Helligators

Road Roller Machine

2015 - Sliptrick Records

A CURA DI
ROBERTA D'ORSI
06/08/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Recensione

Nel novembre del 2014 mi sono dedicata alla recensione del debut album di un gruppo romano, gli Helligators, il cui primo lavoro mi ha convinta, rendendoli una delle band del nostro panorama underground che più apprezzo. Il disco in questione è datato 2011 e dopo quattro anni finalmente, i cinque romani sfornano la loro seconda fatica, rilasciando il 25 maggio 2015 “Road Roller Machine”, per l’etichetta Sliptrick Records. Prima di iniziare la recensione, vorrei parlarvi dell’esibizione live degli Helligators che si è tenuta il 19 luglio 2015 al Rock Planet di Roma (ovviamente) in occasione del Release Party per il rilascio del nuovo album, io chiaramente non potevo mancare. Uno show organizzato con tutti i crismi. Due le band di apertura che hanno scaldato l’atmosfera, prima di infuocarsi definitivamente con gli Helligators. Partono i Zot che con il loro sound a cavallo tra hard rock e stoner, si sono dimostrati dei discreti trascinatori. Questi ragazzi hanno un consolidato rapporto per quanto riguarda le esibizioni live, inoltre hanno anche rilasciato diversi ep. La serata prosegue con quella che per me è stata una rivelazione, i Super Dog Party. Irriverenti, sarcastici, ironici, simpatici trascinatori la cui naturalezza nel farlo è quasi disarmante. “Tre allegri ragazzi vivi” citando un altro gruppo italiano, anzi vivissimi, con tanta energia in corpo, in particolare quella del cantante/chitarrista Alessandro Peana, che con i suoi brevi ma efficaci siparietti verbali, teneva banco coinvolgendo il pubblico presente con ilarità. Loro definiscono la propria musica semplice rock’n’roll, ma ascoltandoli dal vivo si scorgono altre influenze, come quella del blues e dello swing. Insomma, roba seria.. a differenza di come si pongono loro! Il pre show è stato divertente e coinvolgente, ma il bello doveva ancora arrivare ed è arrivato più forte e cattivo che mai. Gli Helligators salgono sul palco acclamati tra le ovazioni dei molti presenti, iniziando l’esibizione con tutta la carica di cui dispongono e ne hanno davvero da vendere. Nonostante li abbia già visti dal vivo, quella sera mi sono resa conto di quanto siano amati e seguiti, non solo dai classici fans, ma anche da molti musicisti, prerogativa affatto scontata. Le nuove tracce suonate si sono altalenate con qualcosa appartenente al primo album e ad una cover degli Ac/Dc, “Whole Lotta Rosie”. Risultato? Gente urlante e in delirio nemmeno fossero a vedere gli Iron Maiden. Fantastico! Si davvero fantastico vedere tanta partecipazione verso un gruppo emergente. Tra guest stars, battute del cantante e tanto sano rock’n’roll, si è conclusa l’ennesima esibizione coi fiocchi degli “Helli”, come vengono simpaticamente chiamati dai fans. La line up all’atto della registrazione e rilascio del secondo cd è rimasta invariata, ma pochi giorni dopo il release party, la band con un comunicato stampa ha annunciato la sostituzione del bassista Rob “Goblin” che lascia per motivi personali, con Pinna "Yeti" batterista dei Doomraiser. Ricordiamo gli altri componenti ovvero: Emanuele "Hellvis" alla voce, Mik "El Santo" e Daniele Kamo, rispettivamente chitarra ritmica e chitarra solista ed alla batteria Alex. L’artwork di copertina è molto semplice, sul lato superiore ed inferiore sono impressi rispettivamente il nome della band ed il titolo del disco, al centro su fondo nero capeggia il lato anteriore di un rullo stradale (una road roller machine) in pieno stile United States, con una testa di bufalo dalle lunghe corna ricurve e dal ghigno cattivissimo, sulla grande ruota di pietra è inciso il logo della band. Il disco è stato registrato e mixato presso il Moon Voice Studio di Luciano Chessa, masterizzato presso lo Studio 73 di Riccardo “Paso” Pasini.  Il cd contiene dieci tracce per una durata di 53 min. e 17 sec.

Andiamo a farci travolgere dalla road roller machine degli Helligators.



Il brano di avvio è “Nomad” il cui sound iniziale gioca su riff incendiario, sottolineando che gli Helli sono ritornati più tosti ed energici che mai. Dopo un intro a carico di chitarre decise entra in scena la sezione ritmica a dare man forte ai due chitarristi; poi è la volta del vocalist e della sua voce tutta tabacco e whisky, il cui rauco graffiato riesce a far sempre presa. La traccia scorre spedita nonostante i suoi cinque minuti abbondanti, altalenandosi ritmicamente dopo il pre chorus e smorzando, con un riff di chitarra più cadenzato, l’atmosfera incandescente. Arriva con prepotenza l’assolo di Kamo, poco dopo metà brano ed anche lui ci conferma, con tale esecuzione, la sua bravura. Ci si avvia al finale con le due chitarre  supportate dai colpi di Alex alle pelli ed il buon Emanuele che inasprisce ulteriormente il suo timbro. Si parla della vita di uno spirito libero nel testo di Nomad. Un uomo al quale è stato detto dalla madre di contare sempre su se stesso, poiché non è nato sotto una stella fortunata e che la gente prima o poi gli avrebbe voltato le spalle. Suo padre invece, bevitore accanito che vede la sua realtà attraverso un bicchiere, lo mette in guardia dalle donne, divise in due categorie, le puttanelle succhia soldi e le streghe succhia cervello. Il protagonista vive la sua vita all’insegna della libertà, prerogativa che non ha prezzo. Nessuno conosce il suo nome, lo chiamano “nomade”. Con le stelle sulla testa e le radici nel terreno, la vita per lui scorre attraverso un viaggio continuo, tenendosi stretti gli amici che contano e tenendo sempre bene a mente che la terra su cui cammina, è un letto di rose colmo di spine. Con “Doomstroyer” si cambia lievemente registro; ci troviamo nelle orecchie una melodia scandita inizialmente da una batteria che ci regala suoni dal sapore tribale. Successivamente entra in scena un riff di chitarra che riporta alle tipiche sonorità marchiate Helligators. La voce entra in scena alternando il parlato al cantato, supportata dai cori dei compagni. L’andamento è cadenzato sia nelle strofe che nel ritornello. Chitarra e sezione ritmica compiono una volata simbiotica riempiendo con destrezza le parti orfane di voce. Il testo sembra descrivere l’atteggiamento di un musicista la cui carica fisica ed emotiva è segno di vanto. Il protagonista chiede ad un ipotetico interlocutore se voglia essere come lui, pronto a scattare in pista dal palco; domanda retorica poiché ne conosce già la risposta. Si ritiene un distruttore, distruttore del destino, che affronta la sua vita e la sua carriera con la giusta carica di rabbia. Ascoltando il pezzo seguente “Scream” ci si rende conto della poca varietà compositiva, sembrando questa una canzone del loro repertorio già sentita, di contro abbiamo due punti a favore che ne bilanciano gli aspetti negativi. La carica di energia di questi ragazzacci è innegabile ed è naturalmente travolgente. Gli assoli di Kamo non sono buttati lì tanto per, ma oltre ad essere impeccabili, calzano a pennello nel contesto in cui vengono innestati. Se poi ci aggiungiamo (come in questo caso) una sezione ritmica sempre trascinante, ecco lì che la vittoria è assicurata! Grazie a Kamo il “distruttore” (altro che Conan) e ad Alex “the animal” (come lo chiamano i suoi compagni) anche Scream è un altro punto a favore per la squadra Helligators. Uno sfogo quello che si evince dal testo; il protagonista ha subito tante bugie da sentirsi seppellito, la sua gola piena non gli permette quasi più di respirare. Arriva il momento della rabbia, le sue urla possono finalmente venire fuori, sa che questo lo porterà ad un cammino di solitudine, ma sa anche che nella sua follia sarà finalmente libero. Il mondo attorno a lui muta, mentre nella sua testa non ci sono cambiamenti, lui solo sa cosa alberga dentro, gli altri non possono giudicare la sua vita e le sue scelte. Vagherà nella sua follia liberando le urla che ha per troppo tempo represso. “She Laughs” parte ruvida con i suoi riffs secchi e taglienti che fungono da ottimo accompagnamento al vocalist. Gli innesti della sezione ritmica a loro volta supportano con equilibrata dose di cattiveria la chitarra solista. Dopo strofa e ritornello ci troviamo di fronte ad una parte centrale tipicamente stoner, con l’immancabile e puntuale assolo a rendere ancor più vivo il brano. Si riprende con il refrain per dirigersi alla volta del traguardo finale di questa canzone, dove è ancora una parte chitarristica a farla da padrona. Il protagonista della vicenda è sempre lui, il personaggio descritto nelle tracce precedenti, ovvero una personalità difficile, che dopo (molto probabilmente) una notte di bagordi non riesce ancora a dire basta, decidendo di “rifugiarsi” tra le lenzuola con una donna scatenata. La sua amante può danzare come un demone, muovendosi per tutta la notte; guarda negli occhi questa creatura che lo ha stregato, le cui gambe si muovono al ritmo del suo cuore. Lui le tocca le mani e quelle dita affusolate, osserva il suo corpo e lei gli dice che è tutto suo. Quel rossetto rosso ciliegia che dipinge le labbra della demoniaca amante, si piega in una risata durante l’amplesso. Tutta l’energia del rock’n’roll amplificata dalla potenza del metal, sono racchiuse in “Snake oil Jesus”, singolo che ha anticipato l’uscita di questo nuovo lavoro. I riffs ruvidi della chitarra si amalgamano ai fill potenti della batteria, dando vita ad un groove che spara raffiche di note cattivissime. Questo è uno dei brani che dal vivo rende meglio, poiché gli Helli lo rendono ancora più ignorante. La voce di Emanuele si inasprisce ulteriormente e se ascoltando i cori ci rendiamo conto di imperfezioni sull’intonazione, siamo pronti a passarci sopra grazie alla carica che ci regala questa canzone. La forza degli Helligators e della loro musica è il gioco di squadra; in Snake oil Jesus ogni musicista è ancor più protagonista, ogni strumento apporta un notevole valore, guardiamo, anzi ascoltiamo basso e batteria quanto marcano il territorio su cui si erge la struttura della track. Prima di passare al significato del testo ho una spiegazione da dare. Il termine Snake Oil ovvero Olio di Serpente, nel 19° secolo stava ad indicare prodotti per la salute di dubbia certezza scientifica e dalla qualità discutibile, insomma parliamo di prodotti miracolosi venduti da imbonitori fraudolenti. In molti film (soprattutto quelli fantasy o horror) vi sarà capitato di vedere “la miracolosa pozione che fa crescere i capelli” piuttosto che “l’elisir di lunga vita” o ancora “il siero che dona una forza sovrumana” ecc cc. Ovviamente nessuna di quella merce funzionava sul serio. Snake Oil Jesus possiamo tradurlo come Portatore di Miracoli, anche in questo caso ci troviamo di fronte al prolungamento del precedente significato, quindi parliamo di un finto santone o di chi riesce a compiere azioni miracolose anche in circostanze impensabili. Sul luogo di lavoro un “portatore di miracoli” è colui che lavora tantissimo a compenso ridicolo, quindi un “lavoratore miracoloso a prezzi scontati”, praticamente quello che succede da un po’ di anni in Italia (n.d.r. – nota di Roberta..). Analizzando le parole del brano firmato Helligators ci troviamo di fronte proprio a tutti quei ciarlatani che ti promettono favori e soluzioni a tutti i problemi in cambio ovviamente di denaro. Questa figura reale, poiché di millantatori il mondo ne è pieno, può essere una metafora per indicare anche chi si professa amico, promettendoti aiuto ma facendolo solo cercando qualcosa in cambio, magari favori di tipo economico. L’accensione di un motore avvia la seguente traccia “Truckdriver R'N'R”, quattro minuti di ritmo elettrizzante, di quello che ti fa scapocciare convulsamente. La formula adottata dalla band per questa composizione è la classica strofa/ritornello, strofa/ritornello, assolo e poi ritornello che conduce al finale. Per quanto riguarda la parte musicale ritroviamo riffs taglienti che si alternano e combinano tra le due chitarre, basso e batteria giocano come di consueto un ruolo fondamentale, di riempimento, di accompagnamento e supporto ai loro compagni muniti di sei corde. Emanuele non si trova solo, poiché anche in questo brano è supportato dai cori dei compagni. L’assolo mai indesiderato arriva alle nostre orecchie supportato da un tappeto sonoro cadenzato, che smorza l’aggressività di base del brano. La parte finale volge al termine ancor più convulsa, con la batteria che macina colpi veloci e decisi. Chiude la voce di Emanuele con una frase parlata e la musica che si stoppa sulle corde della chitarra. Una vera e propria ode al camionista quella descritta nelle liriche del pezzo. Un camionista rock’n’roll ovviamente! Nonostante abbia guidato per tutto il giorno, la strada non gli basta mai. Compra altre sei birre per caricarsi e sentire il motore ruggire, guiderà tutta la notte, avrà altri fari puntati negli occhi, ma continuerà ad andare avanti per tornare a casa. La vita del camionista è faticosa, ma molti lo fanno per passione, perché amano viaggiare, amano guidare. La vita di un camionista può essere però anche molto introspettiva, con la musica a fargli compagnia, ha molto tempo per pensare e riflettere, per prendere decisioni importanti, per valutare aspetti della propria personalità, pregi e difetti. Guardare dallo specchietto retrovisore la strada che si allontana; attorno a sé il panorama cambia e dinanzi ai propri occhi il camionista intravede la strada che percorrerà a breve. Così come evolve la vita, un lungo viaggio fatto di presente, passato e futuro. Segue un trittico di canzoni ognuna della durata di oltre sei minuti: la prima si intitola “Swamp Man Voodoo” e vede la presenza di una guest star, ovvero Maurice Flee, voce e chitarra del gruppo stoner rock dei Gorilla Pulp. Maurice suona la lap steel guitar e qui nella canzone degli Helligators si presenta proprio con questo strumento, lo possiamo ascoltare ad inizio canzone. L’assetto della traccia si propone con caratteristiche marcatamente stoner, belli gli innesti di chitarra, così come quelli di basso. La batteria di Alex scandisce colpi sulle pelli che hanno un sentore atavico, riecheggiano nell’aria e riempiendo ogni singola particella di ossigeno. Il songwriting è ricco, presenta spunti variegati e brillanti, consentendo alla band di dimostrarsi compositori dinamici, anche il vocalist accenna una linea vocale diversificata e più espressiva, rispetto alla sua solita interpretazione. Quando ci si trova a subire menzogne e torti, si finisce per rinchiudersi in un proprio mondo, dalla cui mente scaturiscono veri e propri luoghi popolati da creature misteriose, le quali non sono altro che la rappresentazione dei propri demoni, delle proprie vendette, di tutto quello che ha circondato la vita reale e che nel profondo dell’inconscio viene a galla, permettendo un comportamento non consono alle leggi morali. Quelle stesse leggi morali che vengono spesso ignorate da chi un’anima non ce l’ha, da chi vive nell’egoismo, portando chi ha sempre vissuto nel giusto ad abbracciare tale concezione malsana. Così anche una relazione d’amore in una mente soggiogata dalla follia, diventa fulcro di un’interiorità grottesca e sopra le righe. Il protagonista del testo si trasforma in un “uomo woodoo della palude”, il quale vive nelle tenebre accerchiato da creature infernali che cercano di morderlo. Lui dice di conoscere bene quegli esseri e mette in guardia la sua amata dalle ombre della notte, rammentandole di una scambievole promessa. Molto probabilmente il protagonista cerca di salvaguardare la donna amata proprio da lui stesso e dai suoi demoni interiori, ma la ama così tanto da asserire che un giorno sarà sua sposa, forse perché spera dentro di sé, di tornare quello di un tempo. Mi aspettavo qualcosa in più da “Bad Ass” considerando la durata della canzone. Siamo alla seconda track del trittico lungo oltre sei minuti e praticamente a parte qualche innesto strumentale, in cui la chitarra apporta movimento al brano, per il resto la struttura è piuttosto ripetitiva. La parte cantata si protrae sino alla fine in modo monotono con soltanto qualche picco interpretativo nelle ultime battute; l’assetto musicale differisce dal resto del contesto lì dove Kamo, con la sua chitarra, si propone con interventi che differenziano il songwriting. In queste fasi, così come in quella oltre metà canzone, anche la batteria esegue un tappeto sonoro alternativo che accompagna con gradevolezza uditiva la parte chitarristica. Dal mio punto di vista rispetto al brano precedente, la durata in questo caso non è giustificata, ma tutto sommato il pezzo è godibile. Il sentimento della vendetta regna sovrano in questo testo; un uomo che per tanto tempo ha tenuto a bada cattiveria ed odio, dopo aver ripetutamente subito la disonestà e le menzogne da un individuo, decide di liberare la bestia che è il lui. Il periodo trascorso a reprimersi, ha però allo stesso tempo alimentato la sua sete di vendetta verso chi gli ha fatto del male, ed è giunta l’ora di farla pagare a chi di dovere. Un riff di chitarra iroso ci presenta la penultima traccia “Stone Crusher”, il cui andamento segue percorsi melodici dal ritmo flemmatico, ma con la consueta carica ignorante tipica degli Helligators. Le chitarre, protagoniste indiscusse della band (almeno a mio giudizio) sanno intrecciare dinamiche sempre convincenti risultando, anche dove i groove sono meno energici, di impatto, con inserti strumentali che impreziosiscono il risultato finale. Questo pezzo come il precedente non brilla particolarmente, rispetto alle altre composizioni del disco, ma sicuramente ha un approccio più variegato e meno monotono ed è proprio alle dinamiche chitarristiche che va il merito. Che sia la semplice ritmica o che siano gli assoli, le corde degli Helli si infuocano ad ogni giro, sottolineando si la semplicità compositiva e di stile della band, ma facendoci inoltre infervorare per l’energia che ne scaturisce. In questa track  poco prima della metà, potete godere della tenacia, della forza e della robustezza degli assoli di Kamo,  che in sede live diventano veri e propri fendenti, che tagliano l’aria tutt’intorno con un vigore micidiale. Distorsione prolungata delle corde di chitarra pone fine a Stone Crusher. Una metafora indubbiamente, quella utilizzata nelle liriche, in cui un “distruttore di pietra” scavando e rompendo, vede la faccia della persona a cui sono rivolti i suoi pensieri. Pensieri che non mi danno certo la sensazione di essere benevoli; quando arriverà la fine, dalla sua testa usciranno le ombre che lo avvolgono, quando vedrà il nome di quel qualcuno sulla lapide, quelle ombre lo lasceranno. Quale nome il protagonista desidera vedere stampato su una tomba per sentirsi libero?.. e se fosse proprio il suo? Con “Black Sun” arriviamo al termine, scoprendo una melodica traccia in cui ritroviamo la guest star Maurice Flee con la sua lap steel guitar e quei suoni deliziosamente southern rock. Alla voce questa volta si cimenta il buon Kamo che oltre a maneggiare con destrezza la sua amata chitarra, pone a servizio di chi ascolta anche lo strumento della voce. Ho avuto modo di ascoltare in anteprima questo pezzo in sede live, durante l’esibizione alla serata del relase party per la pubblicazione del nuovo lavoro. Nonostante qualche piccolo problemino di acustica e di volume microfono un po’ basso, che si è presto risolto, la prestazione di Kamo mi ha non solo convinta, ma anche commossa. La melodia portante è molto evocativa, mi ricorda le sonorità di quel grande gruppo che è stato i Kyuss; un viaggio in macchina per le ampie strade americane che portano ai meravigliosi e suggestivi paesaggi desertici del Black Rock, del Mojave o ancora del Sonora desert, musica a palla e vento tra i capelli in una cadillac rossa fiammante. Questa scena immaginata nella mia testa, scaturisce dall’ascolto delle note di Black Sun, una canzone tutto sommato semplice, easy e di facile approccio, che colpisce immediatamente e cattura l’attenzione al primo ascolto, ma che al contempo denota una ricerca compositiva e di arrangiamento accurata e ponderata. Con questa track gli Helligators hanno fatto nuovamente centro, chiudendo il secondo lavoro nel migliore dei modi. Le accuse rivolte dal protagonista delle liriche a questo “sole nero”, sono a mio parere una metafora per indicare in realtà una persona. Preferendo stare solo ed immaginando di avere a che fare in futuro con gente straniera, il protagonista ammonisce questo sole nero, gli dice che lui non potrà più ferirlo. Piuttosto che vivere ancora un altro giorno con quel dolore trasformato in rabbia, preferisce dire addio alla vita che sentirsi ancora male. La disperazione spesso porta a pensare di non avere nessuna via d’uscita, nessuna scappatoia che possa rendere la situazione esistenziale più serena e si pensa immediatamente ad una scelta drastica, troppo drastica. Ognuno di noi affronta almeno un sole nero nel percorso della vita, ma la forza di volontà e la grinta per combattere, ci danno la forza per spazzare via anche le nuvole più persistenti.



Prova numero due per i romani rockettari tutta musica e simpatia, una prova che ha confermato innanzitutto la tenacia e la passione per quello che fanno. Il palco poi sembra essere il loro habitat naturale, animali da palcoscenico che si esaltano ed esaltano il pubblico con una euforia al di sopra delle stelle. Lo si vede dai loro atteggiamenti e dai loro sguardi, ognuno a modo suo, ognuno perso nel proprio personale mondo fatto di musica; c’è Hellvis che ti cattura col suo sguardo magnetico e ti porta con sé qualsiasi cosa stia cantando e qualsiasi pensiero lui stia facendo, c’è Alex dietro le pelli che ti induce a scapocciare al ritmo dei suoi colpi e dei suoi ricci scalpitanti e che dire del magnifico Kamo per il quale artisticamente, all’interno del gruppo, ho una predilezione. Guardare la sua espressione mentre suona è qualcosa di emozionante, il suo modo di fare così apparentemente strafottente, è invece un atto d’amore per la musica ed il suo strumento ed osservandolo sul palco capisci quanto in quel momento, lui si chiuda nel suo universo speciale e quando riesci a capire questo guardandolo, allora riesci anche tu ad entrare in quell’universo, ed è una sensazione fantastica. Dieci tracce che hanno messo in luce aspetti positivi (tanti) e aspetti negativi (pochi). Dieci canzoni che profumano di quel sano rock “contadino”, la cui genuinità è il miglior biglietto da visita. Dieci brani stilisticamente coerenti, dalla prima all’ultima nota, coerenti con lo stile inizialmente proposto da gruppo e che ne ha seguito i crismi anche in questo nuovo lavoro. Dieci pezzi senza pretesa di esaltazione, ma con la sola prospettiva di far star bene chi li ascolta. Tutto questo funziona alla grande e nel complesso le poche note deboli del disco, passano inosservate, ovvero la poca versatilità espressiva del frontman, ma del resto qualcuno di voi si ricorda di un certo Lemmy Kilmister? Ed ancora la poca varietà compositiva, che potrebbe far risultare a qualcuno più “precisino”, le melodie degli Helligators un po’ simili tra loro. Ma questo modo di scrivere musica non è mai stato un tratto distintivo negativo, semplicemente si tratta di rimanere coerenti con il proprio genere, con la propria natura, con il proprio linguaggio creativo e  musicale. Del resto stiamo parlando di rock’n’roll e non di progressiveProva numero due per gli Helligators, una band amata dalla loro piccola cerchia di fans, ai quali auguro di allargare il bacino di utenza e di consensi, perché le carte in regola le hanno, la loro musica lo dimostra e quando è la musica a dimostrarlo, allora nulla è immeritato.


1) Nomad
2) Doomstroyer
3) Scream
4) She Laughs
5) Snake Oil Jesus
6) Truckdriver R'n'R
7) Swamp Man Voodoo
8) Bad Ass
9) Stone Crusher
10) Black Sun

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