HELLGEIST
Hellgeist
2014 - Nadir Music
DAVIDE CANTELMI
04/11/2014
Recensione
L’Italia è una realtà pressapoco inesplorata, una realtà in cui solo i più grandi esploratori osano addentrarvisi per scoprirne le mille sfaccettature musicali. È risaputo che l’underground italiano, purtroppo, sia fortemente sottovalutato da chi non lo approfondisce ma comunque estremamente amato da chi ha avuto il piacere e il coraggio di immergersi in esso. E proprio di underground parliamo, con questa recensione: siamo a Peravagno nel 2011, e un quartetto comincia ad affacciarsi alla scena metal italiana; stiamo parlando degli Hellgeist, composti da Alessandro Parola alla chitarra, Luca Sierra alla voce, Gabriele Lingua alla batteria ed Andrea Castagnaro al basso. Dopo la pubblicazione della demo “What a Hell” il 31 Marzo 2012, la band ci presenta il suo primo full-length omonimo (“Hellgeist”, appunto) in uscita il 3 Novembre 2014 per la “Nadir Music”. Guardando l’artwork possiamo osservare un uomo denutrito seduto sul pavimento di quella che sembrerebbe essere una strana cella. Sulle pareti di tale prigione sono presenti dei graffiti raffiguranti il simbolo ed il nome della band: tale simbolo appare anche alla destra del povero prigioniero, come grata metallica di una finestra rotonda. La luce solare, che entra dalla finestra, viene riflessa sulla parete sinistra, proiettando proprio il simbolo già visto. La copertina non ha significati particolari ma raffigura semplicemente un ambiente molto ostico, desolato e vacuo: è evidente la solitudine che circonda il prigioniero. Sin dalla demo precedente si capisce che la formazione utilizzi uno stile ispirato molto agli storici Pantera, infarcito con influenze Metalcore e Crossover, oltre a prendere spunto da altre leggende affermate del Thrash Metal come Sepultura e Slayer. Il platter è composto da otto brani e si presenta come il primo vero test della band. Andiamo ad esaminare perciò le varie tracce.
La prima canzone è “Last Breath”, un brano che si ispira moltissimo al Thrash Metal anni ’80 ed impreziosito dalla giusta dose di modernismo. I ritmi sono subito battenti e velocissimi, come ogni pezzo di questo genere che si rispetti poiché, dopo una intro delineata da un riff abbastanza massiccio, si passa a un palm muting rapido e martellante che sorregge le vocals di Sierra, molto ispirate a quelle di gruppi Groove Metal come Pantera e Lamb of God, grazie anche ad uno scream molto cupo e tagliente. Questo frangente dimostra anche come nella produzione degli Hellgeist ci sia anche una vena Speed Metal di scuola Exciter. Il pezzo scorre tranquillamente senza eccessivi fasti grazie a un groove abbastanza azzeccato che, seppur molto riuscito, non mostra nulla di originale: eccezione a parte è il genuino e chiaro assolo, capace di donare maggior prestigio al risultato generale. Strutturalmente, per tutta la sua durata, “Last Breath” si muove su trame lineari che conducono al violento assolo che rappresenta il piccolo gioiello della track. Nelle fasi finali il refrain si ripete e il pezzo si conclude senza dissolvenza in modo brusco con una battuta di batteria, classico finale Thrash. Il testo è un’evocazione dell’ambiente che circonda il condannato a morte in questa strana prigione. Gli Hellgeist ci offrono dei testi che parlano di misantropia e odio verso il mondo e questi si riflettono sul contesto. Il respiro dell’uomo rappresenta rabbia pura tramutata in aria ma, alla fine delle lyrics, ci si rende conto che in realtà il personaggio morirà “in onore” di questa vita grigia e malandata. Quando la disperazione ci attanaglia, quindi, riponiamo la nostra fiducia in una figura indefinita, avvolta nella foschia, un dio che comunque il malcapitato vuole combattere con le sue stesse mani perché ci si rende conto che, al di là della nebbia, c’è la figura appunto di una divinità che non ci ama e che non ci conferisce la forza per affrontare una misera esistenza. La seconda traccia, “Again”, parte subito con riff molto piazzati di vaga ispirazione Slayeriana e Sodomiana, e si nota subito l’attenzione generale per le strutture ritmiche (il fulcro del lato Groove Metal del gruppo), che ripetute entrano facilmente in testa all’ascoltatore. Il suono della chitarra è più cupo e rabbioso rispetto alla precedente track mentre il cantato si mantiene sugli stessi standard qualitativi. Come in ogni gruppo Thrash che si rispetti, i riff veloci in palm muting che precedono il refrain sono sorretti da un’ottima cornice di basso. La traccia scorre abbastanza velocemente senza però rimanere impressanella mente dell'ascoltatore, per colpa di alcuni passaggi abbastanza incoerenti tra di loro. Il ritornello stesso, infatti, non possiede una forte tenacia seppur gli scream seguenti aggiungono suoni graffianti e ruggenti. La band punta molto sulla scelta dei riff e sulla loro velocità e pulizia di esecuzione. Come il brano precedente, anche “Again” si conclude bruscamente come un pugno in faccia all'ascoltatore. Il testo è pienamente incentrato sull’odio, su di un mondo dominato da esso in cui uccidiamo, ripetutamente e ciclicamente, i nostri cari (da qui il titolo della canzone, “Again”). Le battaglie sono comunque guidate dal desiderio di salvare la propria anima tramite la guerra e qui gli Hellgeist ci lasciano con questo dubbio: stiamo parlando per caso delle crociate? Questo non lo scopriremo mai poiché la band non ci fornisce indicazioni esplicite circa questo eventuale riferimento. Quel che è noto è che la morte è rappresentata come la liberazione da tutte le sofferenze che ci attanagliano nella vita terrena, e ci costringono a vivere in una spirale di odio senza fine. “Black Bells” è un crocevia di tradizioni, dove il Thrash Metal anni ’80 si sposa con i più moderni Hatebreed e Lamb of God. Lo stile degli Hellgeist rimane anche qui pressoché invariato: non brillando certo per originalità ma, sicuramente, quel che fanno lo portano a termine in modo molto buono. La band italiana riprende sicuramente tutti i grandi del genere riadattandoli in chiave moderna, miscelando tantissime influenze. La voce, anche qui, è basata su uno scream molto tagliente e aggressivo, in modo tale da conferire al brano la giusta dose di cattiveria e durezza. La struttura della canzone è molto lineare, con le vocals sorrette da riff prevalentemente in palm muting. Successivamente il ritmo rallenta in previsione di un assolo molto riuscito in puro stile Thrash / Speed Metal. Nelle fasi finali il brano si conclude con la ripresa della struttura portante della canzone e con la solita interruzione brusca. Il testo esprime essenzialmente il dissidio tra l’uomo e la religione, poiché in un mondo in cui l’odio e la rabbia vivono supremi, l’essere umano si ritrova a pregare e a vivere in funzione di quella speranza che viene donata dal proprio credo. Gli Hellgeist però sono chiari: “Don’t Believe in this religion”, “non credere a questa religione”. Correlato sempre con il tema della nebbia presente nella precedente “Again” possiamo notare un chiaro riferimento alla religione intesa come illusione vera e propria. Riprendendo un po’ dalle concezioni di LaVey, fondatore della “Chiesa di Satana”, la band italiana esplica che ogni uomo è il proprio Dio (questo è il fulcro del satanismo razionale) e perciò deve vivere secondo le sue stesse leggi. “Mindead” è la quarta traccia dell’album e parte subito con un riff velocissimo e aggressivo in palm muting senza fronzoli, salvo poi scendere in sonorità più moderne. La voce è aggressiva, cattiva e feroce al punto giusto e si ispira molto a quella di gruppi come Lamb of God. Le parti di chitarra si susseguono senza alcuna sosta in tutte le fasi della canzone fino al potente breakdown tipico delle influenze musicali contemporanee. Le vocals si fanno sempre più rauche tanto da sembrare growl, mentre successivamente vi sono delle particolarissime influenze Djent nei palm muting finali, che donano al pezzo un tocco più al passo con i tempi che, comunque, guarda sempre al passato. La track scorre fluida fino agli istanti conclusivi, in cui battute acceleratissime di chitarra e batteria chiudono in bellezza una canzone abbastanza anonima. Le lyrics sono spicciole e concise poiché si ribadiscono i temi già trattati precedentemente, sottolineando sempre l’odio che provoca Dio negli uomini. Odio tramite il quale gli esseri umani sono complici di numerosi delitti e uccisioni. Gli Hellgeist insistono sempre sul termine “nebbia”, per sottolineare un’atmosfera ostile, acida e pienamente misantropica e nemica. In questo caso, però alla divinità è aggiunta la connotazione di “sporca”, per sottolineare il degrado che Dio porta agli uomini. Con questi concetti riciclati, gli Hellgeist celebrano l’epopea dell’odio e della violenza presente nel nostro mondo mostrandoci una realtà cruda in tutti i suoi dettagli. In conclusione si sottolinea come una persona finisca a pregare dei veri e propri demoni che guideranno sempre la sua mente. Il quinto brano, “Your World”, presenta notevoli differenze rispetto ai precedenti: inizialmente le sonorità sono indirizzate verso un Southern Rock alla Lynyrd Skynyrd, contornate da una voce pulita ma sempre tagliente. Successivamente il sound diviene più groovy, mantenendo però uno stile di fondo molto Hard Rockeggiante. Le ritmiche,molto più lente del solito, conservano il loro tiro grazie a riff granitici e piazzati che sicuramente aggiungono il giusto impatto di violenza. I giri di basso sono sempre ben udibili e si distinguono chiaramente all’interno di tutta la produzione. Il pezzo assume connotati sempre più Thrash Metal man mano che giungiamo al termine poiché il ritmo diventa sempre più veloce, tirato e potente. In pratica siamo di fronte a una track dalle due anime: una che guarda al passato nostalgico dei vecchi gruppi rock e una che contempla il futuro grazie al velocissimo assolo che, pur essendo chiaramente old school, riesce grazie alla sua velocità, allasua tecnica e mediante un sound molto a passo con i tempi, a rivelarsi una bellissima realtà moderna. Il testo segue la riga delle precedenti canzoni, e ritorna il concetto della “nebbia” che questa volta è nera e indica il mondo dove viviamo. Questo universo è completamente guidato dal grigiore e dall’oscurità della violenza e indirizza le anime verso l’aridità interiore (e su questo potremmo ricollegarci alla copertina), portando l’uomo verso la prigionia. Questa gabbia è costituita dal male che si insidia nel cuore e che costringe, attraverso azioni folli e malvagie, a far precipitare l’uomo nel rancore e nella devastazione. La visione degli Hellgeist è apocalittica, catastrofista ed estremamente crudele anche se si nota una certa prolissità del testo comune anche alle altre track analizzate. Una volta che le forze del male avranno attanagliato la nostra mente, gli Hellgeist ci consigliano di respirare soltanto il nostro dolore. In sintesi i testi della band italiana non si soffermano su un profondo significato ma sono funzionali alla musica trattata, poiché rappresentano un indurimento di essa. Siamo quindi arrivati al sesto pezzo, “Emily”, che parte con una chitarra mitragliatrice spinta sino all’ennesima potenza, utilizzata molte volte anche nei brani precedenti. L’idea infatti degli Hellgeist è quella di creare un’atmosfera molto bellicosa e crudele dove la durezza del sound giochi un ruolo fondamentale. I riff in pura scuola Slayer si susseguono senza sosta in una canzone dall’aggressività notevole, abbastanza coinvolgente e ben strutturata. Il quartetto italiano ha trovato la giusta formula ma continua a peccare di ineffabilità poiché le idee molte volte sembrano non concretizzarsi. Ciò che veramente colpisce del gruppo è la presenza di assoli notevolmente tecnici e in questo pezzo c’è sicuramente uno dei soli di chitarra più belli dell’intero disco: i riff continuano a intrecciarsi in una fitta trama che ci fa giungere al finale sempre chiuso da una brusca battuta di batteria. Il testo di “Emily” è sempre impregnato dei concetti di odio e violenza che hanno caratterizzato tutti i precedenti brani. La fantomatica Emily a cui gli Hellgeist si rivolgono a fine brano è un’entità demoniaca ed oscura che rappresenta un po’ la cattiveria dell’uomo. La violenza del brano è resa molto più forte da questa frase che precede uno degli scream di Sierra: “I Drink your Blood and Piss on You”, “Berrò il tuo sangue e piscerò su di te”, gli Hellgeist non si lasciano trattenere e sbattono crudamente il testo sul volto dell'ascoltatore con un pugno di inaudita violenza. C’è il rifiuto delle regole, delle convenzioni e l’incitamento al combattimento ed è questa entità malefica che conduce il pensiero di tutti gli uomini, convinti da essa ad odiare sempre il prossimo. I temi del quartetto sono sempre gli stessi: la descrizione dell’odio, della violenza, della distruzione dei propri sogni di conquista; sono sempre ribaditi all’interno di ogni track ed “Emily”, seppur in modo leggermente diverso, non è un’eccezione. La settima traccia, “Blood Faith”, attinge molto da sonorità Melodic Heavy Metal moderne alle quali si aggiungono le imperanti influenze Groove Metal e Thrash Metal. Potrei paragonare questo gruppo a una versione con meno mordente degli Hexen, anch’essa una band emergente in questi ultimi anni, dallo stile simile. I riff sono molto moderni in questa track e non manca il solito riff “mitragliatrice” a cui gli Hellgeist ci hanno sino ad ora abituato. Le vocals sono come al solito composte da uno scream molto tagliente che molte volte rasenta il growl. Il brano è disseminato di breakdown qui e lì, specialmente negli istanti precedenti al refrain, che ricordano molto strutture incontrate in gruppi Metalcore come Miss May I o Heaven Shall Burn. D’altronde anche la tradizione metalcore deve molto ai gruppi Thrash Metal storici ai quali la band italiana si ispira. Gli assoli, come sempre, sono caratterizzati da un’altissima velocità che in questo caso, però, si rivela come un lato negativo poiché rende le note poco distinguibili ed assimilabili. Il classico finale brusco è preceduto da un riff molto tradizionale in puro stampo Thrash. I temi soliti degli Hellgeist sono anche qui ripetuti con tenacia. Apre l’immagine della canzone un lupo nero che attende nel buio le sue prede e rappresenta il simbolo delle uccisioni, del sangue e delle vicende truculente ricche di odio e misantropia. L’intero testo, come al solito, è una minaccia globale: tutti si limiteranno a soccombere alle grinfie di questo lupo. Il quadro finale è il rifiuto completo della propria religione per costituire una nuova fede su uno scenario basato sullo spargimento di sangue che pioverà dal cielo e dove i corvi divoreranno le membra degli sventurati. La band italiana ci offre di nuovo un’immagine molto cruda e cattiva della realtà dove la distruzione regna sovrana e fagocita tutto il mondo. Ovviamente le lyrics sono funzionali all’aggressività del sound freddo e cinico. “Hell” è il capitolo finale di questo viaggio ai confini della violenza e dell’odio estremo. Il brano inizia trenta secondi dopo una intro molto atmosferica che evoca i venti dell’inferno. Subito dopo parte un riff velocissimo a mitragliatrice con note tanto brevi da sembrare indistinguibili. La batteria scandisce bene gli istanti e sembra intraprendere in alcuni momenti un abbozzato blast beat. Si può dire che le note di chitarre sono così mozzate da apparire quasi djent ma in realtà sappiamo che ci sono ispirazioni prevalentemente orientate verso gruppi Speed Metal e Thrash Metal. Le vocals sono cattive, grazie a scream acidi, e tutto ciò è condito da breakdown, giri di basso molto potenti e, soprattutto, dal solito assolo melodico sorretto dalla struttura ritmica. La distorsione finale che segue ad una parte strumentale abbastanza lunga conclude il brano più aggressivo e veloce dell’intero disco, un pezzo potente, rapido e, soprattutto, molto distruttivo. Il testo è molto corto e non si sofferma molto sui particolari. Ora che la cattiveria ha vinto tutto ciò che resta all’animo umano è il vagare negli eterni abissi dell’inferno poiché, alla perdita di una battaglia, la morte regna sovrana e inghiottisce l’anima del perdente. Gli Hellgeist concludono il pezzo con questo monito: “You Live in my Hell”, “Tu vivi nel mio inferno”, poiché gli inferi accomunano tutti noi, anche i vincitori, dato che l’odio è presente in tutte le cose e si nutre di esse.
Il platter degli Hellgeist, alla luce di tutte queste considerazioni, rappresenta un lavoro ambizioso a cui la band italiana ha cercato di dedicare anima e corpo. Il problema principale del disco è però una quasi completa assenza di inventiva, sia dal punto di vista stilistico che da quello testuale. Ciò che danneggia gravemente questa produzione è la presenza di momenti completamente spenti, privi di mordente: una grande pecca in un pezzo thrash, dove proprio la grinta e l'aggressività dovrebbero rappresentare l’ingranaggio principale che fa muovere tutto, e rendere il pezzo accattivante e convincente. Molti riff hanno un sapore fin troppo tradizionalista e li abbiamo incontrati in giro troppe volte per poterli apprezzare appieno. L’unione del Thrash e del Groove riadattati in chiave moderna e influenzata da gruppi come Hatebreed è certamente una proposta molto interessante che però non viene coltivata a dovere. La presenza prolissa di riff stereotipati e della eccessiva presenza delle “mitragliatrici”, quasi come una spavalda prova tecnica, non fa altro che appesantire e rendere noiosi dei brani che potrebbero avere una maggiore caratura. Ovviamente gli Hellgeist hanno puntato alla creazione di un sound cattivo e quasi diabolico, ma le lyrics banali e scontate non aiutano in tale intento. Per spezzare una lancia a favore della band italiana, possiamo dire che molti riff sono eseguiti con forte precisione e, soprattutto, le parti di batteria e gli assoli sono notevolissimi e valorizzati alla perfezione. Nella realtà italiana quindi, gli Hellgeist hanno ancora moltissimo da dimostrare non avendo convinto appieno sia con la demo che con questo primo Full-Length. Le premesse sono presenti, la dose tecnica anche ma manca quel tocco in più che permetterà alla formazione di raffinare il proprio sound e toccare vette più alte. Per il momento la prova non mi ha convinto del tutto, ma è conveniente dare una possibilità concreta a questo quartetto italiano che ha ancora da dimostrare e che, spero, renderà reali queste aspettative. D’altronde molti gruppi iniziano con degli album non proprio convincenti per poi sfornare dei capolavori assoluti. Sarà il caso degli Hellgeist? Solo il tempo ce lo potrà dire, ma per ora possiamo ancora attendere e aspettare che essi capiscano la strada giusta da prendere.
1) Last Breath
2) Again
3) Black Bells
4) Mindead
5) Your World
6) Emily
7) Blood Faith
8) Hell