HELLCOWBOYS
Mondo Bastardo
2019 - Hellbones Records
NIMA TAYEBIAN
03/05/2020
Introduzione Recensione
Chi verga queste righe è ben consapevole di tanti sconvolgimenti, che, in questo 2020, si stanno manifestando in lungo e in largo per tutto il globo. Un periodo funesto questo, del quale non serve neanche che parli (voi che leggete avete piena consapevolezza di questi fatti), e che ha per il momento cambiato il nostro stile di vita. Il lockdown - questa una delle nuove parole d'ordine - ha fatto sì che tante persone come il sottoscritto si dedicassero maggiormente alle proprie attività da gestirsi "entro le quattro mura domestiche". Per chi scrive, le attività sono state per fortuna molteplici, tra cui esplorare maggiormente nuove realtà musicali e pescare opere interessanti da recensire. Una di queste mi è stata in qualche modo suggerita da un collega di redazione. Un gruppo di cui, sino a questo momento, non avevo sentito parlare, ossia i romani Hellcowboys, band con all'attivo due dischi: l'omonimo del 2017 e Mondo Bastardo (che andremo a recensire in questa sede) del 2019. La band viene catalogata da più parti (tra cui sull'Encyclopaedia Metallum) come fautrice di un "southern/thrash/groove metal", ma, pur ritenendo il disco da me preso in esame come interessante, tengo subito a chiarire che di southern non vi è un granché traccia. Probabilmente l'etichetta, in questa sede un tantinello forzata, vorrebbe fare riferimento a possibili ed eventuali richiami a gruppi come i Down (la band di Phil Anselmo "post Pantera", loro sicuramente irrorati da un flavour southern) ed altri simili, ma dopo una serie di ascolti (ripetuti nell'arco di svariati giorni, tanto il tempo non manca) mi sento di poter dire che i richiami più evidenti sembrano essere al groove dei Pantera e al thrash degli ultimi Kreator (quelli "melodici"). Influenze che spesso si mantengono distaccate: non che manchino brani di groove/thrash fusi in un'unica entità, ma è più frequente sentire brani maggiormente orientati sul groove metal o sul thrash metal. Tutti comunque buoni, ben fatti, perfetti per chi dal metal cerca un sano svago a suo modo "leggero", per chi ha bisogno di un prodotto per sbattere la testa innalzando alte le corna. Un prodotto questo capace di divertire, intrattenere, lontano dai sofismi di certo metal più evoluto, che cerca nelle sue trame di architettare complesse strutture o perdersi in strani voli pindarici. Niente di tutto questo fa capolino tra le nove bastardissime tracce di questo platter, che cercano l'attacco diretto, senza fronzoli. Un assalto all'arma bianca destinato a fare pochi prigionieri. Un prodotto che nell'immediatezza trova il suo punto forte. Nulla di particolarmente originale, certo (a volerli cercare a tutti i costi, i richiami possono palesarsi con pochi problemi), dato che si tratta di un prodotto onesto che non vuole in alcun modo essere pretenzioso. Ed è proprio in questo suo "non essere pretenzioso", nel non voler cercare soluzioni astruse e proporre solo sano, fottutissimo metal arrembante, che questo disco ha la sua raison d'etre. Passerei ora a qualche nota sulla band (le info sono pescate dalla loro pagina facebook) prima di passare alla nostra consueta track by track. Dunque, la band è formata da Cristiano 'Comaante' Iacovazzo (Voce), Andrea 'Andrixxx' Valentino (Chitarra), Stefano 'Stfn Steele' Ferramola (Basso) e Alessandro 'Daf' Di Filippo (Batteria). Il tutto inizia a prendere forma tra il 2007 e il 2008 con il side project CARTON messo in piedi a Roma da Cristiano Iacovazzo (voce) e DanPk (chitarra), che in breve tempo incontrano il batterista Daniele Di Marzio, mentre diversi bassisti si uniscono alla band nei mesi a venire. Tra la primavera 2009 e l'autunno 2010 la band inizia a suonare dal vivo in diversi club di Roma e lavora alle canzoni del primo album; nella primavera 2011 abbiamo la loro prima uscita "Alter Ego", contenente 11 tracce, un melting pot tra atmosfere thrashy e musica metal alternativa. Il disco è registrato con Rob Cufaro (Theatres des Vampires, VII Arcano) a Roma. Nell'estate-inverno 2011 la band suona dal vivo in diversi club di Roma. Nella primavera 2012 la band inizia a lavorare sulle canzoni del nuovo album e nell'inverno 2012 esce il nuovissimo album "Perfect World"; questo viene mixato e masterizzato da Joel Wanasek presso JTW Recording Studios, Milwaukee (Wisconsin). Tra la primavera e l'inverno 2013 la band suona dal vivo in diversi club in Italia; durante questo periodo varie riviste in Italia e fuori dall'Italia (Germania, Francia, Messico, India, Grecia) recensiscono positivamente l'album, tamto che la band viene trasmessa in alcune radio indipendenti in diversi paesi (Brasile, Usa, Messico, India). Nel frattempo i Carton iniziano a lavorare sul nuovo album. Arriviamo alla primavera 2014: per motivi personali e familiari, March DanPk (chitarrista e co-fondatore) lascia la band per stare con la famiglia. Subentra come nuovo chitarrista, Francesco De Honestis (Hour of Penance, Enemynside). Dopo molte avventure, silenzi e una serie di eventi, I Carton tornano in scena in una veste rinnovata: una nuova formazione, un power trio composto solo da tre teste pensanti. Cristiano, oltre alla voce, ora si occupa della chitarra e Stefano Ferramola si unisce alla band come nuovo bassista. I Carton diventano HELLCOWBOYS. Nel maggio 2015 Andrea Valentino si unisce agli Hellcowboys come nuovo chitarrista. A settembre 2016 Alessandro 'Daf' Di Filippo si unisce agli Hellcowboys come nuovo batterista. Nell'autunno del 2016 la band completa il primo album omonimo, registrato presso la LRS Factory di Roma con Lorenzo Stecconi (Zu, Ufomammut, Lento) che viene presentato ufficialmente nella primavera del 2017. 2017-2019: dopo un'intensa attività dal vivo (tra le date della partecipazione al Sinister Fest, come open act per la band norvegese doom/stoner Kal-El e anche come opener di alcuni nomi storici del metal italiano), a maggio 2019 gli Hellcowboys entrano in studio per registrare il nuovo lavoro,"Mondo Bastardo", che esce nell'autunno dello stesso anno per l'etichetta indipendente italiana Hellbones Records. Benone, detto questo possiamo passare finalmente alla nostra analisi traccia per traccia.
Mondo Bastardo
Si inizia bene con la opener - nonchè title track - "Mondo Bastardo", brano dal flavour thrashcore molto diretto e "in your face". Dopo un lavoro ai tamburi "ovattato", parte in quarta il singer, con voce sprezzante e aspra, per sbatterci letteralmente in faccia un testo che ha nel concetto di protesta la sua raison d'etre. Una protesta manifestata da un personaggio non meglio specificato, che il protagonista/voce narrante definisce come inutile. La "seconda persona" viene quasi tacciata di ipocrisia, perché manifesta il suo dissenso protestando in maniera silente quando questi è parte integrante del sistema contro cui manifesta. Il mondo è bastardo, non ci si può fare nulla, e bene o male siamo tutte pedine di una grande scacchiera. E molte di queste pedine giocano allo stesso gioco del sistema contro cui ipocritamente si scagliano contro. Musicalmente si si muove su ritmiche serrate, estremamente lineari, dall'evidente gusto "thrashcore", come già accennato: infatti sembra che le ritmiche strizzino parecchio l'occhio ad un hardcore in salsa thrash, sciorinando baionettate semplici e impattanti, abbastanza lontane sia dal thrash più classico, che dal groove (queste le due coordinate principali su cui si dovrebbe muovere la band. Non cito minimamente il "southern" dato che qua non è pervenuto neanche alla lontana). Dunque ritmiche essenziali, che puntano ad un assalto diretto, senza fronzoli né voli pindarici. Nulla, solo puro impatto deflagrante. In tutto questo si erge, cosa particolarmente gradita, un velocissimo solo guitar verso il minuto e dieci, capace di spezzare con gusto tale assalto all'arma bianca.
Psychosis
Si continua con "Psychosis" (Psicosi), brano inaugurato da un fregio di chitarra che funge da preambolo ad un riffing serrato e deflagrante. La batteria inizia a pestare come se non ci fosse un domani, e in breve, dopo un "ululato" infero, fa il suo ingresso in pompa magna la voce, che ci porta al cospetto di un testo molto particolare, che fa riferimento a "complotti", prescelti e un caos in procinto di prendere il via. Inizialmente su fa riferimento a un "Alto Ordine", che ha stabilito in che modo dovrà essere la nostra vita, alimentando chissà quali paure. Quindi si parla di un malvagio "prescelto", selezionato mentre a livello globale si diffonde la diffidenza. Oscure potenze complottano per inaugurare un mondo a loro immagine, e intanto il caos è pronto a dispiegarsi in lungo e in largo. Un testo dal retrogusto "complottista", in cui si fa riferimento a certi poteri che governano tutto in maniera silente e nella quasi totale invisibilità, responsabili di gran parte del male umano. Tornando alla parte musicale, come accennato in precedenza, il brano sembra assestarsi in breve su ritmiche belluine e dilanianti. Sin dai primi frangenti non è fuori luogo trovare analogie con i Kreator "thrash oriented" più melodici (specificare quel thrash oriented era d'obbligo, dato che nella loro carriera hanno avuto parentesi molto sperimentali, come si evince per dire da Endorama), dunque quelli da Violent Revolution in poi. Il brano si assesta così su un pattern che, esattamente come nel brano precedente, si mantiene parecchio su coordinate lineari, scevre da particolari scossoni. Un moderato cambio di ritmo si nota verso minuto e venti, in cui si nota una piccola distensione, ma in breve si ritorna a tutta la ferocia diretta assaporata in precedenza. Un brano, questo, che esattamente come il primo (da cui si differenzia per la strizzatina d'occhio a certo thrash teutonico) fa della linearità il suo punto forte.
Immeritocracy
Il prosieguo è affidato a "Immeritocracy" (Immeritocrazia), in cui si palesa sin dall'inizio un gusto più groove. La voce prende subito piede per declamare, spenta e rauca, il mantra "immeritocracy!", e in breve inizia a dilettarsi con il testo, a onor del vero abbastanza particolare e "interpretabile". Non lunghissimo, ma gestito per richiami e immagini più che attraverso una narrazione vera e propria. E' palese il riferimento all'immeritocrazia come piaga umana, mentre il resto rimane abbastanza oscuro, indecifrabile. Si tira in ballo un "muro" (già citato in precedenza) che andrebbe abbattuto, nel quale si nascondono corpi in vendita e ali tarpate. E si parla di demoni che vengono partoriti nel cervello. Forse nel cervello di chi viaggia sull'onda dell'immeritocrazia. Passando alla parte musicale, notiamo come il brano rimanga stabile su coordinate groove-oriented impostate su tempi medi per buona parte del brano. I primi due minuti non hanno grandi scossoni, e il tutto si mantiene su un mood lineare particolarmente caro al gruppo. Superati ampiamente i due minuti abbiamo una gradevolissima sorpresa (dato che, per gusto personale, se il pezzo si fosse mantenuto in toto sulle coordinate del primo frangente, lo avrei trovato un tantinello piatto), ossia una notevole accelerazione che porta il brano ad una componente ipercinetica davvero gustosa, corredata da un solo guitar (verso i due minuti e trenta) di grande gusto e impatto. L'elevato impatto dinamico si smorza di misura verso il terzo minuto, in prossimità della fine.
Injustice For All
"Injustice For All" (Ingiustizia per tutti) sembra richiamare, anche se solo nel titolo, la celebre song (omonima al quarto disco) dei Metallica (And Justice For All). A parte l'omaggio al titolo non vi è nessun punto di contatto con il summenzionato pezzo. Questo prende il via su un ricamo di basso, presto addizionato a rintocchi possenti di batteria. In breve il brano si assesta su un mid tempo granitico, presto fregiato dalla voce di Comaante che inizia a declamare un testo in cui un personaggio non meglio specificato dichiara di essere stufo di far finta di essere ciò che non è, simulare un'interpretazione che non gli appartiene. Stufo dell'ipocrisia insita nelle apparenze, simulacri distorti del reale e di ciò che "è" effettivamente, questi dichiara che la schiavitù mentale è appena arrivata, facendo ben comprendere che presto tutti saranno soggetti a tale imposizione psicologica. Una schiavitù, una imposizione che "democraticamente" si pone come ingiustizia collettiva. Un'ingiustizia per tutti, come recita il titolo. Anche stavolta, musicalmente (come accennato all'inizio) ci si mantiene su tempi medi, in questo caso ammantati da un'aria oscura e misteriosa. Il pezzo si stabilizza sin dai primi momenti su queste tempistiche, marciando possente per tutto l'arco del brano, intervallato solo sporadicamente da "piccole variazioni", che comunque non inficiano minimamente sulla linearità complessiva del pezzo in questione. Si prenda il lavoro di chitarra stoppata verso i tre minuti, che porta il brano a nutrirsi di un flavour maggiormente "groove", o il cesello di chitarra verso i tre minuti e quaranta. Nel complesso ancora un gradevolissimo pezzo, granitico e diretto, forgiato su tessiture monolitiche di discreto impatto.
Mr. Hypocrisy
"Mr Hypocrisy" (signor impocrisia) è una traccia che si caratterizza per un testo molto breve, grossomodo quanto il precedente (anch'esso abbastanza stringato), in cui il protagonista si rivolge ad un tizio (non si capisce se un personaggio in particolare o un elemento generalizzato, specchio dei difetti di tanti uomini), tacciandolo come "mister ipocrisia", e puntando il dito contro di lui per la sua ambiguità. Questi - il protagonista - si vuole tenere alla larga da elementi di tal genere, ed infatti impone al personaggio di cui sopra, di tenersi ben alla larga da lui. Non vi è simpatia per chi, criminalmente, tenta di censurare la verità. Il mondo è pieno di ipocriti, e l'elemento accennato per sommi capi nel qui presente brano, è in qualche maniera emblematico della falsità e ambiguità di molti uomini che si crogiolano nella propria mancanza di valori. Passando ora alla parte più strettamente musicale, si può ben notare come anche stavolta il brano si mantenga su tempi non troppo elevati. Di base ci troviamo ancora a che fare con un mid tempo, screziato qua e la da parti più dinamiche. Come l'introduzione, in cui viene sciorinato un lavoro chitarristico davvero energico, destinato a trasformarsi presto in un assalto dilaniante a colpi di baionetta. Tale frangente non dura comunque molto, dato che in breve siamo trascinati un una parte più quadrata e possente. Il pezzo si assesta così su ritmi monolitici gestiti su tempi medi, che si smarcano - salvo piccole eccezioni - dall'orgia cinetica iniziale. Il tutto prosegue in maniera abbastanza lineare, non fosse per dei piccoli frangenti in cui si torna a correre pestando duro (come ad esempio verso il minuto e trentacinque, o superati i due minuti e cinquanta), frangenti questi che contribuiscono a variegare bene il pezzo in questione. Degno di nota anche l'ottimo solo guitar sciorinato a partire dai tre minuti e dieci. In definitiva un ottimo pezzo, tra i migliori ascoltati sino a qui.
Sick 'n Broken
"Sick'n Broken" (Malato e rotto) si focalizza su un personaggio bistrattato, deriso, trattato a pesci in faccia, che a un certo punto inizia a manifestare tutto il suo disgusto per il trattamento ricevuto. Questi è stanco di tutte le vessazioni ricevute, e intima a chi lo circonda di lasciarlo stare, di tenersi alla larga da lui. Il suo livello di sopportazione è arrivato al limite, e non è più disposto a stare al gioco di chi vorrebbe metterlo contro la sua volontà. Le parole sono quelle di un uomo disilluso, privo ormai di empatia per un prossimo che non gli ha mai portato rispetto, per una massa composta quasi esclusivamente di avvoltoi e iene pronte a pasteggiare con le sue spoglie ferite. Riguardo alla parte musicale, si può etichettare il brano come il più "panteriano" (e comunque come il più groove) del lotto. A seguito di un intarsio strumentale meccanico e roboante, nella parte iniziale, il pezzo scivola su una parte granitica quasi alienante (circa i primi trenta secondi), e quindi su ritmiche stoppate degne dei migliori capisaldi/epigoni del genere. Il brano si assesta così su una struttura in tutto e per tutto memore di certe soluzioni affini al genere di cui sopra, aprendosi a vezzi melodici (dal cinquantesimo secondo in poi, per dire), per poi lanciarsi in frangenti gestiti su un'alternanza tra ceselli chitarristici paticolarmente energici in alternanza con la voce belluina del singer (dal minuto in poi, tanto per fare un esempio). Ancora una volta, ed è cosa particolarmente gradita, possiamo godere di un ottimo solo guitar, piazzato verso i due minuti e venti: veloce e coinvolgente, riesce a spezzare molto bene la struttura regalandoci momenti di puro godimento. A conti fatti non la perla più brillante del disco, ma un pezzo di buona fattura che si lascia godere.
Southern Journey
"Southern Journey" (Viaggio Al Meridione) prende spunto da un plot dal sapore "on the road" (chiaramente quella del "viaggio" potrebbe essere tranquillamente una metafora) per proporci un testo che si struttura sull'apatia umana, su una neanche troppo malcelata condizione di alienazione, in cui un uomo sembra coltivare la percezione di un presente cristallizzato, privo di qualsiasi scossone, in cui i giorni si susseguono tutti uguali e senza alcuna variazione. Si presuppone che l'uomo abbia questa percezione nei suoi viaggi, nel suo lungo peregrinare on the road, in cui ogni cosa vista, ogni luogo visitato, assume connotati inquietanti, quasi da film dell'orrore. Tutto sembra fermo, tutto appare pietrificato in un eterno presente, come in una sorta di incubo ad occhi aperti. Musicalmente parlando abbiamo anche stavolta un brano di fattura groove che prende il via con la messa in campo di un guitar work vagamente "panteriano", ruggente e poderoso. In breve ci si incanala nella struttura del pezzo, granitica, quadrata, strutturata su tempi medi e abbastanza melodica nel suo incedere. Un riff si ripete spasmodico facendo da contraltare alla voce del singer, reiterandosi ad libitum. Il brano si mantiene su queste coordinate, bene o male, sino ai due minuti e venti circa, quando subentra una poderosa accelerazione che trascina letteralmente il brano verso coordinate ipercinetiche di ottima fattura. Decisamente una goduria per le orecchie. Una bella sterzata capace di rendere un brano sin qui già interessante, ancor più gustoso. Questa non dura molto (ma va bene così), dato che già verso i tre minuti e trenta si ritorna in seno alla struttura principale. Bel brano, ancora una volta capace di destare interesse e far sbattere la testa.
Fight For Life
"Fight For Life" (combatti per la vita) si compone di un testo che parte da poce semplici riflessioni sul sullo scorrere del tempo, sul susseguirsi delle ore e dei giorni. Riflessioni portate avanti da un uomo che sembrerebbe colto da un senso di rassegnazione. Ma tale sentimento viene prontamente contraddetto in pochissimo tempo, dato che, nonostante le prime considerazioni, questi asserisce che bisogna vivere la vita a testa alta e senza paura. Una visione vitalistica che impone di "cogliere l'attimo", senza guardarsi indietro. Bisogna lottare duramente, non è prevista alcuna ritirata. Ed andare avanti, anche se i giorni sembrano tutti uguali e tutto sembra susseguirsi senza scossoni. Con questo brano ritorniamo ideamente ad avere punti di contatto musicali con certo thrash teutonico, in particolare con quello melodico degli ultimi Kreator, almeno nell'introduzione. Tutto il preambolo, gestito su un guitar work a mio parere splendido, sembra pescare in qualche modo da quelle influenze: molto melodico ma dichiaratamente thrash, non può non fare breccia immediatamente nel cuore dell'ascoltatore, specie in quello attaccato a un certo tipo di sonorità. Finito il preambolo comunque, arriviamo ad una parte orientata più al groove/thrash che al thrash teutonico abbozzato inizialmente. I ritmi si assestano su tempi medi, il chitarrismo ancora una volta lascia trapelare un qualcosa di vagamente panteriano. Il brano in se si muove su strutture arcigne e ferali non veloci ma comunque particolarmente impattanti. Il tutto assume le sembianze di un macigno scagliato contro l'ascoltatore per fare male. Da menzionare l'ennesimo solo guitar, piazzato stavolta quasi a tre minuti e dieci, ancora una volta di pregevolissima fattura. Un buon brano, diretto e possente. Non lo elencherei tra i maggiori di questo violento florilegio ma risulta comunque ugualmente gustoso.
Head Up!
L'ultima track, "Head Up!" (A testa alta!), è dedicata ad un grande eroe dei nostri tempi, ossia Paolo Borsellino. E la scelta di fare tale dedica non può che avere un enorme plauso da parte del sottoscritto. Il brano ci presenta un uomo, etichettato come "uno sceriffo proveniente dal sud" (chiaramente il riferimento è a Borsellino), la cui bocca viene criminalmente tappata. Un uomo messo a tacere da dei "loro" immediatamente identificabili con gli elementi del sistema mafioso, che si è "puntato da solo la pistola in bocca". Nessuna stella sul petto per questo sceriffo, ma bensì una lezione a testa alta. E tante verità su un taccuino che purtroppo gli costano la vita. Infatti l'uomo, operaio ed eroe, ha il destino segnato ed è ben consapevole della cosa, ma cammina senza paura verso una strada lastricata di sangue. E' attraverso il sacrificio che si ergerà alto il concetto di verità. Stavolta il brano viene inaugurato da un riffone possente, corazzato alla grande da incessanti colpi di batteria. Si subodora ancora un retrogusto teutonic thrash, anche le la cosa non è così palese. L'inserimento della voce verso il quarantacinquesimo secondo non spariglia le carte in tavola: il brano continua a muoversi sulle stesse direttive abbozzate sin dai primi secondi. Coordinate veloci, incalzanti, dirette come un pugno assestato in pieno volto. Poche le sorprese, dato che il brano, assestatosi sui ritmi rapidi e impattanti di cui sopra, si snoda per tutto l'arco della sua durata in maniera più o meno lineare. Fa eccezione un piccolo stop quasi al secondo minuto, a cui fa seguito un solo guitar di gran pregio. Lasciato alle spalle il solo di cui sopra, e una piccola coda strumentale, si ritorna bene o male alle coordinate portanti, sino alla fine. Brano ancora una volta essenziale, privo di fronzoli, si pone come uno dei migliori prodotti in questo florilegio di tracce, complice anche un testo veramente ispirato e dedicato ad una figura indimenticabile, un grande eroe dei nostri giorni.
Conclusioni
Quindi, a conti fatti, ci troviamo di fronte ad un parto discografico gradevole, ben fatto, forte di pezzi diretti ed aggressivi tra il thrash e il groove. Come già accennato in precedenza il "southern", che dovrebbe essere incluso tra i generi proposti, non è pervenuto. Forse qualche riff "torrido" si palesa a rimembranza di tal genere, anche se non è sicuramente una componente "principale" nell'economia del sound degli Hellcowboys, che consta in maniera effettiva di groove e thrash, a volte fusi in un'unica entità, a volte disgiunti e palesati in pezzi più groove o più thrash. Pezzi comunque ben fatti, potenti, gustosi, capaci di dare lustro a un album di poche pretese fatto per chi cerca un metal privo di fronzoli, fatto essenzialmente per intrattenere. Del resto, a volte, è superfluo cercare soluzioni intricate e/o forbite, quando si può fare ricorso a un repertorio tutto sommato lineare e semplice il cui solo obiettivo è quello di far sbattere le teste in maniera incessante. Cosa che questi pezzi riescono a fare bene: dalla tirata opener sino alla thrashosissima Head Up abbiamo trentotto minuti abbondanti - che scorrono a meraviglia - in cui ogni singolo momento è votato all'headbanging. Alcuni pezzi sono più ispirati (come la traccia finale, sulla quale mi sono ampiamente soffermato), altre meno, ma nel complessivo si può dire che il prodotto preso in esame è di buona fattura. Anche se potrebbe essere solo un ulteriore passo verso una raffinazione che è lecito aspettarsi da questa band, a cui non manca certo il "tiro". Infatti, per il futuro (in attesa del loro prossimo disco, che non vedo l'ora di ascoltare) si potrebbero lasciare da parte varie ed eventuali influenze, magari proporre brani in cui l'amalgama groove/thrash è ancor meglio miscelata, ed eventualmente, se la cosa è davvero nelle loro corde, mettere maggiormente l'accento sulla componente "southern" (sarebbe gradevolissimo avere a che fare con un'amalgama tra il sound dei Lynyrd Skynyrd o degli Allman Brothers - tanto per citare due tra le band più famose - e il loro groove/thrash). Riguardo ai testi posso dire che non mancano gli spunti interessanti, ma onestamente si può fare di meglio. A parte un brano - sul quale tornerò a breve, ma forse avete capito - si parla di ribellione in varie sfaccettature, ma in alcuni punti tale tematica poteva essere affrontata un pizzico meglio, come su Immeritocracy, il cui significato pieno (e chiedo scusa per questo) mi è sfuggito. Essere nebulosi, a volte indecifrabili potrebbe andare bene, ma a risentirne è purtroppo il messaggio. Discorso a parte lo merita l'ultima traccia, dedicata a Paolo Borsellino: su questa nulla da dire. Il pezzo, già musicalmente stupendo, è corredato da un testo che ho trovato bello da morire, significativo, fatto con gusto ed ispirazione. Un brano dedicato a quello che non ci stuferemo mai nel definire un eroe, una persona di innegabile importanza e dagli indiscutibili valori, che ha dato tutto - vita compresa - per liberare questo stato da una piaga che da tempi immemori funesta la libertà individuale. Dunque, per quanto non mi sbilanci troppo sul voto, è innegabile che i nostri meritino di essere promossi. Riguardo al voto è per il momento il caso di economizzare: sono sicuro che i nostri hanno ancora tante frecce nella loro faretra, e tante idee che aspettano solo di essere concretizzate nella giusta maniera. La strada intrapresa è buona, ma sono sicuro che per il futuro, eliminando qualche incertezza qua e là, i nostri sapranno fare decisamente meglio. Per il resto, lasciando da parte sterili numeri, che alla fine non sono indispensabili (meglio, per farsi un'idea, innanzitutto ascoltare il disco, quindi dare una sbirciata alla recensione in questione) e che, ai fini della comprensione di un prodotto ho sempre ritenuto "superflui", non posso che confermare quanto detto in precedenza: il disco è buono e non potrà non fare la felicità di chiunque cerchi un gustoso concentrato di potenza. Magari da schiaffare nell'autoradio in qualche trasferta on the road, quando avrà termine questa parentesi funesta e, riacquistata la nostra libertà, potremo solcare di nuovo le autostrade verso mete imprecisate.
2) Psychosis
3) Immeritocracy
4) Injustice For All
5) Mr. Hypocrisy
6) Sick 'n Broken
7) Southern Journey
8) Fight For Life
9) Head Up!