HELLWELL
Beyond the Boundaries of Sin
2012 - High Roller Records
CRISTIANO MORGIA
16/11/2021
Introduzione recensione
Nel 2018 Mark Shelton, leader indiscusso dei Manilla Road e personalità di spicco dell'Epic Metal, si spegne all'età di 60 anni, lasciando un vuoto enorme nel Metal di stampo classic e nei cuori di chiunque abbia apprezzato la sua band e le pulsioni epiche e narrative che uscivano dalla sua penna e dalla sua chitarra. Dopotutto, i Manilla Road sono tra le band che, nella prima metà degli anni '80, dettarono gli stilemi dell'Epic Metal insieme a band come Manowar, Virgin Steele, Omen e Cirith Ungol - anche se poi in verità ognuna di queste band aveva un proprio stile e una propria personalità. In ogni caso, parliamo di storia di un sottogenere di nicchia che, come spesso accade, è ricco di eroi e personalità da ammirare profondamente. Ecco, Mark era una di quelle. Ma non soffermiamoci troppo su di lui e sulla sua morte, cerchiamo di parlare del suo lascito. Oltre ai più famosi Manilla Road, tra le sue creature troviamo anche gli Hellwell, che sono un progetto gustosissimo per chiunque abbia ancora voglia di Manilla Road, seppur con una veste un po' diversa. Andiamo per ordine comunque. Il progetto nasce intorno al 2011, quando il bassista e tastierista Ernie Hellwell fa leggere a Mark la sua storia intitolata Acheronomicon, che ha indubbi legami con Lovecraft. A quel punto lo Squalo Shelton decide che forse è il caso di metterlo in musica, magari non con la sua band principale. Il vero punto focale però sta nella canzone "Deadly Nightshade", che era prevista che per l'album "Playground of the Damned", ma che invece si rivela la prima vera collaborazione tra Mark e Hellwell per una nuova creatura. Una creatura che viene sì dai Manilla Road, ma che in verità ne rappresenta il lato più oscuro e maligno: è Mark stesso a definire questo progetto come il "gemello malvagio" dei Manilla Road. Non ha tutti i torti, e in effetti qui si respira un po' l'atmosfera che c'era in "Mystification" del 1987, in cui a prevalere era la tematica horror. Quindi sì, ribadiamo che questo "Beyond the Boundaries of Sin" (2012) è tutto o quasi incentrato sull'horror e sui serial killer, e questo si riflette anche sul suono dell'album, il quale vede la presenza delle tastiere come vera firma. Non parliamo però di tastiere che imitano orchestrazioni o cose simili, parliamo in realtà di un suono che spesso e volentieri è proprio quello di un organo! Questo rende la proposta decisamente particolare e a volte vicina anche al rock degli anni '70, con quel suono che tanto ricorda l'organo Hammond. A completare la formazione troviamo poi Johnny "Thumper" Benson al basso e alla batteria. Ma non finisce qui, perché come ospiti figurano anche Bryan "Hellroadie" Patrick alla voce e Joshua Castillo al basso (entrambi già membri dei Manilla Road). Tuttavia, c'è un "ma". Come molti progetti di nicchia, c'è una certa aria di mistero su questo progetto, poiché il già citato Hellwell figura sì come tastierista, e lo stesso Mark lo cita nelle interviste, ma ho anche letto che in realtà dietro quel nome si nasconde lo stesso Mark. Che sia voluto per confermare l'aria di mistero che circonda l'album? Non saprei, però forse funziona. Ora gettiamoci nell'abisso però, è tempo.
The Strange Case of Dr. Henry Howard Holmes
L'album comincia subito gettandoci in mezzo al male con "The Strange Case of Dr. Henry Howard Holmes" (Lo Strano Caso del Dr. Henry Howard Holmes). Un titolo che sembra quasi degno di una storia dell'orrore di fine '800 o una delle tante indagini di Sherlock Holmes. Sarà forse il cognome del dottore del titolo a trarmi in inganno? La verità è che questo è il titolo di un vero libro, che parla di una persona altrettanto reale, la quale non è lontana né dalla fine dell'800, né da un'indagine poliziesca, né dall'orrore. Sì, perché il brano parla di Herman Webster Mudgett (poi Henry Howard Holmes), un assassino seriale statunitense. La canzone parte subito col suono dell'organo, che appare cauto, ma con un pizzico di malizia che ci fa stare sull'attenti. Facciamo bene, perché un riff solitario emerge dalla calma e non ha paura di travolgere tutto trasformandosi in assolo. La canzone ora è ritmata e Mark può iniziare la sua narrazione. È il 1893 e siamo a Chicago, località scelta per l'esposizione universale e H.H. Holmes mette a disposizione il suo Castello per i turisti di passaggio. Il cosiddetto castello altro non era che un grande edificio a tre piani adibito a abitazione, farmacia, negozio e? hotel. Era proprio tra le numerose stanze i labirintici corridoi dell'hotel che si consumavano innumerevoli tragedie: "Il diavolo mascherato da dottore costruì l'hotel dell'Inferno, grida ammutolite nelle camere a gas, a centinaia caddero". Senza molti indugi, arriva anche il ritornello, che è un classico botta e risposta in cui Mark "dialoga" con un sé stesso che dà spazio ad una voce sporca e al limite del growl. Qui ci viene detto come l'assassino scarnificava le vittime e poi ne vendeva lo scheletro alle università. L'organo però continua imperterrito con le sue note brevi ma pungenti, quasi saltellanti. Le due strofe che proseguono continuano a proporre lo stessa partitura cadenzata ma piuttosto ritmata, dandoci nuovi dettagli sull'assassino: "Raccapricciante mente dell'inganno, demone mortale sulla Terra, si dichiarò posseduto dal diavolo dalla nascita". Già, perché una volta catturato Holmes disse che la follia omicida era tutta opera del demonio, lui era solo posseduto. Tuttavia, questo non impedì alla giustizia di fare il suo corso e Holmes venne impiccato nel 1896, dopo aver confessato solo 27 omicidi, quando in realtà si sospettava ve ne fossero stati dai 150 ai 200. Arriva dunque la seconda e ultima ripetizione del ritornello, il quale risulta ben fatto e particolarmente orecchiabile, anche con la sua aria maligna. L'organo non accenna a svanire e continua a dettare il ritmo, che però ora si fa leggermente più incalzante e fa da sfondo all'assolo conclusivo del solito Shelton che ci porta in salvo, via da Chicago e lontani dal Castello. Un buonissimo modo per cominciare, ma non è detto che siamo del tutto salvi.
Eaters of the Dead
Con "Eaters of the Dead" (Mangiatori di Morti) veniamo catapultati molto indietro nel tempo e nello spazio, finiamo infatti nel 922 d.C. in Nord Europa, al tempo dei vichinghi. Non aspettatevi però un classico brano sugli stessi vichinghi, in cui si parla di birra o di Thor, poiché il brano trae ispirazione dal film "Il 13° Guerriero" (1999), che a sua volta è ispirato dal libro di Michael Crichton intitolato, per l'appunto, "Mangiatori di Morti" (1976). L'andamento della canzone è decisamente più aggressivo, sin dall'inizio, con riff rocciosi e terremotanti che avanzano verso imperterriti, mitigati soltanto dalla presenza dell'organo. Tuttavia, la voce di Mark è melodica e non può che ricordare i Manilla Road mentre narra le gesta dei 12 vichinghi e dell'arabo che li segue: "dodici vichinghi vestiti di spada ed elmo, un arabo solitario che cerca sé stesso, attraverso i mari i tredici salparono, per salvare il regno maledetto di un re". L'arabo è Ahmad ibn Fadlan, personaggio realmente esistito che ci ha lasciato dei resoconti proprio su alcune usanze vichinghe. Qui però si ritrova a combattere contro i Wendel, una popolazione primitiva e misteriosa che emerge dalla nebbia cercando persone da uccidere e da mangiare, come recita il più arrabbiato ritornello, in cui la musica si fa più pesante e con essa anche la voce di Mark. Con la nuova strofa i toni si calmano nuovamente, ed è la chitarra solista a serpeggiare, come il mostro di fuoco, attorno alle linee vocali. I guerrieri combattono, e scoprono che le creature mostruose, che vestono pelli d'orso, sanguinano e possono quindi essere uccise, tanto che una volta trovata la loro tana possono anche uccidere la loro regina. Non c'è molto tempo per festeggiare però, visto che il ritornello incombe nuovamente, lasciando però presto il posto ad un assolo nervoso e frenetico, che forse è un po' penalizzato da una produzione che rende il suono delle chitarre "zanzaroso". In ogni caso, dopo l'assolo i tempi rallentano di molto e la canzone diventa cadenzata, una marcia epica in cui l'organo avvolge tutto come una nebbia leggera avvolge i colli lasciandone intravedere dei dettagli. È una lunga coda che si candida ad essere uno dei momenti migliori di tutto l'album e che con la sua epicità sofferta contrasta con la prima parte della traccia. Il fatto che i 13 guerrieri abbiano ucciso la regina è positivo ovviamente, ma non è ancora detta l'ultima, poiché lei riesce ad avvelenare il capo dei 13, che, nonostante tutto riesce a scendere insperatamente in campo per l'ultima battaglia, accompagnato dalla preghiera vichinga recitata all'unisono da tutti i presenti (un momento molto bello anche nel film): "La preghiera vichinga è recitata, per rafforzare cuore e speranza, Odino accetta la sua anima nella Sala". La battaglia è vinta, ma il guerriero muore comunque, e il breve assolo finale di Mark ne trasporta l'anima, seguendo la melodia principale della coda, verso il Valhalla, svanendo piano piano nei boschi.
Keepers of the Devils Inn
Con la terza traccia, che risponde al nome di "Keepers of the Devil's Inn" (Gestori della Locanda del Diavolo), facciamo un nuovo salto nel tempo, stavolta in avanti, e ci troviamo nuovamente a fine '800, in Kansas. L'inizio è soffuso e crepuscolare, con qualche arpeggio e una leggera linea di organo che avvolgono la quasi sussurrata voce di Mark. Le pianure desertiche sono illuminate da una Luna indifferente, che nulla può per impedire i delitti commessi dalla famiglia Bender. Ecco dunque che la chitarra elettrica comincia a farsi sentire e le ritmiche si fanno più rocciose, adatte per sostenere la narrazione incentrata sulla famiglia Bender e le loro numerose uccisioni all'interno della locanda sperduta (forse causate da un martello). Le linee vocali sono molto semplici, ma il loro ripetersi seguendo una melodia portante le rende particolarmente accattivanti, e la storia raccontata non è da meno: "Molti viaggiatori incauti giunsero ad una dipartita precoce, nessuno dei Bender venne catturato, fuggirono nella notte". Il ritornello giunge sorretto dal riff posto in apertura, quello dopo l'introduzione acustica, ed è piuttosto melodioso, quasi per restare in contatto con i primi secondi crepuscolari del pezzo e per dare un'aria di mistero a questa storia strana in cui i colpevoli non sono mai stati rintracciati; di contro, sotterrati intorno alla locanda, furono trovati 10 cadaveri col cranio sfondato. Infatti, è lo stesso Mark a porre qualche interrogativo una volta che il ritornello termina e arriva una nuova strofa: "Chi è che brandiva i martelli, facendo cadere i colpi sulla testa? Madre o figlio, padre o figlia, una famiglia da temere". È proprio a questo punto che la canzone ci sorprende piazzando un rallentamento dal retrogusto Doom in cui, ovviamente, l'organo è sempre ben presente. Le linee vocali e la melodia della chitarra solista, però, restano melodiche, contrastate dalla "seconda" voce di Mark che risponde con un classico botta e risposta. Le brevi e fugaci note di organo sembrano imitare i passi dell'intera famiglia che si avvicina di soppiatto alle spalle dei poveri viaggiatori che non giungeranno mai a destinazione, con l'assolo di chitarra che sprigiona tutta l'energia e le pulsioni dell'atto criminale. Questo appena descritto è sicuramente il momento più nervoso e cupo della traccia, ma il ritornello melodico torna a fare la sua comparsa nel finale, lasciandoci andare con calma. Noi sì, possiamo continuare il nostro viaggio.
Deadly Nightshade
"Deadly Nightshade" (Belladonna Mortale) comincia senza indugio, colpendoci subito a martellate con un incedere pesante e roccioso. Vi ricordo che è questa la canzone "colpevole" di aver fatto cominciare la collaborazione tra "lo Squalo" e il misterioso Hellwell, dopo che il brano venne scartato dall'album dei Manilla Road dell'epoca; non a caso alla voce troviamo "Hellroadie" Patrick, che è stato proprio il cantante dei Manilla Road nei loro ultimi album. La sua voce non è così diversa da quella di Mark, e la differenza quindi non è poi così lampante. Il tema è leggermente diverso dalle canzoni viste finora e sembra avere un che di ecologico, anche se non può mancare la componente horror con laboratori strani in cui si lavora il genoma dell'inferno, ma nella seconda strofa la componente apocalittica mista a quella scientifica si fa sentire di più: "Il pianeta afflitto, gli dèi infuriati, la dissacrazione da parte dell'Uomo del nostro DNA". Fino a questo punto l'organo è rimasto silente, o per lo meno nascosto dietro al muro sonoro generato dalla chitarra e dalla sezione ritmica, ma con il ritornello torna protagonista con un tappeto melodioso e mortifero che sembra quasi una nenia che si espande nell'aria come una nube velenosa e verde. Le linee vocali non sono da meno e seguono questo stesso canovaccio, rendendo il tutto quasi straniante. Dopo una breve progressione cadenzata, in cui l'organo resta ancora in bella vista, la canzone accelera leggermente guidata dall'onnipresente assolo di Mark che in questo caso fa da collante con la nuova coppia di strofe. La situazione si fa ancora più preoccupante, e sembra davvero che nei laboratori gli scienziati abbiano creato qualcosa di pericoloso - forse la belladonna del titolo? - che potrebbe cambiare per sempre le sorti dell'Umanità. La belladonna, in effetti, è una pianta famosa per i suoi effetti nocivi, ma nei laboratori citati qui si parla di una contaminazione che potrebbe attraversare addirittura i sette mari, quindi parliamo di un avvelenamento su vasta scala. La strofa che segue rende le cose più chiare però, ed ecco che il nemico diventa ora più visibile: "In guerra con la morte, mira alla testa, c'è un solo modo per uccidere i morti viventi". Ecco allora che il risultato di quegli esperimenti era proprio quello di rianimare i morti (da qui uno dei versi del ritornello che recita proprio "rianima"). In pochi sono sopravvissuti ormai, e la cantilena del ritornello sembra proprio riflettere questo stato mondiale in cui l'apocalisse zombie è ormai una realtà di tutti i giorni, e forse questo incedere lento e monotono potrebbe quasi far pensare ad una lenta marcia ciondolante di un esercito di morti viventi. Una lunga marcia, visto che il ritornello si ripete ossessivamente per molte volte, praticamente da metà pezzo fino a quasi la fine. Dico quasi perché negli ultimi momenti è la chitarra a prendere le redini, ma lo fa perpetrando ancora la melodia del ritornello stesso, rendendo le cose ancora più ossessive, e forse un pochino ripetitive.
Acheronomicon I. Tomb of the Unnamed One
Con "The Tomb of the Unnamed One" (La Tomba dell'Innominato) comincia quella che possiamo definire come la seconda parte dell'album, poiché è effettivamente una sottosezione intitolata "Acheronomicon", con un chiaro riferimento al celebre Necronomicon di Lovecraft. Dobbiamo quindi aspettarci una storia di horror cosmico, con qualche divinità dimenticata ma letale. Questa è dunque la prima parte, e comincia in modo non dissimile dalle altre tracce, con un riff potente e roccioso, a cui però segue un'apertura ariosa e melodica, quasi lucente. Ci sentiamo trasportati in luoghi antichi e misteriosi, novelli archeologi di reliquie maledette. Nella prima strofa è lo stesso Acheronte a parlarci, che con la voce filtrata di Mark ci racconta della sua resurrezione, dialogando con l'archeologo troppo curioso che l'ha ritrovato: "Mi hai trovato e hai svegliato il mio spirito di vita. Nelle rovine di Pitone trovammo la tua tomba. Ho dormito qui aspettando eoni di tempo. Hai ucciso i miei compagni e asservito la mia mente". Il pre-ritornello è monolitico e deciso, quasi Doom, ed è ancora Acheron a parlare. L'antico dio, il cui nome rimanda al fiume infernale della mitologia greca, dà le istruzioni all'archeologo assoggettato per risvegliarlo del tutto. Ciò che serve è una gemma magica: il cuore di Arimane. L'incedere quasi arrabbiato del pre-ritornello, però, viene stemperato dall'arrivo del ritornello, che emerge come un Sole dalle dune dopo un'intensa notte fredda. Siamo in uno dei momenti più epici di tutto l'album, ed è difficile non sentirci l'influsso dei Manilla Road. Un fugace assolo ci riporta ad una nuova strofa, che presenta ancora una struttura a dialogo come la prima che abbiamo visto, in cui Acheronte parla con l'archeologo che gli farà da servo e porterà a compimento i suoi piani malvagi e apocalittici: "è il tempo oscuro dell'oscura fenditura allineata con il Sole. Sono posseduto dal tuo morso, veleno scorre nelle mie vene. Tu mi servirai e proteggerai e aiuterai a far tornare gli Antichi. Reso inerme dalla magia la mia vita è disfatta". Come da copione, il pre-ritornello fa la sua monolitica comparsa, ergendosi quasi come una statua colossale all'interno di un tempio in rovina, ma il ritornello porta ancora una volta quell'epicità sofferta e poetica che è tipica di Mark. L'archeologo una vittima ormai, ma la sua mente riesce ancora a vedere ciò che ha davanti, ovvero il mostro sotto la statua di Dagon (altra divinità, questa volta ebraica e nota a chi conosce Lovecraft) che distruggerà l'umanità. L'assolo che ne segue è ovviamente sanguigno e drammatico, e ci accompagna verso il bel ritornello, in cui, non l'ho detto prima ma c'era, sentiamo anche la tastiera, che in questo pezzo è in verità abbastanza silente. In ogni caso, è con il ritornello che si chiude questa prima parte dell'Acheronomicon.
Acheronomicon II. The Heart of Ahriman
Siamo ora all'"Acheronomicon II" con "The Heart of Ahriman" (Il Cuore di Arimane). Anche qui abbiamo a che fare con una divinità decisamente negativa, figlia della tradizione zoroastriana, su cui anche il nostro Leopardi scrisse un inno, intitolato semplicemente Ad Arimane. Riff e ritmiche sono ancora una volta piuttosto cadenzate, ma meno arrabbiati rispetto alla traccia precedente, e anche la voce dell'ospite "Hellroadie" si adagia su linee vocali melodiche e distese. Stavolta, comunque, seguiamo lo sfortunato - un po' troppo curioso - archeologo che aveva trovato la tomba di Acheronte, lo seguiamo nella sua dannazione e nel suo nuovo compito: "Non una mia scelta, il cuore devo trovare, il suo veleno mi lega al suo volere, vino serpentino che offusca la mia mente posseduta con incubi della gemma che uccide." Ormai l'archeologo è una sorta di zombie che ha ancora una sua coscienza come possiamo vedere, ma non può usarla per niente, l'unica cosa che può e deve fare è trovare il cuore di Arimane. L'organo torna a farsi sentire, e con il ritornello si fa più lucente e maestoso, adatto per lo scopo, dato che il ritornello stesso è più arioso ed evocativo rispetto al resto, nonostante il malcapitato protagonista parli sempre della sua maledizione. L'organo è sempre presente, come se la presenza di Acheronte sia sempre una costante, anche se non è lì in carne e ossa. Dopotutto, come recita la strofa che segue, la cerca per la gemma che può riportare in vita lui e la sua dinastia dura anni, e l'antico dio non può certo starsene fermo ad aspettare senza controllare almeno un po'. Una vera condanna per l'archeologo, che nel ritornello arioso ma lamentoso evoca ancora la sua condizione. L'assolo è posto qui quasi a sottolineare questo fatto, come per far vedere i giorni che passano tutti uguali a loro, sotto al Sole del deserto, in mezzo alle rovine di civiltà scomparse e sconosciute. Tuttavia, l'agonia dura ancora poco, perché dopo tanta ricerca arriva il momento tanto atteso: "Ho trovato la tomba dove stava nascosta la gemma del fato, sento che il mio padrone mi chiama, nelle sue mani metto il destino dell'Uomo e ora temo che la Terra sanguinerà". Come un Nazgûl che sente il richiamo di Sauron, l'archeologo torna per l'appunto dal suo padrone, con la chiave per la fine del Mondo. Come già sappiamo però, non è che potesse farci molto, e il ritornello, con la sua lamentela distaccata si fa sentire per l'ultima volta prima di lasciare spazio ad una breve coda strumentale che chiude questo penultimo brano.
Acheronomicon III. End of Days
Arriviamo a "Acheronomicon III" e quindi alla fine del racconto, nonché alla fine dell'album e Alla Fine dei Giorni con "End of Days", il lungo brano conclusivo che tocca i 13 minuti. La traccia precedente, in quanto a trama, non era finita nel migliore dei modi, con l'archeologo che alla fine riesce a trovare la gemma che può portare in vita Acheronte. Da qui comincia il viaggio di ritorno del servo dell'antico dio dimenticato, un viaggio in lande desertiche e assolate, ben descritto dalla lunga introduzione affidata alla sola tastiera, che ricrea un'atmosfera mediorientale e per certi versi quasi da film anni '70, con quei suoni elettronici spaziali. Le rovine di Pitone (qui una città in rovina, ma è il nome di un personaggio mitologico greco) ora sono davanti a lui, ed ecco che un andamento doom ci investe, con le tastiere che però restano ancora vigili sotto al muro sonoro. L'archeologo piazza la gemma nelle mani della statua, e all'improvviso tremori fortissimi investono la struttura polverosa, le torri tremano e sembrano alzarsi da sotto le sabbie: Acheronte è sveglio. Senza però troppi clamori ritmici, il brano continua a scorrere lentamente, e il ritornello non altera questa formula, visto che sono solo le linee vocali a cambiare, con Mark che quasi cantando una nenia, ripetendo il nome del dio, ci avvisa di quanto sta succedendo. Nella strofa che segue, però, ce lo spiega anche meglio: "Metamorfosi del pianeta, le montagne crollano nel mare, arrivano le maree della guerra e del caos, ora la razza dell'Uomo sanguinerà". I cieli si oscurano e terremoti investono tutto e tutti, siamo davvero alla fine dei giorni, e il ritornello ce lo ripete ossessivamente con la sua epica ossessiva e fatale. A questo punto però la musica si fa più ritmata e i riff più spezzati, rendendo il tutto più movimentato, anche se la voce quasi sussurrata di Mark, come per non farsi sentire dal Nemico che ormai è stato risvegliato, ci ricorda che non c'è molto per cui eccitarsi, visto che i cieli sono accesi da bagliori, vampiri volano e serpenti osservano mentre genti bruciano nelle fiamme e altre vengono rese schiave. Dopo due strofe su questa falsariga, il brano decide di rendersi ancora più ritmato (al limite del galoppante), con una batteria che non dà segni di cedimento e linee vocali più decise di quelle appena ascoltate. L'organo in tutto questo è sempre presente e si accoppia benissimo ai riff, anzi, sembra quasi che è lui il vero protagonista e sembra anche ghignare in sottofondo, come fosse un araldo di Acheronte, alla vista del Mondo in fiamme. Nell'ultima strofa Mark svela l'epilogo, e no, non c'è nessun lieto fine, nessun eroe che riesce a trovare un modo per fermare l'apocalisse. Ormai è fatta: "L'era dell'Uomo è finita per sempre, i figli dei demoni dominano la Terra, nati dal fuoco del nuovo ordine mondiale, portato dalla rinascita di Acheronte". D'ora in avanti comincia la parte conclusiva del pezzo, affidata ovviamente alle sapiente mani di Mark e la sua 6-corde, dalla quale esce un assolo appassionato e apocalittico che risuona tra le rovine di un mondo in fiamme e devastato, mentre Acheronte si erge possente su tutto il suo nuovo dominio. Finito l'assolo, cala il silenzio, ma ecco che la tastiera e il sintetizzatore fanno nuovamente la loro comparsa, ancora una volta con quel piglio mediorientale/anni '70 ascoltato nell'introduzione. Non è ancora la vera e propria fine però, poiché gli ultimi secondi del brano sono affidati a dei passi? Sì, passi che si dirigono verso una porta, che una volta aperta svela qualcosa di terribile e si sente un grido femminile di terrore. Che sia Acheronte in forma d'uomo che va a mietere personalmente le sue vittime? O l'archeologo tornato a casa dalla moglie, la quale scopre che suo marito ormai non è più in sé? In ogni caso, è la fine dei giorni e la fine dell'album, che trova qui una conclusione più che degna.
Conclusioni
Non si può certo dire che "Beyond the Boundaries of Sin" abbia una conclusione felice. Parlo dei temi ovviamente, perché per quanto riguarda il lato prettamente musicale il lieto fine c'è e come! Ma anche un lieto inizio e un lieto svolgimento se è per questo. Come abbiamo già detto nel corso dell'analisi, l'anima dei Manilla Road emerge qua e là, ma è impossibile che non lo faccia quando alla voce c'è Mark Shelton, eppure è vero che questi Hellwell ne rappresentano il lato malefico, e questo sia per quanto riguarda lo stile sia per quanto riguarda i testi. La presenza dell'organo, con quel piglio anni '70, rende il tutto più particolare e anche abbastanza inusuale, e se si è amanti dello strumento non si può non apprezzare questa piccola gemma, anche se ovviamente non è che ci siano chissà quali virtuosismi. In ogni caso, la presenza dell'organo riesce a rendere il tutto più horror e misterioso, rendendo ancora più veritiera l'affermazione riguardo al gemello cattivo. Ovviamente non parliamo di un album avanguardistico, tutt'altro, l'utilizzo dell'organo è solo un contorno ad una proposta già collaudata. Ma nessuno si aspetta un lavoro rivoluzionario qui, no? L'importante è che sia ben suonato ed ispirato, con belle atmosfere, bei testi e così via. Tornando ai pezzi, non ce n'è uno brutto. Forse l'unico che risulta un po' ripetitivo è "Deadly Nightshade", a causa di un finale tirato un po' troppo per le lunghe che risulta monotono. Le altre però meritano tutte una menzione, da quelle più macabre come "The Strange Case of Dr. Henry Howard Holmes" e "Keepers of the Devil's Inn" a quelle più epiche come "Eaters of the Dead" e il trittico finale figlio di Lovecraft. Ecco, per quanto riguarda la sottosezione intitolata "Acheronomicon", va sicuramente sottolineata "The Tomb of the Unnamed One", che potrebbe prendersi la palma di miglior pezzo dell'album. In questo mini concept finale ci sono rimandi sì a Lovecraft, ma anche ad altre divinità legate al Male (come abbiamo già avuto modo di vedere), e ne risulta quindi una sorta di storia un po' di maniera che però riesce ad intrattenere anche grazie alla sua struttura molto semplice e soprattutto alla musica che la sostiene. Un difetto che va sottolineato è quello della produzione, che risulta decisamente basilare e secca. Invero, le chitarre a volte sembrano quasi avere un ronzio che potrebbe essere fastidioso, e questo rischia di penalizzare i brani a volte, facendoli sembrare prodotti da una band di debuttanti. Fortunatamente la qualità dei pezzi salva tutto e non ci si fa quasi caso alla pulizia del suono. Comunque, "Beyond the Boundaries of Sin" degli Hellwell, con il tastierista che molto probabilmente è lo stesso Mark, resta una gran bella chicca se si amano le sonorità classiche.
2) Eaters of the Dead
3) Keepers of the Devils Inn
4) Deadly Nightshade
5) Acheronomicon I. Tomb of the Unnamed One
6) Acheronomicon II. The Heart of Ahriman
7) Acheronomicon III. End of Days