HEATHEN

Victims Of Deception

1991 - Roadrunner Records

A CURA DI
ANGELO LORENZO TENACE
28/10/2013
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Recensione

Nella seconda metà degli anni novanta da che mondo è mondo si è sempre saputo che sono stati anni duri per i grandi esponenti del thrash metal, ma è anche vero che nella prima metà sono uscite alcune perle che si sono perse nel tempo, vuoi un pò per il genere che aveva perso l'attenzione mondiale, vuoi un pò per l'avvento di generi più inflazionati come il nu metal ed il grunge. Solo di recente sono state (ri)scoperte grazie il revival degli ultimi anni che ha (ri)portato alla ribalta anche band meno famose, ma comunque meritevoli: se state pensando ai vari Dark Angel, Forbidden e Vio-Lence ad esempio, siete sulla strada giusta. Ed ovviamente nel lungo elenco non possiamo non annoverare i sottovalutatissimi Heathen, capitanati nientepopodimeno che da Lee Altus, odiernamente impegnato nei grandissimi Exodus, che in quasi trent'anni di carriera con la sua band madre è riuscito a rilasciare soltanto tre album, tutti caratterizzati però, da una qualità incredibilmente alta. Il primo "Breaking The Silence" già dal titolo fa presagire l'importanza che ha avuto per la band, visto che li ha fatti notare ad una grande schiera di appassionati e ad oggi viene quasi glorificato come un capolavoro. Per quanto la qualità del platter sia alta, onestamente ci sentiamo di mettere sul podio proprio l'album che ci stiamo appropinguando a recensire, "Victims Of Deception". Partendo dal presupposto che è l'evoluzione naturale del precedente platter, potremmo descriverlo come il "Master Of Puppets" degli Heathen, in quanto quasi tutti i classici, o comunque i brani migliori della loro carriera si trovano qui. Altre analogie con i Metallica vanno riscontrate nella complessa struttura delle tracce, che si spalmano tutte su soluzioni che superano abbondandemente i cinque, sei minuti di durata, oltre ad alcuni rimandi nel riffing, che non vi preoccupate, grazie alla voce di impostazione tipicamente heavy di David White, non vi daranno minimamente l'impressione di ascoltare un'album di inediti dei quattro horsemen. Poi se dobbiamo dilungarci da un punto di vista squisitamente chitarristico, c'è da notare che nei solos c'è una velata influenza neoclassica, che dona classe e melodia al sound, rendendolo appetibile sia all'amante della melodia, che all'amante della tecnica. Inoltre se si guarda al risultato e si pensa alle mille peripezie che ha dovuto passare la band per rilasciarlo, il quadro è completo. Infatti questo "Victims Of Deception" in realtà doveva essere rilasciato un'anno prima, sotto il nome di "Fear Of The Unknown", che fu in parte registrato quell'anno, anche se poi tutto non andò per il meglio per problemi monetari e per l'assenza in line up di un vero e proprio bassista. Per avere un bassista nelle registrazioni del disco è stato necessaria l'assunzione momentanea di Marc Biedermann dei Blind Illusion (band in cui hanno militato per brevi periodi, Les Claypool e lo stesso David White) che non è stato nemmeno accreditato come bassista ufficiale. Forti di un contratto con la Roadrunner, ancora non ci riusciamo a spiegare come siano finiti nel dimenticatoio, visto che a neanche un'anno da questa invidiabile release i nostri si scioglieranno senza battere ciglio. Generalmente l'album tratta in maniera "intelligente" argomenti come la religione senza satana ed anticristianesimi vari, oppure l'accettamento del fatto che viviamo in un'epoca in cui tutto è dominato dal caso, o forse dovrei dire chaos, che alla luce dei nostri giorni, nonostante siano passati venti anni dall'uscita, rimangono argomenti ancora molto attuali, purtroppo. Un minaccioso discorso di una voce distorta apre le danze, a quanto pare è un campionamento di un parroco esaltato, che manda all'inferno chi non ha il coraggio di seguirlo. Al che un'intro cadenzata accompagnata da un tetro arpeggio inizia a farsi strada, lenta ed inesorabile con un piglio melodico rasserenante, anche se farà soltanto da preambolo alla lunga intro accompagnata anche da dei gradevoli solos posti in primo piamo. Ma ecco che la furia inizia a farsi sentire, con un'andamento in crescendo che aumenta di intensità con il passare dei minuti. Senza accorgervene saranno passati quattro minuti buoni, governati solamente da un'efficace sezione strumentale, ed inizierete a godere come ricci quando il brano verrà fuori in tutta la sua potenza, con un David White in uno stato di grazia. Ulteriori punti a favore sono gli assoli, velocissimi, melodici e veramente ben piazzati nel contesto, che fanno di "Hypnotized" come uno dei brani inmancabili dal vivo e vi assicuro che nonostante i suoi quasi dieci minuti di durata, difficilmente vi annoierete, come accadeva per i Metallica migliori. Le liriche parlano della chiesa, che come una piovra controlla e spilla soldi dalle menti più deboli, promettendo posti di rilievo in paradiso ed illudendo le masse con promesse di redenzione e pace, ipnotizandole. Inoltre si fa appello all'ascoltatore, di non lasciarsi stringere da questa morsa, perchè non è mai troppo tardi per cambiare il proprio fato. "Opiate The Masses" parte con un'incedere melodico che non vi si toglierà dalla testa, per poi mostrare i muscoli con il classico ed ossuto riffing che accompagna le parti più tirate. Anche qui ci vorrà un bel pò prima che il buon Dave faccia il suo ingresso, inoltre nel riff portante vi verranno in mente gli Exodus e vi farà capire che 2+2 fa 4. Come al solito la traccia ha un'ottima struttura con particolare attenzione per i chorus, che sembrano concepiti proprio per infiammare le folle. Veramente di classe l'assolo incrociato delle due asce verso più di metà durata, che fa da apripista all'assalto finale, con assoli incrociati che accompagnano tutto l'andamento, senza annoiare. Molto coinvolgente l'ultima sezione, con tutta la band a scandire dei cori di magnifica potenza. Partendo da un titolo di Marxiana memoria, il brano pone l'attenzione sui mezzi di controllo dei potenti, che attraverso la religione riescono a tenere in scacco l'umanità, ed attraverso le guerre riescono a trovare la propria linfa vitale, che si traduce in una disarmante ricchezza economica a discapito delle pedine che vengono utilizzate per raggiungere i propri scopi. Inutile disquisire ulteriormente, anche questa volta abbiamo un colpo ben assestato. Ma ecco il brano che ogni amante del thrash metal o comunque del metal in generale, dovrebbe ascoltare almeno una volta nella vita: la meravigliosa semi ballad "Heathen's Song", scandita da un'arpeggio struggente, con una melodia iniziale veramente "calda" con un White, arreso, flebile e sconfitto dalle istituzioni religiose, un quadro grandioso! Ovviamente non abbiamo detto a caso "semi ballad" visto che anche qui avremo a che fare con un'up tempo molto sostenuto, con riffoni in primo piano e melodie vocali veramente ispirate, che vivono in sinergia con l'andamento del brano. Tutto procede come da copione, in maniera struggente e dinamica fino alla ripresa dell'introduzione che questa volta alza il tiro maggiormente, con una melodia vocale che vi entrerà nel profondo dell'anima, toccando le corde della tristezza, che però verrà spazzata via dalla potenza strumentale che verrà sprigionata poco dopo, come quasi a significare un non piangersi addosso, che andranno ad aprire un magniloquento assolo incrociato, sempre molto ricercato e di classe, che si protarrà fino alla fine della traccia, facendovi venire la voglia di schiacciare replay, per riuscire a capire quando avete lasciato il vostro corpo per volare insieme alle note. Molto struggente anche il testo che rappresenta un'urlo disperato contro l'oppressione da parte della conformità delle masse, che ogni giorno come pecore in un gregge seguono ciecamente ciò che gli viene propinato dai vari canali di deumanizzazione nel mondo. Si vorrebbe trovare un posto dove poter vivere liberi, si vorrebbe trovare un posto dove professare la propria fede, nella vita, nell'inprevediblità dell'esistenza che dovrebbe essere garantita a tutti, in maniera equa. E cosa succederebbe se gli Heathen, grazie al proprio singer, coverizassero "Kill The King" dei mitici Rainbow? Succederebbe che la traccia pur non raggiungendo la bellezza dell'originale, non ne esce con le spalle rotte, rappresentando un'ottimo tributo a quella band composta da divinità olimpiche e norrene che non poteva non essere capeggiata da un unico e solo vero Dio. "Fear Of The Unknown" si snoda da un'intro di basso, che è pervasa da un'atmosfera molto tetra che verrà spezzata da un'esplosione di energia, dove ancora il basso avrà un ruolo in primo piano, facendo scorrere l'adrenalina a fiumi. L'andamento è serrato e violento, persino White diventa più arcigno nel cantare, accompagnando la mattanza sonora in maniera cattiva, nella traccia che è forse più collegata al precedente "Breaking The Silence", se non fosse per un break a metà durata, che definiremmo martellante ed ossessivo, con dei solos taglienti e melodici, che diventano sempre più malati ed arcigni con il procedere del minutaggio, per poi fare spazio ad un'accellerazione che ci ribadisce la classe di Lee Altus come compositore, che pone sempre attenzione al dinamismo della forma canzone. L'attenzione questa volta è posta sugli eventi inspiegabili e sovrannaturali che si sono susseguiti nelle ere, che hanno soltanto finito per alimentare il fanatismo religioso e la paura per il "non conosciuto" che riesce a tenere in gabbia pure il più inquieto degli animi, finendo per diventare come un'altro dei mezzi di oppressione dei potenti a discapito dei deboli. Prima abbiamo avuto a che fare con una semi ballad, ed adesso invece dovrete ascoltarvi una ballad vera e propria, l'entusiasmante "Prisoners Of Fate" che parte dalle stesse coordinate di "Heathen's Song", facendo però ancora più leva sul lato struggente e malinconico inoltre sottolineamo a dire che riesce nei suoi intenti: infatti si parte con un'arpeggio molto struggente, equamente diviso fra le due asce, con soffuse linee vocali, che si posano delicate sul tessuto sonoro, come polvere sui mobili. La tensione viene rappresentata dai pre chorus, che poi esplodono in tutta la loro ariosità, rendendo il coinvolgimento elevato. Bisogna pur sempre menzionare il solito lavoro certosino in fase solistica, che questa volta si sbizzarisce ancor più per via della natura del brano. Si sprecano indubbiamente gli assoli spettacolari, che rendono davvero piacevole la fruizione della ballad, che pone anche un break melodico, dove White contribuisce con le sue linee vocali ad aumentare la carica emotiva, accompagnato come sempre in maniera davvero coinvolgente dagli altri cooprimari, che forgieranno senza esagerazione, alcuni degli assoli migliori del disco. Questa volta si parla dell'imprevedibilità della vita, che come da copione è un susseguirsi di disgrazie e scelte sbagliate che portano in decadenza e rovina l'individuo. Purtroppo anche lottando con tutte le nostre forze, paghiamo il dazio alle azioni poco ponderate ed a quelle prese in uno stato mentale squilibrato, che non possono essere in alcun modo cambiate, rendendoci tutti, prigionieri del nostro fato corrotto. Dopo un'episodio di tale caratura emotiva e morbidezza, è abbastanza lecito aspettarsi una mazzata iNiorante sui denti, senza saper leggere nè scrivere. "Morbid Curiosity" rappresenta la traccia con meno fronzoli dell'album, infatti non si fa forte di intro lunghe, magniloquenti e melodiche come le sue sorelle, ma punta tutto sull'impatto, facendoci scapocciare come forsennati ad alta velocità. Verso metà durata c'è un piccolo accenno melodico a ricordarci che stiamo ascoltando un disco degli Heathen, per poi fare spazio ad una parte cadenzata, con un riff che ha la stessa potenza di un ceffone. Impossibile non ribadire al riscio di sembrare noiosi, che anche qui i solos fanno davvero paura e vanno a dare la giusta dose di dinamismo ad una delle tracce più lineari dell'album. Il testo parla della particolare attenzione che impiegano i media, nel catturare gli ultimi respiri dei malcapitati di turno, che denotano un tasso di disumanità elevato. Ovviamente il chaos regola le nostre esistenze, quindi ciò che ci viene propinato dai media, potrebbe capitare da un momento all'altro a noi, che però nel tempo che intercorrerà ad un'evento funesto, ci consoliamo guardando la gente morire, sentendoci in un qualche modo più fortunati rispetto a loro ed esaltandoci alla vista di un trend che oramai fa parte del nostro quotidiano. Può un'album di tale qualità non avere un brano strumentale? Certo che sì! Ed ecco a voi la bellissima "Guitarmony" che dal titolo fa capire ovviamente con cosa avremo a che fare. Non ci dilungheremo nei dettagli, vi diciamo soltanto che è il brano più corto del platter, puntando tutto sul gusto e le doti tecniche dei nostri e ne rappresenta indubbiamente una bella parentesi che fa da prefazione alla terremotante "Mercy Is No Virtue" che va a chiudere la partita in maniera devastante. L'introduzione dura parecchio come al solito, ma questa volta si va a parare in qualcosa di veramente minaccioso e spietato, con una furia thrash che farebbe impallidire persino un'albino albino (gioco di parole voluto). I chorus sono coinvolgenti come al solito, infatti in chiave live rendono il doppio di quanto non rendano già su disco. Nessuna tregua, nessuna speranza, non c'è spazio per aperture melodiche o altro, soltanto per sfuriate bestiali in your face. Ottimo il rallentamento posto a metà durata che va a spezzare il ritmo, preparando i siluri per l'assalto finale di questa flotta da guerra: assoli come se piovessero e tanta furia incontrastata che vanno a darci il colpo di grazia, in maniera devastante. Molto devastante e spietato è anche il tema portante della traccia, che spiega che ormai nei nostri tempi, avere pietà del prossimo non è un pregio. La disperazione, la tristezza ed il dolore sono stati ormai trasmutati in un'odio verso il prossimo, che vittima dello stesso processo non si farà problemi nel depistare la nostra esistenza, in quanto la pietà e la misericordia, sono parole che ormai hanno soltanto senso nei libri di storia e nelle varie divagazioni religiose. Poche storie, questo è un'album che ogni thrasher che si rispetti dovrebbe ascoltare: certo si potrebbe discutere sulle analogie con i Metallica, si potrebbe discutere sul gradimento dell'ugola di David White, ma non si può indubbiamente dire che questo non sia un'album con le palle, che con una maggiore promozione adesso sarebbe conosciuto da tutti e non da un pubblico di nicchia. Ma forse è proprio questo che gli fa guadagnare maggiormente punti: quando qualcuno trova un'oggetto prezioso lo condivide con il mondo? Ed eccovi quindi una perla che è stata pescata a 22 leghe sotto i mari, un must have per ogni amante di queste sonorità, una band tutta da scoprire di cui quest'album ne è stato a lungo il canto del cigno, almeno fino alla reunion del 2001, che poi ha portato a quell'altro gioiellino che si chiama "The Evolution Of Chaos" del 2009. Deciderete di scoprire il tesoro, o di nasconderlo in un posto sicuro?


1) Hypnotized
2) Opiate The Masses
3) Heathen's Song
4) Kill The King
5) Fear Of The Unknown
6) Prisoners Of Fate
7) Guitarmony
8) Mercy Is No Virtue