HIDDEN INTENT

Walking Through Hell

2014 - Punishment 18 Records

A CURA DI
WALTER ANTONIO LANOTTE
15/05/2014
TEMPO DI LETTURA:
6

Recensione

Il Thrash Metal con molta (anzi, troppa) sicurezza può essere considerato uno dei sottogeneri del Metal con maggior successo, vantando molte band autrici, oltre che di grandi dischi, di successi commerciali molto efficienti e per alcuni versi, erculei (si pensi ai Metallica, giusto per fare un exempla della portata di questo genere). In questo mare magnum di attitudine e di pubblicazioni, eclissatesi per un breve periodo per poi ritornare in auge circa un decennio dopo, di unione fra Punk ed Heavy Metal (con tantissime altre contaminazioni), tante sono le band che hanno saputo imporsi negi stereo, nei lettori mp3/mp4, nelle menti di milioni di appassionati con tanta voglia di headbanging e di un po' di sano mosh. Ma altrettante sono le band che hanno proposto materiale anacronisticamente sterile, sia per il contenuto delle composizioni, sia per quello testuale (con tanti testi, ad esempio, sull'amore per l'alcol, come insegnano i Tankard), che dopo poco risultano annoiare il pubblico, o riescono, tuttalpiù, ad essere fonte di facile pit e nulla più. Il Thrash insomma, è un genere non molto semplice da affrontare, contestualizzare e proporre. Specie per i nuovi gruppi che vogliono emulare quell'attitudine genuinamente ottantiana nelle loro uscite. In tale scenario si collocano gli australiani Hidden Intent, formazione composta da 3 elementi che esplicitano fieramente il loro amore (carnale ed alcolico) per l'Old School e quant'altro. Le influenze di band come Megadeth, Annihilator, Anthrax, Exodus sono fonte di orgoglio per gli australiani, formatisi nel 2011 dall'unione del bassista/cantante Chris McEwen (Abyzmal, Troops of Doom, Obsidian Aspect) e del chitarrista Phil Bennett (Desert Eagle, Metallica Black Album Tribute, Iron Maiden Tribute) ai quali poi si aggiunge il batterista Jay Rahaley (Blood Mason, Treachery), che nel 2013 fa uscire questo disco autoprodotto, venendo poi ufficializzato dopo aver ottenuto un contratto discografico con la label nostrana, Punishment 18 Records, prontamente a caccia di buon materiale Thrash. Ma andiamo ora ad analizzare questo album.


Il disco inizia con un intro piuttosto particolare, "Confession", che non è neanche una traccia nel senso ortodosso del termine. In effetti, come il titolo suggerisce, è una confessione telefonica da parte di un criminale che si costituisce alla polizia. E' quasi un monologo ossessivo che parte nello sconforto per poi, proseguire, pian piano, mentre il protagonista descrive i suoi crimini, verso una voce isterica e disperata, che conferisce teatralità a questo inizio che lascia abbastanza sorpresi. Il secondo brano, cioè la title-track del disco, "Walking Through Hell" inizia con alcuni stacchetti di batteria mentre il basso serpeggia maligno un giro efficacie, ma che inevitabilmente sa di già sentito. Poco dopo si sviluppa una struttura portante dei primi riff, che si concatenano molto bene fra loro, dando una certa unitarietà di fondo al pezzo, ma che risultano un po' scontati anche per chi cerca solo del facile mosh. Poco dopo s'inserisce la voce, che risulta piuttosto piatta nell'adagiarsi sui riff, specie quando si avventura in acuti, dopo il timbro del cantante sembra essere fuori luogo e poco convincente. Nel ritornello si fa notare la batteria con qualche fugace variazione, insieme ad una linea vocale però anche qui piatta e deludente, con un acuto poco cattivo e poco definito. Poco dopo si fa spazio un assolo piuttosto riuscito. Il singer cerca di propinarci qualche insegnamento pratico, ammonendoci e ricordandoci delle persone che vogliono troppo ma che non vogliono guadagnarselo, aggiungendo benzina sul fuoco e camminando in questo modo attraverso l'inferno, mentre le voci nella mente continuano a bisbigliare, lasciando il dubbio nella psiche. La situazione migliora con il terzo brano, "Through Your Eyes" , la cui apertura è affidata ad un poderoso riffone di pura matrice Thrash, prontamente sostenuto da un lavoro egregio del bassista. Poco dopo arriva un altro acuto poco convincente che però viene prontamente spazzato via dalla linea vocale successiva; infatti essa è decisamente ben ispirata, con una metrica convincente ed in un contesto, a livello di riffing, sicuramente migliore. Alcuni fraseggi spezzano la prima strofa, facendo venir fuori una serie di riuscite variazioni, mentre il basso continua selvaggio a macinare riff su riff. Poco dopo s'inserisce un buon assolo anche a livello di fattura melodica (che forse sente la mancanza di una ritmica), per poi riprendere un riff e giungere alla conclusione con l'aiuto della voce. Il protagonista scruta nello sguardo delle altre persone le bugie e le menzogne che propinano, mentre lui si diverte ad esplorare le loro menti, instaurando un ambiguo rapporto con le altre persone. In un gioco del genere, sadico e perverso, il carnefice si diverte. Una fugace architettura di chitarra apre il pezzo successivo, "Betrayed", facendo poi inserire il basso e scatenandosi subito nel riff successivo (con un buon groove grazie alla batteria), mentre il singer introduce appena la sua voce in maniera molto convinta e grintosa. Le linee vocali sono ancor più convinte del pezzo precedente, maligne ed acide al punto giusto, in grado di dare vigore ai poderosi riff su cui essa si adagia. Unica pecca, ancora il tentare quegli acuti poco riusciti. Si segnala anche un lavoro non scontato della chitarra che passa dal generare riff al produrre variazioni interessanti e particolari, senza però uscire dal genere e dalla violenza generale. Encomiabile la variazione del basso, inaspettata e per nulla scontata. Il bassista è ispirato e ossessivo nel suo lento incendere, a cui poco a poco, in un'atmosfera cupa, si aggiungono gli altri strumenti, per una conclusione veramente ispirata che risolleva di gran lunga il lavoro. Il protagonista è implicato in un tradimento, ma egli preferisce non accettare questa condizione. Preferisce crearsi uno scudo per non affrontare la sua psiche, riparandosi dietro fragili ostacoli che rendono misera la sua posizione e la sua lealtà, che pian piano si fa sempre meno densa nella sua mente. Un riff che sembra essere uscito da un disco dei Kreator apre la strada alla devastazione del brano successivo, "Die Inside", che appare come una poderosa cavalcata verso l'inferno del Thrash. Il batterista continua ad offrire sicurezza e solidità alle composizioni del gruppo, sostenendo una linea vocale che non si può definire particolarmente originale (e ancora con brevi acuti non riusciti), sfoderando un buon cambio di ritmo nel riff del ritornello, molto Dark Angel in alcuni punti. Ancora la voce rovina l'atmosfera del ritornello, che viene però sollevata da un riff molto riuscito sullo stesso tema, per poi lasciare poco dopo spazio ad un giro di basso che costruisce interessanti temi molto spesso indipendenti dalla chitarra. Poco dopo vi è un assolo riuscito di buona fattura melodica e poi si riprende il ritornello con la consueta cavalcata thrash. Una introspettiva recensione sulla mente del protagonista, mentre egli prova su di sé gli effetti di questa decadenza interiore, a livello morale ed ideologico. Trova poi un'altra persona, con la quale si scambia degli sguardi che gli fanno capire quanto siano simili, ingabbiati nello stesso stato di decadenza a livello mentale. Il brano successivo, "Good Friday Thrash" si apre con un riff che sembra quasi ricordare un po' i Nuclear Assault, mentre il basso continua a rimbombare in ritmi forsennati mentre s'inserisce la voce graffiante. Si passa subito ad un altro riff con qualche ben riuscito stacchetto e con l'inserirsi delle linee vocali. Ottimi spunti nella voce, specie in alcuni duelli, ma che si ostina a proporre acuti poco convinti. La sezione ritmica appare convincente e solida, capace di sostenere i riff e di aricchirli con variazioni interessanti, con ottimi inserimenti di basso e chitarra. Poco dopo s'inserisce un assolo con il pedale del wha wha che si lancia in forsennati voli in semicrome al vetriolo. Si ritorna poi al ritornello, mentre si conclude il pezzo con il cantato. Il controllo dei propri impulsi è quasi un'ossessione per il protagonista, in bilico tra il controllarli e l'essere sciolto da tali vincoli, per lasciare che un sadico piacere lo conforti e lo faccia sentire soddisfatto in un modo alquanto perverso e sadico, con la sua mente. Sentimenti come la frustazione e la manipolazione tornano a farsi protagonisti di "Get What You Can Get", brano meno tirato ma più solido dal punto di vista compositivo. Infatti i riff sono più granitici ed equilibrati fra di loro, non facendo perdere d'interesse mentre i nostri tessono con abilità le ritmiche. Bisogna imparare a conoscere le persone, prima di farsi ingannare meramente dalla loro apparente gentilezza. Le strade che sembrano più facili non sono per forza quelle giuste e a volte bisogna lavorare sodo per ottenere qualcosa, dimostrando di meritarselo. Il basso si dimostra ancora in grado di catturare l'attenzione, sostenendo egregiamente le ritmiche e mettendosi in mostra in alcuni pregevoli passaggi. La voce sfodera una prestazione nella media, con linee non particolarmente accattivanti e con i soliti acuti che danno di sicuro poca enfasi alla song in generale. Da menzionare un ritornello abbastanza mosheggiante e un buon assolo, per lo più in minore armonica, che viene adeguatamente sostenuto dal basso. Il pezzo si conclude con qualche variazione nel riffing, ma in maniera abbastanza scontata. Comincia in stile Forbidden, la successiva "Face Your Demon" con una leva forsennata che poi esplode in un poderoso riff da cavalcata. Diretta fin dal nome. Bisogna riconoscere i propri demoni interiori e affrontarli, senza cercare di scappare, perchè ciò vuol dire già che ci sia il rischio di una sconfitta. Non si deve scappare da se stessi e dalla propria mente, non bisogna arrendersi in una maniera così passiva e pusillanime. Compositivamente il brano mostra molte debolezze, in primis dei cambi di tempo poco inseriti nel contesto, insieme alla qualità altalenante dei riff proposti. Neanche il basso, gran trascinatore nelle precedenti tracce, riesce a far molto per risollevare la song, che viene ulteriolmente non valorizzata da delle scelte vocali non molto azzeccate (è pleonastico che a questo punto vi nomini il termine acuto). Si segnalano comunque alcuni momenti molto positivi, come un riff particolarmene lento che spezza il ritmo del brano (con qualche riuscito inserimento di basso) e l'assolo al fulmiticone che trasmette puro thrash stradaiolo, ottantiano, nella sua poca melodicità e tanta furia. Gli episodi sulle persone codarde e vili, continuano nella successiva "Creature of Habit", dove la polemica è contro chi, intrappolato in una dipendenza, non riesce ad uscirne, e non fa che scappare e nascondersi dai suoi stessi problemi. Una parabola discendente, pregna di paura e codardia, paura della propria mente. Dopo qualche fills di batteria sui tom, parte furioso un riff su cui già si adagia la voce con un acuto ancora non molto studiato. Nulla di nuovo nella proposta della band: thrash semplice e grezzo, dominato dal basso e dall'alternarsi di riff colmi di parti cantate. Il riffing anche in questa song colpisce per genialità, complice anche il numero della traccia del disco, ma le ripartenze con pause a volte un po' troppo lunghe, non aiutano di certo in tal senso. Si passa molto spesso da un riff all'altro, restando in una condizione che non permette di godere come si dovrebbe dell'atmosfera da mosh tipica del Thrash. L'approccio dell'assolo è particolare ed è più da sede live con solo il basso nella ritmica ed è abbastanza ispirato. Il brano si conclude con qualche variazione nel drumming e con l'inserirsi di diversi riff validi, che interrompono la monotonia. 
Dopo tanto pogo e qualche delusione in fase compositiva, possiamo dire di spezzare per un po' il ritmo con "Bass Wankage", breve intermezzo prima della traccia che conclude il disco. Il brano inizia quasi in maniera post-rock, con un fugace arpeggio atmosferico, che lentamente si inasprisce fino a diventare una cupa melodia ambient capace di farci pensare per un attimo ad un labirintico spazio dal quale non si può fuggire, con tutta la rabbia e la disperazione che in ciò vi può essere. Ritorniamo su alti lidi con "Black Hole" che si presenta come una delle tracce più convincenti fin dall'inizio, con in rilievo basso e batteria. Poco dopo si presenta un ottimo riff con il suo conseguente sviluppo a cui dopo poco si affianca la voce. Una persona ha un dialogo con un'altra, una sorta di cupa riflessione sulla mente. La persona in questione ha al posto dell'anima un buco nero, ma viene invitata all'ottimismo e al lavorare sodo per raggiungere uno stato in cui possa rivelarsi felice della sua condizione mentale. Il riffing è granitico e la traccia è pervasa da ottime trovate, sopratutto grazie al basso, capace di ritagliarsi grande spazio e aggiungere qualcosa a livello di coesione, insieme al batterista che pesta come un forsennato per tutta la cdurata della track. La voce è però ancora lontana dal lasciare il segno, e neanche un buon assolo riesce ad incidere per via della mancanza di una voce carismatica e trascinante e non monotematica, che per quanto riesca ad essere godibile non riesce ad emergere. 

Il gruppo australiano mostra un genuino e sincero amore per le sonorità ottantiante e non solo, essendovi influenze a volte anche più estreme o ambientali, ma si dimostra un po' acerbo, sopratutto in fase compositiva. Un merito è sicuramente quello di non inserire compromessi di sorta o sonorità più moderne, dimostrandosi attaccati alle loro radici fieramente Thrash, ma d'altra parte sono riconstrabili troppe forzature o parti troppo simili in fase compositiva, in particolare nel riffing e nella sua incostanza nel passare da riff troppo simili, a riff disparati e vari in alcuni episodi. Anche la voce è complice dell'immaturità artistica della band, poiché con il suo tessere linee vocali troppo simili, rende piatto il lavoro, specie quando si ostina a inserire acuti come variatio, elemento che viene talmente reso ossessivo, da rivelarsi come un qualcosa di comune nei pezzi, invece di una variazione inaspettata o comunque particolarmente ispirata e riuscita. Si segnalano comunque dei buoni spunti in fase solista e nei giri di basso granitici e molto spesso pregni di personalità, emergendo e non seguendo ogni volta le ritmiche in maniera stereotipata e vuota a livello compositivo. Altra piccola pecca risiede nella produzione, troppo poco definita nelle chitarre e troppo pompata nel basso, che spesso sovrasta la chitarra e rende meno godibili i riff. Gli Hidden Intent fanno uscire quindi sul mercato un disco senza infamia e senza lode, che gli ascoltatori del thrash più oltranzista potranno apprezzare, ma senza avere molto che sia in un certo senso memorabile, pur non mancando di idee interessanti su cui lavorare e sulle quali migliorarsi pazientemente e con la medesima passione che hanno per questo genere.

1) Confession
2) Walking Through Hell
3) Through Your Eyes4.Betrayed
5) Die Inside
6) Good Friday Thrash
7) Get What You Can Get
8) Face Your Demon
9) Creature of Habit
10) Bass Wankage
11) Black Hole

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