HELLOWEEN
Chameleon
1993 - EMI
DONATELLO ALFANO
28/08/2012
Recensione
Maggio 1993: a due anni esatti di distanza da Pink Bubbles Go Ape gli Helloween si ripresentano sul mercato discografico con il quinto full-length della loro carriera, il discusso e per la stragrande maggioranza dei fans sconcertante Chameleon, un lavoro passato alla storia per un taglio netto (per fortuna non definitivo) col meraviglioso passato power della band, dopo essere stati tra i pionieri ed i portabandiera nel mondo del genere i tedeschi decidono di ampliare i propri orizzonti musicali incidendo un lavoro dove si possono riscontrare le influenze più disparate, una moltitudine di stili che purtroppo hanno poco o niente da spartire con il materiale contenuto nei due immortali Keeper Of The Seven Keys. All'epoca la situazione all'interno della line-up era piuttosto pesante; Michael Kiske era arrivato quasi ad autonominarsi leader unico e le sue intenzioni erano quelle di indirizzare il gruppo verso sentieri differenti rispetto a quelli degli esordi, gli altri componenti con il chitarrista Michael Weikath in testa non erano della stessa idea, la conseguenza fu la realizzazione di un album che col senno di poi può essere visto come una specie di compromesso tra il singer ed i suoi compagni, oltre a tutto questo bisognava anche aggiungere le pressioni di una label (la major EMI) sempre più convinta di trasformare l'act in un fenomeno commerciale da poter essere inserito in quell'insopportabile scena costituita da canzonette usa e getta. Il platter a livello compositivo si divide in parti uguali tra i due Michael e l'altro guitar player Roland Grapow, firmando quattro pezzi a testa i tre mettono in evidenza le personali caratteristiche come songwriters, il risultato è un lotto di tracce spesso molto diverse tra di loro ed in alcuni casi impossibili da poter essere associate al nome degli Helloween, sulla copertina è preferibile stendere un velo pietoso, a ben diciannove anni dalla sua comparsa viene ancora ricordata come la più brutta ed anonima nella storia delle zucche. L'opener "First Time" dopo un'introduzione di trenta secondi ispirata a quelle esaltanti aperture di alcuni classici dei Deep Purple (chi ha detto Speed King e Burn?) parte spedita in un heavy/rock trascinante e diretto, il basso di Markus Grosskopf e la batteria del compianto Ingo Schwichtenberg guidano una base ritmica potente e lineare, il riffing dei due axemen è buono ma non paragonabile a quello dei vecchi cavalli di battaglia, ci pensano i fantastici solos a ricordare il reale valore dei due musicisti, Kiske pur non lanciandosi in quelle tonalità altissime a cui ci ha abituato da tempo offre un'ottima prestazione raggiungendo il top nel divertente refrain, un motivetto semplice, spensierato e soprattutto impossibile da dimenticare, una nota di merito è da attribuire anche alla produzione (ad opera di Tommy Hansen e della stessa band) nettamente più incisiva e copiosa rispetto a quella dell'album precedente. Gli esperimenti di Chameleon cominciano con la successiva "When The Sinner", in questo allegro mid tempo l'influenza dei mitici Aerosmith si percepisce in maniera evidente per tutta la sua durata a cominciare dal massiccio utilizzo di una rumorosissima sezione fiati passando per una struttura presa in toto da qualche traccia contenuta in Permanent Vacation o Pump, il frontman si prodiga in un vasto campionario di soluzioni vocali arrivando perfino a filtrare la voce nel bridge, un brano gradevole ma lontano anni luce dagli Helloween che abbiamo sempre adorato. Sonorità semiacustiche si affacciano in "I Don't Wanna Cry No More" power ballad così immersa in quell'atmosfera ottantiana di matrice statunitense da sembrare un outtake dei migliori Bon Jovi, il ritornello è gradevole ma ha qualcosa di "già sentito", la parte migliore ce la consegna Grapow con un assolo breve ma particolarmente suggestivo. Il desiderio di cimentarsi in un episodio di autentico rock n'roll esce allo scoperto con "Crazy Cat", l'ombra della band di Steven Tyler e Joe Perry torna alla ribalta in tre minuti e trenta secondi di puro divertimento riversato in note, questa volta a differenza di "When The Sinner" i fiati svolgono un ruolo perfetto nel porre in risalto l'energia e l'allegria contenute nel brano. Per ascoltare la prima vera track del cd orientata verso territori classicamente metal occorre passare per "Giants", un efficace mid tempo condotto da un roboante guitar riff e da un Kiske tornato ad esprimersi ai grandi livelli del passato, ottima anche la scelta di inserire delle tastiere che riescono a donare un'ulteriore aura di epicità, qui non c'è nessuna critica da rivolgere nei confronti dei teutonici perchè siamo al cospetto di uno dei vertici qualitativi di Chameleon. Non si può dire la stessa cosa della seguente "Windmill" probabilmente la parentesi più anomala e spiazzante nella storia delle zucche, una sorta di ninna nanna composta con l'unico intento di rilassare l'ascoltatore di turno, nonostante una cura quasi maniacale negli arrangiamenti dove figurano tra gli altri: un delicato pianoforte, dei romantici mandolini (!!!) ed una timbrica vocale suadente e profonda questo pezzo non mi ha mai convinto, trovandolo fiacco e noioso, nessuno si sarebbe aspettato da parte di Weikath una composizione del genere, la ciliegina sulla torta (EMI rules) arrivò con la decisione di pubblicarlo come singolo apripista...Per fortuna la band riprende a viaggiare nella giusta direzione in "Revolution Now", un monolite di oltre otto minuti animato dal fuoco dell'immortale hard rock dei seventies ed in particolar modo da quello dei leggendari Led Zeppelin, le chitarre di Michael e Roland tra improvvisazioni e momenti più ragionati sono realmente indiavolate costituendo così uno degli highlights della traccia, da segnalare anche un breve ed inaspettato omaggio al mitico inno hippy del 1967 "San Francisco" del singer americano (scomparso da pochissimi giorni,R.I.P.) Scott McKenzie. Le sonorità unplugged si ripresentano con "In The Night", si tratta di una song dal ritmo veloce e dinamico ma durante l'ascolto spesso si ha la netta sensazione di un brano-riempitivo incluso per aumentare il minutaggio del disco, non basta un festoso pianoforte a risollevare la media, alla fine l'unica cosa che prevale è nuovamente la noia. Un'inquietante pioggia e delle campane a morto introducono "Music" episodio cadenzato ed ossessivo e caratterizzato da un'atmosfera oscura non così lontana dai Black Sabbath più lenti, il guitar work è perfetto nell'amplificare questo mood sinistro e Kiske regala una performance spettacolare, l'unica nota dolente è da attribuire al refrain, non brutto ma sono sempre stato convinto che senza l'apporto di quell'onnipresente sezione fiati poteva avere un impatto di ben altro spessore. Un attacco tastieristico in stile AOR dà il via a "Step Out Of Hell", up tempo immediato colmo di echi a metà strada tra l'hard rock ottantiano ed il metal melodico a stelle e strisce, pur non brillando per originalità e dinamismo il brano si lascia ascoltare volentieri soprattutto per un coinvolgente ritornello che riesce nella non facile impresa di trasformare la sua semplicità in un punto di forza. Epicità e mistero costituiscono il leitmotiv di "I Believe", ennesima track cadenzata di oltre nove minuti in cui le chitarre danno realmente il massimo in termini di potenza e qualità, le tastiere creano delle melodie ammalianti ed evocative ed il frontman lascia il segno con un'interpretazione da dieci e lode, la tensione viene placata soltanto da un break strumentale dove la band esplora sentieri vicini al rock psichedelico, una suggestiva pausa prima della ripresa di questa oscura marcia heavy, personalmente insieme a "Giants" l'ho sempre considerata il top dell'intero album. La chiusura è affidata alle tristi note di "Longing", un lento acustico (ci risiamo!) non particolarmente ispirato, ad alzare un po' la media ci pensa l'inserimento di una sezione d'archi , un soffuso e malinconico accompagnamento che si rivela efficace nel supportare la timbrica vocale del singer. Termina così non solo Chameleon ma anche la seconda fase della storia "helloweeniana", Ingo a causa delle sue dipendenze sarà costretto a lasciare la band durante il tour di supporto e con la conclusione di quest'ultimo toccherà anche a Kiske, il canto del cigno è rappresentato da un disco non disastroso come fu definito all'epoca da buona parte di critica e pubblico ma comunque molto lontano dagli standard a cui i tedeschi ci avevano abituato con i primi lavori, qualche filler poteva essere tranquillamente eliminato dalla tracklist, il giudizio finale avrebbe guadagnato almeno mezzo punto in più ma su un discorso del genere si potrebbero aprire dei dibattiti destinati ancora oggi a durare a lungo, dopo diciannove anni credo che sia arrivato il momento di fermarsi una volta per tutte. Per moltissimi fans (me compreso,lo ammetto) il futuro delle zucche sembrava sempre più nebuloso e pieno di interrogativi ed invece soltanto dodici mesi dopo con il fondamentale ingresso di due nuovi elementi assisteremo ad una sorprendente e straordinaria rinascita artistica, ma questo è un altro capitolo della mitica saga firmata Helloween..
1) First Time
2) When The Sinner
3) I Don't Wanna Cry No More
4) Crazy Cat
5) Giants
6) Windmill
7) Revolution Now
8) In The Night
9) Music
10) Step Out Of Hell
11) I Believe
12) Longing