi facciamo l'amore nel mattatoio della passione. Tra le mie braccia non dormirai al sicuro e di lussuria siamo rinati, in questo mattatoio della passione". La chitarra fuzz, polverosa e scarna, ci conduce alla seconda strofa, sempre decorata dai rintocchi glaciali delle tastiere di Burton, che tendono quasi a ipnotizzarci attraverso suoni liquidi e astratti: "Con il primo bacio i semi dell'odio sono stati piantati, e di nuovo nell'oscurità fuggiamo per strappar via i nostri cuori. Siamo al sicuro dove la fede fallisce, vivi dentro la nostra tomba". Siamo nel giardino della follia, covo di anime perdute nel turbolento limbo della perdizione. I morti camminano sbilenchi tra i fiori del male, in questa fitta vegetazione nera che divora cuori e spezza ossa. Eppure, nonostante l'atmosfera tetra e pericolosa, l'amore fa luce nel buio, riscalda, consola, fa sentire al sicuro come fosse fede. Il cambio di tempo è repentino, Gas si scatena col suo drumming possente, le chitarre si induriscono, dal sottosuolo emergono come zombie delle voci demoniache; è ancora il ritmo doom a dominare la scena, e noi siamo proiettati in questo antro infernale dal quale non siamo in grado di uscire. L'aria cupa e funera del break centrale viene spazzata via dal ritorno del chorus, che ci riporta su lidi meno ossessivi, dandoci modo di fuggire attraverso un piccolissimo spiraglio di luce simboleggiato dalle linee melodiche. Potente, oscura, sensuale, "Passion's Killing Floor" è stata inserita addirittura nella colonna sonora del film "Transformers" di Michael Bay.

The Kiss Of Dawn

Il primo singolo estratto dall'album è The Kiss Of Dawn (Il Bacio Dell'Alba), brano in linea con la tradizione HIM, che vede una grande prestazione di Migé, dal basso possente che gronda sangue, e che si stende per tutta la durata duellando a più riprese con la chitarra elettrica del compagno Linde. "Sono accecato come te dalle lacrime versate, teniamo cara la confusione che ci separa. Guardami negli occhi e saluta le nostre paure con un bacio d'addio". Qui troviamo una particolarità, e già si dovrebbe capire il piglio orecchiabile della traccia, perché la potenza dei singoli blocchi viene invertita: le strofe appaiono potenti e dal cantato demoniaco, mentre il ritornello giunge soffice ai nostri timpani, con un Valo romantico che racconta quasi incantato del suicidio dell'amico, volato incontro all'aurora: "Sto raggiungendo la tua ombra, annegando nel bacio dell'alba. Toccando il dolore con cui mi hai lasciato al bacio dell'alba". Nonostante la morte del ragazzo, il vocalist cerca di raggiungere la sua ombra, magari per strapparlo all'eternità e riportarlo in vita, ma è troppo tardi oramai, l'alba ha inondato di luce il suo spirito. È interessante notare la contrapposizione di luci: se la vita viene descritta come funerea e costantemente adombrata, la morte è un raggio di luce che riscalda, un'alba affascinante e confortante. "Sono stanco dei giochi che faccio con te quando non sei qui. La morte libera dalla paura di morire, è vero, non aver paura. Lascia che ti guardi negli occhi e veda la morte passarci accanto". Il clima tetro viene inscenato dalle tastiere, sempre presenti, che donano quel tocco cosmico in più, simboleggiando il fluttuare dell'anima dopo la morte. L'arpeggio è mistico, ma la batteria pesta duramente, dunque ecco il solo spacca-cuori che stordisce e annienta, facendo da trampolino per la fase conclusiva. Ma non è finita qui: gli HIM sorprendono ancora, e dopo l'ennesimo chorus, ecco la parte ambient dominata dall'elettronica, destinata ad evolversi dilungandosi in un riffing graffiante, da brividi sulla pelle, che va di pari passo con i lamenti sofferti del cantante. Quando la band decide di non risultare semplice, persino in un singolo da classifica, ecco il risultato. Un gioiello.

Sleepwalking Past Hope

Mai arrivati fino a questo punto, mai così sperimentali, i dieci minuti di Sleepwalking Past Hope (Sonnambulo Dalla Speranza Passata) sono un geniale inno alle tenebre, un capolavoro dominato da veri colpi di genio, da intermezzi, da cambi di tempo e da innesti melodici da lacrime. Burton accarezza le note del piano, illudendoci di ascoltare una struggente ballata d'amore, invece la chitarra di Linde squarcia l'idillio e ci fa sprofondare in un lago profondo dalle acque putride e melmose. La voce di Valo si stratifica, assumendo connotati demoniaci, descrivendo la separazione dalla sua ragazza, Jonna Nigrén, che lo ha fatto cadere in un vortice di disperazione: "Ho nascosto le chiavi per aprire il cuore dell'amore, per trattenermi nel dolore e nella sofferenza più dolci. Tutto è sleale in lussuria e in guerra, redenzione oltre il giusto e sbagliato". La sezione ritmica inaspettatamente si addolcisce, infestando l'ambiente con continui arpeggi di chitarra e rintocchi al piano: "Nei nostri cuori l'amore parla dolcemente alla disperazione, e va avanti, sonnambulo dalla speranza trascorsa. Tutto è perso in questa guerra, e tutto ciò che possiamo fare è lamentarci e piangere la canzone più triste", recita un ritornello leggiadro e immaginifico, ricco di poesia, sempre accompagnato dalle tastiere che ci cullano in questa dimensione notturna, che ci induce tutti a fare da sonnambuli assieme al protagonista della vicenda. Il basso penetra prepotente nei timpani dell'ascoltatore, poi insieme alla chitarra intavola la seconda strofa: "Ho spento la luce per abbracciare le tenebre, per essere accanto a te senza trasformarmi in te, mia cara. Per sempre siamo persi nella tempesta delle nostre anime, ognuno il riflesso delle colpe dell'altro". Il primo importante cambio di tempo arriva dopo il secondo refrain, quando Linde si lancia in un lunghissimo assolo che spezza in due l'intero brano, introducendo poi l'intermezzo più bello mai prodotto dagli HIM. Tra i campanelli suonati da Burton, in un'atmosfera catartica e sonnambula, la voce di Valo raggiunge il cuore del pubblico invocando una cantilena funebre: "Mi sono arreso tanto tempo fa, dipingendo l'amore con un flusso cremisi, ho perso il sangue e la speranza così non ti dipingo più", e poi si rafforza "Il mio inferno inizia dal decimo e discende al cerchio 666, e da lì striscio sotto gli artigli di Lucifero solo per un ultimo bacio". L'inferno è ben descritto dalle liriche, il sonnambulo è stato bruciato dalle fiamme dell'inferno, e per trasmettere il dolore di questa anima in pena, ecco che si palesa la chitarra elettrica, la quale fagocita la musica con un riffing potentissimo che presto si trasforma in un assolo metallico che sibila come la fauci di una serpe. Tornano in auge le tastiere, ridimensionando il tutto, riportando poesia e incanto. Il ritmo si incupisce di nuovo, il doom metal si protrae fino alla fine accompagnato dai versi androgini di Valo.

Dead Lovers Lane

Il romanticismo decadente di Dead Lovers Lane (Vicolo Degli Amanti Morti) colpisce dritti al cuore, come fosse una freccia avvelenata scagliata dalla cine di una montagna, ma presto si fa spazio la parte metallica, per un'alternanza tra melodia e potenza che conquista al primo ascolto. Le linee melodiche delle strofe sono una meraviglia: "La disperazione ha un volto e tutte queste ferite restano non curate. Tutti i cuori sono consacrati ad uccidere, schiavi della volontà dell'amore ed eccitati per iniziare tutto una volta ancora". Ancora una volta si racconta di un amore sofferto, di un rapporto conflittuale destinato a finire, tra lacrime e rimpianti, e di un vuoto contemplato nel bellissimo ritornello, che assomiglia tanto a un'elegia funebre: "Striscia lungo il vicolo degli amanti morti, il labirinto delle memorie sbiadite, e risucchia via il sangue dal mio cuore. Urla invano il nome dell'amore, abbraccia di nuovo il dolore e perditi nell'oscurità, nel vicolo degli amanti morti". È particolare il clima proposto, poiché se da un lato troviamo un testo estremamente negativo e privo di speranza, dall'altra abbiamo modo di assaporare degli innesti melodici sognanti e quasi spensierati, scanditi soprattutto nelle strofe e che contrastano fortemente con le parole declamate dal prode Valo: "La paura ha un nome, scritto sulla terra sconsacrata con foglie morte, quelle parole non riescono mai a saziare la fame che sogna, i nostri bisogni oltre la stretta del dio". L'assolo di chitarra è pungente ma destinato a spegnersi quando un muro liquido viene eretto dalle tastiere, creando un gustoso momento elettronico che fluttua nel tempo e nello spazio. Il pezzo decolla ancora una volta con il ritornello in primo piano, ma gli HIM in questo disco fanno di tutto per non risultare semplici e allora farciscono il tutto con cori e contro-cori, inaugurando una coda finale che si evolve in una cerimonia funebre di grande impatto sonoro. "Dead Lovers Lane" avrebbe potuto essere il terzo singolo estratto: dal piglio fresco e impattante, le melodie affascinanti, l'andamento trascinante. Peccato solo che l'album, dopo il boom iniziale, cade presto nel dimenticatoio, e allora l'idea di lanciarlo viene, poco dopo, accantonata sia dalla band che dall'etichetta.

Song Or Suicide

Durante le registrazioni in quel di Los Angeles, il frontman Ville Valo viene a sapere del suicidio di un suo amico stretto,  e così, la sera stessa, nella sua stanza all'interno dello Chateau Marmont Hotel, imbraccia la sua chitarra classica e registra su nastro, davanti al caminetto, una struggente ballata di un minuto, riprendendo il testo di un libro dell'autore finlandese Timo Mukka. Song Or Suicide (Canzone O Suicidio) è un gioiello di malinconia per sola voce e chitarra, concepito in un lampo di genio, e si tratta di un dolce intermezzo ricco di tristezza e di sentimento, ma che Valo descrive come un'ode di speranza, un canto che fa gridare al mondo di andare avanti, di continuare a vivere senza arrendersi. "La mia malinconia mi rigenera non appena mi allontano dalla luce, la tristezza mi rinforza mentre dico i miei addii". In questo passaggio il vocalist ricorda i momenti trascorsi con l'amico defunto, ma nonostante tutto, nella tristezza di quell'istante egli trova il coraggio di reagire, dicendo addio al suo caro. E poi ancora, nel secondo brevissimo blocco: "Guarisco le mie ferite con l'angoscia e sogno di te, e piango fino a sentirmi vivo". Un minuto intenso, cullato dalla voce unica di Ville seduto davanti al fuoco. Un momento magico, passionale, intriso di profonda amarezza, ma anche di luce.

Bleed Well

Bleed Well (Sanguini Bene) rappresenta il secondo singolo del disco, forse il pezzo più prevedibile di tutti, meno bello ma comunque di qualità, che ci riporta indietro nel tempo, esattamente allo stile di "Razorblade Romance", per un mix tra gothic e glam metal. Non a caso la melodia è serena, il piglio aggraziato, adatto per scalare le classifiche mondiali. "Hai avuto demoni da uccidere dentro di te che gridavi, con una pistola caricata di colpe, hai aperto loro gli occhi. L'amore preda i vivi ed elogia i morti, nel profondo dei nostri cuori siamo stati sposati dalla morte". Troviamo una coppia in procinto di separarsi, un amore stroncato, che elogia i morti e scaccia via i vivi. Non è certamente una condizione serena, ma le liriche trovano comunque una loro positività grazie alla musica. Basso e chitarra si mescolano in giri vorticosi, ma sono le tastiere a fare la parte del leone, brillando soprattutto nel buon ritornello: "Sanguina bene l'anima che stai per vendere per una folle passione. Dimmi che stiamo sanguinando bene. Sanguina bene il cuore che stai per perdere per folli motivi, uccidi e dimmi che stiamo sanguinando bene all'inferno". Il videoclip, girato tutto in una stanza buia e dai colori smorti, che vede la band in sala prove, identifica bene le sfumature della narrazione, specialmente la claustrofobia di un'anima perduta in un mondo defunto, in un inferno personale che non ha via d'uscita. "Nessun amore perso per propria volontà, ti ho sentita piangere e su quelle parole una chiesa è stata costruita per contenere il dolore. Se la morte è la risposta ai misteri dell'amore, allora continuiamo a sanguinare, tesoro mio, al suono di un sogno". Va detto che le liriche dell'intero album sono davvero ispirate, un Valo così profondo, guidato dai fumi dell'alcool e dal malessere insito nel suo animo, qui trova la sua massima forma. Un pezzo suggestivo, orecchiabilissimo, che ottiene un successo strepitoso in America ma che fatica a conquistare le radio e le tv europee, scomparendo poche settimane dopo la sua pubblicazione.

Cynaide Sun

Il suono metallico iniziale evoca un sole pallido che si staglia oltre le colline, un sole portatore di morte e di distruzione, corrotto e violato da una razza umana che non ha rispettato la natura. Cynaide Sun (Sole Di Cianuro) è una danza doom annichilente, suddivisa in blocchi, che si fa strada tra freddi rintocchi al piano e arpeggi romantici pronti a diventare ruggiti felini. "Avrei dovuto sapere quanto è difficile smettere di lacerarsi a vicenda, separare anime intrecciate con tutte queste labirintiche bugie", Valo è quieto, si fa cullare dalle tastiere che sono raggi di luce pallida sul suo volto, ma ben presto giunge il pre-chorus, dal basso predominante e dal drumming vigoroso: "Sono morto per te, un'ombra condannata, il mio amore per sempre nell'oscurità, e di tutte queste falsità la più vera sei tu, troppo vicina al mio cuore". Il refrain è un diamante che riluccica tra le tenebre, un passaggio paradisiaco che identifica un vuoto incolmabile, pregno di ricordi e che sprofonda nella malinconia più tetra: "Questo vuoto è diventato la mia casa, abbracciando ricordi di sogni da tempo passati. Un'ultima carezza dal cadavere dell'amore è tutto ciò che voglio, sotto un sole di cianuro". La melodia vocale è immensa, abbraccia l'ascoltatore con calore e lo avvolge in un manto di velluto, suggellando questa danza funerea con la morte. "Abbiamo navigato i mari del dolore su una zattera costruita con le nostre lacrime, cercando il modo per sparire per un momento dalle nostre paure più profonde. Ti farò affondare in questo fiume di malinconia, per sempre nel mio cuore". Dalla sofferenza della perdita dell'amata parte l'assolo di chitarra, che suggella questo triste momento, mentre il buon Burton sperimenta suoni invadenti che sembrano pezzi di vetro rotti, come a sottintendere le lacrime versate per l'abbandono, ed è qui che Valo ci lascia con un ultimo glaciale, cianotico addio, declamando per l'ultima volta, ma contornato da cori paradisiaci, le parole dello splendido e morbido ritornello. Una ballata spettacolare, un tributo alla vera canzone, un inno all'oscurità, una danza ancestrale che irradia di stupore ogni organo e ogni muscolo, lasciando l'ascoltatore confuso e stordito, con un spaore amaro in bocca, ma con i padiglioni auricolari decisamente soddisfatti.

Conclusioni

Il dipinto di Harouni mostra una donna dal volto sconvolto, come se si fosse svegliata di soprassalto nel cuore della notte, e se il lato destro è semi-normale, quello sinistro comincia a dissolversi perdendo lineamenti e diventando astrazione, forse metafora del sogno infranto che stava facendo nel sonno. In "Venus Doom" Valo canta i pensieri e i sogni di questa donna, un personaggio solo, preda di demoni, di incubi, schiavo dei vizi, come quelli del fumo e dell'alcool, o dell'insonnia che tormenta il fisico e della depressione che lo stritola proiettandolo in una spirale imprudente e logorante. L'assennato frontman dei dischi precedenti non è esiste più, perduto nella malattia, e l'unico modo per sopravvivere è la musica, i restanti membri lo assecondano nei suoi deliri e partoriscono i brani più potenti e cupi in carriera. Ascoltare "Venus Doom" significa perdersi in questi tetri labirinti dell'animo umano, tra sconforti e delusioni, ma che alla fine conducono, attraverso profonde riflessioni, all'uscita dal tunnel, alla rinascita spirituale, alla salvezza. Il tema della separazione è presente nella title-track, dove la donna delle liriche è incarnazione di una Venere delusa dagli umani, o in "Passion's Killing Floor", canzone selezionata per la soundtrack del film "Transformers" di Michael Bay, e anche nella seducente e lunghissima "Sleepwalking Past Hope", della durata di dieci minuti, ispirata alla tormentata separazione con la fidanzata Jonna Nigrén. Poi c'è il tema del suicidio, ritratto nei brani "The Kiss Of Dawn", dove c'è questo suicida, probabilmente l'amico di Ville, che si getta incontro all'aurora, e nell'intermezzo acustico "Song Or Suicide", quest'ultimo registrato su nastro nella camera dello Chateau Marmont Hotel di Los Angeles, che riprende un verso amaro ma ricco di speranza di un racconto dello scrittore finlandese Timo Mukka. Mentre il secondo singolo "Bleed Well" e la memorabile ballad conclusiva "Cynaide Sun" raccontano i tormenti di un'anima lacerata dalla malinconia e da un passato che non riesce a lasciarsi alle spalle. Ancora una volta troviamo un album costituito da contrapposizioni, a partire da un titolo bello e significativo: se Venere identifica l'amore e la sacralità umana, il destino della parola "doom" non è certamente benevolo, ma nefasto e oscuro. In questa dialettica tra luci e ombre, tra mortalità e immortalità e tra fortuna e fato, gli HIM costruiscono un disco incredibile, estremamente maturo, le cui ambientazioni saranno riproposte non solo nel relativo tour, dopo la disintossicazione del vocalist, ma nel concerto più bello e coinvolgente dell'intera storia della band, immortalato nella serata del 14 novembre all'Orpheium Theatre di Los Angeles e in seguito rilasciato nel live-album "Digital Vesatile Doom". Purtroppo la fanbase della formazione finlandese si divide in due parti, da un lato i seguaci di vecchia data, quelli legati al metal e alle sue derive, che accolgono l'inversione di marcia con grida di giubilo, e dal lato opposto la nuova schiera, guidata soprattutto dagli adolescenti americani e asiatici, che magari hanno scoperto gli HIM più tardi, col pluripremiato "Dark Light", album leggero e sempliciotto, che non approvano il ritorno alle origini, anche se va detto che "The Kiss Of Dawn" è il singolo di maggior successo negli U.S.A., piazzandosi tra le prime posizioni per diverse settimane. A questo punto, alla band non resta che prendere una decisione: proseguire su questi incerti territori oppure flirtare con la commerciabilità e col pop-metal come nel precedente disco. Sfortunatamente l'opzione scelta è la seconda, il dio denaro ha la meglio sulle coscienze dei musicisti, tanto che gli HIM faranno ritorno a una forma standard e commerciale che confluirà nel peggior album in carriera: "Screamworks: Love In Theory And Practice", titolo che è tutto un programma, studiato a tavolino per vendere e lanciato il 14 febbraio 2010, giorno di San Valentino. Un album comunque piacevole, più solare rispetto al solito, e che mostra la grande classe del combo finnico, ma la magia di "Venus Doom", così come quella di "Love Metal", di "Razorblade Romance" o del debutto è andata perduta per sempre. La ricerca ossessiva del successo spesso e volentieri tende, se non a rovinare, almeno a ridimensionare il talento. Il compromesso è un limite creativo molto forte e i membri del gruppo lo capiscono alla fine del decennio, tanto che da "Screamworks" iniziano gli screzi col proprio leader, che pensa forse più al profitto che alla sperimentazione, e dal 2010 la gabbia d'oro degli HIM comincia a creparsi. "Venus Doom" invece è la testimonianza ultima della grandezza degli HIM, l'ultima brillante scintilla di una band che ha voluto sempre autoimporsi dei limiti artistici e che se solo avesse osato di più avrebbe potuto continuare a sfornare opere meravigliose come questa.

1) Venus Doom
2) Love In Cold Blood
3) Passion's Killing Floor
4) The Kiss Of Dawn
5) Sleepwalking Past Hope
6) Dead Lovers Lane
7) Song Or Suicide
8) Bleed Well
9) Cynaide Sun
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