HIGHRIDE
Highride
2013 - Self
DONATELLO ALFANO
09/12/2014
Recensione
Giovani, determinati e sfrontati; se qualcuno dovesse chiedermi una manciata di aggettivi per descrivere gli svedesi Highride non avrei nessun tipo di esitazione nel citare in primis questi tre. La band nasce ufficialmente a Stoccolma nel gennaio del 2006 con il nucleo originario composto da: Peter Waljus (voce, chitarra, percussioni) Andreas Falk (basso) e Nicke Rosell (batteria) dopo la consueta trafila composta da lunghe ore passate a provare in garage il trio nel 2008 inaugura un'intensa attività live per promuovere una miscela esplosiva in bilico tra punk e rock 'n' roll. L'ingresso del chitarrista Ted Philip nel 2010 completa una formazione capace di esibirsi in più di ottanta concerti, arrivando anche a ricoprire il ruolo di opening act per nomi prestigiosi della scena svedese come Hardcore Superstar e Crashdïet, indubbiamente queste esibizioni rappresentano dei traguardi decisamente importanti per uno di quei tanti gruppi chiamati a raccogliere l'eredità dei big del genere (con Backyard Babies e The Hellacopters in testa). Nel settembre del 2012 gli Highride pubblicano il primo singolo "Song Of Your Decay", seguito ad agosto dell'anno successivo da "Bad Habit", con queste tracce il combo ha trovato il modo più efficace per anticipare il debut album omonimo. Pubblicato il quattordici dicembre del 2013 il platter pur essendo un lavoro autoprodotto si presenta in veste professionale sotto ogni aspetto; partendo da una copertina che con dei colori opachi ritrae il gruppo in primo piano con tanto di pettorali, eyeliner e tatuaggi in bella vista fino ad arrivare ad una scintillante produzione curata al Sunlight Studio da Tomas Skogsberg, storico producer conosciuto nel panorama rock/metal per un curriculum che annovera tra gli altri Entombed, Dismember, Tiamat, Grave, Katatonia, Amorphis ed i sopracitati Backyard Babies e The Hellacopters. Dai volti dei quattro traspare un pizzico di sfacciataggine necessaria per poter affrontare un mondo spietato ed effimero come quello del music business odierno e tutto questo contando esclusivamente sulle proprie forze. Un atteggiamento che come ben sappiamo ha radici lontane ma nel caso degli stoccolmesi rivolge lo sguardo con decisione al presente; da questo punto di vista il modo con cui la band sta sfruttando le potenzialità del web per farsi conoscere ed espandere il raggio d'azione, è più che significativo. L'unica cosa da fare ora è premere il tasto play e lasciarsi travolgere dalla musica degli svedesi...
L'opener "Bad Habit" (Vizio) cancella ogni dubbio sulla direzione stilistica del four piece; la voce e la chitarra di Peter irrompono con una linea melodica tanto rapida quanto incisiva, l'ingresso degli altri strumenti dopo cinque secondi trasforma il brano in un impetuoso up tempo governato da una performance canora profondamente radicata nello stile rude e screanzato del punk. Il frontman nelle strofe si destreggia tra armonia ed impulsività toccando l'apice in un ritornello accattivante e rinforzato da un coro in grado di racchiudere l'essenza del rock più viscerale e selvaggio. Le rullate di Nicke nel break preparano il terreno ad un assolo che rispettando in pieno i canoni del genere è indirizzato soprattutto sull'impatto ma questa caratteristica non sminuisce la propensione della band nell'evidenziare anche il più piccolo dettaglio, da questo punto di vista il contributo di Skogsberg svolge un ruolo basilare nel sound creato dagli Highride. La ripetizione del ritornello ed un improvviso aumento del ritmo firmano l'epilogo in una storia che ha come protagonista un uomo deciso a trascorrere un'esistenza disordinata e piena di eccessi; dopo l'ennesima nottata di baldoria si ritrova sobrio e senza soldi, il suo pensiero è quello di racimolare velocemente del denaro per passare altre serate all'insegna della sregolatezza, continua a domandarsi perchè si sente così bene vivendo in questo modo ma non troverà mai una risposta ("dammit, why does it feel so good?/feel so good, bad habit/still you know I would quit if I could"). Un rimbombante drumming simil-tribale e le impennate delle sei corde introducono la successiva "Miss Misery"; episodio veloce e guidato da un'altra brillante interpretazione del cantante, le sue scorribande vocali si incastrano sul possente muro sonoro costruito dalle chitarre, questa simbiosi costituisce il leitmotiv della traccia terminando nelle aperture melodiche di un refrain catchy e creato con il preciso scopo di trascinare il pubblico nelle infuocate esibizioni live del quartetto. Il solo di Ted in una ventina di secondi oltre ad aumentare il livello di adrenalina riafferma una ricerca melodica che pur ispirandosi da alcuni mostri sacri della scena rock non risulta mai ripetitiva o scontata. Una vita sregolata e dissoluta continua ad essere il tema principale nelle liriche del combo; il protagonista passa tutte le sue serate senza porsi alcun limite e senza rimpianti per delle azioni deplorevoli che lo rendono appagato, il titolo sembra quasi la rappresentazione di una personalità difficile, contorta e definita dalla gente irrazionale o sensazionale ("some people call me irrational, some people call me sensational/but I don't care what people say, I do what I do and walk my way/there goes miss misery"). "Song Of Your Decay" (Canzone Per Il Tuo Decadimento) in quattro minuti e tredici secondi rivela una struttura più articolata rispetto a quanto ascoltato finora: una sequenza di rumori sinistri in fade-in precede un riffing affilato sovrapposto ad un intervento in fase solista di Philip incentrato su un valido utilizzo dell'effetto wah-wah. L'andamento cadenzato delle strofe riversa una tensione crescente pronta ad esplodere con tutta la sua forza prima nell'armonioso bridge e successivamente nel ritmo veloce di un chorus che si distingue per incisività e per dei rapidi controcanti inseriti per accentuare le melodie plasmate da Waljus. Nella parte centrale spunta una registrazione tratta da un discorso di Richard Nixon, le parole del presidente più controverso e contestato degli Stati Uniti cedono in pochi istanti lo spazio ad un assolo che ancora una volta pone in risalto l'inclinazione del guitar player nell'elaborare delle partiture semplici ed efficaci. È obbligatorio spendere qualche parola anche per il video ufficiale realizzato per la traccia con la band intenta a suonare in un piccolo locale circondata da un gruppo di scatenati rockers e da quelle tipiche bellezze nordiche in grado di far girare la testa a chiunque... Il testo esprime una specie di monito rivolto a chi compie un percorso di autodistruzione attraverso qualsiasi tipo di droga (definita "agenda chimica") fingendo che tutto vada bene e scappando da una realtà che potrebbe essere ben diversa ("you run and hide, but you don't knowh why/haunted in your own dreams, where nothing is what it seems"). L'anima punk degli Highride emerge totalmente nella frenetica "Six Feet Down" (Sei Piedi Sotto) le ritmiche dei Motörhead più rabbiosi e l'appeal melodico del panorama statunitense si fondono per dare vita ad una scheggia di centoquaranta secondi governata dalle corde ruvide di Andreas, le chitarre e la batteria seguono l'incipit del bassista delineando la base ideale per le tonalità costantemente sopra le righe di Peter. L'unico rallentamento è rintracciabile nel bridge; quest'ultimo si trasforma rapidamente in un ritornello marchiato dall'assordante ripetzione per quattro volte delle parole che compongono il titolo per poi concludersi con un "down" urlato in maniera ossessiva. Un altro racconto di notti brave e folli domina il profilo lirico degli svedesi; un uomo si sveglia sotto il suo letto stordito e con il sorriso stampato sul suo volto, ama questo tipo di caos ed è sempre più deciso ad affrontarlo ogni notte fino alle prime luci dell'alba ("I love this chaos and it's all alright/and we ain't stopping this mayhem 'til the morning light"). Il rumore degli stivali di un esercito in marcia, i fragorosi colpi sul rullante di Rosell ed un "ein zwei drei" esclamato dal leader danno il via a "On A Roll" (Su di un Rullo) i quattro recuperano la formula di "Bad Habit" arricchendola con una serie di particolari che sottolineano una notevole cura per gli arrangiamenti. Un rifframa diviso in egual misura tra melodia e vigore supporta una prestazione di Waljus decisa e tagliente; il lavoro dinamico del drummer ed i controcanti urlati a pieni polmoni da Falk e Philip nel pre-chorus amplificano il clima riottoso che avvolge la track, aprendo così la strada ad un refrain caratterizzato da uno stravagante rumore in sottofondo e che pur non brillando per originalità risulta perfetto nel sintetizzare la figura di un moderno guerriero metropolitano. Nel quartiere è scoppiata una rivolta; alzarsi in piedi e rifiutarsi di obbedire sono i pensieri che attanagliano la sua mente, è consapevole di essere completamente fuori controllo e che nulla riuscirà a fermarlo ("I'm on a roll again, out of control my friend/this time around there's nothing to stop me, just try me any day/I'm on a roll again"). "Fast Lane" (Corsia di Sorpasso) mostra l'abilità degli Highride nel comporre un brano vario ed avvincente utilizzando soltanto due minuti e mezzo di durata. La sezione ritmica domina di nuovo la scena con un incedere sincopato e nervoso sul quale si erige il suono aggressivo ed iper-distorto delle chitarre, il singer sfruttando la base creata dagli strumenti sfodera una prova grintosa mantenendo le sue tonalità su quei sentieri melodici immediati e accattivanti indispensabili per rendere un pezzo con questo tipo di caratteristiche realmente competitivo, peculiarità riscontrabile in particolar modo nella trascinante energia di un ritornello rivestito da un altro coro intonato a gran voce. Il protagonista del testo è un individuo che vuol vivere sotto il segno della trasgressione andando avanti per la direzione che ha scelto di percorrere senza tentennamenti; in una repentina scalata verso gli abissi della depravazione si rivolge in maniera esplicita anche nei confronti della sua compagna urlando: "mi piace violento, quindi cerchiamo di fare a modo mio, di’ a tua madre che tornerai a casa un altro giorno". Le battute iniziali di "Master Of Disaster" (Signore del Disastro) sono decisamente particolari; aperta da un'introduzione incalzante e melodica dettata dalle chitarre la traccia per qualche secondo assume le sembianze di un piccolo omaggio nei confronti di "Song 2" dei Blur (l'uh-uh scagliato da Peter è identico a quello di Damon Albarn). Dopo questo avvio ispirato dall'hit single della band britannica il quartetto riprende la sua corsa eseguendo un gradevole esempio di punk ’n’ roll moderno dove a fare la differenza sono degli intrecci vocali che per impostazione ed espressività riportano alla mente la grande alchimia mostrata da Dregen e Nicke Borg negli album dei Backyard Babies. La sezione centrale rivela una leggera impronta hard blues, Ted prendendo spunto dagli stilemi del genere propone quello che personalmente ritengo il miglior assolo dell'album, delineando un valore aggiunto in un episodio che tratteggia i pensieri di un personaggio controverso e dal carattere ribelle; tutto quello che tocca sembra rompersi e e tutti quelli che ama sembrano tremare e agitarsi. La contrapposizione tra il bene e il male prende forma nelle classiche figure di un diavolo e di un angelo posizionati alle sue spalle, ovviamente il primo prevale sul secondo perchè gli indica quella che secondo lui è l'unica direzione da seguire, in questa filosofia di vita violenta e distruttiva l'ensemble aggiunge anche una breve autocitazione ("I think I know, with the Highride boys it's always go go go"). Il riff portante di "Black" (Nero) presenta uno schema marcatamente metal oriented; gli accordi utilizzati ricalcano le coordinate tracciate da Judas Priest e Iron Maiden nelle celebri "Running Wild" e "The Wicker Man", gli strumenti muovendosi su ritmiche sostenute e quadrate formano una struttura costruita per enfatizzare il concentrato di melodia ed irruenza scagliato da Waljus. La voce del cantante riversa una dose maggiore di cattiveria rispetto agli altri brani, si tratta della scelta più indicata per dare una ulteriore spinta ad un refrain anthemico e destinato a ficcarsi in testa fin dal primo ascolto. Un rallentamento di dieci secondi anticipa nel break un assolo che riprende in toto le armonie delle strofe, naturalmente ci troviamo al cospetto di una formula conosciuta da decenni ma quando viene reinterpretata con attitudine e capacità come in questo frangente riesce ancora a coinvolgere ogni appassionato delle molteplici sfaccettature del rock. Nel testo il protagonista trova in un'ammaliante figura femminile l'incarnazione di un diavolo tentatore che cerca di trascinarlo in una spirale di perdizione senza via d'uscita, sembra deciso a non cedere a nessun tipo di tentazione e guardando la donna esclama: "sono un figlio di puttana difficile da battere" ("you wanna drag me into the heat, but I'm a tough motherfucker to beat"). In "Sick Conspiracy" (Complotto Malato) gli svedesi puntano alla sostanza della loro proposta attaccando con un riff grezzo e tagliente guidato da una sezione ritmica sempre più indomita; in questa rapida progressione ritmica Peter si sposta velocemente dai toni concitati delle strofe a quelli più alti e minacciosi di un ritornello fortemente influenzato dalla scena punk rock californiana degli ultimi vent'anni e caratterizzato dallo stesso effetto in sottofondo utilizzato in "On A Roll". Le parole descrivono lo stato d'animo di un uomo reduce da una cocente delusione d'amore; una ragazza gli ha spezzato il cuore in due e dopo essersi rimesso in piedi è convinto che qualcun'altra potrebbe ingannarlo nuovamente ma questa volta sa che vincerà lui. Si sente osservato e contemporaneamente vittima designata di un complotto fatto di bugie e tradimenti, la sensazione è quella che stia preparando una crudele vendetta per cancellare definitivamente il suo rancore ("somebody stabbed me in the back, fear my revenge and my attack/no matter what they try to achieve, I do have an ace up my sleeve, I won't let them win"). Il quartetto conclude l'album rivelando un inaspettato lato romantico con "Heaven & Hell" (Inferno e Paradiso) un episodio dall'andamento lineare vicino alla tradizione country rock americana ed introdotto da una chitarra acustica che esegue una melodia simile a quella di "Used to Love Her" dei Guns N' Roses. Le tonalità di Waljus appoggiandosi su una rilevante fusione tra suoni elettrici e unplugged donano al pezzo un mood intimo e spensierato, il frontman senza risultare eccessivamente stucchevole dimostra di trovarsi a proprio agio anche quando bisogna mettere da parte la grinta per lasciare spazio ad un approccio più delicato. Il lavoro solista di Philip è incentrato esclusivamente sull'esecuzione di un'armonia inserita al termine dell'accoppiata strofe/chorus, usando questa breve sequenza di note il chitarrista riesce ad accentuare i sentimenti comunicati dal leader. Il testo a differenza della traccia precedente esprime una dichiarazione d'amore alquanto singolare rivolta alla donna con cui si vorrebbe passare tutto il resto della vita, per arrivare alla vecchiaia con una storia da raccontare e ripensando alla passione che contraddistingue un rapporto talmente infuocato da essere definito diesel vs. benzina. L'unico modo per mantenere questo fuoco acceso per sempre è unirsi ed intraprendere un giro in cui l'amata verà portata in alto come nessuno aveva fatto prima ("join me for a ride, I'll take you high, like no one done before").
Gli Highride in poco più di trenta minuti riescono a delineare tutte le prerogative contenute nel loro sound, gli svedesi non nascondono delle evidenti fonti di ispirazione che costituiscono la base di partenza nel songwriting ma a parte qualche caso isolato le ombre dei numi tutelari non sono così ingombranti da offuscare il lavoro svolto dalla band. Le tracce dell'album ricoprono un lasso di tempo di quattro anni ed infatti alcune come "Song Of Your Decay" e "Fast Lane" denotano il desiderio di elaborare una formula più dinamica lasciando inalterati i tratti distintivi di un genere che per quanto si possa evolvere ed ampliare ha sempre avuto delle regole imprescindibili da seguire. Grazie all'esperienza accumulata sui palchi europei (recentememte sono stati protagonisti di un tour che oltre al nostro paese ha toccato Germania, Austria e Svizzera) i quattro sembrano già pronti per compiere la mossa successiva in un processo di evoluzione che nel secondo lavoro potrebbe mostrare diversi motivi d'interesse, per rendersene conto basta ascoltare attentamente episodi come quelli sopracitati, l'impressione che se ne ricava è quella di un gruppo destinato a trovare una direzione definita e personale legata ad un concetto più esteso nel suonare e comporre rock. I motivi d'interesse comunque anche in questo platter non mancano soprattutto per chi è alla perenne ricerca di quel rock capace di prediligere l'impatto e la melodia ai tecnicismi esasperati. Tirando le somme l'esordio degli Highride è un album da promuovere senza riserve; nel campo in cui si muove l'ensemble emergere e conquistare il successo sono obiettivi piuttosto difficili da raggiungere ma questa prospettiva non intacca la volontà del gruppo di far conoscere il proprio monicker ad un pubblico sempre più vasto. Il primo passo è stato fatto adesso bisogna soltanto attendere il prossimo, con queste premesse sono convinto che nessuno rimarrà deluso.
1) Bad Habit
2) Miss Misery
3) Song Of Your Decay
4) Six Feet Down
5) On A Roll
6) Fast Lane
7) Master Of Disaster
8) Black
9) Sick Conspiracy
10) Heaven & Hell