HECATE

"Ultima Specie"

2013 - Revalve Records

A CURA DI
MICHELE MET ALLUIGI
29/12/2013
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Recensione

Come tutti i dischi estremi che si rispettino questo “Ultima Specie” dei nostrani Hecate, nuova pubblicazione targata Revalve Records, si apre con un'introduzione,“Anneliese”, che sparge malvagità e putridume in ogni dove, facendo crescere la tensione e disorientando l'ascoltatore con una sequenza di campionamenti elettronici, sui quali poi si avvertono tracce di comunicazioni telematiche appena accennate e bruscamente interrotte dall'inizio della traccia seguente. La furia è sguinzagliata, il gruppo parte in quarta spianandosi la strada su tutto e su tutti con “Ultima Specie”, una riflessione macabro-darwiniana sull'estinzione dell'uomo che descrive una condizione di assoluto disorientamento riguardo a questi esseri che non siamo in grado di vedere (“Tua è la pazzia, un'ultima specie forse davvero c'è, il loro mondo è invisibile”), la scelta dell'italiano per i testi non sembra la più adatta ma il cantato in growl maschera bene le difficoltà metriche che possiede la nostra lingua rispetto all'inglese, specie per un genere così serrato e veloce, ma la resa è comunque valida. La partenza è lasciata agli stacchi di batteria che seguono perfettamente la successione dei power chords di chitarra, una vera e propria sequenza di pugni al viso che ci fa sbattere il muso contro un muro di furia death metal. Il tempo principale è il classico blast beat serrato da metal estremo, tipico soprattutto del grindcore, che sfascia i timpani ad ogni colpi di rullante; l'unico momento di calma apparente, se così si può definire, arriva sul ritornello del brano, dove la struttura del pezzo verte su un maggiore groove, ma è solo una breve parentesi prima che il drumming riprenda serratissimo. Il pezzo sembra volgere al termine: l'accordo di chitarra viene lasciato andare quand'ecco i classici quattro colpi sul rullante che danno il la per una mazzata finale che si conclude subito, un minuto e trentasette secondi esatti di massacro sonoro, un inizio davvero niente male. Nella successiva “Senza Pietà” è di nuovo la batteria a dare il via al brano: un rullata secca fornisce il lancio per uno sviluppo lineare e martellante, questa volta sono gli accenti di chitarra e batteria a fornire il tiro al pezzo. Lo stile della canzone è decisamente più old school, anche le tematiche si fanno più sovversive ed incentrate sul sociale (“Non puoi vivere nascosto in questa società, apri gli occhi e stringi i pugni per la libertà”), una vera e propria dichiarazione di guerra a tutti coloro che ci opprimono, strutturata su un motto di facile presa e memorizzazione. Le chitarre sparano riff taglienti ed il ritmo è più variegato del brano precedente, viene infatti scelto uno sviluppo più thrash metal, ideale per il mosh pit massacrante e senza esclusione di colpi, che sfrutta molto bene tutte le potenzialità del quattro quarti. In questo senso gli Hecate si collocano esattamente a metà fra il metal estremo dei primi anni novanta e l'hardcore più scarno e brutale, sicuramente un punto a loro vantaggio che consentirà al lavoro di conquistare fans di entrambe le fazioni. Si torna al death metal senza tanti fronzoli con “Raza Odiada”: un drumming serratissimo istiga all'headbanging mentre le ritmiche di chitarra e la pesantezza del basso creano un unico muro sonoro granitico ed invalicabile. A livello di songwriting emerge molto marcatamente l'influenza dei Cannibal Corpse, la velocità del pezzo resta infatti sempre elevatissima e tutta la furia viene compressa in appena due minuti e ventiquattro secondi; per le voci viene sfruttato l'espediente dell'alternanza fra screaming roco e secco ed il gowl chiuso e gutturale, è inevitabile quindi il richiamo ai Deicide, poiché la voce di Cristian assomiglia molto a quella di Glen Benton. Il testo si scaglia dichiaratamente contro i preti pedofili, la razza odiata appunto, per i quali l'odio non ha confini e l'unica soluzione sembra essere quella di eliminarli fisicamente (“Non ho parole per definire la razza, so solo impugnare la mazza, così da aprire quelle teste incurate con duri colpi e lame affilate”); se c'è un pregio del metal estremo è proprio quello di non avere limiti nel dire ciò che si pensa e gli Hecate non hanno certo paura di farsi avanti in questo senso. La successiva “Indignati” ha come tematica principale l'ambiente, il testo è anche qui chiaro e stringato: si rifiuta assolutamente l'energia nucleare per favorire le fonti energetiche alternative (“Nucleare no no, energia solare, nucleare no, no, no, no!). La struttura è ancora claustrofobica e velocissima, la batteria bombarda letteralmente le orecchie con le continue rullate, che diventano l'elemento costituente principale della strofa, durante la quale echeggia su tutto la parola “rispetto”, da attribuirsi alla natura che ci ospita e che prima o poi presenterà il conto per tutti gli abusi attuati dall'uomo; gli accordi di chitarra vengono eseguiti con la tecnica dello slide per rendere le partiture ancora più veloci e schizofreniche, solo pochi break nell'impalcatura generale, fra cui uno di basso di particolare pregio a 0:45, per un pezzo corto quanto brutale che fa tornare alla mente i Napalm Death di “Silence Is Deafning”. Decisamente più marziale e cadenzato l'avvio di “Bestia Quieta”, che si rivela il pezzo “lento” del disco e la cui struttura predilige la pesantezza alla velocità. I colpi di rullante infatti sono secchi ed aperti per avere maggiore impatto ed il riff di chitarra spinge la ritmica come se fossero i passi di un gigante che avanza, accompagnati da un basso caldo ed avvolgente che ci fa vibrare le interiora ad ogni nota; la voce utilizza in questa sede solo il growl, conferendo così un tocco doom al brano rendendolo ancora più cupo ed oscuro. Lo stile complessivo della canzone si rifà molto ai Morbid Angel di “Covenant”, in particolare di quella “God of Emptiness” che può tranquillamente essere considerata il manifesto della lentezza applicata al death metal; si crea così la giusta atmosfera per l'introspezione del testo, che scava nei meandri più profondi dell'animo temendo la latenza del silenzio (“Provi a fuggire, il pensiero è pronto per rispondere alle ombre, direzione che non puoi prendere, tanto è inutile quella voce, il silenzio è una bestia quieta). Pur esulando dal contesto generale dell'album per stile e tematiche questa canzone si presenta comunque come gradevole e molto coinvolgente.

Con “Il Buio” gli Hecate tornano sui binari del brutal tritabudella: la traccia parte nuovamente con una rullata che lancia un blast beat ossessivo e privo di stacchi; questa volta sono le chitarre a dare maggiore impatto, alternando la ritmica chiusa della strofa ad un passaggio più aperto nel bridge, al quale segue poi un nuovo riff da cui traspare di nuovo il tocco ispiratore di Pat O'Brian; il testo continua il viaggio nelle tenebre iniziato con il brano precedente: il cielo si oscura e le ombre offuscano ogni nostro pensiero, viene accennata anche una riflessione sull'inesorabile trascorrere del tempo con la frase “i secoli affermano” e le tenebre accecano metaforicamente con i loro raggi. Le liriche si presentano ancora più ermetiche condensandosi in poche frasi che si alternano in una struttura ciclica fino alla conclusione del brano (“Credo in un solo cielo, tinto di buio, le ombre offuscano la linea del pensiero, i secoli affermano, i raggi accecano”); la profondità tematica unita alla brutalità della musica creano un interessante connubio di death metal e poesia che rende la proposta degli Hecate innovativa ed esule dai soliti stereotipi. L'album si conclude con “Infame”, canzone spinta fin da subito da una batteria che per tutto il disco si è mossa come un vero e proprio motore mitragliante, la doppia cassa ed il rullante in particolare sono di nuovo protagonisti in quanto tengono sempre sostenuto il ritmo del brano che non mostra mai segni di cedimento e si presenta anzi molto variegato e preciso nell'esecuzione. Le chitarre ed il basso alternano un riffing serrato nella strofa per poi aprirsi nel ritornello e nel finale, che rallenta a poco a poco in un fade out esecutivo che precede l'ultimo colpo del caricatore degli Hecate, che viene sparato all'improvviso a mo di ultima fiammata esattamente come nella titletrack. Come in un banchetto a base di odio e rabbia anche sul piano tematico viene lasciato il meglio alla fine, l'intero testo si presenta come uno sfogo di tutto l'astio che si possa avere per una persona, dalla ex fidanzata all'amico che ci ha pugnalato alle spalle, il cui solo pensiero ci provoca disgusto e nausea, il tutto reso molto chiaramente attraverso un registro linguistico marcatamente gore (“La tua immagine, che striscia dentro me, è confusa, odiosa e deprimente, vorrei descrivere il mio odio verso te, ma la tua carcassa è vile tentazione”). In conclusione “Ultima Specie” si presenta come un disco brutal death metal suonato da una band compatta e davvero valida, sia a livello tecnico che compositivo, che coniuga perfettamente la lezione della vecchia scuola scandinava di gruppi come Entombed e Grave a sonorità americane come Deicide e Morbid Angel, proponendo un lavoro dinamico pieno di spunti freschi ed innovativi, il tutto arricchito con un'ottima produzione in studio che fa risaltare al meglio la qualità di queste otto canzoni. Se siete amanti di metal estremo non faticherete a trovare gli Hecate decisamente interessanti..


1) Anneliese
2) Ultima Specie 
3) Senza Pietà 
4) Raza Odiada 
5) Indignati 
6) Bestia Quieta 
7) Il Buio
8) Infame