Helligators
Against all Odds
2011 - Self
ROBERTA D'ORSI
05/11/2014
Recensione
Ci sono musicisti che fanno musica senza pensare a quale sial il genere che meglio li rappresenta. “..esiste solo il rock'n'roll...se quando lo senti inizi a muovere la testa e ti carichi di energia funziona..”. Su questo principio si basa l’operato dei romani Helligators, ed andando nella loro pagina facebook nella sezione dedicata alla biografia, in fondo alle info leggerete questa frase. Pensiero condivisibile, che io stessa abbraccio da un certo punto di vista. Chiaro che comunque un minimo di classificazione debba essere data, ma più che dovuta, è naturale che scaturisca dall’ascolto. Inoltre per quanto la creatività venga di getto, c’è sempre e comunque un minimo di ispirazione, dovuta ad un bagaglio musicale personale che poi si personalizza all’interno di una band, dalla mescolanza delle varie influenze e dai generi d’ascolto preferiti. Ascoltando le canzoni degli Helligators ci si trova inevitabilmente a pensare al southern rock, con elementi e sfaccettature di stampo più metal. Arpeggi di chitarra acustica in bilico tra il country ed il blues, delineano uno stile piuttosto personale e sicuramente creativo. La band si forma nel 2009 per mano di cinque amici già navigati dell’ambito musicale locale. L’intenzione principale è quella di suonare ciò che più piace ai ragazzi, un rock’n’roll nudo e crudo, senza troppi fronzoli che arrivi diritto allo stomaco della gente, un sound che permetta loro di scatenarsi on stage. Io li ho visti un paio di volte dal vivo e posso garantire che in sede live sono davvero travolgenti. Nel 2010 gli Helligators autoproducono il loro disco d’esordio, registrandolo presso il Moon Voice Studio all'Aquila ed “Against all Odds" viene rilasciato al pubblico l’anno successivo. Sempre nel 2011 arriva il singolo ufficiale accompagnato dal videoclip di “Tattooed Killer”. La formazione al tempo della registrazione di “Against all Odds” vede Emanuele "Hellvis" alla voce, Mik "El Santo" alla chitarra e cori, Kamo alla chitarra solista e cori, Rob "Goblin" al basso e Marco “Karonte” alla batteria. Quest’ultimo sul finire del 2013 lascia il gruppo e viene sostituito da Alex. Con la nuova line up gli Helligators si apprestano a pubblicare il secondo lavoro, nell’attesa di ascoltarlo andiamo a sviscerare le sonorità del primo lavoro.
“Goddam…” comincia con un rumore di passi, una porta che cigola ed una sigaretta accesa. Sussegue un intro acustico di chitarra e la voce pulita di Emanuele, supportato fino alla fine del breve pezzo da quelle note acustiche. L’atmosfera ci riporta ad annusare l’aria calda che si respira nel profondo sud dell’America. Una ballata malinconica che riecheggia di blues e parla di una donna amata, una donna difficile che mette nei guai il protagonista, spingendolo ad uno stato di depressione. Si cambia registro con “Southern Cross”; un colpo di batteria antecede una veloce sferragliata alla chitarra e dopo una manciata di note, il vocalist entra in scena con un timbro sporco, sua peculiarità interpretativa, che ritroveremo in molti pezzi degli Helligators. Il songwriting è compatto con alcuni sprazzi di tensione che si acutizza dall’assenza di musica per qualche secondo e dai riffs di chitarra ritmicamente flemmatici, supportati da colpi alla batteria in simbiosi. L’assolo di chitarra si perpetra nel tempo riempiendo significativamente il brano. Uno stridulo allungamento della nota si protrae verso il finale, andando di pari passo con i colpi di Karonte alle pelli. Nella canzone si fa riferimento ad un uomo che vive per portare morte e distruzione verso qualcuno che non merita la vita. Nato per uccidere, un uomo a cui non importa della propria vita e che ha come unico punto di riferimento la croce del sud su una bandiera. “Tattooed Killer” è il singolo ufficiale del debut abum degli Helligators, che gode di video ufficiale. I riffs di base conferiscono ruvidezza al brano, mentre la presenza massiccia del basso acutizza la sensazione claustrofobica che si prova nell’ascolto, il tutto sottolineato dalla granulosa voce di Emanuele. La ricchezza della musica non è data tanto dal songwriting, che di per sé è piuttosto semplice, quanto dall’arrangiamento e dalla prestazione massiccia dei musicisti, in particolare dei chitarristi e del bassista. Quest’ultimo in sede live mi ha proprio colpita, oltre che essere un animale da palcoscenico come i suoi compagni, è un vero e proprio Titano del basso. Le variazioni ritmiche presenti nella song, sono dirette dai colpi alla batteria, ed il regista Marco Karonte guida i suoi compagni da dietro le quinte di una prestazione non invasiva ma assolutamente decisiva. Il videoclip è molto bello e descrive il senso del testo con taglio cinematografico; i due attori principali (il tatuatore e la ragazza) riescono con il solo sguardo ad esprimere i sentimenti provati dai protagonisti delle liriche. Rabbia e compassione sono quei sentimenti; il primo alberga in una fanciulla i cui abusi subiti dal padre, l’hanno portata ad uccidere i suoi amanti. Il secondo sentimento è quello provato dal tatuatore che le imprime addosso i suoi “trofei” di vendetta verso tutti gli uomini. Alla fine la ragazza trova nel tatuatore una specie di confidente/redentore, ed è lì nel suo studio che mette fine alla propria vita, sparandosi un colpo di pistola in bocca. Gli Helligators hanno affrontato un tema scottante e sempre più dilagante, quello dell’abuso. Un comportamento spregevole che trova ancor più indecenza morale se perpetrato su giovanissime creature indifese. Nella canzone viene messo in evidenza il lato psicologico; il subire molestie ed abusi può creare cicatrici mentali così profonde, da indurre all’insanità, ed al conseguente comportamento di vendetta violenta. Le tracks contenute in Against All Odds sono tutte piuttosto lunghe, e fin' ora, nonostante le composizioni non abbiano come peculiarità, estrema varietà e novità, il loro ascolto procede scorrevole. Un pregio non da poco! “Cruel” è un altro pezzo lungo. Oltre sei minuti all’insegna di un rock duro, in cui la chitarra solista ad un certo punto prende il sopravvento. Ma andiamo con ordine. Si parte con pacatezza, riffs di chitarra ritmica con nota prolungata, chitarra solista le cui corde danzano leggiadre tra le dita del suo possessore. Dopo un minuto circa il ritmo incalza senza esagerazioni. Il vocalist viene seguito dai musicisti nella sua interpretazione cadenzata, ed accompagnato dai colleghi anche nei chorus. Il ritornello cantato devo ammettere risulta un po’ sopra le righe, quasi forzato, con le voci corali che sembrano quasi stonare. Ma quando poi si passa all’ascolto dell’assolo, quella sensazione di forzatura passa in secondo piano. Si perché a metà traccia circa, arriva alle orecchie quel solo di chitarra citato inizialmente, e vi assicuro è un momento riempitivo notevole. Il testo si riferisce ad una donna il cui nome fa rima con crudeltà, una donna che ha l’inferno dentro, un inferno di calore, passione. Una donna che non è di certo uno zuccherino, ma che viaggia controcorrente e in libertà. Una donna con cui il protagonista ha sempre fatto fuoco e fiamme, la cui attrazione tra loro è così forte che può vederla chiunque. Con “Kill the Monster” gli Helligators si dirigono verso sonorità dall’impronta fortemente grunge. Interpretazione vocale, riffs di chitarra e ritmo flemmatico del songwriting ne sottolineano l’aspetto, i momenti solistici della chitarra stemperano quest’atmosfera introspettiva e malinconica, con una sferzata energica concettualmente ribelle, quasi vendicativa. Piacevole l‘ascolto anche se il pezzo non è entusiasmante, un discreto brano riempitivo che acquista valore con l’assolo di chitarra. Non è facile entrare nel significato dei testi scritti dagli Helligators, loro appartengono a quelle band che si armano di un certo ermetismo. Frasi criptiche che andrebbero sviscerate con il diretto interessato, ovvero lo scrittore. Nel caso di Kill the Monster abbiamo a che fare con un protagonista alle prese con una guerra, in cui deve uccidere un mostro prima che il mostro uccida lui. “Burn” è una delle track migliori dell’album. Nei suoi oltre cinque minuti e mezzo troviamo varietà compositiva, ritmo, energia, ma anche melodia ed un cambio di registro in cui la musica accarezza le orecchie per merito di un’esecuzione alla chitarra delicata, che accompagna un chorus pacato e carico di emotività. Questa parte centrale è un ponte tra due montagne sonore rocciose, rese ancor più grezze dalla ruvidezza del timbro vocale assunto da Emanuele. La canzone è un po’ una fiera ode al proprio stile di vita, ovvero quella del “cattivo ragazzo”. Un pazzo è chi cerca di modellare la vita alle proprie esigenze fregandosene delle conseguenze? Forse! Ma in fin dei conti meglio vivere con soddisfazione che morire con rimpianti. Il protagonista sa bene che vivendo all’insegna di sesso e sbronze con gli amici, il suo posto all’inferno è assicurato. Ma a lui non importa, dato che da Dio non vuole essere giudicato. Siamo giunti alla titletrack dell’album, “Against all Odds”. Il riff principale è uno di quelli che convince al primo ascolto e si stampa immediatamente nella testa. Un inizio di colpi alle pelli che evoca sensazioni tribali, precede per pochi secondi proprio il riff appena citato. Il cantato flemmatico viene sorretto da un altrettanto flemmatico tappeto sonoro, dove la spiccata melodia non elude una certa veemenza stilistica. Col proseguire del pezzo l’ambiente circostante si irrobustisce, come un albero secolare che crescendo affonda ed ingrossa le proprie radici, ancorandosi al suolo con tenacia. Così il songwriting di Against all Odds si fortifica in alcuni passaggi, ancorandosi alla base musicale che le fa da solido suolo, in cui le varie sezioni ritmiche sono le radici che si fissano al terreno. Ogni nota, ogni passaggio, ogni riffs o bridge, sono le foglie attaccate ai rami di una composizione che si erge fiera, la cui punta più alta è pronta a svettare in cima e fare capolino tra le nuvole. Quella punta per quanto mi riguarda, è il riff di base che a metà canzone circa, viene caricato come una molla e lasciato schizzare via per la sua strada. Unico neo della canzone, è la performance vocale su registro alto, che tende ad andare fuori tono. Un cambiamento nella propria vita è quello che traspare come significato dalle liriche della song. Il protagonista analizza ciò che continua a vedere attorno a sé, la stessa merda di dieci anni prima, ma la sua forza di volontà non gli consente di mollare. Troppo breve ma incisivo l’attacco di basso per la seguente traccia “Gimme a Break”, poi la voce rauca e cavernosa di Hellvis (Emanuele) entra in scena con tutto il suo ammaliante magnetismo. Per gusto personale il timbro di Emanuele ha subito colpito il mio interesse, quando tocca registri bassi il suo colore emana vibrazioni talmente sensuali e cattive al tempo stesso, da lasciare incantati. E dal vivo garantisco che la performance è appagante quanto quella del cd, se non meglio. Il riff di base è molto orecchiabile, talmente orecchiabile da ricordarmi qualcosa appartenente alle composizioni dei Savatage, complice anche l’esecuzione vocale di Emanuele. Il resto del brano invece si dirama in varie direzioni, dal rock più pesante a richiami thrash, gli Helligators cavalcano un’onda piuttosto variegata coi loro strumenti, come surfisti in equilibrio sull’onda perfetta. La fine di un rapporto con una persona soffocante e che pretende e vuole troppo; questo traspare analizzando il testo. Il protagonista dichiara che gli ci vuole una pausa, vuole dimenticare anche il volto di questa persona la quale vuole solo mettere un cappio attorno al suo collo. Gusto blues si assapora partendo dalle prime note acustiche di “…Bloody Blue”. Il songwriting è ben calibrato e concede al vocalist di percorrere la sua strada con tono rischiarato. La caratterizzazione stilistica ci riporta all’opener del disco, ovvero Goddam, ed infatti scambiando due chiacchiere con Emanuele, ho saputo che le due tracce inizialmente erano un’unica composizione, poi divisa. Questo ha permesso di creare un inizio ed una fine per l’album, il cui legante poi sono tutte le altre canzoni. I chorus sono ancor più presenti, così come la linea di basso, che demarca un sound profondo, riportandoci ad un’atmosfera respirata in quei locali nei quali si ascolta rock live, sorseggiando un whiskey invecchiato in botti di rovere, attorniati da mobili e rivestimenti di legno, così caldo e suggestivo. L’anima blues viene fuori anche dalle liriche. Come già detto la canzone è il prosieguo di Goddam, e così anche le liriche. La donna complicata citata in apertura riempie il testo di Bloody Blue. Nonostante il protagonista sia profondamente depresso da quando lei non c’è più, la personalità complicata della donna è più ingestibile di qualunque sentimento. Il tempo di curare le ferite è giunto, e nonostante il rammarico, il bisogno di stare bene con se stessi è primario. Queste parole mettono in risalto la consapevolezza del proprio benessere; non bisognerebbe mai annientarsi per l’altro. Complicità e compensazione devono prescindere da qualsiasi restrizione fisica e mentale, e quando tale equilibrio viene a mancare, se pur difficile, la rottura è l’unica decisione saggia da prendere. Bloody Blue termina con il canto dei grilli ed i secondi continuano a scorrere con i suoni di una natura notturna. Si potrebbe essere spinti a schiacciare il tasto stop, ma consiglio vivamente di non farlo, poiché quando i grilli terminano il loro canto, una ghost track si palesa all’udito. Si tratta di “Elsewhere”, scritta dal cantante ma interpretata vocalmente dal chitarrista Mik “El Santo”. Alcune splendide battute di pianoforte introducono la traccia fantasma, pochi secondi e la chitarra si affianca per dare il via al brano. L’assetto compositivo è lento, e la voce di Mik è davvero una sorpresa. Pur non amando particolarmente fare paragoni, non posso esimermi dal citare gruppi come Moonspell, i primi Paradise Lost o i Tiamat al quale Elsewhere mi ha subito riportato con il suo ascolto. In bilico tra sonorità dark/gothic e doom per quanto riguarda l’inizio e le strofe, e un rock deciso nell’esplosione del refrain, il pezzo fantasma degli Helligators è assolutamente una delle composizioni migliori di questo debut album. La dedica del brano nelle sue liriche, impreziosisce ulteriormente la caratura di questo componimento. Il terremoto dell’Aquila ha ispirato gli Helligators, che ospitati nella città per la registrazione al Moon Voice Studio di Luciano Chessa (autore dell’intro di pianoforte), hanno potuto immergersi nella realtà vissuta dagli abitanti di una città distrutta nel profondo. Traspaiono le sensazioni nell’assistere al devasto di una città e dei suoi abitanti, e di un Dio che ha voltato lo sguardo “altrove”, il titolo della canzone Elsewhere.
Tirando le somme gli Helligators sono una buona realtà nel panorama underground italiano, con il loro sound senza pretese, sincero, spontaneo e diretto. Alcuni aspetti che vanno messi a posto ci sono, come una certa ripetitività nel songwriting ed alcune prestazioni vocali non sempre in tono. Ma se consideriamo che gli Helligators non fanno metal sinfonico o progressive, questi aspetti possono essere messi in secondo piano, e vi spiego perché a parer mio. I musicisti sono tutti molto bravi, dovreste assistere ad una loro esibizione in sede live; sono macchine da guerra tutti e cinque. Hanno carattere, talento, impatto visivo, sanno tenere il palco e mantenere sempre il pubblico vivo. L’aria attorno a loro sembra appartenere ad una dimensione diversa, una realtà fatta di forza, vigore, energia allo stato puro. Il terreno sotto ai loro piedi e di chi ascolta vibra, e non solo per effetto degli amplificatori, non solo per il volume alto, ma per la decisione e la passione che mettono ad ogni accordo, su ogni corda pizzicata, su ogni colpo dato alla batteria, in ogni parola proferita al microfono. Sono una moltitudine i gruppi (anche tra i più famosi) la cui parola “perfezione” non appartiene al loro vocabolario, ma che per attitudine e sensazioni, riescono a regalare molta più emozione di tante esecuzioni impeccabili. C’è chi dice no al colesterolo e si a valsoia. Io di sicuro dico SI agli Helligators, che sono riusciti a soddisfare pienamente sia le mie orecchie che la mia mente, con la forza salubre della musica. Concludo con una frase detta in apertura di recensione dal frontman Emanuele: “..esiste solo il rock'n'roll...se quando lo senti inizi a muovere la testa e ti carichi di energia funziona..”. Beh caro Emanuele avete fatto centro, ti assicuro che la musica degli Helligators funziona!
1) Goddam...
2) Southern Cross
3) Tattooed Killer
4) Cruel
5) Kill the Monster
6) Burn
7) Against all Odds
8) Gimme a Break
9) ...Bloddy Blue
10) Elsewhere (ghost track)