HELLION RISING

Eight Of Swords

2014 - independent

A CURA DI
ANDREA CERASI
04/06/2016
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

L'Inghilterra vanta una tradizione musicale unica al mondo. Generi su generi sono nati e si sono trasformati nel tempo, cambiando forma di anno in anno e lanciando miriadi di band che hanno avuto la fortuna (nonché il talento) di cambiare la storia del Rock. Basti pensare alla nascita dell'hard rock alla fine degli anni '60, passando per la rivoluzione punk degli anni '70, per poi approdare alla nascita dell'heavy metal, con la mitologica N.W.O.B.H.M., all'alba degli anni '80. Bene, questo percorso di rinnovo artistico ha proseguito senza sosta superando indenne le varie epoche e le diverse generazioni, cibandosi del passato ma anche scontrandosi con i gusti del pubblico (almeno quello più tradizionalista) pur di portare avanti un discorso fatto di audaci idee rivoluzionarie che hanno portato alla formazione di nuovi sottogeneri (tutti di fattura inglese), come ad esempio il gothic metal guidato da Paradise LostMy Dying Bride Anathema, per giungere, intorno alla metà degli anni '90, allo stoner/sludge fumoso degli Electric Wizard, capaci di prendere le caratteristiche principali dello stoner americano di KyussSleep e Monster Magnet, dandogli una connotazione più psichedelica, più claustrofobica, più occulta e dai tempi più distesi, scaraventando gli avventati ascoltatori in un mondo dominato dalla follia. E così giungiamo in tempi recenti, in una città piuttosto tradizionalista, la brumosa Newcastle upon Tyne, situata nell'Inghilterra settentrionale. Una location a dir poco storica, che ha visto nascere leggendarie band come RavenVenom e Satan, (e poco distanti da lì anche i Blitzkrieg, sempre collegati ai Satan, senza scordarsi poi dei Battleaxe). Un lotto di band importante, soprattutto per quel che poi sarà lo sviluppo dello Speed / Thrash Metal. Tuttavia, la bella città inglese non risulta essersi troppo fermata su determinati binari, proprio perché in essa vede la luce, non molto tempo fa, il progetto musicale di cinque giovani ragazzi (Matt Adamson - voce, Davey Reay - chitarra, Giovanni Camillo - chitarra, Kieran Cant - basso, Adam Telford - batteria) dediti ad un genere abbastanza distante da quello della "triade" alla quale abbiamo accennato. Stiamo parlando degli Hellion Rising, band dedita a uno stoner metal molto classico ispirato a Orange Goblin e Kyuss ma che prende a piene mani anche da generi e gruppi sostanzialmente diversi come MisfitsDiamond HeadLed ZeppelinPantera o Electric Wizard. Partiti nel 2012 con il primo omonimo Ep (contenente tre brani), gli Hellion Rising hanno saputo costruirsi una buona reputazione sin dal principio, combinando l'amore incondizionato per l'heavy metal al groove moderno e creando un suono frizzante e trascinante che li ha portati a classificarsi in terza posizione, su un totale di 761 band, in una competizione nazionale per band emergenti. Il podio gli ha assicurato la partecipazione all'Hard Rock Hell Festival (importante festival inglese che ha ormai raggiunto i suoi dieci anni di vita), dove hanno calcato il palco insieme a formazioni leggendarie come Blue Oyster CultQueensryche e Diamond Head. Dopo una serie di concerti come spalla agli eroi della N.W.O.B.H.M., tra cui BlitzkriegTygers Of Pan Tang e Raven, nel 2014 rilasciano il secondo EP autoprodotto, "Eight Of Swords", un concentrato di hard 'n' heavy dalle atmosfere desertiche che garantisce agli Hellion Rising una buona visibilità e la presenza a diversi festival in compagnia di SaxonHelloweenBlack Label Society e UFO. Lo avrete ormai intuito, sarà esattamente "Eight Of Swords" l'oggetto della recensione odierna, il lavoro con il quale potremo approcciarci a questa giovanissima realtà di Newcastle. Un EP il quale presenta, oltre ad un sound molto coinvolgente, anche un interessante art-work in nero e viola sul quale spiccano simboli occulti; un espediente assai particolare, visto che da una copertina del genere sarebbe lecito aspettarsi un sostanziale richiamo ad un genere musicale aspro, ipnotico e a tinte horror. Un artwork che, in realtà, fuorvia le aspettative: infatti, come già accennato, le sei tracce contenute in questo Ep si rifanno alla tradizione classica dello stoner rock, basata su un riffing sporco e veloce, ritornelli dinamici e una struttura generale snella e dal minutaggio contenuto, mentre le tematiche affrontate non sono horror, tantomeno psichedeliche o legate al mondo dell'occulto, ma piuttosto realiste, basate sulle contraddizione della natura umana e critiche nei confronti di una società allo sbando. Fatte le dovute premesse, approcciamoci dunque al mondo di questi giovani inglesi con il nostro consueto metodo "track by track".

With Bricks Of Bone And Blood As Mortar

"With Bricks Of Bone And Blood As Mortar (Mattoni d'ossa e sangue)" è l'inizio ufficiale dell'EP, ma si rivela in sostanza come una semplice intro strumentale di appena un minuto e mezzo. Sarebbe non poco utile ad aprire un EP costruito, come suggerisce la copertina, su tematiche "oscure" legate al mondo dell'occulto. Un fischio e degli strani effetti sonori che sembrano riprodurre le palpitazioni di un cuore ci proiettano nella dimensione sonora degli Hellion Rising, la distorsione delle chitarre stordisce, un flebile lamento in sottofondo ci avverte che ci stiamo addentrando in una realtà perversa, dominata dalla follia e, infine, i battiti della batteria 

The Beast

Si parte con "The Beast (La Belva)", un ottimo brano che miscela bene l'hard rock al punk rock dei Misfits, non a caso sembra di ascoltare un brano firmato Danzig, sia per quanto riguarda l'atmosfera sia per l'interessante timbro vocale di Adamson. L'animo hard rock emerge dalle chitarre di Reay e Camillo, in una serie di riffs molto legati agli anni 70, sui quali viene installata una strofa dinamica che ci conduce immediatamente al bel refrain, dotato del giusto impatto tanto che si memorizza all'istante. Emerge la tematica della bestia che giace dormiente dentro ognuno di noi, eppure basta poco per liberarla, per scatenarla contro il prossimo. Siamo mortali e in quanto tali siamo schiavi del piacere, pecchiamo per il gusto di farlo, e non sappiamo resistere al richiamo della bestia. Nelle liriche è proprio la creatura che risiede in noi a parlare, a chiamare per uscire, plagiando la mente per costringerci a scatenarla. E' il nostro regno interiore, un regno governato dal crimine, dalla miseria, pronto a prendere il sopravvento e a confonderci, facendoci immaginare un mondo popolato da puttane, atti impuri, cappi che invocano il suicidio e politica corrotta che toglie la libertà di sognare. Dopo la seconda strofa, arriviamo al break centrale nel quale troviamo un granitico assolo di chitarra che va ad intrecciarsi con quello di basso, per poi riprendere con il riff portante. È interessante notare che il ritmo, sebbene possa sembrare ispirato a un brano di Danzig solista, allo stesso tempo richiama anche il groove dei Pantera, facendo in mix tra passato e moderno. Si riprende con il terzo verso nel quale viene ribadito il concetto secondo il quale la bestia si aggrappa con forza alla nostra schiena, ci penetra la carne con gli affilati artigli, ci sostiene da dietro e ci costringe al crimine, facendo un percorso che non ha ritorno. Ubbidiamo alla bestia che non riposa mai, scalcia quando meno ce l'aspettiamo ed è estremamente pericolosa. E' difficile tenerla a bada, figuriamoci ucciderla. Si conclude con il ritornello. In definitiva, un pezzo diretto, meno di quattro minuti in cui i ragazzi mettono in mostra il potenziale a disposizione e le influenze primarie.

Wretch Nailed Tongue

Adam Telford scalcia dietro le pelli e parte "Wretch Nailed Tongue (Sciagurata Lingua Inchiodata)", velenosa canzone che va in crescendo. Le chitarre, come serpenti assonagli che si inseguono mordendosi la coda, creano un vortice di polvere che affonda le sue radici nella musica dei Kyuss più diretti, quelli di "Gardenia" o di "Green Machine" per intenderci, come se danzassero nel deserto per un rito tribale sul quale spicca l'ottimo lavoro al basso da parte di Cant, che con caparbietà riesce a potenziare l'intero brano con una serie di corposi giri armonici. Le strofe si suddivido in due brevissime quartine divorate dal vocalist (in questo caso più malefico rispetto al pezzo precedente) che parla di un uomo stufo di tutto e che sta per perdere la pazienza. Egli è irritato dalla quotidianità, da tutte le prese in giro che ci propina una politica subdola e menzognera e della quale probabilmente fa parte, così prende un bel respiro per cercare di restare calmo, nascondendo la tensione dietro un bel sorriso, ma i suoi polsi sono agitati, ha voglia di picchiare qualcuno, di impugnare una pistola e di fare fuoco per azzerare tutto quello che ha combinato in passato. Si giunge al ritornello dove l'ira è ormai alle stelle, nel quale il nostro protagonista promette di fare qualcosa, di farsi sentire una volta per tutte e di gettare in una fossa tutti quanti. Adamson alza la voce, il suo tono è perentorio, esaltato soprattutto dalla concisione di un refrain composto soltanto da una semplice frase, ma è una frase che resta impressa: "Believe in what i do", una promessa nella quale riporre fiducia in una vendetta spietata. La sezione ritmica attacca subito, senza perdere tempo, con la seconda strofa, ora qualcosa è cambiato perché l'uomo che narra (il politico stesso?) si ritrova in un luogo pulito, le tensioni politiche frenano la sua lingua, la guerra interna in parlamento ha ormai portato al castigo dei cittadini ma egli riesce a trovare un'assoluzione alle menzogne, riesce a sentire il proprio dolore e invoca il perdono. La sua carriera è stata un gioco a scacchi vinto dal più furbo, ma giura che non proverà più a giocare, anche se prima di concludere deve togliersi qualche sassolino dalle scarpe, urlando fiumi di parole sporche e scorrette. Gli strumenti accelerano la corsa, velocizzando la canzone, dunque abbiamo un intenso assolo di chitarra condito da strani effetti sonori che sembrano riprodurre lo stato di confusione nel quale vive il protagonista del testo. Poi ritorna l'atmosfera desertica con i fraseggi delle due asce e la pulsazione frenetica del basso per avviare una bella parentesi strumentale molto cadenzata in stile doom dove Adamson sovrasta le note con delle urla per poi declamare il bridge che darà il via alla coda composta da assoli di chitarra ripetuti e incrociati accompagnati dalle bordate guidate da Telford, velocizzando drasticamente l'andamento generale. Proprio in fase finale, l'uomo afferma che tutti questi inconvenienti burocratici lo stanno uccidendo, non vive in serenità, e ha paura che anche dopo la morte possa essere tormentato dai fantasmi della politica.

Bereavement Of The Chimes

"Bereavement Of The Chimes (Lutto Dei Campanelli)" si apre con rumori sinistri prodotti dalla distorsione della chitarra, prima che il riff quadrato arrivi a comandare un pezzo solido e molto cadenzato nel suo incedere. Le chitarre si intrecciano in un riffing polveroso, come da tradizione stoner, dove riecheggiano le gesta di Orange Goblin o dei primi Monster Magnet,  in un turbine di potenza desertica che investe l'ascoltatore. Eppure, nonostante l'energia scaturita, la velocità è tenuta a bada e la sezione ritmica è rallentata, letale. Quando la batteria di Telford entra in scena, potenziando la struttura del pezzo, il vocalist intona le prime strofe con voce enfatica, descrivendo la sensazione di oppressione e di stanchezza mentale, di quando si ha la testa pesante, stordita come fosse sotto anestesia e pronta per una lobotomia attraverso la quale soffocare ogni istinto e ogni idea. Tutto ciò è un preciso attacco al fede, alla religione, vista come uno status guidato da sciocchi che si spacciano per detentori di verità ma che in realtà non sanno nulla della vita. Questi portavoce di leggi divine cercano in tutti i modi di spegnere le menti dei popoli, di plagiarle, di appiattirle, di uccidere le idee creative che le governano, per facilitare in questo modo il loro dominio sui deboli per comandarli a proprio piacimento. A questo punto, il riffing portante si potenzia ulteriormente, grazie anche al vigoroso basso di Cant, facendo da ponte tra la strofa e un ritornello dal gusto melodico, intonato da un Matt Adamson che ricorda, in questo frangente, John Garcia dei leggendari Kyuss. Il refrain incide grazie a una buona dose di melodia concentrata su una base potente sostenuta da tutti gli strumenti. Si respira un'aria desolata, amara, critica, come del resto sottolinea un testo cinico e sfrontato nel quale si riversa tutto l'astio per il male che un credo può fare se usato in modo scorretto. Le campane, in questo contesto, sarebbero i cervelli delle persone, contenitori di idee, di arte, di cultura, qui stroncati da consigli errati e da promesse illusorie e utopiche forniti dalle religioni stesse. Ancora una parentesi strumentale nella quale le chitarre ripetono sempre lo stesso riff senza cambi di tempo, per poi attaccare con la seconda parte e con le seguenti strofe che paragonano i sacerdoti a chirurghi che operano sulle menti svuotandole, macellando soprattutto le donne, emarginandole, violentandole e rendendole schiave di una legge maschilista che non accetta parità sessuale, e qui è palese la critica alla società musulmana (ma non solo quella), ubbidiente a dogmi retrogradi e bigotti. Soltanto la conoscenza salverà l'umanità, solo la cultura e l'apertura mentale, per un verdetto espresso chiaramente: le religioni sono il male del mondo e vanno estirpate. Gli ultimi due minuti della traccia sono una goduria, la musica si smorza per un paio di secondi, per poi ricominciare accelerando il ritmo in un crescendo frenetico dove troviamo la grinta della sezione ritmica che fa di tutto pur di scatenare gli animi: incessanti rullate di batteria, riffs granitici, basso pulsante e un assolo di chitarra selvaggio che chiude quasi sei minuti intensi e ben suonati.

Goat Charmer

"Goat Charmer (Incantatore Di Capre)", del quale troviamo persino un videoclip ufficiale, riprende il discorso del precedente brano facendo da seguito, tanto che la batteria prosegue nelle sue rullate comandando lo stesso andamento. La struttura di questa canzone è simile a quella di "Bereavemente Of The Chimes", quasi costruita sullo stesso riffing e su versi melodicamente gemelli, dove anche il testo si pone come una sorta di liberazione dai dogmi religiosi, uno sfogo esistenziale nel quale si invoca la libertà sessuale, il sentimento profondo, la voglia di un caldo abbraccio e la ricerca di una verità nascosta. Purtroppo a non incidere a dovere è il ritornello, risultando piuttosto anonimo e fin troppo statico, nonostante la buona interpretazione di Adamson. Nonostante tutto, "Goat Charmer" ha un suo perché in virtù del fatto che ha radici solide che affondano nello stoner più classico, mentre gli intrecci chitarristici sono di ottima fattura e, alla fine, la sezione ritmica salva tutto, specie nella seconda parte dominata da curiosi assoli creati da Reay e da Camillo ma anche dalle grandi linee di basso di Kieran Cant che danno il via a una coda finale che alterna fasi strumentali di grande impatto a fasi cantate e gridate dal singer in un climax ben strutturato e di assoluto valore. Le liriche indicano che bisogna svuotare la mente dalle nefandezze che si ascoltano, trapanare la calotta cranica per far fuoriuscire le stupide dottrine religiose che hanno portato a una scellerata decadenza la civiltà umana. Aprire gli occhi andando incontro al futuro, alla liberazione dei nostri istinti carnali ma anche dei nostri sentimenti, mettendo tutti sullo stesso piano senza sciocche differenze sociali e sessuali, per far luce su un mondo ormai prossimo alla deriva e che è stato domato con fin troppa facilità da coloro che si sono autoproclamati portatori di verità assoluta ma che hanno fatto i propri comodi per molto tempo. Coloro che incantano sono i potenti, i religiosi, i politici, invece le capre, ovviamente, siamo noi, il popolo schiavo di questo sistema corrotto e scabroso. In definitiva, un buon pezzo, specie nella seconda parte, quella più articolata e coraggiosa, dove la band sperimenta maggiormente distaccandosi dalla canonica struttura miscelandola con un groove moderno alimentato da sfumature psichedeliche che richiamano subito gli strani simboli esoterici incisi sulla copertina di questo Ep.

Just For Tonight

Il tempo trascorre inesorabile e giungiamo al termine di "Eight Of Swords" con un ultimo brano dal titolo di "Just For Tonight (Solo Per Questa Notte)", uno dei migliori del lavoro, dall'incedere sinuoso e dotato di una melodia affascinante che cattura all'istante. L'introduzione è affidata all'arpeggio nostalgico delle chitarre, poi, dopo qualche secondo, esplode tutta la sezione ritmica in un vortice sonoro che è, al tempo stesso, violento ma anche romantico, tanto da sembrare una semi-ballad dal gusto moderno che potrebbe in qualche modo assomigliare a quanto fatto dai Metallica negli anni 90, ovvero quelli più leggeri e tendenti all'hard rock, sensazione alimentata anche dall'utilizzo che Adamson fa della voce, in questo caso molto simile a quella di James Hetfield. Sul riffing portante spicca il basso energico che dona dinamicità al pezzo e lo rifinisce, ma a colpire maggiormente è la melodia piuttosto solare e che raggiunge il suo apice emozionale in concomitanza di ritornello. Tanta melodia a supporto di un testo romantico nel quale è protagonista un amore tragico che confonde la mente, la stordisce, che ribalta i sentimenti più reconditi e li mette a dura prova. Ma cotanto amore, cotanta profondità di sentimento, comporta un sacrificio enorme, un sacrificio che presto si trasforma in ossessione e in vera follia. Il rapporto viene così crocifisso e tutto collassa, l'amore si trova ad essere sepolto e il tempo che scorre non fa altro che accumulare polvere e macerie sul suo significato. Il ragazzo chiede il perdono, chiede soltanto un'altra possibilità per rimediare ai suoi sbagli. Solo una notte per poter stringere a sé la sua amata e dirle che tutto è cambiato. Si prosegue con altre strofe per poi giungere al meraviglioso bridge, pieno di speranza ma anche di sofferenza, dove la melodia acquista ancora più audacia, sorretta da un Adamson che alza il tiro invocando il perdono e facendo trasparire tutta la frustrazione di per un amore stroncato. Il ritmo accelera, le chitarre si impennano ed inzia la seconda metà della traccia, dove il protagonista afferma che il loro amore era basato solo su menzogne e che la donna lo aveva trattato con sufficienza per poi mollarlo senza motivo. Il cielo è oscuro, la notte suggerisce che forse è meglio che sia andata così, meglio essere lascati che continuare a vivere una rapporto fatto di bugie, ma lui è ancora innamorato, sofferente ma innamorato, e sogna ancora di poterla riabbracciare, soltanto per una notte. Il ritmo diventa forsennato, le chitarre si lanciano in lunghi fraseggi liberatori che sfociano in due assoli ripetuti e che concludono fondendosi negli ultimi chorus che si protraggono per tutta la coda finale.

Conclusioni

Siamo dunque arrivati alla fine di questo breve viaggio. Come di consueto, non ci resta altro da fare che elencarne in sostanza pregi e difetti, tirando le definitive somme circa quanto ascoltato. C'è senza dubbio da dire che, nonostante una produzione non proprio brillante (ben bilanciata ma poco pompata) che soffoca gli strumenti, togliendo di fatto potenza al suono, questo "Eight Of Swords" è un EP piuttosto riuscito, in grado di mettere in luce le ottime qualità di questa giovane band, evidenziando i riferimenti e le influenze artistiche che l'hanno alimentata e l'alimentano tutt'ora. Gli Hellion Rising sono ancora giovani, lo si percepisce e lo si vede, ma dimostrano al contempo di avere le carte in regola per fare bene; i brani che costituiscono questo album sono tutti di buona fattura, hanno un grande potenziale e possiedono anche una buona dose di personalità, nonostante le inevitabili citazioni sparse qua e là. Adamson è un vocalist versatile e adatto al genere, mentre gli altri membri sono musicisti capaci e tecnicamente preparati. Sarebbe dunque impossibile negare che delle possibilità di crescita ci siano e siano al contempo più che concrete. Certo, in un momento storico che vede il mercato musicale spietato e saturo di band stoner (genere tornato prepotentemente in voga negli ultimi anni), molte delle quali agguerrite e autrici di album enormi, è molto difficile emergere, ma con un po' di coraggio in più sono sicuro che gli Hellion Rising sapranno regalarci, in futuro, grande musica. Tornando quindi ad "Eight Of Swords", credo sia un ottimo punto di inizio, dunque una bella presentazione, corredata anche da un art-work d'effetto che incuriosisce l'ascoltatore anche se le immagini esposte sono poco approfondite dalle tematiche dei singoli pezzi. Quello che mi sento di consigliare a questi ragazzi è di prestare attenzione alla produzione, di aggiustare i testi, a tratti scarni e un po' criptici, e di continuare a sperimentare, magari aumentando le atmosfere psichedeliche e occulte (le stesse che, istintivamente, suggerisce la bella cover-art), qui poco accennate. In sostanza, il consiglio definitivo è quello di abbracciare soluzioni più articolate, per rendere le composizioni di maggiore impatto e più competitive con tutto quel che ci viene presentato oggi, nel suddetto genere. Ventinove minuti sono pochi per giudicare il potenziale concreto di una band ma se queste sono le premesse sono sicuro che ne vedremo delle belle. Detto ciò, proprio in vista di una buona base sulla quale modellare e intraprendere una carriera artistica, mi sento di affermare che, se in un futuro non troppo lontano, gli Hellion Rising tireranno fuori idee fresche condite da una giusta maturità stilistica, saranno sicuramente pronti a contribuire e ad alimentare il glorioso cammino musicale inglese.

1) With Bricks Of Bone And Blood As Mortar
2) The Beast
3) Wretch Nailed Tongue
4) Bereavement Of The Chimes
5) Goat Charmer
6) Just For Tonight