Helloween

Master Of The Rings

1994 - Castle Communications

A CURA DI
CAVALLINI MICHAEL
11/03/2014
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Il 1994, con l'uscita di Master Of The Rings, segna grandi e inevitabili cambiamenti per la formazione tedesca: in primis la dipartita di Kiske, storica voce della band; a seguire il divorzio con il veterano Schwichtenberg e il conseguente abbandono della EMI come casa discografica in favore della Castle Communications. Ma è proprio nei momenti più bui dove capiamo come risalire e ce lo dimostrano proprio con la nuova formazione che prevede Deris alla voce e Kusch (Gamma Ray, Masterplan) alla batteria. È inevitabile però, che l'entrata di Deris facesse discutere non poco i fedeli fan della band: una voce che non ha niente a che vedere con le precedenti, sia a qualità di timbro che estensione. Ed è qui che i padri fondatori, Weikath e Grosskopf, rivoluzionano il sound talvolta allegrone, talvolta epico, cercando una propria strada che si adatti al timbro di Deris, riuscendo in un power un po' più oscuro e introspettivo e lasciando da parte le grandi storie di fantasia in favore dello studio della personalità umana.

Ma andiamo per ordine: un primo smacco ai fedeli fan lo abbiamo già con la prima traccia "Irritation", preludio in Do che non può farci che ricordarne le prime dei Keepers (Initiation/Invitation), storpiatura concessasi dopo i grandi cambiamenti di line-up, come a dire "siamo sempre noi ma, se non vi va bene, quella è l'uscita". La prima traccia non fa altro che introdurci "Sole Survivor", un brano carico di energia dall'inizio alla fine, dove Kusch, con un'entrata trionfale, spiazza l'ascoltatore convincendolo fin da subito che non lo deluderà per l'intero album. Anche Deris, con il suo particolare timbro, riesce a farsi spazio in un brano dalla sonorità più dura rispetto a quelli che eravamo abiutati ad ascoltare: i potenti riff di chitarra, come mitragliatrici, colpiscono sia le nostre orecchie che i nostri cuori e a momenti ci scordiamo che sono proprio gli Helloween ad uscire dal nostro stereo. Ma ecco che la melodia ritorna a fare il suo ingresso e la sezione ritmica non fa altro che darci continue soddisfazioni con grandi colpi di fantasia e professionalità, introducendo un epico, se pur mite, ritornello. Immancabili i fraseggi e soli incrociati di chitarra, marchio di fabbrica della band. Dure anche le tematiche che giocano sull'ambiguità del significato: difatti può riferirsi ad una vera guerra dove il protagonista è l'unico sopravvissuto (e su "mean mistreaters took away your ground" ci può venire in mente la triste storia degli Indiani d'America) ma può anche trattare una battaglia introspettiva quando dice "How could I know, what others had in mind for me/How could they know what measures I take" rendendolo così l'unico sopravvissuto in un mondo di automi, in cui gli uomini hanno perso quel fuoco che brucia dentro l'anima. E, come sappiamo bene, non tutte le storie d'amore hanno un lieto fine ed è questo che Deris ci racconta a seguire in "Where The Rain Grows": una crisi in cui l'amore non è ricambiato come lo si vorrebbe, anzi, molte volte viene ignorato o addirittura considerato una finzione, come fosse solamente un gioco. Notiamo come la prima parte delle liriche sia indirizzata al soggetto che cerca di capire quello che sta accadendo dentro la propria persona mentre la seconda parte racchiude delle vere e proprie accuse verso l'oggetto del proprio dolore; tutto si risolve però nel ritornello in cui dobbiamo morire per poter rinascere e risalire fin lassù, dove nasce la pioggia. Musicalmente invece, troviamo molti riferimenti del passato, un power-heavy molto classico ma funzionale in cui la sezione ritmica trova completo sfogo in tutto il suo essere. Il magnifico intro di batteria che esplode in riff di chitarra aggressivi concludendo con soli incrociati, lascia poi spazio alla voce rauca di Deris che ci regala delle notevoli soddisfazioni. In conclusione il pezzo scorre senza intoppi e sicuramente sarà uno di quelli che rimarrà nelle nostre orecchie per lungo tempo. Chiedere spiegazioni al Signore delle malefatte dell'umanità non è cosa semplice, ma gli Helloween ci provono con "Why?": una richiesta all'Onnipotente di intervenire e non starsene a guardare mentre gli uomini giocano a fare Dio; si chiede una risposta al perché di tutto questo smarrimento, in cui solo la sua luce può darci conforto. Il brano si apre con un breve intro di batteria ovattato per poi esplodere in tutta la sua melodia: Deris non perde tempo e si districa subito tra i tappeti di chitarra e tastiere con un ritmo molto incalzante che non ci distrae mai. Il ritornello arioso e stabile, permette alla voce di spaziare ovunque nella sua estensione. Va però detto che qui di helloweeniano c'è veramente poco: anche se possiamo definire "Why?" una ballad all'interno di questo disco,  non c'è il classico carattere e la grinta che contraddistringue il quintetto tedesco. E sono dei sintetizzatori ad aprirci la strada verso la quinta traccia dell'album: "Mr. Ego" è un'altra delle novità degli attuali Helloween, una sonorità che mai troverete nei precedenti album. In effetti l'intero brano, anche se ben costruito, regge poco con i suoi spaventosi vuoti melodici e ritmi statici che, quasi sicuramente, dovrete ascoltarvelo più e più volte per apprezzarlo in pieno. Difatti se l'inizio e la strofa promettono bene, il brano non riesce a svilupparsi sul ritornello rendendolo così non di primo impatto: un introspettivo azzardo musicale che lascia un po' perplessi. La tematica del brano continua ad essere Dio, ma stavolta di un dio sceso in terra dovuto, appunto, all'ego smisurato di alcune persone, di cui ne abbiamo abbastanza e di cui non vogliamo sentirne pronunciare parola; raccontano storie esagerando i particolari, manipolano con le parole le altre persone e tutto quello che vogliamo è lasciarle affogare nella propria melma e andare così su altri "piani", su più alti concetti per non rimanerne invischiati. Pare che l'astio verso il genere umano non sia finito e che persista con "Perfect Gentleman", un ironico elogio ad un ego smisurato, alla impossibile resistenza  al suo fascinoso aspetto con il suo impeccabile modo di fare tanto da essere un "perfetto gentiluomo". Perfetto anche il modo in cui vengono gestite le liriche: all'inizio il personaggio si autocelebra elencando tutte le sue vanitose qualità ma poi, pian piano il suo essere perfetto diventa una morbosa ossessione fino ad esplodere come un pazzo che canta la sua soggettiva verità. Questo brano è particolare perché non ha certo i canoni dei precedenti Helloween, ma essi riescono a tirare fuori una carica che catturerà la vostra attenzione, facendovi crescere la voglia di ascoltare e ascoltare questo pezzo. Ad inizio canzone verrete catapultati in un riff di chitarra molto accattivante ed esplosivo per poi calmarsi e lasciare libero spazio alla voce rauca di Deris che ci accompagnerà fino al ritornello, pilastro portante dell'intera traccia. Dopo un breve solo di chitarra con i tipici intrecci, si fa largo un pezzo più calmo e introspettivo che rispecchia esattamente le liriche, dove la parola "perfect" viene accentuata da colpi di batteria e chitarre per esaltare al massimo il significato intrinseco dell'intera tematica. Immancabile finale esplosivo con un simpatico ed imprevedibile fade out e fade in in chiusura. Finalmente "The Game Is On" ci riporta un pizzico di carattere helloweeniano e già dall'intro capiamo che sarà un piacevole intermezzo. Notevole prova della sezione ritmica, molto curata che riesce a catturare l'attenzione per l'intera durata del brano; così come le linee melodiche vocali che non annoiano mai eccetto che nel ritornello in cui la sovrapposizione di cori non riesce a sostenere la melodia. La sezione solistica (così come l'intero brano) ricorda molto la struttura di "Rise And Fall" il che non ci fa certo dispiacere. Curioso ma prevedebile l'inserimento di suoni tipici dei vecchi videogiochi perché è di videogiochi che la canzone tratta; anche qui le liriche partono con una certa prudenza per poi esplodere nella follia: dall'innocente gioco che ti solleva il morale quando sei triste alla perdita della ragione per averci giocato troppo. Anche con "Secret Alibi" riusciamo ad assaporare quel loro power caratteristico e l'intro ce lo dimostra in pieno. A seguire un riff più hard rock, che tutto sommato regge bene all'interno del brano, ci introduce la strofa con melodie e ritmi più pacati ma allegri, preludio per un esplosivo e ruffiano ritornello che non stancheremo mai di ascoltare. Ottimo il bridge con i soli di chitarra che, grazie al delay, ci trasportano in un mondo etereo per poi riportarci con i piedi per terra con il ritornello conclusivo. Questo brano è una palese dichiarazione amorosa in canoni helloweeniani; difatti la sua amata è l'alibi segreto per sopravvivere in un mondo dove i sogni si infrangono spesso ma che grazie al suo aiuto, passo dopo passo, mattone dopo mattone, riesce a costruire quello più avvolgente e divertente di tutti: l'amore. E come un tornado ecco arrivare un power swing dove il quintetto dimostra ancora una volta di avere l'energia e la simpatia di mettersi sempre alla prova. "Take Me Home" è un treno senza stazioni che riesce a trasmettere allegria con melodie avvolgenti e ritmi caratteristici del genere; riusciamo quasi a toccare con mano il loro divertimento nel suonarla. Perfettamente costruita, questo pezzo è il capolavoro dell'intero album: cori azzeccati, tecnica spinta al massimo da ogni membro della band e, nonostante tutto, il potere dello swing fa scorrere questa canzone in un attimo senza mai annoiarci, lasciandoci affamati di ascoltarla di nuovo. A dispetto della melodia allegra, le liriche parlano della solitudine e delle disavventure che hanno messo a dura prova la sanità mentale del personaggio; come sempre dal punto più basso non possiamo fare altro che rialzarsi e ricominciare e questa sensazione viene metaforicamente descritta come una febbre, come un'intensa voglia di trovare il proprio posto nella vita, come una casa appunto. Da brividi invece la ballad "In The Middle Of A Heartbeat" trattando di un uomo che non riesce ad essere per la sua amata quello che lei vuole portandoli così all'essere distanti anche giacendo vicini. Egli sa che sta facendo la cosa giusta anche se ella non le dà alcun segnale, vedendolo per sempre come un amico. Struggente oltre le liriche, anche le melodie su un tempo lento ma ben accentato, specialmente nel ritornello, in modo che sia comunque esplosivo. Caratteristica principale è l'uso quasi perenne di arpeggi di chitarra acustica così come lo spledido solo che ha un profumo spagnoleggiante. L'uso corretto dei cori sul ritornello e l'ariosità del pezzo riescono a far trasmettere forti emozioni rendendolo così una ballad coi fiocchi. Arrivati a conclusione, dobbiamo spendere qualche parola in più per "Still We Go", un auto  elogio alla band tedesca che, come prevedibile, sarà stata attaccata da tutti i fan e dai media per la dipartita di Kiske. La canzone infatti, è una sorta di comunicato stampa dove dichiarano che non sono qui a compiacere il volere di chi non si fida di loro: possono cambiare "strumentazione" ma il loro obbiettivo è spingersi oltre il limite ed essere fieri di quello che sono. Come le liriche, il pezzo certamente non sfigura, veloce come una freccia scoccata verso l'ignoto come a dire "questo è quello che abbiamo fatto al meglio delle nostre possibilità, in futuro faremo ancora di più". Riff ritmati fanno da tappeto a Deris nella strofa, il quale fende parole come un'ascia in battaglia per poi sfociare in uno slanciato ritornello. Notevole la parte solistica ed immancabili i soli armonizzati che hanno caratterizzato una delle più grandi metal band d'Europa.

1) Irritation 
2) Sole Survivor 
3) Where The Rain Grows
4) Why? 
5) Mr. Ego 
6) Perfect Gentlman 
7) The Game Is On 
8) Secret Alibi 
9) Take Me Home 
10) In The Middle Of A Heartbeat 
11) Still We Go 

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